1. Negli ultimi anni, la radicale trasformazione delle abitudini commerciali della società ha impresso una mutazione del tessuto urbano delle nostre città, visibile ad occhio nudo: parafrasando una vecchia canzone, lì dove c’era un capannone ora (molto spesso) c’è un nuovo polo logistico, con il suo riconoscibile filare di autotreni.
I riflessi di questa repentina transizione dei luoghi di incontro tra domanda ed offerta, dal negozio di vicinato allo shop online, interpellano in primis le Amministrazioni, su cui grava il compito – che oserei definire sfida – di ripensare gli spazi e i servizi dedicati alle zone commerciali e produttive, anche nell’ottica di rigenerare aree magari abbandonate.
In tale quadro, si affaccia il tema della logistica, attività economica complessa che involge una molteplicità di servizi e figure professionali, la cui incessante avanzata negli ambiti periferici delle nostre città, pone all’interprete nuovi quesiti giuridici[1].
Tra questi, il tema della qualificazione della destinazione d’uso di tali insediamenti; o meglio, trattandosi appunto di fenomeni di transizione di modelli economici, pare più corretto parlare di mutamento di destinazione d’uso.
Spesso, infatti, accade che tali nuovi siti logistici – siano essi grandi poli o piccole aziende di trasporto conto terzi – sorgano presso fabbricati già esistenti, magari in precedenza destinati ad attività diverse dalla logistica, quali il commercio, l’industria o l’artigianato, nel tempo dismesse.
In genere, simili mutamenti d’uso si rivelano «urbanisticamente rilevanti», tali cioè da imprimere un «aggravio del carico urbanistico», concetto, questo, tanto vago quanto ormai diffuso, che vuole indicare «un aggravio di servizi, quali la viabilità, i parcheggi, lo smaltimento dei rifiuti», e più in generale «il possibile appesantimento dei servizi necessari a soddisfare una maggiore frequentazione dell’unità immobiliare»[2].
Quando si parla di logistica e trasporto, tale aggravio si riflette sovente nella necessità di dotare le aree con infrastrutture più adeguate ad accogliere il traffico pesante, data la tipologia di mezzi e la frequenza di traffico generato da tali attività.
Non solo, gli hub logistici più avanzati sfruttano tecnologie di efficientamento digitali, come cloud computing, Internet of Things e blockchain, che possono richiedere il sostegno di opere di urbanizzazione di rete adeguate ai flussi di informazioni scambiate.
2. Scendendo più nel dettaglio, si tratta quindi di capire se il mutamento di destinazione impresso all’immobile, votato alla nuova funzione logistica, richieda una preventiva attività di controllo ed assenso da parte dell’Amministrazione, in ordine alla conformità edilizio-urbanistica della nuova destinazione d’uso con gli strumenti urbanistici che disciplinano l’area.
La fattispecie, come noto, è disciplinata dall’art. 23 ter D.P.R. n. 380/2001, disposizione che ha fatto ingresso, nel nostro ordinamento, con il decreto-legge “Sblocca Italia” (D.L. n. 133/2014, convertito con modificazioni dalla L. n. 164/2014) e che ha introdotto le cinque categorie di destinazione urbanistica: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale.
Tale norma definisce come «urbanisticamente rilevante» «ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale».
È dunque il cambio di utilizzo dell’immobile, da una delle categorie funzionali ad un’altra, ad assumere rilevanza ai fini che vedremo.
Di contro, un cambio d’uso che non comporti il passaggio da una categoria funzionale ad altra, non assume rilevanza[3].
Come si capirà, il nodo critico della questione, spesso motivo di contenzioso, attiene ai riflessi autorizzativi che il cambio di destinazione d’uso comporta, vale a dire, la necessità di conseguire preventivamente un permesso di costruire, anche laddove – si badi – non debbano realizzarsi nuove opere edilizie.
La giurisprudenza, sul punto, è infatti unanime nel ritenere che «il cambio di destinazione d’uso fra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee integra una vera e propria modificazione edilizia che, incidendo sul carico urbanistico, necessita di un previo permesso di costruire, non assumendo rilevanza l’avvenuta esecuzione di opere»[4].
Intimamente connesso al conseguimento del titolo edilizio, per il mutamento di destinazione d’uso, è il tema della parametrazione del contributo di costruzione, prestazione pubblica dovuta dal privato all’Amministrazione per il rilascio del titolo, ex art. 16 D.P.R. n. 380/2001.
È bene, infatti, ricordare che l’esatta qualificazione della destinazione d’uso dell’immobile, gioca un ruolo essenziale nella determinazione del quantum del contributo di costruzione, secondo i parametri di quantificazione diversamente delineati, a seconda della categoria funzionale, dall’art. 19, comma I e II, D.P.R. n. 380/2001.
Più in generale, giova evidenziare che è proprio l’onerosità del titolo, proporzionata al carico urbanistico generato dall’attività, il fattore che consente di socializzare le spese che la collettività è chiamata a sostenere, sia per la realizzazione delle opere pubbliche a servizio della zona ove si situerà la nuova attività, sia per la manutenzione di quelle già esistenti, richiesta per il maggior utilizzo delle infrastrutture.
3. Entro tale cornice normativa si innesta il cuore del problema: capire in quale fra le categorie funzionali sopra viste, e precisamente tra quella commerciale e quella produttiva, possa sussumersi l’attività della logistica.
Ciò al fine di valutare, nel concreto, se la trasformazione di un sito, con destinazione originariamente produttiva o commerciale, in un nuovo centro logistico, possa configurare un cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante.
Indagine, questa, resa ardua dal fatto che la logistica viene spesso qualificata – non a torto – come attività ancillare, servente, rispetto a quelle commerciali o produttive.
Ebbene, negli ultimi anni, la giurisprudenza amministrativa ha offerto diverse ricostruzioni.
Secondo un primo orientamento, l’uso di un fabbricato per attività di logistica sarebbe da qualificare come produttivo, costituendo l’attività di immagazzinamento e gestione dei flussi di merci un’attività di produzione di servizi, ovvero – anche nel caso sia funzionale ad un’attività commerciale – il segmento finale dell’attività produttiva, dopo la quale soltanto avviene la distribuzione[5].
Un secondo orientamento ritiene, invece, che la destinazione logistica sia maggiormente assimilabile a quella commerciale, in relazione al maggior carico urbanistico da questa generato, con riferimento al flusso di utenti richiamati[6].
Spesso, infatti – almeno nelle pronunce più risalenti – il criterio discretivo al fine di inquadrare la destinazione urbanistica di un magazzino merci, tra quella commerciale o produttiva, si è rivelato l’accessibilità o meno al pubblico del sito in questione.
Questo perché, ai fini dell’aumento del carico urbanistico, si è ritenuto rilevante il solo caso dell’accesso di pubblico per l’acquisto di beni all’ingrosso e al dettaglio, non anche la diversa ipotesi in cui l’afflusso sia limitato ai trasportatori; circostanza questa che porterebbe, secondo questa tesi, a considerare l’immobile come magazzino di stoccaggio, ossia quale luogo finale del processo produttivo[7].
L’orientamento più recente si è però discostato da questo criterio, giudicandolo troppo gravoso per l’Amministrazione, che sarebbe onerata, nell’ambito dell’istruttoria volta al rilascio del titolo, di monitorare costantemente i flussi di ingresso al sito in questione.
È andato pertanto consolidandosi un orientamento, ad oggi maggioritario, secondo cui la logistica può costituire una sub-funzione sia dell’attività commerciale che di quella industriale[8].
Secondo tale impostazione, infatti, per definire la destinazione d’uso dell’edificio ove l’attività si svolge, occorre aver riguardo all’attività principale alla quale essa accede, che ne determina inscindibilmente l’incidenza sul carico urbanistico.
4. Tale impostazione è quella seguita anche dal Consiglio di Stato, nella recente pronuncia n. 5297 del 27 giugno scorso, sentenza che si distingue per l’accurata ricostruzione introduttiva sul fenomeno della logistica, nonché per le riflessioni che pone in ordine alla pianificazione urbanistica, da parte comunale, di tali attività[9].
Pregio della sentenza, come detto, è anzitutto quello di saper apprezzare la complessità della logistica, nella molteplicità di prestazioni che questa oggi offre, non più confinabili alla sola distribuzione di un prodotto finale.
Secondo il Consiglio di Stato, infatti, è più esatto parlare di un «settore disciplinare integrato», concretizzantesi nella «gestione del flusso di materie, servizi e informazioni necessaria a permettere di mantenere un elevato livello di efficienza e competitività di un’impresa, i cui contenuti sono variegati e difficilmente tipizzabili, se non attingendo all’attività principale cui essa accede, quale suo strumento di valorizzazione ed efficientamento»[10].
Per capire, dunque, se qualificare il sito logistico come un’attività a destinazione commerciale o produttiva, è bene «evitare categorizzazioni preconcette, […] affidandosi piuttosto allo scrutinio in concreto dell’attività principale cui quella logistica accede, che ne determina inscindibilmente l’incidenza sul carico urbanistico. Si è pertanto affermato che la logistica può costituire, a seconda dei casi, una sub-funzione sia dell’attività commerciale che di quella industriale»[11].
Nel caso al vaglio del Consiglio di Stato, l’indagine circa l’attività in concreto svolta dalla società appellante – una ditta di autotrasporto conto terzi – si è soffermata sull’attività principale svolta da questa, evinta dall’oggetto sociale dell’impresa, nonché dalla descrizione delle funzioni del locale magazzino, per come descritte dal piano attuativo del sito, destinato a conservare pezzi di ricambio degli autoarticolati.
A questo proposito, merita osservare – per quello che si dirà più avanti – come, sebbene la sentenza sposi la linea interpretativa della logistica quale sub-funzione produttiva o commerciale, lo stesso Collegio sottolinei come l’attività svolta dall’azienda appellante, fosse di «logistica pura, […] senza produzione né commercializzazione di merci».
5. Da una prospettiva critica, è possibile osservare che, da un lato, il metodo di indagine dello scrutinio in concreto dell’attività svolta dall’impresa, è un’impostazione che consente di rifuggire da automatismi non previsti dalla legge, che possono ripercuotersi in potenziali lacune dell’istruttoria procedimentale; dall’altro lato, però, concepire la logistica quale sub-funzione di destinazioni commerciali o industriali, può rivelarsi uno schema poco aderente alla realtà e poco adeguato alle esigenze di pianificazione.
Come dimostra, appunto, il caso offerto dalla sentenza in rassegna, la funzione logistica, più che segmento ancillare della funzione commerciale o produttiva, sta sempre più ritagliandosi un ruolo autonomo e definito negli attuali scenari economici.
In questo senso, è da salutare favorevolmente la recente introduzione dell’art. 1677 bis nel Codice civile, ad opera dell’ultima Legge di Bilancio; disposizione che, per la prima volta nel nostro ordinamento, fornisce una nozione giuridica di servizi logistici e individua la disciplina contrattuale loro applicabile[12].
L’articolo, rubricato “Prestazione di più servizi riguardanti il trasferimento di cose”, stabilisce che: «Se l’appalto ha per oggetto, congiuntamente, la prestazione di due o più servizi di logistica relativi alle attività di ricezione, trasformazione, deposito, custodia, spedizione, trasferimento e distribuzione di beni di un altro soggetto, alle attività di trasferimento di cose da un luogo a un altro si applicano le norme relative al contratto di trasporto, in quanto compatibili».
La logistica dunque, assume rilevanza propria, tipica, distinta dai contratti di trasporto e spedizione (1678 c.c.) e spedizione (1737 c.c.), caratterizzata dallo svolgimento congiunto di più attività di gestione e movimentazione di beni di soggetti terzi.
Tornando, quindi, al tema della pianificazione urbanistica, si osserva che la novella codicistica offre uno spunto ulteriore per riflettere sull’opportunità di ripensare tale attività come destinazione funzionale autonoma, non assimilabile a quella commerciale o produttiva.
A suggerirlo, oltre al Legislatore, è la realtà sotto gli occhi di tutti: i nuovi maxi poli di logistica che sorgono in prossimità di tangenziali e autostrade, così come le più piccole ditte di cd. padroncini, necessitano di infrastrutture ben diverse da quelle generalmente presenti nelle zone a vocazione industriale o commerciale, delle nostre città.
A differenza delle strutture commerciali, le strutture logistiche richiedono, infatti, minori standard a parcheggio, atteso che difficilmente le seconde sono accessibili al pubblico; mentre, a differenza delle strutture produttive, i siti logistici generano un traffico stradale più sostenuto, per quantità di mezzi e continuità di scambi in entrata ed uscita, traffico che inevitabilmente si ripercuote, in senso più gravoso, sul contesto urbano circostante.
Al contempo, è agevole osservare che equiparare funzione logistica a funzione commerciale o produttiva, può condurre a soluzioni sperequative: se, infatti, per ipotesi, una nuova impresa di logistica si insediasse presso un immobile cui è già impressa, dagli strumenti urbanistici, una destinazione commerciale o produttiva, la sussunzione della nuova attività logistica sotto la precedente destinazione (commerciale o produttiva), potrebbe configurarsi quale mutazione di destinazione d’uso interna alla stessa categoria funzionale e, in quanto tale, risultare irrilevante dal punto di vista urbanistico.
È chiaro, invece, che ove anche il nuovo insediamento logistico fosse compatibile con la zona commerciale o industriale in cui ricade, diverso sarebbe l’impatto rispetto alla precedente attività.
D’altronde, a valutazioni non dissimili giunge lo stesso Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, laddove riconosce che: «Una cosa è consentire, in sede di pianificazione urbanistica o in via di interpretazione della stessa, un determinato insediamento, altra assimilarne l’impatto urbanistico a quello della zona ove lo stesso si va ad inserire».
Per concludere, sembra dunque palesarsi una certa difficoltà a ritagliare una cornice normativa adatta a queste nuove realtà aziendali, in grado di accompagnare Amministrazioni e investitori in questo processo di transizione industriale e urbanistica.
La speranza è che il Legislatore, nazionale e regionale, sappia – come dimostrato con la novella civilistica – cogliere il cambiamento in atto, dando agli operatori gli strumenti adatti per affrontarlo.
Giulio Politeo
Sentenza n. 5297/2022 – Consiglio di Stato
[1] La logistica è oggi una realtà economica di vastissime latitudini, che comprende le piccole e medie imprese di autotrasporto conto terzi, così come i complessi hub o poli logistici intermodali. Questi ultimi sono strutture in cui generalmente concorrono diversi attori, con distinti ruoli, tra cui: un soggetto gestore/promotore, che mette a disposizione gli spazi e cura l’espansione del polo; un soggetto gestore del terminale intermodale, che svolge le operazioni a servizio degli scambi modali; le imprese insediate nel polo, tipicamente imprese di logistica o dipartimenti logistici di imprese produttrici o distributrici, cui vengono locati i magazzini dal soggetto gestore e che curano più nel dettaglio la gestione delle merci. Per una dettagliata analisi v. Freight Leaders Council, Quaderno 30, Economia circolare e logistica collaborativa, Kos Editrice, giugno 2022, p. 37 ss., https://www.freightleaders.org/i-quaderni/ .
[2] Così P. Stella Richter, Diritto urbanistico manuale breve, Giuffré, 2020, p. 137.
[3] V. ex multis, Cons. St., Sez. VI, 25.09.2017, n. 4469.
[4] Cons. St., Sez. VI, 5.07.2022, n. 5593, che, a sua volta, richiama Cons. St., Sez. VI, 12.10.2020, n. 6097.
[5] T.A.R. Brescia, Sez. I, 14.01.2020, n. 705; T.A.R. Campania – Salerno, Sez. II, 19.06.2019, n. 1091; Cons. St., Sez. V, 27.01.2016, n. 263; Cons. St., Sez. V, 9.02.2001, n. 583.
[6] T.A.R. Piemonte, Sez. II, 6.07.2016, n. 1035; T.A.R. Milano, Sez. II, 3.07.2015, n. 1536; T.A.R. Brescia, Sez. I, 17.06.2015, n. 855; T.A.R. Veneto, Sez. II, 18.12.2014, n. 1537.
[7] Cons. St., Sez. V, 27.01.2016, n. 263; Cons. St., Sez. V, 9.02.2001, n. 583.
[8] V. da ultimo T.A.R. Veneto, Sez. II, 16.02.2022, n. 310; nello stesso senso: Cons. St., Sez. II, 27.10.2021, n. 7193; Cons. St., Sez. II, 5.05.2021, n. 3512; Cons. St., Sez. IV, 16.09.2018, n. 6388; T.A.R. Veneto, Sez. II, 15.09.2017, n. 825; Cons. St., Sez. V, 31.07.2012 n. 4355; Cons. St., Sez. V, 27.12.2001 n. 6411.
[9] Cons. St., Sez. II, 27.06.2022, n. 5297. La sentenza è stata pubblicata, in evidenza, sul sito della Giustizia Amministrativa, alla pagina: https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/-/destinazione-di-immobile-a-logistica-determinazione-degli-oneri-concessori-ed-effetti-del-mancato-pagamento-dei-medesimi .
[10] Ibidem.
[11] Ibidem.
[12] La novella è stata introdotta dall’art. 1, comma 819, L. 30 dicembre 2021, n. 234, poi modificata – nell’attuale formulazione – dall’art. 37 bis D.L. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modifiche in L. 29 giugno 2022, n. 79. Per un commento v. U. Carnevali, L’appalto di servizi: il nuovo art. 1677-bis c.c. e il contratto di servizi logistici, in I Contratti, n. 3, 1° maggio 2022, p. 253.