Premessa

La relazione che segue ha un contenuto eminentemente pratico, essendo stata concepita con attenzione particolare alle esigenze dei cittadini e degli imprenditori destinati a subire l’applicazione delle nuova normativa contenuta legge regionale n. 14 del 2007, alle esigenze dei Comuni e, in particolare, degli uffici tecnici tenuti a darvi esecuzione, nonchè a quelle della categoria degli avvocati, alla quale appartengo, impegnati ad aiutare gli uni e gli altri a comprenderla e a renderne possibile una concreta e ragionevole attuazione.

Mi pare indispensabile anticipare che l’imprecisione delle definizioni e delle espressioni utilizzate dal legislatore regionale lascia ampi spazi di dubbio e di incertezza tanto interpretativa quanto, soprattutto, applicativa.

La lettura delle disposizioni che viene proposta presenta, dunque, notevoli margini di opinabilità benchè essa costituisca il tentativo di razionalizzare e rendere la nuova disciplina coerente con il sistema urbanistico disegnato dalla legge regionale n.11 del 2004, al fine anche attribuire alle norme un significato di cui, altrimenti, parrebbero prive.

Comma 1

Fermo restando quanto previsto dall’articolo 12, fino all’emanazione del provvedimento di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a):

  1. a) non è consentito consumo di suolo;
  2. b) non è consentita l’introduzione nei piani territoriali ed urbanistici di nuove previsioni che comportino consumo di suolo.

Successivamente all’art. 12, che, con disposizioni definite finali, ma a regime, prevede gli interventi esclusi dall’applicazione della nuova legge regionale sul contenimento del consumo di suolo, l’art. 13 contiene disposizioni di carattere transitorio  destinate a mitigarne gli effetti sia di natura edilizia sia di natura urbanistica  prodotti, rispettivamente, nei confronti:

1)di aree già qualificate come edificabili dagli strumenti urbanistici in vigore;

2)di procedimenti già attivati per l’approvazione di strumenti di pianificazione generali e attuativi.

La simmetria regolativa della deroga per l’attività edilizia, richiamata nella lettera a) e per l’attivi­tà urbanistica, richiamata nella lettera b), è mantenuta anche nei successivi commi n. 2 e n. 3: il comma 2 dà contenuto e disciplina alla deroga di natura edilizia, mentre il comma 3 dà contenuto e disciplina alla deroga di natura urbanistica.

Il primo comma, attesa la sua chiarezza, non richiede alcun particolare impegno interpretativo, diversamente, invece, dai commi successivi.

Comma 2

In deroga alla limitazione di cui al comma 1, lettera a), sono consentiti gli interventi negli ambiti inedificati nella misura del 30 per cento della capacità edificatoria complessivamente assegnata dal Piano di assetto del territorio di cui all’articolo 13 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 o, per i comuni che non ne sono ancora dotati, dal Piano regolatore generale e, comunque, non oltre la capacità massima assegnata.

La deroga di natura edilizia consente che negli ambiti inedificati siano realizzati interventi comportanti consumo di suolo nella misura massima del 30% della capacità edificatoria prevista dal PAT o dal PRG e, comunque, non oltre la capacità massima assegnata.

La norma si presenta di impegnativa interpretazione e di ancor più difficile applicazione, nonché, a mio giudizio, di dubbia legittimità costituzionale.

Essa, infatti, introduce un parametro di edificazione non più o non soltanto rapportato ai consueti indici di fabbricabilità fondiaria (mc./mq. o mq./mq.), ma al più ampio e generale dimensionamento dello strumento urbanistico generale, PAT o PRG che sia.

A mio parere, per capacità edificatoria complessivamente assegnata, devono intendersi i limiti di dimensionamento dei due strumenti urbanistici: in forme e con articolazioni diverse, PAT e PRG individuano il volume massimo realizzabile nel territorio comunale e ne descrivono le articolazioni secondo le note categorie di destinazione d’uso (residenziale, commerciale, direzionale, produttivo, turistico-ricettivo).

In particolare il PAT, secondo quanto dispone l’art. 13, comma 1, lett. k) della L.R.11/2004 ed una prassi ormai consolidata, individua la quantità massima di volume e di superficie assegnati ad ogni ATO, suddividendoli quantitativamente tra le varie destinazioni ammesse.

Proprio perché il limite massimo del 30% dell’edificazione consentita è immediatamente rapportato non all’estensione del fondo disponibile, ma alla capacità massima dello strumento urbanistico, il comma si preoccupa di precisare che, comunque, la nuova edificazione non può superare “la capacità massima assegnata”, io ritengo, riferita al fondo.

Diversamente da altri commenti, non penso che la capacità edificatoria prevista dalla norma debba riferirsi al PI per due ragioni, una letterale ed una sistematica: in primo luogo, infatti, la disposizione fa specifico riferimento al PAT e, in secondo luogo, la legge urbanistica regionale assegna al PAT e non al PI il compito di determinare la quantità massima di volume e superficie realizzabili nel territorio comunale e all’interno dei vari ATO, assegnando al PI la sola funzione di regolarne l’esecuzione.

Ritengo, peraltro, che tale capacità edificatoria complessivamente assegnata possa essere utilizzata non liberamente, ma nei limiti massimi previsti, per categorie di destinazioni d’uso, nei singoli ATO: si determinerebbe, altrimenti, lo stravolgimento della pianificazione comunale.

Il divieto di superare “la capacità massima assegnata” è, dunque, destinato a conservare validità ed efficacia ai limiti di edificabilità del fondo e dell’ATO previsti dal PAT o a quelli del solo fondo se previsti dal PRG, entro il limite di carattere generale assoluto del 30% della capacità edificatoria prevista dallo strumento urbanistico generale.

Così ricostruito nel suo significato e nei suoi effetti, il comma sembra regolare l’attività edilizia in deroga ai divieti della nuova legge in maniera irragionevole in violazione dell’art. 3 e in contrasto con i principi di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione presidiati dall’art. 97 della Costituzione.

Infatti, è facile prevedere che i proprietari più avveduti e organizzati potranno ottenere permessi di costruire fino ad esaurimento del 30% della capacità edificatoria complessiva assegnata agli ATO a scapito di altri proprietari meno attenti o meno abbienti che potranno vedersi respinte le loro istanze in conseguenza del già avvenuto esaurimento della percentuale del 30%.

Potrebbe, quindi, verificarsi un arrembaggio procedimentale diretto all’accaparramento dei volumi disponibili per la cui assegnazione dovrebbe essere osservato soltanto il criterio temporale di precedenza nella presentazione delle domande.

C’è da chiedersi se può ritenersi sufficiente a giustificare l’inosservanza del principio di uguaglianza, conseguente alla carenza di ogni criterio razionale di ripartizione tra cittadini, l’interesse pubblico al contenimento del consumo di suolo e, quindi, la scarsità del bene della vita da distribuire.

Forse non lo sapremo mai.

Resta, comunque, da verificare, in concreto, come gli uffici tecnici comunali potranno calcolare e determinare, con riferimento ai vari ATO e alle varie destinazione d’uso, la percentuale di capacità edificatoria già consumata e quella da consumare.

Compito assai difficile se non concretamente impossibile nel caso in cui la ripartizione della quantità di consumo di suolo fosse determinata dalla Giunta regionale, come pure consente l’art. 4, comma  2, della legge, con riferimento ad un ambito non comunale ma sovracomunale, con riguardo al quale, dunque, più Comuni, dovrebbero ripartirsi in percentuale, non si sa in base a quali criteri (estensione, popolazione, dimensionamento insediativo?) la quantità unitariamente  assegnata ai loro territori.

La norma pone poi problemi applicativi ancora più inquietanti sia per gli uffici tecnici comunali, sia per gli uffici finanziari dei Comuni e, conseguentemente, per i cittadini.

I CDU rilasciati dopo la deliberazione di individuazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata prevista dal comma 9, deve segnalare al richiedente che l’area esclusa dall’ambito di urbanizzazione consolidata ha subito una decurtazione della sua capacità edificatoria, senza peraltro poterla indicare perché ancora non calcolata e non certa?

E il medesimo CDU perderà efficacia nel caso in cui, decorso il termine di 180 o, meglio, di 240 giorni (è prevista, nel termine di 60 giorni, l’acquisizione del parere  del Consiglio delle Autonomie locali o della Conferenza Regione-Autonomie locali) senza che la Giunta regionale abbia deliberato ai sensi dell’art. 4, comma 2, la percentuale di capacità edificatoria fosse aumentata del 20%?

E, corrispondentemente, a tali aree ad edificabilità ridotta come si applicherà la tassazione IMU? L’importo della tassa rimarrà fisso o potrà variare, nelle due sezioni temporali previste, con il variare del suo valore, dato dalla sua potenzialità edificatoria, priva, comunque, di una sua esatta quantificazione?

E il singolo cittadino come dovrà o potrà comportarsi, considerata la sanzionabiltà di denunce carenti o imprecise?

Peraltro, la previsione di 240 giorni per l’assunzione da parte della Giunta regionale delle determinazioni di sua competenza sembra improntata ad eccessivo ottimismo, dovendo essere verificati i territori dei 575 Comuni veneti.

La norma pone l’ulteriore problema di comprendere cosa debba intendersi con il termine “ambiti inedificati”, la cui definizione non è contenuta nell’art. 2.

La cartografia degli strumenti urbanistici individua, infatti, aree non edificate sia all’interno che all’esterno dei cosiddetti ambiti di urbanizzazione consolidata che l’art. 2 della legge definisce come “l’insieme delle parti di territorio già edificato comprensivo delle aree libere intercluse  o di completamento destinate dallo strumento urbanistico alla trasformazione insediativa, delle dotazioni di aree pubbliche per servizi e attrezzature collettive, delle infrastrutture e delle viabilità già attuate o in fase di attuazione, nonché le parti del territorio oggetto di piano urbanistico attuativo approvato e i nuclei insediativi in zona agricola”.

Peraltro, la definizione di ambito di urbanizzazione consolidata contenuta nella L.R. 14/2017 è diversa e più ampia di quella  dell’Allegato B1 alla DGR 3811 del 9.12.2009 contenente gli atti di indirizzo ai sensi dell’art. 50 L.R. 11/04, integrativa della DGR n. 3178 del 8.10.2004 secondo il quale le aree di urbanizzazione consolidata sono descritte come “Aree caratterizzate da insediamenti e urbanizzazioni consolidate o in via di realizzazione in cui sono ancora possibili interventi di nuova costruzione o di ampliamento di edifici esistenti con la diretta applicazione delle Norme di Attuazione e del Regolamento edilizio”.

Annota lo stesso Allegato:

“Si tratta sicuramente di zone di completamento e delle aree a servizi (zone F) già realizzate, con l’aggiunta delle zone in corso di trasformazione. Si intendono in corso di formazione anche gli Ambiti di Piano Attuativo con la relativa convenzione già stipulata”.

Da tale definizione pare potersi dedurre tre distinte sottocategorie di ambiti di urbanizzazione consolidata:

1) le zone già edificate e dotate delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria nonchè caratterizzate da strutture di servizio e di socializzazione;

2) le aree non comprese in dette zone e soggette a PUA approvato;

3) i nuclei insediativi in zona agricola.

Tralasciando ogni valutazione su tale terza ed ultima stravagante categoria di urbanizzazione consolidata, di cui appare impossibile individuare le caratteristiche (tre costruzioni, dieci, venticinque?) e comprenderne la funzione (dato che gli interventi in zona agricola sono esclusi dall’applicazione della legge in base a quanto dispone l’art. 8), la genericità della definizione di urbanizzazione consolidata induce perplessità sulla sicura individuazione degli ambiti inedificati.

Se tali ambiti inedificati sono all’interno della prima sottocategoria, cioè nelle parti di territorio già edificate e dotate di servizi, ma soggetti a PUA non ancora approvato, mantengono la qualificazione di ambito di urbanizzazione consolidata o la perdono con conseguente riduzione della loro potenzialità edificatoria?

In altri termini, la previsione della seconda sottocategoria, in base alla quale si potrebbe ritenere che soltanto un’area assoggettata a PUA approvato vada qualificata come ambito di urbanizzazione consolidata, priva della medesima classificazione aree soggette a PUA non approvato all’interno di porzioni di territorio già edificato ed urbanisticamente organizzato?

Il concetto di ambito di urbanizzazione consolidata suppone ed individua una porzione ampia di territorio già organizzato, all’interno del quale trovano collocazione sia aree edificate sia aree libere, ed è diverso dal concetto di semplice ambito inedificato che individua, invece, una sola area, per quanto ampia, non ancora assoggettata ad alcun intervento di urbanizzazione e non connessa all’urbanizzazione esistente.

La definizione di ambito di urbanizzazione consolidata della prima sottogategoria, riguardante cioè le porzioni di territorio già edificato, si riferisce semplicemente ad ambiti inedificati “interclusi” o “di completamento” senza precisarne il regime dell’edificabilità, se con permesso di costruire o con PUA.

Tale mancanza di specificazione, a mio parere, consente di ritenere che  anche gli ambiti inedificati soggetti a PUA non ancora approvato all’interno di parti di territorio edificato conservano la qualità degli ambiti di urbanizzazione consolidata nei quali si trovano inseriti.

E tale conclusione sembra anche sostenuta dal principio giurisprudenziale di origine costituzionale in base al quale le norme urbanistiche vanno interpretate, nel dubbio, nel senso dell’espansione, non della restrizione dei diritti e delle facoltà dei cittadini.

Commi 3 e 7

-I Piani degli interventi (PI) che hanno formalmente avviato la procedura di formazione ai sensi dell’articolo 18, comma 1, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, alla data di entrata in vigore della presente legge, possono concludere il procedimento di formazione del piano in deroga alla limitazione di cui al comma 1, lettera b).

-I Piani  di assetto del territorio (PAT) già adottati alla data di entrata in vigore della presente legge possono concludere il procedimento di formazione del piano secondo le disposizioni vigenti al momento della loro adozione.

Il terzo comma, come già anticipato, disciplina la deroga all’applicazione della legge con riferimento agli strumenti urbanistici, richiamando soltanto il procedimento di adozione del PI: la norma, tuttavia, va letta opportunamente in connessione con il successivo comma 7, che contiene analoga disposizione per i PAT.

In sostanza, i due commi consentono il completamento dei procedimenti di approvazione di PAT e PI già attivati all’entrata in vigore della legge, benchè con disposizioni che avrebbero richiesto una maggiore precisione.

Il comma 3, per il PI, prevede addirittura la retrodatazione della deroga alla data di avvio “della procedura di formazione ai sensi dell’art. 18, comma 1” della L.R. 11/2004, cioè alla presa d’atto, da parte del consiglio comunale, del documento del sindaco.

La norma non chiarisce, come invece precisa il comma 7 a proposito del PAT, se per avvio della procedura si deve intendere l’emissione dell’avviso di convocazione del consiglio comunale o l’avvenuta presa d’atto del documento da parte del medesimo Consiglio comunale.

Quest’ultima sembrerebbe l’interpretazione preferibile, perché, più aderente al sistema, ma la diversa dizione utilizzata per il PAT qualche dubbio lo lascia.

Un ulteriore chiarimento riguarda inevitabilmente i contenuti del PI o, meglio, quelli del nuovo PI, diretto a modificare il preesistente che, inevitabilmente, coincide con il vecchio PRG, per effetto di quanto dispone l’art. 48 della L.R. 11/2004: il comma non vi fa alcun cenno, ma pare inevitabile ritenere, in mancanza di deroga riferita alla lettera a) del comma 1, che, gli ambiti inedificati rilevati dal PI in fase di adozione dovranno comunque osservare anch’essi il limite percentuale di edificabilità del 30%.

Tale disposizione riduttiva, valida per i PI, rende assai discutibile e forse contraddittoria la previsione del comma 7 riguardante i PAT di nuova adozione di cui, come già accennato, è consentita l’approvazione secondo il regime giuridico vigente al momento dell’adozione, vale a dire, anche se non espressamente richiamato, senza il divieto di introduzione di “nuove previsioni che comportino consumo di suolo” di cui al comma 1, lett. b).

In applicazione di tale norma, infatti, si verifica l’ipotesi che il nuovo PAT può prevedere nuove zone di espansione edilizia, sovrapponendosi, tuttavia ad un primo PI, già PRG, le cui aree inedificate hanno già subito una decurtazione della loro potenzialità edificatoria, con prospettiva di ulteriore riduzione per effetto dell’approvazione da parte della Giunta regionale del provvedimento di cui all’art. 4 comma 2 della legge (“la quantità massima di consumo di suolo ammesso nel territorio regionale …. e la sua ripartizione per ambiti comunali o sovracomunali omogenei), programmata nel comma 10.

La funzione deflattiva del consumo di suolo attuata con intervento legislativo sui PI rischia, dunque, di essere frustrata, dall’esclusione dei PAT di nuova adozione da ogni limite.

Esclusione che rischia anche di determinate una situazione di ampia disparità di pianificazione tra i PAT già approvati e quelli soltanto adottati alla data di entrata in vigore della legge.

Risulta, infine, di difficile comprensione e di problematica attuazione la previsione del comma 3 secondo cui i PI non dovrebbero osservare  il divieto di nuove previsioni che comportino consumo di suolo di cui al comma 1, lett. b), espressamente richiamato.

Ci si chiede come sia possibile che il PI individui nuove aree di espansione edilizia o urbanistica, in presenza di un PAT, di cui deve eseguire le previsioni, che ha già individuato tutte le zone destinate alla nuova trasformazione insediativa soprattutto mediante la perimetrazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata.

La norma intende forse riferirsi alla possibilità che il PI possa modificare i perimetri degli ambiti di nuovo intervento previsti dal PAT o modificarne la collocazione? E se si, a quali condizioni ed in quale modo?

La disposizione sembra contraddire le funzioni tipiche dei due Piani e quella stessa della L.R. 14/2017.

Comma 4

Sono fatti salvi i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge relativi:

  1. a) ai titoli abilitativi edilizi, comunque denominati, aventi ad oggetto interventi comportanti consumo di suolo;
  2. b) ai piani urbanistici attuativi, comunque denominati, la cui realizzazione comporta consumo di suolo.

La norma non necessita di alcuna interpretazione, disponendo che il divieto di consumo di suolo non è applicabile ai procedimenti in corso, riguardino essi il rilascio o la formazione di titoli abilitativi per interventi edilizi  diretti o l’approvazione di un PUA.

Comma 5

Per i procedimenti in corso di cui al comma 4 si intendono:

  1. a) nel caso dei titoli abilitativi edilizi, i procedimenti già avviati con la presentazione allo sportello unico della domanda di permesso di costruire ovvero delle comunicazioni o segnalazioni, comunque denominate, relative ai diversi titoli abilitativi, corredate dagli eventuali elaborati richiesti dalla vigente normativa;
  2. b) nel caso dei piani urbanistici attuativi, i procedimenti già avviati con la presentazione al comune della proposta corredata dagli elaborati necessari ai sensi dell’articolo 19, comma 2, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11. Sono comunque fatti salvi i piani urbanistici attuativi per i quali siano già stati approvati gli ambiti di intervento.

Merita, invece, attenzione il comma 5, che contiene alcune precisazioni riguardanti i procedimenti in corso.

Per gli interventi diretti, i procedimenti possono ritenersi in corso se già è avvenuta la presentazione dell’istanza o la comunicazione al Comune, corredata della documentazione richiesta dalla normativa vigente.

Ritengo si possa ritenere, in applicazione del principio di collaborazione tra pubblica amministrazione e cittadini di cui alla legge n. 241 del 1990, che la mancata allegazione di un documento o di un elaborato che non determini incertezza sul soggetto legittimato alla presentazione, sull’area d’intervento, sulle sue caratteristiche dimensionali e sulla sua destinazione d’uso, non produca l’inammissibilità dell’istanza o della comunicazione ma soltanto l’obbligo del Comune di richiedere la relativa integrazione.

Per gli interventi oggetto di PUA, la norma richiama l’obbligo dell’allegazione degli elaborati elencati nell’art. 19 della L.R. 11/2004: anche in questo caso si deve ritenere che la mancanza di qualche elaborato non essenziale, che non induca dubbi sulla natura e sull’entità dell’intervento non determini l’invalidità della presentazione avvenuta.

Il comma contiene, infine, una disposizione particolare che “fa salvi i piani urbanistici attuativi per i quali siano già stati approvati gli ambiti d’intervento”.

La norma appare  estranea ovvero di contenuto marginale rispetto al regime vigente dei PUA, il cui ambito è determinato dal PI.

Tuttavia l’art. 17, comma 2, lett. b), della legge n. 11/2004, prevede che il PI, unitamente all’individuazione delle aree in cui gli interventi sono subordinati a PUA, detti anche “i criteri e i limiti per la modifica dei perimetri dei PUA”.

Si può, dunque, ritenere come possibile, in applicazione della norma appena citata, che la Giunta comunale faccia uso dei criteri previsti dal PI e approvi un diverso perimetro dell’ambito territoriale soggetto a PUA prima ancora di approvarne  i contenuti.

A tale unica ipotesi sembra applicabile la disposizione del comma in commento.

Comma 6

Sono, altresì, fatti salvi gli accordi tra soggetti pubblici e privati, di cui all’articolo 6 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, per i quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, sia già stata deliberata dalla giunta o dal consiglio comunale la dichiarazione di interesse pubblico, nonché gli accordi di programma di cui all’articolo 7 della medesima legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, relativamente ai quali entro la medesima data la conferenza decisoria abbia già perfezionato il contenuto dell’accordo.

Il comma contiene due disposizioni, l’una, riguardante gli accordi tra soggetti pubblici e privati  di cui all’art. 6 della legge urbanistica regionale e, l’altra, relativa agli accordi di programma di cui al successivo art. 7.

I primi sono fatti salvi se alla data di entrata in vigore della legge la giunta o il consiglio comunale ne hanno già dichiarato l’interesse pubblico.

La disposizione suscita una perplessità e un dubbio.

La perplessità riguarda la circostanza che l’attuale art. 6 della legge urbanistica regionale non prevede una deliberazione di dichiarazione d’interesse ancora prima che il testo dell’accordo sia sottoposto all’approvazione del consiglio comunale destinata a determinarne l’efficacia.

E’ dunque necessario riconoscere alla disposizione un carattere innovativo ed integrativo, a regime, del citato art. 6 con l’introduzione della previsione della possibile adozione preliminare di una dichiarazione d’interesse pubblico del contenuto dell’accordo.

Tale dichiarazione d’interesse, se espressa dalla giunta comunale, potrebbe certamente essere poi disconosciuta dal consiglio comunale, unico organo competente ad approvare il contenuto dell’accordo.

C’è da chiedersi se lo stesso consiglio comunale che ha dichiarato, in fase preliminare, la sussistenza dell’interesse pubblico, possa poi  disconoscerlo o negarne la sussistenza nella successiva fase di definitiva approvazione dell’accordo: parrebbe di si, applicando i consueti principi in materia di motivazione dei provvedimenti amministrativi nel caso in cui si fosse modificata la situazione di fatto che aveva favorito il giudizio favorevole o fosse emersa la necessità di far valere un interesse pubblico di maggiore rilevanza.

Il dubbio riguarda, invece, i limiti di applicazione dell’art. 6 che, in base alla stessa legge urbanistica regionale, viene utilizzato non soltanto per la definizione e l’approvazione di accordi finalizzati alla realizzazione di interventi di rilevante interesse pubblico, ma anche come veicolo procedimentale per l’approvazione di accordi di pianificazione, come prevede l’art. 17, comma 4, della legge 11/2004, in accoglimento di proposte d’intervento formulate da soggetti privati con l’offerta di controprestazioni divenute obbligatorie dal 2014 sotto forma di contributo straordinario per effetto di quanto dispone il novellato art. 16, comma 4, d-ter, DPR 380/2001.

In tale seconda ipotesi, raramente l’accordo presenta i caratteri del rilevante interesse pubblico richiesto dall’art. 6 e l’esecuzione di eventuali opere pubbliche in esso previste costituiscono soltanto il corrispettivo della trasformazione urbanistica concessa dal Comune.

Ciò premesso, la Regione dovrebbe chiarire se il comma 6 fa salvi soltanto gli accordi tipici e veri di cui all’art. 6 della legge 11/2004, o anche quelli dell’art. 17, comma 4, che utilizzano lo stesso art. 6 soltanto come modulo procedimentale di approvazione.

Gli accordi di programma, invece, sono fatti salvi a condizione che “la conferenza (di servizi) decisoria abbia già perfezionato il contenuto dell’accordo”.

La norma va ritenuta totalmente inutile perché superata dalla disposizione dell’art. 12, comma 1, lett. c), che sottrae all’applicazione della legge 14/2017 “i lavori e le opere pubbliche o di interesse pubblico”.

Infatti, gli accordi di programma previsti e disciplinati dall’art. 7 della legge urbanistica regionale, non diversamente da quelli regolati dall’art. 34 del D.Lgs. 267 del 2000, possono essere utilizzati soltanto “per la definizione e la realizzazione di programmi d’intervento o di opere pubbliche o di interesse pubblico….”.

Appare, dunque, del tutto inutile subordinare la salvezza di tali accordi ad una specifica fase procedimentale quando gli accordi medesimi devono avere come oggetto la realizzazione di opere ed interventi pubblici o di interesse pubblico che la legge regionale dichiara esclusi dal suo regime applicativo.

Comma 8

Qualora il provvedimento di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a), non sia emanato nel termine indicato, la percentuale di cui al comma 2 è incrementata di un ulteriore 20 per cento.

La chiarezza della disposizione non richiede alcun approfondimento interpretativo.

Comma 9

Gli ambiti di urbanizzazione consolidata, di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e), sono individuati con provvedimento della giunta o del consiglio comunale e sono trasmessi in Regione entro il termine previsto dal comma 5 dell’articolo 4. I comuni, in sede di adeguamento dello strumento urbanistico generale ai sensi del comma 10 confermano o rettificano detti ambiti.

Il norma dispone che, ai fini dell’adozione da parte della Giunta regionale del provvedimento di cui all’art. 4, comma 2 della legge, gli ambiti di urbanizzazione consolidata siano individuati con provvedimento della Giunta o del consiglio comunale.

Tralasciando ogni valutazione in merito alla corretta comprensione del significato del termine “ambito di urbanizzazione consolidata” che l’art. 2 dichiara non coincidere con la definizione utilizzata per la formazione dei PAT senza darne una definizione precisa, sorprende che la legge regionale abbia attribuito la competenza ad operare tale individuazione contestualmente alla Giunta o al Consiglio comunale senza alcuna ulteriore specificazione.

Tale duplice competenza, tuttavia, può aiutare a chiarire il significato e gli effetti di tale individuazione che, a mio giudizio, ha natura e funzione esclusivamente ricognitiva e non conformativa o modificativa delle previsioni del PAT.

Le ragioni che militano a favore di tale interpretazione sono di natura sistematica.

Anzitutto, una semplice deliberazione, non seguita nè dalla sua particolare pubblicazione di 30 giorni quale atto di pianificazione, nè dalla concessione del termine per la presentazione di osservazioni, violerebbe le fondamentali regole partecipative al procedimento dei cittadini assicurate per l’approvazione e la variazione degli strumenti urbanistici generali sia dalla legge 1150 del 1942  (art. 9) sia dalla medesima legge regionale n. 11 del 2004 (art. 18).

In secondo luogo, il comma 9, con richiamo al successivo comma 10,  dispone che soltanto successivamente alla pubblicazione del provvedimento assunto dalla Giunta regionale ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge, i Comuni saranno tenuti a confermare o rettificare quegli ambiti,  apportando le conseguenti varianti allo strumento urbanistico: sotto tale profilo, dunque, l’individuazione comunale extra-PAT degli ambiti di urbanizzazione consolidata ha la natura di atto endoprocedimentale privo di autonoma efficacia lesiva.

In terzo luogo, l’attribuzione della competenza contestuale alla Giunta o al Consiglio conferma la natura ricognitiva dell’individuazione.

Infatti, in base all’art. 42 del D.Lgs. 267 del 2000 la competenza a deliberare in materia di piani territoriali e urbanistici è assegnata al Consiglio comunale: in nessun caso la Giunta municipale potrebbe deliberare la modifica di un PAT o di un PI.

Attesa la natura ricognitiva del provvedimento si può, invece, ritenere, che possa deliberare la Giunta municipale nei Comuni dotati di PAT, il quale già contiene l’indicazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata, esplicando una funzione pressochè meramente esecutiva di un provvedimento generale del Consiglio comunale; il Consiglio comunale dovrebbe, invece, deliberare nei comuni ancora dotati di PRG che non presentano l’evidenziazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata, previsti, invece dalla legge urbanistica regionale n. 11 del 2004 e dagli atti di indirizzo che l’hanno seguita, la DGR n. 3.178 del 8.10.2004 e la DGR n. 3811 del 9.12.2009.

Residua, tuttavia, un dubbio sulla effettiva natura delle deliberazioni di individuazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata a causa della disposizione letterale del comma, dove si afferma che in seguito alla deliberazione della Giunta regionale di cui all’art. 4, i Comuni dovrebbero confermare o rettificare gli ambiti individuati in applicazione del comma 9, non quelli previsti dal PAT.

Comma 10

Entro diciotto mesi dalla pubblicazione nel BUR del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a), i comuni approvano la variante di adeguamento allo strumento urbanistico generale secondo le procedure semplificate di cui all’articolo 14 e, contestualmente alla sua pubblicazione, ne trasmettono copia integrale alla Regione.

La norma pone un’ultima difficoltà interpretativa circa l’applicazione della disciplina urbanistica comunale.

Nel termine di 18 mesi tra la pubblicazione del provvedimento deliberato  dalla Giunta regionale e l’adeguamento  dello strumento urbanistico generale quali norme di applicheranno? Quelle del PAT e del PI originari? Quelle integrate dalle deliberazioni di individuazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata? O anche le nuove disposizioni sul consumo di suolo deliberate dalla Giunta regionale?

*   *   *

In conclusione, mi parrebbe indispensabile un nuovo intervento “correttivo” del legislatore regionale e non sufficiente o augurabile la pubblicazione di una semplice circolare: le ultime, quelle contenenti le note esplicative della legge regionale n. 32 del 2013 (n. 1 del 2014 – piano casa) e della legge regionale n. 4 del 2015 (n. 1 del  2016 – varianti verdi), ispirate a incrostazioni procedimentali vetero-burocratiche, propongono condizioni e modalità applicative non previste se non addirittura in contrasto con il testo legislativo del quale dovrebbero soltanto chiarire il contenuto.

Stefano Baciga

 

*Relazione svolta al Convegno tenutosi a Castelfranco Veneto il 24 novembre 2017 “La disciplina della Regione Veneto sul contenimento del consumo di suolo: considerazioni sulla recente L.R. 6 giugno 2017 n. 14”

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