Un’importante sentenza ora pronunciata dalla Corte di Giustizia europea (28.11.2018, C – 328/17) conferma la regola per cui è necessario partecipare a una gara per poterne impugnare il bando, e consente qualche riflessione su appalti e ricorsi.

Il tema è solo apparentemente tecnico.

Le regole per partecipare al gioco 

Semplificando, ma neanche troppo: una gara d’appalto è come un gioco.

Certo, un gioco da cui dipendono rilevanti interessi.

Per l’impresa che concorre, innanzitutto, che ha interesse a conseguire l’aggiudicazione (e, con essa, un contratto). E prima ancora, che ha interesse a partecipare e quindi ad avere una chance: è il cd. interesse strumentale, quello che ha ad oggetto il rifacimento di una gara.

Per la stazione appaltante, l’interesse è quello a individuare la miglior offerta.

Per tutti gli operatori, l’interesse è all’apertura di un mercato: quello dei contratti delle pubbliche amministrazioni, così da consentire in esso la concorrenza.

Insomma: la ragione vera per cui una gara va fatta non è solo perché serve a trovare quel che di meglio offre il mercato; sta soprattutto nel garantire che vi sia un mercato aperto a tutti gli operatori.

Un gioco – quello delle gare d’appalto – che di natura non è un solitario: vi è una pluralità di concorrenti che si contendono un unico premio, l’aggiudicazione.

Un gioco con i presupposti consueti dei giochi:

– le regole (sia quelle – generali – del tipo di gioco, sia quelle specifiche della partita che in concreto viene giocata);

– un soggetto che conduce il gioco (la stazione appaltante);

– e un giudice, a risolvere tutte le contestazioni (e del quale si presume la padronanza di tutte le regole).

Il bando di gara è come il tabellone delle regole della partita. Chi partecipa al gioco, di solito non è leso direttamente dal tabellone, ma dallo sviluppo della partita: viene leso quando, dopo aver partecipato, perde ingiustamente – a vantaggio di qualcun altro che ingiustamente vince – perché le regole non sono state ben applicate, oppure perché le regole di quella partita non erano conformi alle regole generali del tipo di gioco. E farà le sue contestazioni dopo aver perso.

Se però un soggetto vuole partecipare al gioco ma il tabellone non glielo consente neppure, deve poter contestare direttamente il tabellone. Per lui, partecipare al gioco sarebbe inutile: non gli è consentito, che vi partecipa a fare?

E se, invece, gli è consentito di partecipare, ma da un tabellone che contiene clausole che azzerano la sua possibilità di vincere, potrà contestare subito quelle clausole o dovrà comunque partecipare e rimandare le sue contestazioni alla fine del gioco?

 

Devi partecipare anche se non hai speranze

In fondo, il quesito risolto ora dalla Corte di Giustizia sta tutto qui: il nostro ordinamento non contrasta con la normativa comunitaria, anche se non consente agli operatori economici di fare ricorso contro le decisioni dell’amministrazione aggiudicatrice in una procedura cui hanno deciso di non partecipare perché le regole rendevano assai improbabile che l’appalto potesse essere loro aggiudicato.

In sintesi: devi aver presentato un’offerta.  Se non lo hai fatto, devi dimostrare che le previsioni di gara rendevano impossibile la formulazione stessa della tua offerta; altrimenti, non puoi contestare la procedura. O, più precisamente: un ordinamento nazionale ben può prevedere che la partecipazione alla gara sia una condizione necessaria per dimostrare l’interesse dell’operatore all’aggiudicazione dell’appalto, o comunque l’esistenza di una lesione a fronte della quale chiedere tutela.

Su questa conclusione si può discutere, ad esempio sotto il profilo della coerenza interna del nostro sistema. Se c’è un’esigenza di giungere alla definizione accelerata delle procedure in tema di appalti – come dimostrano le norme processuali speciali in materia – è utile far andare avanti una gara che pure presenta dei problemi che potrebbero essere affrontati subito? E si può discutere sotto il profilo dell’onerosità per l’operatore, perché i costi per formulare un‘offerta ci sono anche quando l’offerta è inutile.

Ma, appunto, quanto al rispetto delle direttive comunitarie, la Corte non ravvisa problemi; e conferma conclusioni cui era giunta la (pressoché unanime) giurisprudenza interna e, soprattutto, la Corte Costituzionale proprio nella stessa vicenda (245/2016).

 

Il ricorso da fare quando non ti serve

C’è però da sperare che lo stesso metro – rigoroso nel considerare insufficiente un interesse non attuale – venga utilizzato dalla Corte di Giustizia, ma anche dalla Corte Costituzionale, in un’altra vicenda. Quella che riguarda l’articolo 120, comma 2 bis, del codice dei contratti (sottoposto alle due Corti rispettivamente dal TAR Piemonte e dal TAR Puglia).

È sempre questione di un interesse che manca. Si tratta infatti di una norma che impone di impugnare – nelle gare d’appalto – le ammissioni di tutti gli altri concorrenti già prima dell’aggiudicazione. Ed è chiaro che chi è obbligato a fare ricorso non ha interesse a farlo, perché non sa come finirà la gara, chi la vincerà, se lui si collocherà utilmente oppure no.

È vero che qui c’è una legge che afferma l’esistenza di un interesse, ma neppure una legge può far esistere una cosa che non c’è. È dunque solo una finzione, che obbliga a promuovere un contenzioso che non serve a chi lo deve proporre, a pena altrimenti di non poter ricorrere quando davvero ci sarà interesse a farlo (cioè contro un aggiudicatario che andava escluso). E che impedisce in realtà anche all’aggiudicatario di difendersi quando ha interesse a farlo – cioè quando un concorrente impugna la sua aggiudicazione – perché in quel momento gli è precluso di proporre ricorso incidentale: avrebbe dovuto impugnare l’ammissione del ricorrente principale nella fase precedente (quando non c’era né il ricorso principale, né l’aggiudicazione contro cui ricorrere).

Dietro tutto ciò c’è un equivoco: che la tutela giudiziaria dei singoli operatori debba servire ad altro (cioè a definire subito e per sempre la platea dei concorrenti). Ma per servire ad altro, è una tutela che non considera più le esigenze di chi la richiede.

Sembra evidente, ma nulla è evidente se non si guarda.

Stefano Bigolaro

 

 

 

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