1) Quello di retroattività è un concetto diffusamente applicato dai giuristi.

Allo stesso è legata la nozione di annullamento, così ricorrente per chi pratichi, in modo particolare, il diritto amministrativo.

Che, tuttavia, si possano produrre effetti giuridici nel passato, a ben pensarci, è una cosa piuttosto complicata e chi volesse cimentarsi a capire che cosa ciò voglia davvero dire potrebbe trovare delle sorprese inaspettate, tali forse da revocare in dubbio che la stessa retroattività possa, in senso proprio, esistere.

Vorrei dedicare questi appunti al tema. Le riflessioni che svolgerò non modificano i risultati applicativi. Semplicemente li spiegano in modo diverso. Ma, a mio modo di vedere, più persuasivo.

 

2) Per cominciare, bisognerebbe dire che la retroattività non è sempre uguale a se stessa, ma che ne esistono almeno due tipi, cosicché possiamo parlare di retroattività forte e di retroattività debole.

La prima ricorre quando immaginiamo che davvero una norma produca effetti giuridici che vengano ad esistere nel passato: annullata l’espropriazione, il cittadino tornerebbe ad essere proprietario anche nel tempo che fu, come se non  avesse mai cessato di esserlo. Lo stesso vale per una legge che riconosca una data indennità, ad un pubblico dipendente, fin da ieri.

Questa è la tipica, e più appropriata, forma di  retroattività ed è quella a cui si riferisce il divieto generale, previsto dall’art. 11 delle preleggi.

Può avvenire, però, anche una cosa diversa.

E cioè che una data norma produca effetti da oggi e per il futuro, ma sulla base di una fattispecie consumatasi nel passato (o che possa essersi consumata anche nel passato). Si pensi ad una legge con cui si  stabilisca, da oggi in poi, che non possano rivestire certe cariche (Consigliere comunale, regionale…) coloro che, nel passato, abbiano riportato alcune condanne penali. O ad una legge che riconosca, da oggi in poi, certi benefici ai pubblici impiegati che, nel passato, abbiano rivestito determinate posizioni.

Anche una ipotesi del genere, a modo suo, può essere intesa come una sorta di retroattività, perché la norma, nel descrivere la fattispecie presupposta ai fini della propria applicazione, opera una qualificazione giuridica, che consiste, appunto, nel descrivere (normativamente) la detta fattispecie. E poiché detta qualificazione deriva anch’essa dalla legge, è anch’essa un suo effetto. Ma è un effetto che descrive fatti che si sono già consumati nel momento in cui la norma (e la qualificazione della fattispecie che essa reca) viene introdotta.

Questa diversa forma di retroattività, debole appunto (perché le conseguenze giuridiche ricadono tutte nel futuro), non ricade, tuttavia, nel divieto generale dell’art. 11 delle preleggi, cosicché una legge può assumere, a presupposto della propria applicazione, un fatto del passato anche senza dichiararlo esplicitamente, senza la necessità di operare in puntuale deroga dell’art. 11 medesimo. Anche un regolamento – che per ragioni di gerarchia delle fonti non può ovviamente derogare alle preleggi – ben può essere retroattivo in tal senso.

Che sia così è confermato dalla circostanza che l’ordinamento, quando ha voluto escludere la c.d. retroattività debole, lo ha detto espressamente.

Ecco dunque che l’art. 2 del codice penale – già prima che il principio fosse ribadito dall’art. 25 della Costituzione – ha previsto che nessuno possa essere punito (oggi) per un fatto che, al momento in cui fu commesso (cioè nel passato), non costituiva reato. Si tratta dunque di un caso in cui la legge vieta espressamente la retroattività debole e non avrebbe senso prevederlo se la regola per cui “la legge non dispone che per l’avvenire, essa non ha effetti retroattivi” già escludesse, in se stessa, tale forma di retroattività.

 

3) Come abbiamo visto, la retroattività non è un fenomeno unitario: essa può assumere aspetti diversi.

Il problema su cui vorrei avviare una riflessione è, tuttavia, questo: è davvero possibile che gli effetti si producano nel passato (sia quelli della retroattività forte, sia quelli, di qualificazione, della retroattività debole)?

A tale domanda rispondiamo di sì, perché abbiamo, istintivamente, un’idea dell’ordinamento giuridico che forse non è cosciente, ma che finisce ugualmente per influenzarci.

Lo dico subito: questa idea non è in sé sbagliata, ma, se riferita senza alcune precisazioni al tema della retroattività, può indurre in errore.

Essa attiene al considerare il mondo del diritto come una sorta di realtà virtuale.

In effetti, le realità del diritto non hanno consistenza naturalistica. In Natura non esiste l’effetto giuridico; non esistono gli atti giuridici, le leggi, i diritti soggettivi  e i doveri giuridici. Posso mangiare una mela, ma non posso mangiare un dovere giuridico. E non perché il dovere sia cattivo al gusto, ma semplicemente perché non posso toccarlo, afferrarlo, masticarlo. La mela, invece, sì.

Ciò sta a significare che il mondo giuridico, l’ordinamento, è un costrutto della nostra mente (ius positum); esso è una realtà razionalistica; è una realtà alternativa. A modo suo, esso è un sogno della nostra fantasia.

Bene, di questa realtà alternativa noi uomini siamo, in un certo senso, gli Dei onnipotenti e siamo in grado di plasmarla, in astratto, come meglio piace a noi, perché siamo noi ad averla costruita. Lex facit de albo nigrum.

Possiamo perciò immaginare e volere che in quella realtà valgano regole diverse da quelle che valgono in Natura e la nostra volontà è, costì, sia potenza sia azione. Possiamo immaginare, ad esempio, che, nel mondo del diritto, non valgano le regole della termodinamica o che la forza di gravità non esista.

Possiamo anche immaginare di essere in grado di piegare il verso del tempo; che esso non vada solo in avanti, ma che lo stesso possa riavvolgersi anche all’indietro.

Ecco: quando diciamo che un effetto giuridico è retroattivo è esattamente questo che intendiamo dire, quasi senza rendercene conto. Intendiamo dire che, in quella realtà razionalistica che è il Giure, noi facciamo scorrere il tempo in un senso diverso da quello consueto: lo facciamo scorrere all’indietro, anziché avanti.

In altre parole, ci immaginiamo di avere inventato – come in certe pellicole di fantascienza – la macchina del tempo.

È dunque questa la raffigurazione istintiva e inespressa che è immanente rispetto al comune concetto di retroattività.

Ma essa, se acriticamente accettata, ci condurrebbe fuori strada.

 

4) Un tal modo di spiegare le cose andrebbe bene, infatti, se la realtà giuridica vivesse completamente isolata; se essa fosse solo un sogno, come tale incapace di entrare in contatto in alcun modo con la nostra realtà naturalistica. Con il nostro essere persone fatte di carne, di sangue, destinate a vivere per un certo periodo; persone che dormono, che lavorano, che mangiano e che entrano in relazione con altri, altrettanto naturalistici, nostri simili esseri.

Invece, il diritto non è solo un sogno infantile.

Esso è costruito (positum) con uno specifico scopo, che è quello di organizzarci e di regolare la nostra vita. Si badi, tuttavia:  non la nostra vita, come concepita in una realtà virtuale,  ma la nostra vita vera, quella, cioè, che è  collocata nella Storia e nella realtà naturalistica.

Ecco, dunque, che, il diritto, benché realtà razionalistica, regola comportamenti umani, di carattere naturalistico e storico.

Ciò avviene perché convenzionalmente noi vogliamo che sia così e il diritto è inventato proprio a questo fine.

Se su questo siamo d’accordo, la metafora della “macchina del tempo” fatica allora ad essere sostenuta.

In effetti, possiamo anche immaginare che, nella realtà giuridica meramente razionalistica, il verso del tempo possa invertirsi.

Ma quando poi andiamo a calare i risultati di questa nostra costruzione sulla realtà naturalistica e quando cerchiamo di regolare comportamenti che si attuano nella Storia, allora il meccanismo logico si rompe.

Perché, nella Storia e in Natura, la macchina del tempo non esiste e l’uomo non è in grado di invertirne il corso, il quale, per definizione, va sempre avanti e mai indietro.

Se ne ricava che il dire che l’effetto giuridico si produce nel passato non ha senso, perché l’uomo non potrà mai tornare a vivere nel passato e quell’effetto giuridico del passato non potrà in nessun modo regolare comportamenti umani e storici che una persona non è più in grado di tenere.

In altre parole, non ha alcun senso dire che, annullata l’espropriazione, l’espropriato torna ad essere proprietario sin dall’inizio, perché ciò presuppone che egli possa tornare indietro nel tempo e che egli possa tornare a godere, nel passato, delle facoltà tipiche di chi è proprietario. Presuppone che egli possa tornare ad arare, nel passato, il suo campo, che egli possa tornare, nel passato, a passeggiare o a prendere il sole sul terreno che gli era stato espropriato, qualificando detti comportamenti come esercizio del diritto. E cioè come comportamenti leciti.

Ma così non è, perché così non può essere. Possiamo anche dire che l’espropriato torna ad essere proprietario del suo bene nel passato, ma, nella realtà delle cose, nel passato di quel bene ha goduto altri (il beneficiario dell’espropriazione) e non lui.  Né, quanto allo specifico esempio dell’espropriazione, ha senso dire che quell’uomo che, se avesse arato il suo campo nel passato, sarebbe stato nel lecito. Perché, nella realtà, egli, nel passato, non ha mai arato quel campo e non può regredire, nel tempo, per farlo.

Nella realtà delle cose, dunque, il diritto –  con i suoi precetti, con le sue regole e con le sue qualificazioni  -non può che seguire il corso del tempo, così come esso è orientato nella Storia.

Anche il diritto, come la Storia, pertanto, non può che andare avanti nel tempo e mai indietro, perché l’uomo vive oggi e non può tornare a vivere diversamente ciò che egli ha già vissuto.

Insomma, anche in quel nostro mondo di fantasia che è il Diritto, noi non siamo poi così onnipotenti, in ragione degli stessi limiti funzionali che noi stessi abbiamo posto quando abbiamo costruito quella realtà di fantasia.

 

5) Se è così, però; se il diritto non può che regolare eventi attuali o futuri, allora cosa davvero intendiamo dire, quando affermiamo che una certa norma è retroattiva?

Ho l’impressione che altro non stiamo facendo se non introdurre una fictio, la quale, come tutte le fictiones, è una bugia, o, se si vuole essere più cauti, una metafora (che è anch’essa, a modo suo, una bugia).

Stabilito che indietro, nel tempo, non si può tornare, retroattività, in realtà, significa dire che si producono oggi e per il futuro quegli effetti (cioè quei diritti e quei doveri) che un dato soggetto avrebbe, sempre oggi e per il futuro, se nel passato egli fosse stato titolare di altre situazioni giuridiche soggettive (per queste ultime dovendosi intendere quelle situazioni giuridiche che si assumono essersi costituite retroattivamente).

Più precisamente, retroattività (almeno la retroattività forte) significa produzione di situazioni giuridiche uguali alle situazioni giuridiche soggettive dipendenti che si avrebbero oggi se, a suo tempo, fossero esistite altre, e preliminari, situazioni giuridiche soggettive che, invece, non si sono prodotte.

Perciò, è forse improprio sostenere che l’espropriato, il quale veda annullato il provvedimento di espropriazione, torni ad essere proprietario ex tunc. Pare più esatto sostenere che quell’espropriato acquista oggi quegli stessi diritti di cui oggi godrebbe se fosse stato proprietario nel passato. In primis, il diritto al risarcimento del danno, verso colui che abbia occupato illecitamente il bene. E il diritto al risarcimento è appunto una situazione dipendente dall’essere stati proprietari. Solo che, nel caso dell’annullamento dell’espropriazione, non viene ristabilita la proprietà (per il passato), ma la sola situazione giuridica dipendente.

 

6) Se il lettore avrà avuto la pazienza di seguirmi fino a questo punto e immaginando che egli si sia fatto persuaso della fondatezza di quanto ho sostenuto, ecco allora che è altrettanto improprio dire sia che l’annullamento incide direttamente sugli effetti dell’atto facendoli venire meno, sia sostenere che l’annullamento opera sull’atto stesso (facendo sì che l’atto, da annullabile, venga trasformato in atto inesistente: an – nullare).

Entrambi questi modi di spiegare cosa sia l’annullamento presuppongono, invero, che una vera e propria produzione di effetti giuridici nel passato ci sia pur sempre stata ad opera dell’annullamento stesso, vuoi perché l’annullamento eliminerebbe davvero retroattivamente gli effetti giuridici, vuoi perché l’annullamento farebbe diventare retroattivamente inesistente l’atto. Ma, per le ragioni che ho cercato di sostenere, così non può essere.

A me pare, invece, più convincente sostenere che l’annullamento – quanto ai suoi effetti c.d. retroattivi –  altro non sia se non una forma di ricostruzione giuridica in termini di equiparazione.

L’annullamento, cioè, attribuisce oggi, ai destinatari dell’atto che ne è fatto oggetto, quegli stessi diritti e quegli stessi doveri che costoro avrebbero avuto nell’ipotesi, in realtà non attuatasi, che l’atto non fosse mai esistito. E questi diritti e questi doveri sono, appunto, le situazioni giuridiche soggettive dipendenti dalle preliminari situazioni giuridiche su cui l’atto giuridico aveva inciso, estinguendole o modificandole.

Con il che, come si vede, le conclusioni applicative non cambiano, ma forse avremmo un’idea meno imprecisa di che cosa significhi annullare.

Questo,  quanto alla retroattività c.d. forte.

Quanto alla retroattività debole, la differenza, a mio modo di vedere, sta nel fatto che qui non si vengono a creare situazioni giuridiche uguali a quelle che sarebbero dipendenti da altre situazioni del passato.

Limitandosi la norma ad assumere come presupposto di applicazione una fattispecie storica formatasi nel passato, ed effettivamente verificatasi, le situazioni giuridiche che si producono, nel caso di retroattività debole,  sono primarie e non dipendenti da altre.

Qui, a ben vedere, di vera e propria retroattività non si potrebbe parlare neppure accettando la tesi che l’ordinamento giuridico possa volgersi indietro nel tempo. Perché il passato non incide  nell’operazione di qualificazione giuridica (cioè nella attribuzione di rilevanza giuridica alla fattispecie presupposta e cioè negli effetti) che avviene anch’essa oggi e da oggi, ma nell’oggetto stesso della rilevanza, che, naturalisticamente, è già avvenuto e di cui viene accertata, sempre oggi, la sua storicità nel passato.

 

In cauda. Mi rendo conto che l’argomento qui affrontato richiederebbe ben altra trattazione. Mi sono permesso di affrontarlo, così incautamente, per due ragioni. La prima, meno importante, consiste nel fatto che queste sono cose su cui penso da circa trent’anni, cosicché mi viene spontaneo affrontarle con colpevole e spregiudicata leggerezza. La seconda, più importante, consiste nel fatto che l’argomento era “venuto fuori” nel corso di una conversazione con uno dei Colleghi del Foro che più stimo e apprezzo. Il discorso era riuscito a tal punto interessante che mi sono convinto di volerlo ricapitolare in forma pubblica.

Francesco Volpe

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