“Se spesso i diritti fondamentali sono la fonte e la garanzia della partecipazione, altrettanto spesso ne costituiscono il limite: sono, infatti, questi diritti a salvaguardare la segretezza e l’intimità della vita privata contro le immissioni esterne di cui la partecipazione è veicolo. Le degenerazioni del controllo sociale trovano anzi nella esistenza e nella garanzia costituzionale dei diritti fondamentali l’ostacolo più forte
Mario Nigro, “Il nodo della partecipazione”, 1981, in “Scritti giuridici”, II, Milano, 1996, pp. 1424-1425
“non tutto quello che si svolge all’interno dell’Aministrazione può essere visto da chiunque si trovi al suo esterno, stante, se non altro, l’indispensabilità dei segreti (si tratterà di stabilire con precisione quali) per la conservazione dell’ordinamento […] Insomma, se si vuole utilizzare un’immagine, quella corretta è se mai l’immagine della casa di vetro con molte finestre schermate o schermabili”.
Riccardo Villata, “La trasparenza dell’azione amministrativa”, relazione al XXXII° Convegno di Varenna, 18-20 settembre 1986, ora in “Scritti di giustizia amministrativa”, Milano, 2015, pp. 1188-1189

 

È insolito, ma senz’altro utile, considerare i “diritti” di accesso dalla prospettiva del controinteressato. L’esistenza di interessi-limite all’accesso (privati, oltre che pubblici) implica il coinvolgimento di soggetti controinteressati rispetto alla pretesa ostensiva, titolari cioè di interessi contrapposti all’interesse conoscitivo del richiedente l’accesso.

Controinteressati sono definiti dall’art. 22 della L. 7.8.1990, n. 241, i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza. Non è sufficiente, dunque, che il soggetto venga menzionato nel documento oggetto dell’istanza per assumere la qualifica di controinteressato, ma occorre “un quid pluris, vale a dire la titolarità di un diritto alla riservatezza sui dati racchiusi nello stesso documento[1].

Spetta alla Pubblica Amministrazione, una volta ricevuta l’istanza, individuare e coinvolgere i controinteressati nel procedimento, comunicando loro la richiesta[2]. Entro dieci giorni il controinteressato potrà “presentare una motivata opposizione” e, più in generale, esercitare i diritti previsti dall’art. 10 della L. n. 241/1990 per i partecipanti al procedimento. “Diritto di opposizione” sancito anche dall’art. 21 del Regolamento UE 2016/679 in materia di protezione dei dati personali. Una puntualizzazione è opportuna: la mancata opposizione del controinteressato, così come il suo dissenso, non vincola l’Amministrazione, tenuta comunque a verificare la sussistenza dei presupposti per l’accesso.[3]

A fronte del dovere di coinvolgere nel procedimento i controinteressati, ci si deve chiedere quali siano le conseguenze se erroneamente l’Amministrazione non li individua. Una conseguenza è di ordine processuale: chi si è visto rigettare la propria domanda di accesso non avrà l’onere di notificare il ricorso contro il diniego al controinteressato. Sarà il Giudice a dover valutare anche d’ufficio l’esistenza di controinteressati e ordinare la notifica del ricorso ai fini dell’integrazione del contraddittorio[4].

Più problematiche sono le conseguenze dal punto di vista della tutela del  controinteressato. Secondo alcuni, avergli impedito la partecipazione al procedimento, specie nell’accesso civico generalizzato – dove l’attività dell’Amministrazione si connota per una marcata discrezionalità – vizierebbe di per sé la decisione sull’accesso, in quanto assunta senza il contributo imprescindibile del controinteressato, ferma l’applicabilità dell’art. 21 octies, comma 2, della L. n. 241/1990. Pare a me che avvalori tale interpretazione anche la pronuncia n. 10 del 2.4.2020 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella parte in cui afferma che “il c.d. giudizio sul rapporto, pur in sede di giurisdizione esclusiva, non può essere la ragione né la sede per esaminare la prima volta avanti al Giudice questo rapporto perché è il procedimento la sede prima, elettiva, immancabile, nella quale la composizione degli interessi, secondo la teorica del bilanciamento, deve essere compiuto da parte del soggetto pubblico competente senza alcuna inversione tra procedimento e processo”.

Naturalmente, qualora ne abbia tempestiva notizia, pur non essendo stato coinvolto dall’Amministrazione, il controinteressato potrà intervenire nel procedimento e potrà impugnare l’eventuale accoglimento della domanda di accesso.

Una volta eseguito l’accesso, è senz’altro ipotizzabile un’azione risarcitoria del controinteressato contro l’Amministrazione che non l’ha coinvolto nel procedimento. È dubbio se il risarcimento spetti per la mera violazione del diritto a partecipare al procedimento – e qui si aprirebbe il tema controverso della risarcibilità dei c.d. diritti procedimentali – o se invece, come pare più corretto, debba sussistere una effettiva e ingiusta lesione del suo diritto alla riservatezza; ingiusta proprio perché causata da un accesso non consentito dalla legge[5].

La tutela del controinteressato è inevitabilmente correlata all’attività valutativa cui è chiamata l’Amministrazione, ai margini più o meno ampi di discrezionalità che la connotano. Sottesa vi è la questione concernente la natura dell’accesso – se cioè la relativa situazione giuridica soggettiva sia qualificabile come interesse legittimo o come diritto soggettivo –  oggetto di un dibattito assai articolato, che non può essere qui ripercorso.

Mi limito ad osservare che, a seguito dell’introduzione dell’accesso civico, l’opinione prevalente tende a distinguere tra le diverse figure di accesso: la pretesa ostensiva nell’accesso documentale e nell’accesso civico semplice andrebbe qualificata come diritto soggettivo, poiché è la norma a stabilire in maniera stringente i presupposti e i limiti dell’accesso, bilanciando in astratto e a priori i diversi valori coinvolti. L’attività dell’Amministrazione è in tal caso di mera ricognizione della sussistenza dei presupposti di legge. A diversa conclusione si perviene per l’accesso civico generalizzato: a fronte delle c.d. eccezioni relative (commi 1 e 2 dell’art. 5 bis del D.Lgs. n. 33/2013), l’Amministrazione è chiamata  ad una “valutazione eminentemente discrezionale[6] di apprezzamento e di bilanciamento in concreto dei diversi interessi coinvolti; a fronte invece delle c.d. eccezioni assolute (comma 3 dell’art. 5 bis), la P.A. esercita un “potere vincolato[7]. Se ne può trarre la conclusione che tanti sono i modelli di bilanciamento, quanti sono i modelli di accesso.[8] Le implicazioni processuali di ciò, in ordine anche ai limiti più o meno stringenti del sindacato giurisdizionale, sono state ben illustrate dall’avv. Bertoli.[9]

Considerato che è nell’accesso civico generalizzato che il bilanciamento degli interessi risulta particolarmente problematico – come testimoniato dal contenzioso – è opportuno fare cenno alle tecniche e ai criteri applicati al riguardo.

L’art. 5 bis del D.Lgs. n. 33/2013 prevede che l’accesso civico è rifiutato se il diniego è “necessario per evitare il concreto pregiudizio” agli interessi elencati dalla medesima disposizione (privati e pubblici), tra i quali “la protezione dei dati personali”. Dalle Linee Guida ANAC e dalla giurisprudenza possono ricavarsi alcuni punti fermi in proposito:

1) non è sufficiente il rischio astratto di un pregiudizio. Il pregiudizio deve risultare altamente probabile, non soltanto possibile, e vanno considerate le conseguenze – sulla sfera morale, sociale o economica – che potrebbero derivare all’interessato (o ad altre persone alle quali egli è legato da un vincolo affettivo) dalla conoscibilità del dato o del documento richiesto, tenendo conto che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 33/2013, tutti i documenti e i dati oggetto di accesso civico sono pubblici e chiunque ha diritto di utilizzarli citandone la fonte e rispettandone l’integrità;

2) vanno considerate anche le “ragionevoli aspettative di confidenzialità degli interessati” al momento in cui i dati sono stati raccolti, nonché la posizione (pubblica o meno) ricoperta dal controinteressato, dovendosi accordare una maggiore protezione alle persone fisiche che non svolgano funzioni pubbliche esposte per loro natura a un controllo diffuso.

Si ritiene in giurisprudenza che, una volta individuato un concreto e probabile pregiudizio nei termini appena ricordati, si debba procedere al c.d. test dell’interesse pubblico e cioè alla comparazione tra tale pregiudizio e l’interesse alla conoscenza del richiedente (cfr. Cons. St., Ad. Plen., 2.4.2020, n. 10), valutando se l’interesse conoscitivo abbia qualche rilevanza pubblica, coerentemente con le finalità di trasparenza sottese all’accesso civico. Si tratta in altri termini di verificare se l’istanza soddisfa esigenze di controllo sociale sull’operato dell’Amministrazione – ricollegabili alla finalità di partecipazione democratica sottesa all’istituto – anziché una egoistica “sete di informazioni sulla vita privata degli altri” (Corte EDU, 8.11.2016)[10]. Il che ha dei riflessi pratici importanti: sebbene non vi sia l’obbligo di motivare l’istanza di accesso civico, una motivazione sarà utile proprio nella prospettiva della valutazione comparativa che l’Amministrazione dovrà compiere con riguardo ai contrapposti interessi.

Sotto un diverso, ma connesso, profilo, si discute se esista un principio di tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo rispetto alle contrapposte esigenze di riservatezza. Nelle Linee Guida dell’ANAC si afferma che l’accessibilità è la regola, mentre i limiti e le esclusioni rappresentano eccezioni, come tali da interpretare restrittivamente[11]. Secondo altri, tra cui il Garante della Privacy, tale preferenza “vanificherebbe il necessario bilanciamento degli interessi in gioco che richiede un approccio equilibrato nella ponderazione dei diversi diritti coinvolti” (cfr. parere Garante n. 521 del 15.12.2016 sulle linee guida ANAC), anche in considerazione della disciplina internazionale di cui all’art. 8 Convenzione EDU e agli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (cfr. parere Garante 18.8.2017).

Il principale criterio che sovrintende a tale complessa opera di bilanciamento è quello di proporzionalità[12]: presidio essenziale, si è scritto, affinché la discrezionalità venga guidata e non si tramuti in decisioni arbitrarie e insindacabili[13]. L’Amministrazione dovrà dunque valutare se esistano alternative comportanti un minore sacrificio per gli interessi in gioco e, comunque, comparare il beneficio arrecato dall’accesso all’interesse conoscitivo del richiedente e il sacrificio causato agli interessi contrapposti[14]. Quello della proporzionalità è criterio sotteso all’art. 25, comma 3, della L. n. 241/1990, che consente all’Amministrazione di differire e limitare l’accesso. Meccanismi applicati nella pratica – che rispondono appunto a tale canone di proporzionalità – sono quelli di oscuramento dei dati personali o di accesso parziale. In alcuni casi, infatti, soltanto alcuni dati risultano “eccedenti” rispetto all’interesse conoscitivo del richiedente e suscettibili di determinare un pregiudizio al controinteressato, così che sarebbe irragionevole negare tout court l’accesso.

Abbiamo prima menzionato le Linee Guida ANAC, a cui la legge rinvia per le “indicazioni operative” ai fini della “definizione delle esclusioni e dei limiti dell’accesso civico”. In materia sono intervenute anche circolari del Ministero per la Pubblica Amministrazione (la n. 2 del 2017 e la n. 1 del 2019) e numerosi sono i pareri espressi dal Garante della Privacy in sede di riesame delle istanze di accesso. Controverso è il valore di tali atti. Per quanto concerne le circolari, il problema non pare porsi, poiché è insegnamento noto che esse sono prive di valore normativo e non sono vincolanti. Il problema si pone per le Linee Guida ANAC.  Non mi addentrerò nel tema dei criteri utilizzati per distinguere le Linee Guida vincolanti da quelle non vincolanti: la questione è illustrata, con dovizia di riferimenti anche giurisprudenziali, da Cons. St., Sez. I, 24.3.2020, n. 615. Mi limito a dire che la giurisprudenza ritiene non vincolanti quelle in materia di accesso civico.[15]

La delicata operazione di bilanciamento a cui ho brevemente accennato dovrà emergere dalla motivazione della determinazione assunta. Nonostante l’art. 25, comma 3, della L. n. 241/1990 preveda la motivazione soltanto per il rifiuto all’accesso documentale, il medesimo obbligo vale anche per l’accoglimento dell’istanza, dal momento che l’obbligo di motivazione è previsto in generale dall’art. 3 e costituisce un presidio fondamentale a tutela dei soggetti coinvolti[16]. Il dubbio non si pone invece per l’accesso civico, posto che l’art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 33/2013 prescrive di concludere il procedimento in tutti i casi “con un provvedimento espresso e motivato”.

È agevole intuire, anche da un veloce rassegna della giurisprudenza, che il vero nodo dell’accesso è quello della Privacy, tanto che si è scritto che quest’ultima rappresenta spesso un “alibi” per l’Amministrazione[17]: alibi non giustificato considerando che il Regolamento UE 2016/679 legittima la restrizione al diritto alla protezione dei dati personali se il trattamento risulta “necessario per motivi di interesse pubblico” (cfr. artt. 9 e 6), tra cui rientra il “pubblico accesso ai documenti ufficiali” (cfr. considerando n. 154), e che anche il D.Lgs. n. 196/2003 ammette il trattamento effettuato per l’accesso a documenti amministrativi e per accesso civico (cfr. art. 2 sexies), rinviando alla L. n. 241/1990 e al D.Lgs. n. 33/2013 per la disciplina circa i “presupposti, le modalità e i limiti” per l’esercizio del diritto di accesso (art. 59).

Cercherò di tracciare qualche coordinata di riferimento per orientarci in una materia, quella della privacy, estremamente complessa.

La disciplina sulla privacy distingue le seguenti categorie di dati: a) i “dati personali”, definiti dall’art. 2 del D.Lgs. n. 51/2018 come “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile”; b) i particolari dati personali di cui all’art. 9 del Reg. UE 2016/679, richiamato dall’art. 7 del D.Lgs. n. 51/2018: dati che “rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale” – corrispondenti a quelli denominati, nel previgente regime e nell’accezione comune, “dati sensibili” – nonché i dati “relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona”, denominati dati “sensibilissimi” nel previgente regime; c) dati giudiziari ora previsti dall’art. 10 del Reg. UE 2016/679.

In conformità al Regolamento comunitario, l’art. 3 del D.Lgs. n. 51/2018 prevede i principi applicabili al trattamento di tutti i dati personali[18], che devono essere “trattati in modo lecito e corretto”, “adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono trattati” in conformità al principio di c.d. “minimizzazione dei dati” di cui all’art. 5 del Reg. UE 2016/679.

Il rapporto tra il diritto alla protezione dei dati personali e i “diritti” d’accesso si connota in modo differente a seconda dei diversi regimi di accesso. Nell’accesso documentale, tre sono i livelli di protezione: 1) per i dati personali in genere si richiede la “necessità” dell’accesso per tutelare o curare i propri interessi giuridici; 2) per i dati sensibili (origine, convinzioni religiose, filosofiche, politiche, sindacali) e per i dati giudiziari l’art. 24, comma 7, della L. n. 241/1990 richiede la “stretta indispensabilità”; 3) per i dati supersensibili (sfera sessuale o salute) l’art. 60 del D.Lgs. n. 196/2003, a cui rinvia il comma 7 dell’art. 24 della L.n. 241/1990,  consente il trattamento “se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi, è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale”. Quanto all’accesso civico, si esclude che possa avere ad oggetto i dati c.d. sensibili o sensibilissimi.

Importante è una precisazione. È vietato l’utilizzo dei dati personali per scopi diversi da quelli che hanno giustificato l’accesso, a ciò ostando il c.d. principio di minimizzazione dei dati dianzi ricordato, in virtù del quale l’utilizzo dei dati non deve eccedere le finalità per cui sono trattati[19].

Esemplificative del rapporto controverso – e irrisolvibile in astratto – tra il diritto alla riservatezza e il diritto all’accesso mi paiono alcune fattispecie di larga diffusione nella pratica: l’accesso agli esposti e l’accesso alle cartelle cliniche o ad altri dati sanitari.

Quanto agli esposti, si fronteggiano due orientamenti divergenti: l’uno che nega l’accesso, osservando che l’esposto ha una valenza meramente sollecitatoria dell’esercizio dei poteri di controllo spettanti all’Amministrazione, sicché l’interesse conoscitivo risulta soddisfatto con l’accesso agli atti di quest’ultima e va pertanto precluso l’accesso alla segnalazione e, comunque, alle generalità del segnalante[20]; l’altro, prevalente, che ammette l’accesso, salvo che vi siano speciali esigenze di tutela della riservatezza per i particolari rapporti tra l’autore dell’esposto e il richiedente, che possono comportare azioni ritorsive, indebite pressioni o discriminazioni (come, a titolo esemplificativo, nel caso delle segnalazioni da parte di lavoratori)[21]. Sono emblematiche di questo contrasto giurisprudenziale due recenti sentenze del Consiglio di Stato: la n. 1717 del 1.3.2021 della Terza Sezione, secondo cui, avendo l’esposto una funzione soltanto sollecitatoria dell’esercizio della funzione amministrativa di controllo che compete alla P.A., “la conoscenza degli atti relativi a quest’ultima funzione soddisfa di norma l’interesse conoscitivo del richiedente”, assumendo carattere ritorsivo la pretesa ostensiva dell’esposto; la n. 1450 del 1.3.2022 della Quarta Sezione, secondo cui il nostro ordinamento, ispirato a principi di trasparenza e responsabilità, non ammette un diritto all’anonimato e, dunque, non preclude l’accesso agli esposti, in quanto colui che subisce una procedura di controllo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a partire dalle segnalazioni[22].

Relativamente all’accesso alla documentazione clinica e/o sanitaria, l’art. 92 del D.Lgs. n. 196/2003 prevede che il rilascio di copia della cartella clinica a soggetti diversi dall’interessato possa avvenire se la richiesta è giustificata dalla “documentata necessità” di esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria di rango pari a quello dell’interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale.

Si trova così affermato in giurisprudenza il diritto di accedere alla cartella clinica del coniuge nel caso di istanza “in rapporto di stretta strumentalità” rispetto al giudizio di scioglimento del matrimonio canonico pendente dinanzi al Tribunale ecclesiastico[23]; il diritto dell’INAIL di accedere alla cartella clinica e agli atti relativi al riconoscimento della malattia professionale di un proprio dipendente allo scopo di dimostrare in giudizio l’insussistenza di un nesso di condizionamento tra la malattia professionale del controinteressato e l’attività da questo prestata presso l’ente[24]; il diritto di una infermiera, che lamenti di aver contratto la tubercolosi a seguito dell’attività professionale svolta presso l’Azienda ospedaliera, di accedere alle cartelle cliniche dei pazienti ricoverati per infezioni polmonari nella medesima Azienda, previo oscuramento delle generalità dei pazienti[25].

Qualche cenno infine va fatto alla tutela processuale del controinteressato.  L’art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 33/2013 prevede per l’accesso civico un termine di c.d. stand still: “in caso di accoglimento della richiesta di accesso civico nonostante l’opposizione del controinteressato, salvi i casi di comprovata indifferibilità, l’amministrazione ne dà comunicazione al controinteressato e provvede a trasmettere al richiedente i dati o i documenti richiesti non prima di quindici giorni dalla ricezione della stessa comunicazione da parte del controinteressato”. L’esibizione del documento sacrificherebbe irreparabilmente l’interesse alla riservatezza del controinteressato, precludendogli ogni tutela non risarcitoria. Proprio per questo la prevalente dottrina ritiene che il medesimo termine valga anche nell’accesso documentale, sebbene non previsto dalla L. n. 241/1990[26]. Del resto, il termine dilatorio risponde anche all’interesse della stessa Amministrazione al fine di evitare il rischio di risarcimento, ove poi l’accesso risultasse illegittimo.

Il controinteressato può senz’altro impugnare la determinazione con cui è stata accolto l’accesso. Nonostante i dubbi sollevati in dottrina, la giurisprudenza ritiene applicabile il rito dell’art. 116 c.p.a. anche per il ricorso del controinteressato, benchè la relativa disciplina sia concepita come rimedio a tutela della posizione di colui che – chiesto l’accesso – si vede opporre il diniego o il silenzio[27].

Quanto alla tutela cautelare, con riguardo al controinteressato non si pongono i problemi di ammissibilità sollevati a proposito della domanda cautelare di chi richiede l’accesso, il quale otterrebbe, in via interinale, l’intero risultato utile cui è preordinato il giudizio di merito.[28]

In alternativa al ricorso al TAR, è previsto dall’art. 5 del D.Lgs. n. 13/2013 che il controinteressato nell’accesso civico possa presentare richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza che decide entro 20 giorni e, se si tratta di atti delle Regioni o degli enti locali, ricorso al difensore civico competente.

Come già accennato, il controinteressato potrà agire anche per il risarcimento del danno qualora l’Amministrazione abbia consentito illegittimamente l’accesso in violazione del suo diritto alla riservatezza. Al riguardo, va ricordato che, secondo un’opinione consolidata in giurisprudenza, la mancata attivazione dei rimedi giudiziali escluderebbe il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1227 c.c.[29], con conseguente onere per il controinteressato di azionare tutti i rimedi, anche cautelari, per impedire l’ostensione dei documenti. Come già ricordato, in materia di protezione dei dati personali, l’art. 82 del Reg. UE 2016/689, prevede il diritto al risarcimento per “chiunque subisca un danno materiale o immateriale causato da una violazione del presente regolamento”.

Quanto alla giurisdizione, l’art. 133 c.p.a. prevede la giurisdizione esclusiva per le controversie in materia di “diritto di accesso ai documenti amministrativi e violazione degli obblighi di trasparenza amministrativa”. Qualche dubbio è stato sollevato a proposito dell’azione risarcitoria del controinteressato, poiché l’art. 152 del D.Lgs. n. 196/2003, a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 101/2018, prevede la giurisdizione ordinaria per le controversie riguardanti il “diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 82 del Regolamento”.[30]

Concludo con una osservazione e una citazione. Il conflitto tra riservatezza e accesso è per certi versi ineliminabile, nonostante i criteri elaborati per assicurarne una convivenza rispettosa dei valori fondamentali sottesi all’una e all’altro. Sebbene risalgano al 1979, mi sembrano sul tema ancora attuali le parole di una grande studiosa americana del diritto alla privacy:  “Nella terra della libertà e della democrazia la gente non riesce più a percepire dove stia il giusto confine tra ciò che deve essere privato e ciò che può essere reso pubblico”.[31]

Luca Donà

 

*Il testo riprende e sviluppa l’intervento tenuto al Seminario del 17 giugno 2022, svoltosi in Rovigo e organizzato dall’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti, dal titolo “I “diritti” di accesso: teoria e pratica, andata e ritorno”.

 

[1] Cons. St., Sez. III, 2.3.2022, n. 1482.

[2] Vale la pena ricordare che, ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. n. 184/2006, l’esistenza di controinteressati preclude l’accesso c.d. informale, attesa la necessità di garantire il contraddittorio tra i soggetti coinvolti.

[3] Secondo un’opinione, proprio la necessità di assicurare la pienezza e l’effettività del contraddittorio procedimentale giustificherebbe l’applicabilità anche all’accesso dell’art. 10 bis della L. n. 241/1990, poiché, diversamente, l’istante non avrebbe la possibilità di replicare alle obiezioni dei controinteressati e, se necessario, rimodulare la richiesta ostensiva secondo la logica di dialogo collaborativo già ricordata dall’avv. Bertoli (cfr. T.A.R. Marche, Sez. I, 6.7.2021, n. 543; contra: T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 3.1.2012, n. 30; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 28.5.2010, n. 1707).

[4] Ove ciò avvenga in appello, vi sarà l’annullamento della sentenza con rinvio dinanzi al Giudice di primo grado ai sensi dell’art. 105 c.p.a. (cfr. Cons. St., Sez. VI, 23.8.2021, n. 5998).

[5] Si esclude che “la pretesa al c.d. giusto procedimento sia in sé tutelabile a prescindere da una lesione di un interesse sostanziale derivante da un provvedimento, connotandosi nel nostro ordinamento l’interesse legittimo come pretesa sostanziale non costituendo il giusto procedimento” di per sé “un bene della vita di cui il privato può chiedere la tutela anche autonomamente e separatamente dalla pretesa economico-patrimoniale correlata” (Cons. St., Sez. VI, 26.3.2015, n. 1595). Ed invero, la giurisprudenza esclude la risarcibilità dei c.d. diritti procedimentali la cui violazione non si sia tradotta nella lesione della situazione giuridica soggettiva cui sono strumentali, sebbene la questione si ponga in termini vieppiù problematici in materia di dati personali, poiché, da un lato, l’art. 21 del Reg. UE n. 679/2016 attribuisce al controinteressato il “diritto di opposizione” e, dall’altro, l’art. 82 del medesimo Regolamento prevede il diritto al risarcimento per “chiunque subisca un danno materiale o immateriale causato da una violazione del presente regolamento”. Appare tuttavia difficile concepire un danno ricollegabile causalmente ad una violazione procedimentale che non si sia tradotta in una lesione ingiusta del diritto alla riservatezza del controinteressato. Infatti, se l’accesso sarebbe stato consentito anche ove il controinteressato avesse partecipato al procedimento, sussistendone i presupposti di legge, non si configura un danno “causato” dal mancato coinvolgimento del controinteressato, derivando invece il pregiudizio dalla ostensione (legittima) dei documenti, così che non spetterebbe alcun risarcimento ai sensi dell’art. 82 del Reg. UE n. 679/2016.

[6] Si tratta di una valutazione “che non di rado può involgere – ratione materia – profili di insindacabile merito politico” secondo Cons. St., Sez. V, 12.2.2020, n. 1121.

[7] Cons. St., Ad. Plen. 2.4.2020, n. 10. Cfr., amplius, M.Sinisi, “I diritti di accesso e la discrezionalità amministrativa”, Bari, 2020.

[8] Cfr. Cons. St., Ad. Plen., 2.4.2020, n. 10: “il bilanciamento è in effetti ben diverso nel caso dell’accesso previsto dalla L. n. 241 del 1990, dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti, e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità […] ma più esteso”.

[9] Testimoniano la problematicità del tema le soluzioni non univoche a cui giunge la giurisprudenza. All’opinione secondo cui “il sindacato giurisdizionale non può che essere di carattere meramente estrinseco, cioè limitato alla verifica dell’esistenza della causa di non estensibilità invocata dalla Amministrazione e dalla astratta riconducibilità dell’atto, di cui si nega l’ostensione, tra quelli che possono interferire con gli interessi tutelati dalla norma” (T.A.R. Roma, Sez. III Ter, 28.10.2019, n. 12349; Cons. St., Sez. III, n. 6028/2019) si contrappone l’idea che il sindacato non debba “arrestarsi alla semplice allegazione della sussistenza dell’interesse da tutelare”, configurandosi altrimenti la “sostanziale insindacabilità del provvedimento di diniego” (Cons. St., Sez. IV, 13.5.2020, n. 3012).

Inoltre, ove residuino margini di discrezionalità, la giurisprudenza è orientata a ordinare, in caso di accoglimento del ricorso, “una nuova valutazione dell’accesso” (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 11.1.2019, n. 45), nonostante l’art. 116 c.p.a. stabilisca che il Giudice, “sussistendone i presupposti”, ordina l’esibizione dei documenti richiesti. Sul punto, si è ampiamente soffermato l’avv. Bertoli.

[10] Al riguardo, deve richiamarsi Cons. St., Ad. Plen., 2.4.2020, n. 10, secondo cui “non si deve confondere da questo punto di vista la ratio dell’istituto con l’interesse del richiedente, che non necessariamente deve essere altruistico o sociale né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza”. Parrebbe così doversi distinguere tra l’interesse pubblico alla conoscenza del dato o del documento e l’interesse personale del richiedente, quest’ultimo da ritenere irrilevante alla stessa stregua – per mutuare una categoria civilistica – del motivo soggettivo nel contratto. Il bilanciamento imposto dal test dell’interesse pubblico dovrebbe dunque svolgersi “tra l’interesse (generale e astratto) alla conoscibilità di quel dato documento e la concreta lesione che ne riceverebbe l’interesse configgente” (A.Moliterni, “La via italiana al “FOIA”: bilancio e prospettive” in Giorn. Dir. Amm., 2019, n. 1, p. 29) senza riguardo per il concreto interesse personale dell’istante.

[11] Cfr. Cons. St., Sez. VI, 5.9.2018, n. 5215, secondo cui, anche alla luce dell’art. 1 del D.Lgs. n. 33/2013, l’accesso ai documenti è la regola e qualsiasi deroga è, in quanto tale, di stretta interpretazione.

[12] Sul punto, è doveroso il richiamo a Corte Cost., 23.1.2019, n. 20.

[13] Cfr. D.U. Galetta, “Accesso (civico) generalizzato ed esigenze di tutela dei dati personali ad un anno dall’entrata in vigore del Decreto FOIA: la trasparenza de “le vite degli altri”?” in Federalismi.it, n. 10/2018.

[14] Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III Quater, 18.2.2020, n. 2174.

[15] Cfr. Cons. St., Sez. V, 12.2.2020, n. 1121. Peraltro, una diversa opinione susciterebbe più di qualche dubbio di costituzionalità: da un lato, la legge delega non prevedeva le Linee Guida; dall’altro, la Convenzione EDU prevede una riserva di legge sia in materia di accesso (art. 10), sia per le limitazioni al diritto alla riservatezza (art. 8), norme direttamente rilevanti ex art. 117 Cost.

[16] L’obbligo di motivazione rappresenta un principio di “civiltà giuridica” (Cons. St., Sez. VI, 2.10.1991, n. 601), “radicato negli artt. 97 e 113 Cost. in quanto da un lato costituisce corollario dei principi di buon andamento e d’imparzialità dell’amministrazione e, dall’altro, consente al destinatario del provvedimento che ritenga lesa una propria situazione giuridica di far valere la relativa tutela giurisdizionale” (Corte Cost., 2.11.2010, n. 310).

[17] Di “privacy-alibi”, per rappresentare l’utilizzo strumentale che ne fa l’Amministrazione, parla E.Carloni, “L’amministrazione aperta”, Rimini, 2014, pp. 96-97, richiamato anche in E.Carloni e M.Falcone, “L’equilibrio necessario. Principi e modelli di bilanciamento tra trasparenza e privacy” in Diritto Pubblico, n. 3/2017, p. 733.

[18] Principi corrispondenti a quelli sanciti dall’art. 5 del Reg. UE n. 2016/679.

[19] Cfr., in argomento, Cons. St., Sez. VI, 28.10.2019, n. 7379, che contiene anche un esplicito “avvertimento” al richiedente di non utilizzare i documenti per ragioni diverse da quelle che hanno legittimato l’accesso; Cass., Sez. I, ord. 13.12.2021, n. 39531, che stabilisce il diritto al risarcimento per i danni subiti a causa di un utilizzo “eccedente” dei dati personali. Ulteriore tema è quello dell’utilizzabilità o meno in giudizio dei documenti ottenuti violando le regole sulla privacy: cfr. P.C. Ruggieri, “Ancora sull’utilizzabilità in giudizio dei documenti ottenuti o prodotti in violazione della privacy” in judicium.it, 2020.

[20] Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III Quater, 4.1.2022, n. 20; Cons. St., Sez. III, 1.3.2021, n. 1717.

Un cenno a parte merita T.A.R. Umbria, Sez. I, 16.9.2020, n. 413, che ha negato l’accesso ad una segnalazione ai Carabinieri riguardante operazioni di smaltimento dei rifiuti. All’esito dei controlli non sono emerse irregolarità. L’accesso è stato negato perché non sarebbe esperibile alcuna azione contro l’autore della segnalazione, stante la qualifica della segnalazione come esposto informale che, come tale, escluderebbe l’assunzione di responsabilità, a differenza della denuncia.

[21]   T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II Quater, 12.1.2021, n. 357; T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 18.4.2016, n. 417; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 12.7.2016, n. 980; T.A.R. Toscana, Sez. I, 3.7.2017, n. 898. Sul rischio di azioni ritorsive cfr., altresì, Cons. St., Sez. VI, 24.11.2014, n. 5779; T.A.R. Liguria, Sez. I, 7.6.2019, n. 510; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 4.6.2020, n. 5955.

[22] Pare a me che avvalori quest’ultima tesi anche la disciplina del c.d. whistleblowing di cui all’art. 54 bis del D.Lgs. n. 165/2001, che esplicitamente sottrae all’accesso la segnalazione, potendosi da ciò desumere a contrariis che, al di fuori di tale ipotesi, essa sia ostensibile.

[23] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 15.12.2014, n. 12583.

[24] T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 7.3.2019, n. 487.

[25] T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 16.12.2014, n. 3328.

[26] Cfr., già prima del D.Lgs. n. 33/2013, M.Clarich, “Diritto di accesso e tutela della riservatezza: regole sostanziali e tutela processuale” in Dir. Proc. Amm., 1996, n. 3, p. 443: al provvedimento di accoglimento della richiesta di accesso “non può essere data immediatamente esecuzione – nel senso che non può essere messa a disposizione del richiedente la documentazione in possesso dell’Amministrazione – ma occorre attendere che decorra il termine di trenta giorni entro il quale il titolare del diritto alla riservatezza può impugnare il provvedimento che ha accolto la richiesta di accesso”. Secondo il medesimo Autore, per le stesse ragioni anche la sentenza del Giudice Amministrativo, che ordini l’esibizione della documentazione, non potrà essere eseguita fino al passaggio in giudicato. Su quest’ultimo punto può vedersi Cons. St., Sez. VI, decr. 23.5.2020, n. 2903, che, nel sospendere l’esecutività della sentenza, afferma che il pregiudizio è “in re ipsa per la vanificazione che deriverebbe all’interesse all’appello da una immediata esecuzione della sentenza”.

[27] Cfr. T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 4.2.2020, n. 208; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 21.3.2022, n. 273.

[28] Cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, 1.10.2018, n. 2020.

Quanto ai dubbi sull’ammissibilità della tutela cautelare del richiedente l’accesso, possono rammentarsi: T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 18.1.1995, n. 64; Cons. St., Sez. IV, ord. 15.1.2004, n. 148, in Cons. St., 2004, I, p. 150; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, ord. 29.7.2021, n. 464; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III Ter, decr. 9.3.2012, n. 916.

[29] Cfr., tra le molte: cfr. T.A.R. Veneto, Sez. I, 28.6.2021, n. 854; Cons. St., Sez. IV, 13.5.2021, n. 3780; Cons. St., Ad. Plen., 23.3.2011, n. 3

[30] Cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 14.1.2019, n. 51, che ha affermato la giurisdizione amministrativa.

[31] Dorothy J. Glancy, “The invention of the right to privacy”, 1979

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