Una coincidenza congiunturale ha imposto una concomitanza di interventi normativi d’inusitata complementarietà: la legge statale 168/2017 ha previsto che le Regioni coordinino la loro legislazione in tema di “domini collettivi” (per noi le Regole del Cadore: un’autentica gloria veneta); per altro verso la recente riforma dello Statuto della Regione ha dichiarato Belluno Provincia speciale ed occorre pur passare all’attuazione di tale specialità, che non può che partire dal riordino del potere locale: il Comune di San Tomaso Agordino con i suoi 108 abitanti non può continuare ad essere regolato dalla stessa norma che regge il Comune di Verona con 250.000 abitanti; che autonomia regionale è mai codesta?!

Se per universale opinione l’istituto regoliero è stato da secoli elemento determinante della coesione della “Gente della Montagna”, individuando nella proprietà collettiva il fondamentale fattore coesivo, non si vede come e perché, per far fronte alla grave situazione socio-economica in atto, comunemente definita “spopolamento della Montagna”, e per raggiungere un effetto largamente analogo a quello assicurato per secoli alla “Gente della Montagna”, non si debba far ricorso ed applicazione dello stesso istituto giuridico, consentendo/imponendo la costituzione di nuove Regole -sempre ovviamente solo nelle zone montane- anche laddove per le più svariate vicissitudini storiche negli ultimi tempi presenti non sono state vive e/o presenti (le c. d. “Regole dormienti”) o non sono mai comparse. Ovviamente in stretto coordinamento con la riforma dell’Ente-Comune, con una diversa calibratura delle possibilità operative/competenze; dove il Comune (ovviamente ricalibrato secondo la specialità bellunese) rappresenta l’intera comunità stanziale, mentre la Regola riunisce e rappresenta la “Comunità dei Montanari”, tale inteso chi in Montagna stabilmente ci vive, avendola “sposata”.

Il tutto sull’alveo della nota teoria che sogna un nuovo assetto della Repubblica fondata sul “federalismo ad assetto variabile”, che assegna alle varie macro-aree quel tanto di autonomia, nell’esercizio delle funzioni “di base”, che sono effettivamente in grado di esercitare (solo “quel tanto”; il “di più” sarebbe emarginazione). Per il Veneto c’è un’ipotesi assai risalente d’un assetto “para-cantonale alla svizzera”, che lo vedrebbe suddiviso nei tre “Cantoni”: PaTreVe; ViVeRo (e l’Imprenditoria privata s’è già avviata su questo sentiero) e Montagna: tutta l’area montana considerata un Cantone unico dal Cansiglio al Garda, con Belluno capitale e con tutta una legislazione propria e “adatta” (o adattata), al punto che taluno parla di “Pianeta Montagna”. Tenendo ben presente che trattare, anche in sede legislativa, in modo uguale situazioni diseguali è la stessa ingiustizia del trattare in modo diseguale situazioni uguali. È veramente ora di finirla con un ordinamento sulle autonomie locali -una materia che regola la vita d’ognuno- con un’unica legge che disciplina allo stesso modo una gamma di situazioni assolutamente eterogenee.

Dov’è ben chiaro che la Montagna sta morendo perché è l’ordinamento giuridico che la sta strangolando!

 

Regole e Comuni

È indubbio che la Regola vien prima del Comune; così è sempre stato nella storia del Cadore. È la gente padrona dei suoi boschi e dei suoi prati che “manda avanti” il Comune.

Gli organi delle due entità son necessariamente diversi, ma i valori in gioco, gl’interessi delle due entità sono molto vicini, per non dire gli stessi (solo ovviamente che la legge dei Comuni fosse adattata ai Comuni Montani). C’è una dimensione territoriale che s’impone in assoluto e che va rispettata inesorabilmente ed è la Vallata (comunque la si denomini: Comunità Montana; Comunità di Valle; comprensorio, distretto o cos’altro non interessa), che condiziona la vita dei residenti; certe scelte strategiche possono condizionare sia la vita dei residenti (si pensi alla programmazione urbanistica), che l’assetto del territorio (si pensi alla costruzione d’una centrale elettrica in un torrente), che potrebbero dar luogo a valutazioni diverse, anche radicalmente contrastanti, ponendo il problema del dar soluzione (la più consona o la meno ostica) a tesi diametralmente opposte.

L’unica cosa che occorre tassativamente evitare è usare gli ordinari rimedi “giurisdizionali”, assolutamente inidonei a dar soluzione a diversità di valutazioni “esistenziali”, alle quali sono talora legate scelte di vita della comunità sul territorio. Occorrono valutazioni di merito di gente coinvolta nelle conseguenze delle decisioni che si va a prendere: ecco il ruolo essenziale e insostituibile della comunità locale allargata (vallata/comprensorio/distretto, comunque lo si voglia chiamare), ma sempre formata da gente di Montagna, che sappia di persona cosa si gioca con l’una o con l’altra scelta.

Soluzioni che non possono essere prese da operatori “di città”, che fondano la loro decisione su perizie tecniche astratte e/o su mere teorie. Questo sarebbe sostanzialmente trattare in modo uguale situazioni e/o problemi della Montagna, enormemente diversi da quelli di pianura.

Rispetto della Montagna e dei suoi problemi: nessuna riforma delle Regole senza una seria riforma dell’assetto del Comune e viceversa: nessuna riforma dell’assetto del “potere locale” senza un nuovo organico assetto delle Regole!

 

Nuovo assetto del “potere locale”

Uscire dalla tragicommedia d’un’unica disciplina per Verona e per il piccolo Comune montano dei cento abitanti! Solo per essere seri!

La vallata/comprensorio/distretto deve assommare tutte le funzioni del potere locale per assegnarle al singolo Comune -solo o in consorzio- secondo le relative possibilità operative e/o gestionali. Escluso ovviamente ogni “comunicidio”.

Il tutto in puntuale applicazione della disposizione dello Statuto della Regione, che dichiara Belluno Provincia speciale, solo perché naturale capitale dell’intero “Cantone Montagna” (unica possibile interpretazione della riforma statutaria per evitare la censura della disparità di trattamento rispetto al resto della Montagna non-bellunese).

Ecco l’inscindibilità delle due riforme: quella delle Regole, per dare esecuzione alla delega dell’art.3.7 della L. 168 /2017; quella del nuovo assetto del “potere locale”, per dare attuazione alla modifica dello Statuto Regionale sulla specialità della Montagna.

Non è possibile operare a “compartimenti stagni”, varando leggi diverse per una fenomeno/realtà unica, metodo tanto caro al nostro “legislatore”, ma foriero degl’innumerevoli contrasti che letteralmente paralizzano l’intero apparato pubblico italico; i due impulsi normativi (la legge delega statale e la riforma statutaria regionale) impongono un’elaborazione unitaria per dar vita ad un unico testo organico  a disciplina di due aspetti d’un unico problema: la sopravvivenza della Montagna.

Ivone Cacciavillani

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