Sommario: 1. Premessa – 2. Il procedimento “unilaterale” di dichiarazione del notevole interesse pubblico ex art. 138, comma 3, D. Lgs. 42/2004 – 3. Il “paesaggio” oggetto della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico – 4. L’articolazione del paesaggio e la disciplina d’uso per la relativa tutela e valorizzazione – 5. Conclusioni

1. Premessa

Con la pubblicazione, il 5 ottobre 2020, nell’albo pretorio on line del Comune di Vicenza – a norma del combinato disposto degli artt. 139, comma 1, e 141, comma 1, del D. Lgs. 42/2004 – della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’Area del Monte Berico e della Riviera Berica settentrionale, ha preso il via un procedimento che costituisce una sorta di déjà vu della vicenda che ha visto, nel corso del 2019, sottoporre a vincolo paesaggistico, sempre su iniziativa del MIBACT, un’ampia area alpina compresa tra il Comelico e la Val d’Ansiei, nei comuni di Auronzo di Cadore, Danta di Cadore, Santo Stefano di Cadore, San Pietro di Cadore, San Nicolò di Comelico e Comelico superiore.

La nuova proposta vincolistica ha preso forma mentre, in relazione al precedente bellunese, ancora pendono dinanzi alla Corte costituzionale il procedimento per conflitto di attribuzioni avviato dalla Regione del Veneto con ricorso pubblicato sulla G.U. 1^ serie speciale – Corte costituzionale – n. 11 dell’11.03.2020 e dinanzi al TAR Veneto i procedimenti promossi dalla stessa Regione e dai comuni interessati con i ricorsi nn. 133/2020, 183/2020 e 206/2020.

La nuova iniziativa ministeriale si caratterizza, inoltre, per essere di poche settimane successiva all’approvazione, da parte della Regione del Veneto, del nuovo Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC)[1], senza, peraltro, l’attribuzione della “valenza paesaggistica”, come ampliamente evidenziato dal prof. Marino Breganze de Capnist, in “PTRC Veneto 2020 e valorizzazione del patrimonio culturale negli strumenti urbanistici degli enti locali”.[2]

 

2. Il procedimento “unilaterale” di dichiarazione del notevole interesse pubblico ex art. 138, comma 3, D. Lgs. 42/2004

Entrambi i procedimenti sopra richiamati invocano a proprio fondamento l’art. 138, comma 3, del D. Lgs. 42/2004, che dopo aver disciplinato nei commi 1 e 2 la procedura “condivisa” tra Stato e Regione – all’interno della Commissione regionale di cui all’art. 135, e su iniziativa dei rispettivi componenti, oppure di altri enti pubblici territoriali interessati – dispone che “E’ fatto salvo il potere del Ministero, su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata che deve essere motivatamente espresso entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta, di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all’ articolo 136”.

Pur qualificata come “potestà né concorrente, né sussidiaria, e né suppletiva[3], bensì come “speciale ed autonomo potere-dovere d’intervento, caratterizzato da un procedimento in parte differenziato da quello previsto dai primi due commi[4], la giurisprudenza amministrativa, ben conscia del carattere, se non anomalo[5] quanto meno asistematico, di tale potestà, esercitabile al di fuori della concertazione Stato-Regione e della conseguente pianificazione paesaggistica, l’ha subordinata al necessario presupposto di legittimità, accertabile “in base a valutazioni anche di discrezionalità tecnica”, costituito dalla possibilità dell’”essere concretamente a rischio l’interesse costituzionalmente affidato allo Stato”.[6]

Ancora più esplicitamente, secondo il giudice di prime cure “L’Ordinamento giuridico ha approntato uno speciale, ed esclusivo potere-dovere discrezionale d’intervento dello Stato nei casi nei quali possa essere concretamente a rischio l’interesse costituzionalmente affidato allo Stato della salvaguardia del territorio: la naturale contiguità tra forze politiche e forze economiche (che tendono all’utile immediato) spesso implica la prevalenza degli interessi di pochi a danno degli interessi diffusi della generalità dei cittadini.

In conseguenza, il potere è legittimamente esercitato quando, il “munus patrum” da tramandare alle generazioni future è messo in pericolo da scelte contingenti delle forze politiche locali.

Nei casi speciali di cui sopra, quando è impossibile un’azione condivisa, la preminenza del valore “paesaggio” sancita dalla norma di cui all’art. 138, 3° co., volutamente modificata, impone che possa, e debba, essere il Ministero ad imporre, previo parere della Regione, autonomi vincoli, se ciò è ritenuto necessario in rapporto alla messa in pericolo dei valori paesaggistici del territorio.[7]

Ed i effetti, nelle citate sentenze di primo grado si legge che “… il raccordo organico tra le aree protette di Decima-Trigoria e di quella dell’Appia antica è un legittimo, e dichiarato, obiettivo dell’intervento ministeriale, motivato proprio con riferimento all’insufficiente tutela del paesaggio operata dalla pianificazione comunale e regionale (come è dimostrato proprio le osservazioni dei cittadini alla stessa soprintendenza con richiesta di estendere, e non diminuire, l’area vincolata) per impedire che tra la zona sud della città ed il mare si frapponesse una notevole massa di costruzioni che avrebbero finito per cancellare ogni spazio verde tra la città di Roma ed il comune di Pomezia che avrebbero finito per saldarsi in un unico blocco”, mentre in quelle di appello si legge che “la Soprintendenza aveva agito con il fine di assicurare la conservazione dei valori “identitari” di una vasta area di campagna romana, altrimenti soggetta, con effetto immediato, a causa del metodo seguito per localizzare vasti interventi edificatori, ad una trasformazione urbanistico-edilizia snaturante, se colta nel suo complesso, mentre il comune e la regione apparivano determinati a collocare nuovi e consistenti interventi edilizi sulle aree dell’agro romano con il nuovo p.r.g. e con le modificazioni dei p.t.p. vigenti, anticipando la conclusione del procedimento di approvazione del nuovo p.t.p.r.”.

Con riferimento alla proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’Area del Monte Berico e della Riviera Berica settentrionale va evidenziato che né la nota soprintendentizia di avvio del procedimento, né la documentazione ad essa allegata (in particolare l’Allegato A “Relazione e Disciplina d’uso”) fanno alcun cenno a presunte urgenze di tutela a fondamento dell’iniziativa ministeriale.

Se ne fa, invece, menzione – ma in termini del tutto general-generici, privi di alcun riferimento ad elementi di fatto e di diritto rapportati al territorio interessato dalla proposta di vincolo ed agli strumenti di pianificazione urbanistica che lo riguardano – nel documento prot. n. 20785, datato 30.09.2020, con il quale la Soprintendenza controdeduce al parere reso dalla Regione Veneto a termini dell’art. 138, comma 3, del D. Lgs. 42/2004 e trasmesso con nota prot. n. 0390413, del 24.09.2020.[8]

Nelle controdeduzioni soprintendentizie si legge, infatti, che il potere autonomo di cui alla norma da ultimo citata “è riconosciuto dal legislatore al Ministero per ovviare a situazioni di salvaguardia di ambiti territoriali con caratteristiche e peculiarità tali da meritare un’attenzione urgente e particolare di tutela”, ma manca del tutto ogni riferimento concreto ad elementi di fatto e/o di diritto sintomatici di potenziale pregiudizio dei valori culturali del paesaggio, la cui prevenzione legittimi l’urgente intervento vincolistico ministeriale.

Né basta a tal fine l’affermazione apodittica riportata poco oltre, ove si legge che “è stata ravvisata la necessità di non lasciare ambiti interstiziali (ndr.: tra le aree e gli immobili già soggetti a tutela paesaggistica e/o a tutela storico-artistica, che interessano circa i due terzi dell’area interessata dalla nuova proposta) e di rendere omogenea l’azione di tutela con chiare e specifiche norme d’uso su un contesto geografico, paesaggistico e storico-culturale palesemente unitario, affinché tale ambito non fosse soggetto al rischio incombente di azioni depauperanti”.

Azioni depauperanti, peraltro, che fin qui non si sono affatto manifestate, atteso che la stessa Soprintendenza afferma che “Tutto il territorio ricompreso nel perimetro individuato dal nuovo vincolo risulta variamente composto e particolarmente ben conservato nelle sue caratteristiche di complesso ‘di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici’ a sensi dell’art. 136, comma 1, lettera c) del D. Lgs. 42/2004”.

In realtà, l’unica “urgenza” che sembrerebbe essere posta concretamente a giustificazione della più recente iniziativa ministeriale è identificata dalla nota soprintendentizia nel mancato perfezionamento del PTRC con valenza paesaggistica e, con particolare riferimento all’area oggetto di tale iniziativa, nel mancato perfezionamento del Piano Paesaggistico Regionale d’Ambito “Colli Euganei e Colli Berici”.

Ma come si vede, si tratta di argomentazioni eccentriche e non pertinenti rispetto ai parametri di legittimazione del potere ministeriale indicati dalle richiamate giurisprudenza e dottrina, anche alla luce della sostituzione dell’originario art. 141, così come della versione intermedia introdotta dall’art. 11 del D. Lgs. 157/2006, che invece configuravano un potere sostitutivo ministeriale a fronte dell’inerzia regionale.

Appare del tutto evidente che lo scenario “inquietante” che secondo il giudice amministrativo ha costituito il legittimo presupposto per l’esercizio, ad opera del MIBACT, del potere conferitogli dall’art. 138, comma 3, del D. Lgs. 42/2004 relativamente all’Agro Romano non è affatto riscontrabile nella realtà territoriale, pianificatoria ed istituzionale, che fa da sfondo alla proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’Area del Monte Berico e della Riviera Berica settentrionale.

Al contrario, la strumentazione territoriale ed urbanistica che se ne occupa (PTRC 2020, Piano d’Area Monti Berici, Piano di Assetto del Territorio e Piano degli Interventi del Comune di Vicenza) appronta una disciplina di sostanziale tutela della qualità paesaggistica del territorio, fortemente limitatrice delle possibilità di sue ulteriori trasformazioni antropiche.

Addirittura, con deliberazione n. 54, del 12 novembre del 2020, il Consiglio comunale di Vicenza ha adottato la “Variante parziale del P.I. per la tutela del sistema ambientale e della rete ecologica”, con specifico riguardo alle zone di riqualificazione e miglioramento ambientale, denominate zone Frm, che per caratteristiche naturalistiche, morfologiche e paesaggistiche hanno funzioni di connessione alla rete ecologica comunale e che caratterizzano, nel caso dell’area pedecollinare di Gogna, con un’estensione di poco inferiore ai 14 ettari (137.600 mq), in modo significativo ambiti ricompresi nel perimetro della proposta ministeriale di dichiarazione di notevole interesse pubblico.[9]

Obiettivi della citata variante del P.I., nel quadro di una strategia di promozione del turismo locale, sono la promozione delle attività integrative del reddito agricolo, la riqualificazione dei sentieri esistenti coordinati con la valorizzazione del paesaggio agrario, anche mediante la definizione di modalità di applicazione del credito edilizio per gli immobili e le attività incompatibili o incongrue con i caratteri e i valori delle aree rurali.

La residenzialità viene mantenuta ove già esistente, tuttavia non se ne consente l’ulteriore integrazione, per evitare fenomeni di colonizzazione e interferenza con gli habitat naturali, nonché di perdita di integrità dei caratteri identitari del paesaggio rurale-agricolo, la cui preservazione risulta fondamentale per garantire un adeguato contesto al patrimonio UNESCO.

Pertanto, la disciplina urbanistica di tali zone, laddove ancora consente potenzialità trasformative degli edifici esistenti, nonché l’applicazione della disciplina derogatoria della legislazione regionale sul piano casa, viene rivisitata al fine di garantire un più adeguato livello di tutela ambientale e paesaggistica di tali ambiti.

Né sulla questione della (presunta) urgenza (posta implicitamente) a fondamento dell’iniziativa ministeriale d’imposizione del vincolo paesaggistico ex art. 138, comma 3, del D. Lgs. 42/2004, sembrano poter incidere le risultanze della missione svolta nel 2017 a Vicenza dagli ispettori ICOMOS-UNESCO, atteso che, secondo il Codice dei beni culturali e del paesaggio, la salvaguardia dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO” costituisce esplicito obiettivo delle prescrizioni e previsioni da introdursi per ciascun ambito, a cura dei piani paesaggistici (cfr. art. 135, comma 4, lett. d), del D. Lgs. 42/2004) e non, quindi, rimessi ad iniziative unilaterali del MIBACT.

A tal proposito si rinvia a quanto efficacemente argomentato nel fondamentale scritto di G. Sciullo[10], ove si legge che Dall’insieme della disciplina contenuta nella Parte III del Codice risulta inequivocabilmente che il regime di tutela concerne i tradizionali beni paesaggistici (individuati per atto amministrativo, per legge ma anche in sede di pianificazione), ma che per qualche aspetto li trascende. Il Codice, invero, si preoccupa della ‘salvaguardia’ (che costituisce una finalità della tutela) anche delle “caratteristiche paesaggistiche degli altri ambiti territoriali” -‘altri’ rispetto a quelli in cui sono presenti beni paesaggistici e che l’art. 143, comma 1, lett. e) C, definisce come “ulteriori contesti” – affidando il compito di delinearne il regime specificamente alla pianificazione paesaggistica (art. 135, comma 4, lett. c) C, e art. 143, comma 1, lett. e) C) e in genere a “tutti i soggetti che, nell’esercizio di pubbliche funzioni, intervengono sul territorio nazionale” (art. 135, comma 6 C).

Emerge pertanto una seconda classe di entità paesaggisticamente rilevanti a fini di tutela, ossia le “caratteristiche paesaggistiche” ovvero gli “ulteriori contesti”, che, sebbene non rientrino nei tipi dei beni paesaggistici (strettamente intesi) e quindi non siano sottoposti allo specifico regime di questi, pur sempre rilevano sub specie della funzione di tutela, in quanto vanno salvaguardati in particolare dalla pianificazione regionale. Si può pensare ai c.d. paesaggi rurali e ai siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO (la cui “salvaguardia” è menzionata del resto come compito di tale pianificazione (art. 135 comma 4, lett. d) C).

In ogni caso si tratta di entità paesaggisticamente rilevanti alla cui individuazione – e a differenza che per i beni paesaggistici – non concorre lo Stato (cfr. art. 135, comma 1 C) e la cui disciplina è rimessa specificamente alla pianificazione regionale.[11]

Appare, quindi, evidente che l’introduzione – per iniziativa unilaterale del MIBACT ed al di fuori della procedura di pianificazione paesaggistica cogestita con la Regione – di un nuovo vincolo ai sensi della Parte terza del D. Lgs. 42/2008 non può trovare giustificazione ex se sulla base di una “raccomandazione dell’ICOMOS-UNESCO”.

 

3. Il “paesaggio” oggetto della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico

 Nell’Allegato A “Relazione e Disciplina d’uso” della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardante circa 15 kmq del territorio del Comune di Vicenza si legge che “L’area è caratterizzata da una serie di elementi di vario tipo: geomorfologico, naturalistico e antropico, che, attraverso le relazioni costruite nel tempo, conferiscono all’ambito di riferimento un aspetto unitario e uno spiccato carattere identitario di notevole interesse pubblico”, più oltre che “In questa porzione di territorio si è stratificato, per una serie di straordinari eventi e contingenze, un complesso di oggetti architettonici e di relazioni socio-culturali che rappresentano un carattere identitario non solo vicentino ma precipuamente italiano”, ed ancora che “Questo specifico ambito territoriale rappresenta un segmento storico-geografico con caratteristiche tali da renderlo percettivamente identitario per i cittadini di Vicenza, del Veneto e per gli Italiani in genere, oltre che per l’intera umanità facendo parte integrante del sistema urbano di Vicenza e delle ville venete”.

Se le citate “qualità” caratterizzano indiscutibilmente gli ambiti già sottoposti a vincolo paesaggistico provvedimentale[12], quelli già riconosciuti come beni storico-culturali[13], nonché, per la relazione spaziale con immobili d’interesse culturale, le aree già sottoposte a vincolo indiretto[14], si ha motivo di dubitare che altrettanto possa pacificamente dirsi riguardo alle ulteriori aree ricomprese all’interno del perimetro delineato nell’Allegato B “Perimetrazione”[15].

Tali, ulteriori, aree, prevalentemente collocate ad ovest del rilievo di Monte Berico e, quindi, degli ambiti oggetto dei provvedimenti richiamati nella nota 12, rappresentano certamente “territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni”, secondo la definizione di paesaggio contenuta nel vigente. art. 131 del D. Lgs. 42/2004, ma possono a buon diritto essere considerate “paesaggio della vita quotidiana”.

Tale espressione è contenuta nell’art. 2 della Convenzione europea del paesaggio, laddove, nel delineare il proprio campo d’applicazione, precisa che “Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, che i paesaggi della vita quotidiana e i paesaggi degradati” e segue da presso la stessa definizione di “paesaggio”, contenuta nell’art. 1, lett. a), ovvero “una determinata parte del territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni[16]

Ci sia consentito riprodurre di seguito alcuni brani del saggio di E. Boscolo citato nella nota 16, perché, senza nulla togliere ad altri autorevoli approfondimenti giuridici del concetto di paesaggio e della relativa disciplina[17], ci paiono particolarmente significativi anche per esprimere una meditata valutazione delle più recenti iniziative ministeriali, caratterizzate dalla sottoposizione a tutela, attribuendovi notevole interesse pubblico, di aree di rilevantissima estensione ed in precedenza non vincolate ai sensi della Parte terza del D. Lgs. 42/2004.

Nel nostro paese l’impronta del paradigma estetizzante è stata … particolarmente condizionante. La sua trasposizione normativa, ossia la formula espressa dalla l. 1497/39, in ragione della propria autorevolezza, enfatizzata dalla complementarietà rispetto alla dogmatica dei beni culturali, ha sbarrato per lungo tempo la strada ad ogni tentativo di allargamento della nozione giuridica di paesaggio. Alla materia del paesaggio si riconducevano unicamente taluni elementi dei territorio, alcuni oggetti emergenti per differentiam rispetto al territorio ‘feriale’ ”.

[…]

La decisiva spinta verso una definitiva revisione dello schema tralatizio è tuttavia venuta dall’esterno, ossia dal recepimento, nel nostro Paese, della diversa impostazione che informa la già richiamata Convenzione europea del paesaggio. Tale documento riflette uno schema, consolidatosi in altri paesi, che porta a riconoscere natura paesaggistica ad ‘una determinata parte di territorio così come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni’ (Convenzione, art. 1, lett. a). Muovendo da questa innovativa definizione, volta a riconoscere centralità al processo sociale, la Convenzione impegna gli Stati a considerare oggetto delle politiche paesaggistiche, accanto ai paesaggi ‘straordinari’ (quelli corrispondenti all’esperienza giuridica e culturale novecentesca), anche i paesaggi ‘della vita quotidiana’ e, financo, i paesaggi ‘degradati’. In tal guisa è stata definitivamente scardinata l’equazione tra paesaggio e frazioni di territorio eccezionalmente interessanti dal (solo) punto di vista estetico. Di conseguenza, si è dilatata – quasi a dismisura, al cospetto della tradizione italiana – la latitudine del territorio-paesaggio.

[…]

Con tutti i limiti delle proposizioni definitorie, il superamento del legame fondativo con la tradizione novecentesca si riscontra nel trapasso da una definizione di paesaggio deducibile da una elencazione di categorie di beni connotati da straordinarie valenze estetico-culturali come quella declinata dall’art. 1 della l. 1497/1939 […], ad una nozione avente ad oggetto il territorio e i profili identitari giusta la quale ‘per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni’ (art. 131, I comma, codice dei beni culturali e del paesaggio).

[…]

scorrere l’art. 131 del codice è un po’ come osservare una roccia con le sue stratificazioni, testimonianza del succedersi delle ere geologiche. Messo di fronte all’innovativo modello del paesaggio ‘integrale’ dettato dalla Convenzione europea, il legislatore interno, sollecitato nel contempo a raccogliere anche le ripetute indicazioni della Corte costituzionale circa la primarietà dell’interesse paesaggistico ed il ruolo centrale dello Stato (nella tutela dei beni paesaggistici), pare avere optato per una modello di composizione, che fa emergere la costruzione giuridica del paesaggio ‘a strati’.

Rispetto allo schema definitorio espresso dal codice, va subito rimarcato che la definizione generale di paesaggio come ‘territorio espressivo di identità’ espressa dal primo comma dell’articolo 131 ha unicamente la funzione ‘debole’ di iperonimo teso a definire una sorta di perimetro classificatorio esterno: questa prima definizione si risolve, in altri termini, in una proposizione necessariamente comprensiva di situazioni territoriali parzialmente diverse, a cui si riferiscono partitamente i commi successivi del citato art. 131 e gli articoli seguenti del codice. Lì si ritrova la stratificazione a cui si è fatto cenno.

L’articolo 131 prosegue precisando nel secondo comma che ‘il presente Codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali’. Dietro questa seconda proposizione – che si appunta direttamente sui valori culturali (il richiamo ai quali è confermato anche dal III comma dell’art. 131, ove si ribadisce con ancor maggiore chiarezza che ‘La tutela del paesaggio, ai fini del presente Codice, è volta a riconoscere, salvaguardare… i valori culturali che esso esprime’) – si coglie la permanenza della nozione estetico-formale di paesaggio. Esiste un paesaggio codistico, soggetto alla funzione (statale) di tutela, ed un paesaggio, pure oggetto della definizione codicistica, non sottoposto alla funzione di tutela.

[…]

Opportunamente il legislatore ha riservato a quella che fino a ieri era la disciplina giuridica del paesaggio il primo ‘strato’ della nuova materia, rispetto al quale si giustifica la sopravvivenza di concetti quali tutela parallela, interesse differenziato e beni d’interesse pubblico che hanno contribuito a coagulare un modello epistemologico del principio contenuto nell’art. 9 Cost.

Più complessa la messa a fuoco del secondo ‘strato’, nel quale non ricadono beni specifici ma territori che presentano ‘caratteristiche paesaggistiche’, il cui ‘uso consapevole’ è affidato – come prevedono l’art. 131, VI comma, e l’art. 135, IV comma, del codice – al piano paesaggistico. Si tratta dunque di paesaggi non suscettibili di essere gravati da vincoli e trasformabili senza necessità di previa autorizzazione, paesaggi non necessitanti dell’azione di tutela tipizzata dal Codice, sottoposti ad un’azione di ‘salvaguardia con mezzi diversi di quelli propri della tutela’

A questa categoria non sono riconducibili beni specifici, bensì territori ‘usabili e trasformabili’ secondo gli ordinari schemi dettati delle regole urbanistiche, connotati tuttavia da profili che ne conformano salientemente la morfologia, determinando il manifestarsi di particolari caratteri che – ritornando alla definizione generale di cui al primo comma dell’art. 131 cit. – sono proiettivamente capaci di rendere percepibili (o di evocare) per le comunità insediate (e sovente solo per ciascuna di esse) valori di matrice propriamente identitaria. Valori di rispecchiamento, scevri da ogni monumentalità. Questi caratteri valgono nel contempo a segnare una marca distintiva di ciascun particolare territorio, dando spessore ad una varietà di paesaggi che costituisce comunque un valore da preservare rispetto ad ogni tendenza omologante o banalizzantemente semplificatoria. Sono i territori, e nel contempo i paesaggi, della vita quotidiana (espressione a cui non deve attribuirsi alcuna accezione svalutativa), comunque capaci di esprimere – sempre in ragione del loro aspetto – messaggi di senso e non solo utilità d’uso (di cui si occupa ordinariamente l’urbanistica). In questi territori la pratica gestionale del paesaggio, fuori dalla funzione di tutela in senso proprio (e fuori quindi dalle competenze e dal ‘primato’ dello Stato nella funzione conservativa), si esprime secondo le coordinate formulate dai piani paesaggistici estesi all’intero territorio regionale e si raccorda strettamente con il governo del territorio (e con la pianificazione urbanistica, alla cui scala è possibile cogliere i giudizi di valore che scaturiscono dalle esperienze e dalla pratica del territorio di una comunità e definire – con il giusto grado di definizione – le regole di trasformazione). La funzione pubblica su questo fronte è preordinata alla non dispersione ed al rafforzamento di tali caratteristiche in vista della preservazione di ciascuna identità territoriale differenziata dal rischio di banalizzazione-omologazione. Tale valenza identitaria va anzi implementata, facendo in modo che ogni trasformazione urbanistico-edilizia (per iniziativa privata o pubblica) si mantenga coerente con un progetto territoriale attento a tale risvolto valoriale e idoneo a garantire nel tempo il risultato aggregato di una maggior qualità territoriale diffusa. La disciplina paesaggistica, nell’andare oltre il perimetro del patrimonio culturale non si occupa più soltanto di alcuni oggetti o luoghi eminenti ma si fa carico della qualità (non più soltanto della funzionalità) dei luoghi in cui le persone vivono la più parte della loro esistenza.

Completa poi il quadro quello che anche il famoso paesaggista francese Gilles Clément ha definito ‘terzo paesaggio’: il terzo ‘strato’ – riprendendo lo schema della Convenzione europea – comprende infatti i beni e i paesaggi degradati (‘aree compromesse o degradate’: art. 135, IV comma, lett. b), per i quali debbono essere identificate specifiche politiche tese alla ricostituzione dei valori paesistici che hanno subito appannamenti. Sono i luoghi del paesaggio-negato: si pensi ad alcuni luoghi della produzione, alle cave dismesse, alle infrastrutture lineari o verticali, ma anche a talune aree periurbane, ossia a quei paesaggi della dispersione edificatoria (sprawl) e della città diffusa, rispetto ai quali occorre strutturare una strategia di costruzione (ri-costruzione) di nuovi assetti valoriali”.

Non si tratta, peraltro, di elaborazioni riservate alla ristretta cerchia dei giuristi, ma trovano diretto riscontro anche nell’attuazione pratica della disciplina oggetto dei loro approfondimenti teorici.

Proprio con riferimento all’esperienza della pianificazione paesaggistica del Veneto, basti ricordare il fondamentale Rapporto “Il piano paesaggistico regionale del Veneto: indirizzi tecnico scientifici[18], il Documento preliminare del Piano Paesaggistico Regionale d’Ambito “Arco costiero Adriatico, Laguna di Venezia, Delta del Po’[19], il “Documento per la Pianificazione Paesaggistica”, Allegato B3 della Variante parziale 2013 del PTRC 2009 con attribuzione della valenza paesaggistica[20], le “Linee programmatiche per l’elaborazione dei Documenti Preliminari ai Piani Paesaggistici Regionali d’Ambiti ‘Colli Euganei e Monti Berici’, ‘Verona, Lago di Garda, Monte Baldo’ e ‘Pianura Centrale Veneta’ ”[21], la documentazione predisposta e/o validata dal Comitato Tecnico per il Paesaggio (CTP) per l’elaborazione del PPRA “Arco costiero Adriatico, Laguna di Venezia, Delta del Po’”[22].

Si tratta, come si vede, di documentazione che, al netto della sola approvazione del PTRC 2020[23], è stata condivisa dal MIBACT – e dalle relative, pertinenti, articolazioni territoriali – con la Regione Veneto, per cui appare del tutto incomprensibile un’iniziativa unilaterale del Ministero volta ad introdurre nuovi vincoli paesaggistici e a “vestire” anche quelli preesistenti della corrispondente disciplina d’uso, il tutto al di fuori del processo concertato di pianificazione paesaggistica del territorio veneto (PTRC) e, nel caso “vicentino”, dell’ambito dei “Colli Euganei e Monti Berici” (PPRA).

 

4. L’articolazione del paesaggio e la disciplina d’uso per la relativa tutela e valorizzazione

Il già menzionato Allegato A della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’Area del Monte Berico e della Riviera Berica settentrionale contiene – oltre ai capitoli di premessa e di motivazione del provvedimento – soprattutto l’articolazione del paesaggio oggetto della proposta ministeriale (capitolo 2) e la disciplina d’uso per la relativa tutela e valorizzazione (capitolo 3).

L’articolazione del paesaggio è caratterizzata da una ripartizione in tre strutture principali (idrogeomorfologica, ecosistemica e ambientale, antropica e storico-culturale) e, relativamente a ciascuna di esse, da una o più componenti, a loro volta scandite in uno più elementi di paesaggio.

Ciascuna sequenza struttura/componente/elemento delinea l’ambito di applicazione, o per meglio dire la fattispecie[24], cui si correla la singola disciplina d’uso (quest’ultima, a sua volta, articolata in “obiettivi e indirizzi di qualità paesaggistica” e in “prescrizioni d’uso”).

Va da sé che laddove l’ambito di applicazione non sia univocamente identificato sotto i profili definitorio, contenutistico e localizzativo, l’operazione di “vestizione” – ovvero di integrazione del vincolo “nudo” con la corrispondente disciplina d’uso – deve considerarsi fallita[25].

Le conseguenze del citato fallimento riguardano in primo luogo la stessa legittimità dell’atto – sia esso una dichiarazione di notevole interesse pubblico, oppure un piano paesaggistico – trattandosi di contenuto “necessario” ex art. art. 140, comma 2, del D. Lgs. 42/2004[26], nel caso di “vestizione” operata contestualmente all’introduzione di un vincolo provvedimentale, ex art. 141 bis, nel caso di “vestizione” integrativa di un vincolo paesaggistico provvedimentale preesistente ed ex art. 143, comma 1, lett. b) e c), nel caso di “vestizione” operata attraverso il piano paesaggistico.

Ma riguardano, compromettendola, la stessa finalità perseguita dalla “vestizione”, che lo stesso MIBACT cosi efficacemente descrive: “Le prescrizioni dovrebbero razionalizzare l’attività amministrativa di valutazione, contenendola entro i canoni della discrezionalità tecnica in relazione a parametri positivi, consentendo un sindacato giurisdizionale sulla gestione del vincolo più ampio e soddisfacente sulla correttezza dell’iter logico seguito dall’amministrazione, in conformità alle esigenze dei privati di rapportarsi a un operato amministrativo maggiormente prevedibile e dai tempi più certi”.[27]

A tal proposito, come dar torto ad un profondo conoscitore della materia (sia nella veste di sottile giurista, sia di direttore per lungo tempo dell’Ufficio legislativo del MIBACT), quale il consigliere di Stato Paolo Carpentieri, secondo cui “ha concorso alla diffusione – soprattutto presso la politica locale e in certi ambienti confindustriali – dell’idea della soprintendenza quale fattore di blocco della crescita la mancata adozione di regole tecniche e di linee guida cogenti capaci di imbrigliare e di asciugare “a monte” l’eccessiva discrezionalità interpretativa che caratterizza spesso negativamente le decisioni dei soprintendenti (autonomia tecnico-scientifica che spesso trasmoda in libero convincimento o in vero e proprio arbitrio, peraltro poco sindacabile in sede di controllo, anche giurisdizionale, trattandosi di determinazioni che attingono a standard valutativi tratti da scienze deboli comprendenti e opinabili e non da scienze esatte certificabili e misurabili)”.[28]

Altrettanto di costante attualità si confermano le parole di un maestro del diritto amministrativo, quale il prof. Enrico Guicciardi, che scriveva “a me pare che un grosso difetto della legge (ndr: ossia, dell’allora vigente legge 1497/1939) stia in ciò: che quando si impone il vincolo paesistico su una determinata località (mi riferisco particolarmente alle bellezze d’insieme, più ancora alle vaste bellezze di insieme) non si sa in che cosa il vincolo consiste: esso è del tutto indeterminato. Si sa soltanto che, a partir da quel momento, gli interessati sono posti nelle mani delle Sovraintendenze, alle quali spetta decidere, caso per caso, se non si può costruire, o se si può, e come. Tutto, quindi, è rimesso alle Sovraintendenze, con una discrezionalità amplissima, che, data la particolare materia, si risolve in una valutazione squisitamente personale di colui che si trova ad essere titolare dell’ufficio in quel momento[29].

Sul punto e sempre con riferimento alla proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’Area del Monte Berico e della Riviera Berica settentrionale si è, del resto, efficacemente espressa anche la Regione del Veneto, nella nota prot. n. 0390413, datata 24.09.2020, recante il parere su detta proposta, prescritto dall’art. 138, comma 3, del D. Lgs. 42/2004.

Nel citato documento si legge che “l’articolazione del paesaggio per componenti ed elementi specifici di paesaggio, come effettuato in sede di pianificazione paesaggistica congiunta per il suddetto PPRA, deve trovare diretto riscontro negli elaborati grafici del piano, affinché, al di là della definizione riportata per gli stessi, vi sia certezza nell’applicazione delle disposizioni dettate dal piano, senza che queste possano essere discrezionalmente applicate a seconda di un’interpretazione “soggettiva” della definizione medesima.

Diversamente nella descrizione riportata nel capitolo 2 delle tre strutture individuate (idrogeomorfologica, ecosistemica e ambientale, antropica e storico-culturale), le componenti sono state genericamente definite, e in alcuni casi anche solo descritte o addirittura elencate, senza che ciò consenta l’effettivo riconoscimento delle stesse sul territorio.

Conseguentemente, “la mancanza della individuazione chiara e giuridicamente valida delle componenti, in parte solo elencate, in parte solo definite, in parte né elencate e né definite, non consente un’applicazione certa e non discrezionale delle prescrizioni.”

Né, sul punto, appaiono in alcun modo convincenti le controdeduzioni sviluppate dalla Soprintendenza nella nota prot. n. 20785, datata 30.09.2020, che sostanzialmente fanno leva:

  1. sulla corrispondenza tra la struttura della proposta di vincolo con quanto stabilito nelle circolari della Direzione Generale PaBAAC del MIBACT n. 12, del 23 giugno 2011 e n. 30, del 21 dicembre 2011;
  2. sull’assenza di un’esatta perimetrazione anche nell’attuale fase di elaborazione provvisoria del piano paesaggistico del Veneto;
  3. sulla sostanziale derivazione delle componenti paesaggistiche elencate “da quelle considerate e descritte dal tavolo tecnico operativo per la redazione congiunta del Piano Paesaggistico Regionale del Veneto, all’interno della documentazione e in particolare nelle redigende Linee Normative del Piano Paesaggistico Regionale d’Ambito ‘Arco Costiero Adriatico Laguna di Venezia e Delta del Po’ ”.

Quanto alla controdeduzione sub a), non coglie evidentemente la sostanza del rilievo regionale cui vorrebbe opporsi, e indirettamente conferma l’assenza di riscontro della struttura del paesaggio in adeguati elaborati grafici.

Si consideri che l’unico elaborato grafico oggetto di pubblicazione ai sensi dell’art. 139, comma 1, del D. Lgs. 42/2004, come da richiesta soprintendentizia prot. n. 20832, del 1.10.2020, è quello identificato con la lett. B e rubricato “Perimetrazione”, che per l’appunto si limita ad indicare il perimetro che racchiude i circa 15 kmq. di superficie oggetto della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico, senza che al suo interno sia indicato alcuno dei componenti e degli elementi che compongono la struttura del paesaggio considerato.

Del resto, la stessa invocazione delle circolari MIBACT nn. 12 e 30 del 2011 appare inconferente rispetto al rilievo mosso dalla Regione Veneto e qui pienamente condiviso.

Infatti, con la prima il Ministero fornisce “un documento contenente linee guida per la definizione di criteri metodologici da adottare ai fini della ricognizione, delimitazione e rappresentazione dei beni paesaggistici come stabilito dal Codice[30], mentre con la seconda “si è formulata, anche, una metodica basata sulla redazione di una scheda di identificazione e definizione della specifica disciplina prevista dall’articolo 140, comma 2 per ciascun immobile o area dichiarata di notevole interesse pubblico”.[31]

Nessuno contesta l’assunzione a riferimento, nella definizione della struttura del paesaggio e nella redazione della corrispondente disciplina d’uso, dei criteri delineati nelle citate circolari, trattandosi di metodologia dichiaratamente impiegata nel “Documento per la Pianificazione Paesaggistica”, Allegato B3 della Variante parziale 2013 del PTRC 2009 con attribuzione della valenza paesaggistica, oltre che nel corrispondente “Documento per la valorizzazione del paesaggio veneto”, Allegato D al PTRC 2020, nonché nella documentazione predisposta e/o validata dal Comitato Tecnico per il Paesaggio (CTP) per l’elaborazione del PPRA “Arco costiero Adriatico, Laguna di Venezia, Delta del Po’”.

Si tratta, del resto, di strumentazione e metodologia presenti in tutte le esperienze di pianificazione paesaggistica, come testimoniato nell’interessante documento “La pianificazione paesaggistica in Italia – Stato dell’arte e innovazioni[32].

Quello che incomprensibilmente la Soprintendenza tace è che la circolare n. 30/2011, nel proporre una scheda metodologica per la “identificazione e definizione della specifica disciplina prevista dall’articolo 140, comma 2 per ciascun immobile o area dichiarata di notevole interesse pubblico[33], ne fornisce in allegato gli esiti con riferimento ad uno “specifico caso di studio (DM 18/11/1968 ‘Dichiarazione di notevole interesse pubblico di una zona sita nel territorio dei comuni di Andria e Corato (Castel del Monte)’

Orbene, per ciascuna delle tipologie di struttura e delle corrispondenti componenti paesaggistiche[34], sia l’identificazione dei valori e la valutazione della loro permanenza/trasformazione, sia la definizione degli obiettivi per la tutela e la conservazione dei valori paesaggistici[35], nonché la conseguente disciplina d’uso[36], sono accompagnate da altrettanti elaborati grafici che localizzano “sul campo” ognuno dei predetti elementi.

Di tutta questa elaborazione non vi è alcuna traccia nella documentazione pubblicata ai sensi dell’art. 139, comma 1, del D. Lgs. 42/2004, il che, oltre ad impedire il raggiungimento dell’obiettivo impresso dal legislatore alla “vestizione” dei vincoli “nudi”, non assolve neppure al contenuto minimo della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico di cui alla succitata disposizione normativa.

Né la carente individuazione “sul campo” delle componenti e degli elementi specifici del paesaggio può essere rinviata ad una fase di confronto con gli enti locali, titolari della pianificazione urbanistica e territoriale sulle aree interessate dalla proposta di vincolo, fase successiva alla formalizzazione di quest’ultima e, quindi, al prodursi degli effetti di cui al secondo periodo del comma 2 dell’art. 139 del D. Lgs. 42/2004[37].

Tale modus operandi non può fondarsi sulla previsione contenuta nel comma 5 del predetto art. 139, laddove stabilisce che “Entro i trenta giorni successivi al periodo di pubblicazione di cui al comma 1, i comuni, le città metropolitane, le province, le associazioni portatrici di interessi diffusi individuate ai sensi delle vigenti disposizioni di legge in materia di ambiente e danno ambientale, e gli altri soggetti interessati possono presentare osservazioni e documenti alla regione[38], che ha altresì facoltà di indire un’inchiesta pubblica. I proprietari, possessori o detentori del bene possono presentare osservazioni e documenti entro i trenta giorni successivi alla comunicazione individuale di cui al comma 3”.

Infatti, oggetto delle osservazioni non può che essere una proposta di vincolo già completa nei suoi doverosi contenuti, non qualcosa allo stato ancora grezzo e parziale: sarebbe come immaginare un Piano degli Interventi adottato, recante la disciplina degli indici e delle destinazioni d’uso per le diverse zone territoriali omogenee, ma senza una cartografia che localizzi quest’ultime sul territorio, e che riservi alle controdeduzioni comunali alle osservazioni presentate (e nel caso di assenza delle stesse?) il completamento degli indispensabili contenuti localizzativi fin lì assenti!

Né appare pertinente quanto riportato in chiusura della nota del 1 ottobre 2020 – con la quale la Soprintendenza richiede al Comune di Vicenza la pubblicazione sul relativo albo pretorio on line della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico – ove si legge che “questo Ufficio si rende disponibile ad avviare l’attività propedeutica alla fase di conformazione di cui all’art. 145, comma 4, del D. Lgs. 42/2004 in ordine alla perimetrazione delle diverse componenti paesaggistiche individuate”, in quanto la norma richiamata delinea operazioni da compiersi nei confronti degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale “a valle” di un vincolo già “vestito” per conformare i primi al secondo e non già per completare la carente “vestizione” di quest’ultimo.[39]

 

5. Conclusioni

L’apposizione unilaterale del vincolo paesaggistico che nel corso del 2019 ha interessato un’ampia parte del Comelico e l’analoga proposta che attualmente coinvolge una vasta area del territorio comunale di Vicenza invitano a riflettere sulla coerenza ordinamentale del potere esercitato in tali circostanze dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.

Nell’attesa di conoscere il pensiero della Corte costituzionale e del TAR del Veneto, aditi in merito alla vicenda del Comelico, non può sfuggire a quanti approccino in termini laici la problematica della tutela del paesaggio e dei suoi intrecci con la pianificazione urbanistica e territoriale l’azzardo legislativo posto in essere con il secondo correttivo al D. Lgs. 42/2004, riconoscendo (art. 138, comma 3) un potere ministeriale parallelo ed autonomo rispetto a quello condiviso tra Regione e Stato, connotato dai medesimi effetti di quest’ultimo sulla successiva pianificazione paesaggistica (art. 140, comma 2) e, a cascata, sui restati strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica (art. 145).

Al di là degli eventuali – e personalmente auspicati – interventi normativi, la speranza è che tra la Regione Veneto e il MIBACT si ripristini un rapporto di fattiva e leale collaborazione, capace di assicurare la tutela e la valorizzazione dei molteplici paesaggi veneti attraverso la strada maestra della pianificazione paesaggistica, l’unica in grado, come insegnano le vicende descritte in questa modesta riflessione, di assicurare il doveroso coinvolgimento delle istituzioni rappresentative delle comunità locali e, attraverso quest’ultime, dei cittadini.

Roberto Travaglini

 

*considerazioni a margine della proposta MIBACT di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’Area del Monte Berico e della Riviera Berica settentrionale in Comune di Vicenza.

 

[1] D.C.R. 30.06.2020, n. 62.

[2] Relazione tenuta al XXI Convegno dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti “Le nuove norme tecniche del Piano regionale territoriale di coordinamento – PTRC Veneto 2020”, svoltosi a Castelfranco Veneto il 27 novembre 2020, pubblicata sul sito dell’Associazione www.amministrativistiveneti.it

[3] Così TAR Lazio, Sez. II-quater, nelle sentenze nn. 3362, 33363, 33634, 33635, 35384 e 3586/2010, riguardanti la nota vicenda della dichiarazione ministeriale di notevole interesse pubblico di una vasta area dell’”Agro Romano”.

[4] Così Cons. Stato, sez. VI, nelle sentenze nn. 533, 534 e 535/2013.

[5] Tant’è che, in chiusura del ricorso per conflitto di attribuzioni sopra richiamato si prospetta – laddove non fossero ritenuti fondati i precedenti motivi d’impugnazione, con la conseguente legittimità dell’esercizio del potere ministeriale – la non conformità alla Costituzione dell’art. 138, comma 3, del D. Lgs. 42/2004, per violazione degli artt. 3 e 97, in uno con gli artt. 118 e 117, commi 3 e 4 della carta costituzionale.

[6] Così le sentenze d’appello richiamate alla nota 5.

[7] Si tratta di conclusioni pienamente condivise dalla dottrina occupatasi del potere ministeriale delineato dall’art. 138, comma 3, del D. Lgs. 42/2004 e delle relative disamine giurisprudenziali: tra gli altri, si vedano P. Urbani, “Tutele differenziate e interessi antagonisti tra pubblici poteri”, in Riv. Giur. Amb., 1, 2011, pag. 138 ss., a commento della sentenza del TAR Lazio, Sez. II quater, 310.11.2010, n. 3365 e P. Marzaro “Pianificazione paesaggistica e beni paesaggistici: la centralità del procedimento nella ‘duplicità’ del sistema”, in Riv. Giur. Urb., 1-2, 2013, pag. 89; Id, “Le nuove forme della tutela del paesaggio: autolimiti delle amministrazioni e proporzionalità delle scelte”, in Riv. Giur. Urb., 1, 2014, pag. 125.

[8] Si tratta, in ogni caso, di un “passo in avanti” della Soprintendenza rispetto alla posizione assunta dall’omologo Ufficio preposto all’area metropolitana di Venezia ed alle province di Belluno, Padova e Treviso, che nell’Allegato E “Controdeduzioni”, alla dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’Area alpina compresa tra il Comelico e la Val d’Ansiei, ai sensi degli artt. 136, comma 1, lett. c) e d), 138, comma 3 e 141 del D. Lgs. 42/2004, si è limitato a sostenere che “Quanto poi alla asserita assenza delle motivazioni di urgenza che avrebbero giustificato l’esercizio dell’autonomo potere ex art. 138, non si rinviene alcun riferimento normativo in tal senso”.

[9] La documentazione riguardante la citata Variante del P.I. è consultabile al seguente link https://www.vicenzaforumcenter.it/progetti?id=108178

Si consideri che l’iter della variante in parola ha avuto inizio il 3 dicembre 2019 – con la presentazione al Consiglio comunale del relativo Documento del Sindaco – quindi ben prima dell’avvio del procedimento vincolistico ministeriale.

[10] G. Sciullo, “Il paesaggio fra la Convenzione e il Codice”, in Riv. Giur. Urb., n. 1-2, 2009, pagg. 44 ss.. La parte riprodotta si trova a pag. 52.

[11] Sul rapporto tra il Codice dei beni culturali e paesaggistici ed i siti UNESCO, si veda anche A. Guerrieri, “Corte costituzionale e siti Unesco: quali tutele nel nostro ordinamento? Uno sguardo alla disciplina interna relativa ai beni patrimonio dell’Umanità”, in Riv. Giur. Urb., 2, 2016, pagg. 116 ss..

[12] D.M. 30.08.1956 “Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona sulle pendici del monte Berico, sita nell’ambito del comune di Vicenza”; D.M. 13.06.1969 “Dichiarazione di notevole interesse pubblico di una zona sita nel comune di Vicenza” (compresa tra viale X Giugno, strada della Rotonda, via Riviera Berica e strada della Commenda).

[13] R.D. 17.01.1935, n. 30 “Dichiarazione d’interesse storico nazionale della zona di Monte Berico”; DDR 19.01.2017, “Dichiarazione dell’interesse culturale ex artt. 10, comma 1 e 12, D. Lgs. 42/2004, della Ex Colonia Bedin Aldighieri e relativo parco”.

[14] DM 2.04.1955, DM 24.06.1959, DM 7.07.1965, DM 25.01.1969, DM 27.01.1969, sostituiti dal DDG 11.06.2020, istitutivi del vincolo indiretto a tutela dell’immobile denominato “Villa Almerico, Capra, Conti Barbaran, Albertini, Zannini, Valmarana, detta “La Rotonda””; DDR 21.12.2011, istitutivo del vincolo indiretto a tutela dei complessi architettonici che si affacciano sulla “Valletta del silenzio”.

[15] Tralasciamo, ovviamente, di considerare le aree sottoposte a vincolo ex lege, che nel territorio oggetto della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico qui esaminata si identificano in quelle di cui all’art. 142, comma 1, lett. c), del D. Lgs. 42/2004, ovvero “i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 , e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna”.

[16] Sui rapporti tra la Convenzione di Firenze sul paesaggio ed il Codice dei beni culturali e paesaggistici, alla luce del secondo correttivo (D. Lgs. 63/2008) si rinvia a G. Sciullo, “Il paesaggio fra la Convenzione e il Codice”, in Riv. Giur. Urb., nn. 1-2, 2009, pagg. 44 ss; E. Boscolo, in “La nozione giuridica di paesaggio identitario ed il paesaggio ‘a strati’ “, ivi, pagg. 57 ss.. Di quest’ultimo, anche “Le nozioni di paesaggio. la tutela giuridica di un bene comune (in appartenenza diffusa) tra valori culturali e identitari”, in www.giustamm.it, n. 5/2016.

[17] Tra gli altri, ricordiamo G. Severini, “Culturalità del paesaggio e paesaggi culturali”, in Riv. Giur. Urb., n. 3, 2020, pagg. 666 ss.; D. M. Traina, “Il ventennale della convenzione europea sul paesaggio: un primo bilancio del suo stato di attuazione”, in federalismi.it, n. 30, 2020; D. M. Traina, “Il paesaggio nell’evoluzione del diritto urbanistico”, in Riv. Giur. Urb., n. 3, 2019, pagg. 473 ss.; G. Severini, “L’evoluzione storica del concetto giuridico di paesaggio”, scritto pubblicato nel volume “Il ‘paesaggio’ di Alberto Predieri”, a cura di G. Morbidelli e M. Morisi, 2019; P. Carpentieri, Voce “Paesaggio (dir. amm.)”, in Treccani – Diritto on line, 2018; S. Amorosino, “Il diritto del paesaggio e le categorie generali del diritto amministrativo”, in Riv. Giur. Urb., n. 2, 2011, pagg. 399 ss.; G. L. Conti, “Dal Paesaggio di Predieri ai paesaggi della Convenzione di Firenze”, in www.costituzionalismi.it , 2010.

[18] Rapporto generale di consulenza scientifica (ottobre 2010) coordinato dal prof. Gabriele Paolinelli, con la collaborazione di Simona Olivieri, Antonella Valentini e Paola Venturi.

[19] Adottato con DDR n. 40, del 25.09.2012.

[20] Adottata con DGR n. 427, del 10.04.2013; il testo del citato Documento è rimasto inalterato anche nell’elaborato con identica denominazione, allegato al PTRC 2020, approvato con DCR n. 62, del 30.06.2020, ancorché privato della valenza paesaggistica conferitagli nel 2013.

[21] Oggetto di presa d’atto con DGR n. 2300, del 9.12.2014, di cui costituiscono l’Allegato A.

[22] Oggetto di presa d’atto con DGR n. 699, del 14.05.2015.

[23] Il cui elaborato, denominato Allegato D “Documento per la valorizzazione del paesaggio veneto”, corrisponde peraltro integralmente – salva la diversa sequenza delle parti che lo compongono – all’elaborato denominato B3 “Documento per la pianificazione paesaggistica”, componente della Variante parziale 2013 del PTRC 2009, con attribuzione a quest’ultimo della valenza paesaggistica.

[24] In N. Irti, “Norme e fatti. Saggi di teoria generale del diritto”, 1984, pagg. 45 s., con riferimento all’analisi della struttura interna della norma giuridica, si legge che “Se questa … è un giudizio ipotetico, che ricollega all’accadere di un fatto (azione o situazione) certi effetti giuridici, l’analisi avrà tre distinti temi: il fatto previsto in ipotesi; l’effetto statuito per il verificarsi del fatto; ed il nesso univoco tra l’un termine e l’altro. […] La descrizione normativa del fatto si chiama fattispecie (facti species). Nel linguaggio dei giuristi, è piuttosto comune – anche se non plausibile – contrapporre alla fattispecie astratta, o fatto descritto dalla norma, la fattispecie concreta, o fatto reale corrispondente a quella descrizione. Non plausibile, dicevamo, perché fattispecie è descrizione o schema di un fatto, e il fatto reale non è né uno schema né una descrizione”. Per un approccio “aggiornato” alla nozione di fattispecie si rinvia allo stesso Autore, “La crisi della fattispecie”, in Riv. Dir. Proc., n. 1, 2014, pagg. 36 ss., nonché a G. D’Amico, “L’insostenibile leggerezza della fattispecie”, in Giustizia Civile, n. 1, 2019, pagg. 16 ss..

[25] Sulla c.d. “vestizione” dei vincoli si rinvia alla definizione datane dallo stesso MIBACT, che, ad esempio, nella nota del relativo Ufficio legislativo prot. n. 0019196, datata 25.10.2011, la definisce “trasformazione dei vincoli paesaggistici, dai vincoli “nudi”, cioè meramente perimetrali, in vincoli corredati dall’indicazione di obiettivi, criteri, limiti – in una parola: delle specifiche “prescrizioni d’uso” – necessari per valutare efficacemente la compatibilità con la salvaguardia dei valori tutelati delle singole modifiche del territorio progettate e sottoposte ad autorizzazione”.

[26] Peraltro, attesa l’efficacia vincolistica “anticipata” conferita alla proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dal combinato disposto degli artt. 139, comma 2, secondo periodo e 146, comma 1, del D. Lgs. 42/2004, anche nel caso di proposta unilaterale del MIBACT (combinato disposto degli artt. 138, comma 3 e 141, comma 1), appare ovvio che la completezza della “vestizione” deve esistere fin dalla pubblicazione della proposta ex art. 139, comma 2.

[27] MIBACT, Ufficio legislativo, prot. n. 0007457, dell’11.03.2016.

In dottrina, G. Cogurra, “Conclusioni”, In Istituzioni del Federalismo, Quaderni, n. 1, 2010, pag. 124, “… l’atto impositivo del vincolo paesaggistico, dovendo indicare anche le modalità cui occorre attenersi ai fini della trasformazione del bene tutelato, restringe il campo del merito amministrativo e amplia lo spazio della sindacabilità … della scelta del Comune di rilasciare il nulla osta paesaggistico. Il “vestito” cucito indosso al bene tutelato in sede di imposizione del vincolo diventa così il parametro di valutazione ai fini dello scrutinio della legittimità del nulla osta paesaggistico”.

[28] P. Carpentieri, “La tutela dei beni culturali, paesaggistici e ambientali nelle riforme della legge n. 124 del 2015”, in Riv. Giur. Urb., n. 1, 2016, pagg. 50 s..

[29] E. Guicciardi, “Intervento”, in “Atti del Convegno di Studi giuridici sulla tutela del paesaggio”, Sanremo 8-10 dicembre 1961, Milano, 1963, pagg. 236 ss., citato da C.P. Santacroce, “Sul potere ministeriale di imposizione dei vincoli paesaggistici”, in Riv. Giur. Urb., n. 1, 2011, pag. 123.

[30] Circolare n. 12/2011, pag. 2.

[31] Circolare n. 30/2011, pag. 1.

[32] A cura di Alberto Magnaghi, con scritti di Luciano De Bonis, Maria Rita Gisotti e Riccardo Masoni, Firenze University Press, 2016. Si vedano anche E. Boscolo, “Paesaggio e tecniche di regolazione: i contenuti del piano paesaggistico”, in Riv. Giur. Urb., nn. 1-2, 2008, pagg. 130 ss. e L. Di Giovanni, “La prima forma di pianificazione paesaggistica in Italia: il piano approvato dalla Regione Puglia”, in Riv. Giur. Urb., n. 2, 2015, pagg. 247 ss..

[33] La circolare rileva che “… quanto più un piano paesaggistico provvede ad articolare il territorio, sulla base dell’analisi conoscitiva, in strutture/sistemi di paesaggio e/o componenti del paesaggio e a definire per questi una specifica disciplina d’uso, tanto più sarà facilitata l’attività di ‘vestizione’ del vincolo.

Laddove l’individuazione dei paesaggi presenti sul territorio regionale fosse incompleta (mancanza dell’individuazione cartografica di alcuni tipi di paesaggio o di una classificazione di parti del territorio e quindi delle relative prescrizioni d’uso), sarà necessario procedere ad una ricognizione di tali aree, alla loro valutazione e classificazione e quindi alla definizione delle relative prescrizioni d’uso, secondo la struttura propria di un piano paesaggistico”.

[34] B.1 Struttura idrogeomorfologica / componenti idrologiche e componenti geomorfologiche; B2 Struttura ecosistemica e ambientale / componenti botanico-vegetazionali e componenti delle aree protette e dei siti naturalistici; B3 Struttura antropica e storico-culturale / componenti culturali e insediative, componenti dei valori percettivi.

[35] Suddivisi in “obiettivi generali e specifici”, “obiettivi di qualità paesaggistica e territoriale”, nonché in “azioni e progetti”.

[36] Il sistema delle tutele, articolato in “indirizzi”, “direttive” e “prescrizioni”.

[37] Questo è il testo dell’art. 139, comma 2: “Dell’avvenuta proposta e relativa pubblicazione è data senza indugio notizia su almeno due quotidiani diffusi nella regione interessata, nonché su un quotidiano a diffusione nazionale e sui siti informatici della regione e degli altri enti pubblici territoriali nel cui ambito ricadono gli immobili o le aree da assoggettare a tutela. Dal primo giorno di pubblicazione decorrono gli effetti di cui all’ articolo 146, comma 1 . Alle medesime forme di pubblicità è sottoposta la determinazione negativa della commissione”. Quello del richiamato art. 146, comma 1, è il seguente: “I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’ articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione”.

[38] Ovviamente, nel caso di proposta di vincolo ex art. 138, comma 3, il referente delle osservazioni è il MIBACT, ai sensi dell’art. 140, comma 2.

[39] L’art. 145, comma 4, infatti recita “I comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette conformano o adeguano gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale, entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione. I limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo”. Come si vede, inoltre, la disposizione fa espresso richiamo alle sole previsioni dei piani paesaggistici.

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