Con la nuova legge (n. 13 del 16.03.2018), in materia di attività di cava, la Regione Veneto prosegue il distacco, dai criteri e dalla impostazione della vecchia e gloriosa L.R. 82/44, iniziato in sordina con l’art. 95 della L.R. 2016/30 che ha statuito in nome di un più ridotto consumo del suolo, il blocco dell’estrazione delle sabbie e ghiaia, a vantaggio dello stoccaggio dei materiali similari provenienti dalla realizzazione di opere pubbliche e/o di pubblica utilità.

In questo tentativo di innovazione viene abbandonata la scelta di privilegiare la collocazione delle cave nell’ambito agricolo di ciascun comune interessato, nei limiti minimi del 3% della relativa zona E, demandando al PRAC (Piano Regionale delle Attività Estrattive) la individuazione delle aree potenzialmente indiziate dalla presenza di giacimenti suscettibili di coltivazione. Viene, nel contempo, semplificato il sistema di pianificazione, non più a diversi livelli, affidati alle Province ed all’apporto dei Comuni, limitato invece ad un’unica fonte di regolamentazione settoriale, costituita per l’appunto dal PRAC, munito dalla capacità di incidere, con riguardo al proprio ambito oggettivo, sui criteri di dettaglio del PTRC.

Viene, altresì, abbandonato un disegno progettuale normativo iniziale che differenziava la competenza al rilascio delle autorizzazioni, a seconda dello specifico materiale da estrarre tra Regione e Province, attribuendo alla sola Regione l’adozione del titolo idoneo allo sfruttamento. E ciò non solo quale conseguenza dell’abolizione (parziale) delle Province, ma soprattutto in ragione di una maggiore competenza tecnica dell’apparato regionale, d’altro canto sollevato dall’incombenza di pressioni politiche e/o imprenditoriali, essendo l’ampliamento delle cave di fatto subordinato alla presenza o meno del giacimento minerario, a priori individuato.

In quest’ottica risulta del pari semplificata la procedura di rilascio dell’autorizzazione estrattiva che presuppone, come viatico normale, il passaggio in conferenza dei servizi convocata nel rispetto della L.N. 1990/241, previa sottoposizione (se necessaria) alla disciplina vigente in tema di valutazione di impatto ambientale.

Fatte queste premesse, muovendo dalla griglia dei singoli articoli che compongono, la L.R. 2018/16, avvalorato il principio della riduzione del consumo del suolo (art. 1), vengono in primis individuati gli interventi non riconducibili all’attività di cava al fine di evitare sovrapposizioni o interferenze tra la disciplina estrattiva, quella urbanistica e quella propria delle opere pubbliche o di regimazione delle acque demaniali.

In particolare per quanto concerne gli scavi funzionali alla realizzazione di opere pubbliche e/o private, viene consentita la commercializzazione del materiale escavato purchè non superi il volume di 100.000 mc. Varcata tale soglia, lo scavo e la commercializzazione del relativo materiale soggiacciono alla disciplina delle cave.

Il che ovviamente pone il problema della necessità o meno del rilascio in concomitanza con il titolo edilizio, del titolo autorizzatorio ed in quale fase lo stesso sia acquisibile e, cioè, anteriormente o posteriormente all’escavo, purchè prima della commercializzazione. Il tutto dimenticando i tempi che accompagnano il rilascio dell’autorizzazione all’escavo difficilmente compatibili con la programmazione e realizzazione di un’opera pubblica e/o privata.

In quest’ottica di raffronto con la dinamica della realizzazione delle opere pubbliche (sempre all’art. 2) viene valorizzato il riutilizzo in cava delle terre e rocce da scavo.

Nel contempo la disciplina dei miglioramenti fondiari (art. 3) mantiene l’impostazione contenuta nella vecchia L.R. 82/44 consentendo un asporto di materiale purchè inferiore a 5000 mc per ettaro.

 

Il PRAC

Guardando alla pianificazione regionale di settore, semplificata come si è detto il PRAC, è approvato dal Consiglio regionale.

Analoga procedura è osservata per l’introduzione di varianti sostanziali mentre quelle che non incidono sui criteri informatori sono demandate alla Giunta regionale.

Il PRAC ha una durata illimitata, ancorché venga preconizzata una revisione quinquennale.

 

Il progetto di escavo e l’autorizzazione

Delineati i criteri e contenuti dello strumento di pianificazione il legislatore regionale introduce le fasi che concernono più strutturalmente l’attività estrattiva ed il relativo titolo. Il progetto di cava ricomprende sia il momento estrattivo sia quello ricompositivo. Quanto a quest’ultimo, l’obiettivo principale consiste nella restituzione del bacino minerario, una volta esaurito, all’attività agricola la quale, per le cave di sabbia e ghiaia, il cui fondo sia collocato ad una profondità inferiore a 10 mt dal livello di massima escursione della falda, dovrà essere condotta “esclusivamente secondo il protocollo dell’agricoltura biologica”.

Viene, del pari, previsto che il progetto di ricomposizione consenta la realizzazione di bacini di laminazione o di accumulo, attestati in ordine alla loro utilità, dall’autorità idraulica.

La norma (art. 9) dispone, altresì, che venga costituita a titolo gratuito, una servitù di allagamento ovvero la cessione delle opere di accumulo al patrimonio indisponibile della Regione.

Non si comprende, se tale ultima operazione, debba anch’essa intendersi gratuita.

Nell’uno e nell’altro caso la disposizione acquisitiva appare censurabile per contrasto con i principi costituzionali che salvaguardano, anche sotto il profilo economico, la proprietà privata.

Scendendo ulteriormente nel dettaglio i termini per la coltivazione sono contenuti nell’autorizzazione (il relativo progetto va notiziato oltre che ai Comuni interessati ed a quello/i confinanti la cui viabilità sia interessata dai lavori di coltivazione). Essi non possono essere superiori a vent’anni; l’eventuale proroga viene, per lo più limitata ad una sola volta, per una durata non superiore alla metà dell’autorizzazione originaria (art. 12, terzo comma).

Viene, quindi, molto limitata rispetto al passato, la possibilità di dilazionare i lavori estrattivi essendo gli stessi ragguagliati sin dall’inizio alla consistenza del giacimento minerario e non volendosi esporre i cittadini ai disagi prolungati dell’attività estrattiva. Limitazione che trova un temperamento nell’introduzione dell’istituto del rinnovo del titolo autorizzatorio (vedasi art. 16).

 

Onerosità dell’autorizzazione

Il nuovo legislatore non accentua la onerosità, del titolo autorizzatorio subordinato al versamento di apposito contributo che è posto a favore non solo dei comuni interessati dalla presenza dell’intervento estrattivo in proporzione della rispettiva incidenza territoriale, ma anche di quelli confinanti, (gravati da percorsi viari funzionali alla cava) nella misura, in quest’ultimo caso, massima del 30%. In luogo dell’erogazione monetaria del contributo sono consentite, previa convenzione, opere di mitigazione ambientale ed urbanistiche le quali, una volta ultimate, saranno acquisite al patrimonio del Comune.

In aggiunta al contributo da corrispondere monetariamente al Comune (ovvero ai Comuni) è previsto un versamento a favore della Regione pari al 15% di tale ammontare (l’appannaggio regionale viene così ridotto rispetto al dettato dell’ 11 comma dell’art. 95 – ora abrogato – della L.R. 2016/30).

La estinzione della cava è fatta discendere oltre che, in principalità, dal compimento dei lavori estrattivi, anche dalla previsione, sulla scorta dello strumento urbanistico vigente, di interventi  di opere pubbliche o private da realizzare sull’area del bacino estrattivo. Si tratta, quindi, di una procedura di estinzione anticipata.

L’estinzione della cava, anticipata o meno, comporta ad ogni buon conto, l’onere della eliminazione degli impianti di lavorazione esistenti e realizzati, previo titolo edilizio. Se ne ammette la conservazione, oltre che nell’ipotesi di intervenuta conformità alle sopravvenute prescrizioni dello strumento urbanistico, allorquando siano valutabili quali pertinenze tecniche di altre cave adibite alla lavorazione del medesimo materiale.

Il legislatore ha, quindi, optato per una via mediana tra l’eliminazione e la conservazione degli impianti, consapevole che il loro trasferimento si traduce nel consumo di altre porzioni del territorio in contrasto con il principio della sua salvaguardia ed integrità.

Sarebbe stato sufficiente per giungere ad un risultato più confacente che, in sede di pianificazione, il giacimento suscettibile di sfruttamento fosse sin da subito inserito in a zona D dal PRAC, e attraverso quest’ultimo a cascata, nel locale PRG.

Non si tratta dell’unica omissione.

La Regione avrebbe dovuto individuare i materiali ritenuti strategici (ad esempio marmorino) che per la loro unicità ed il rilevante utilizzo nell’ambito sanitario, alimentare, della cosmesi meritano una specifica tutela eliminando e attenuando i vincoli e/o prescrizioni che coinvolgono l’estrazione dei minerali tradizionali. E ciò in analogia con la disciplina introdotta nel proprio PRAE dalla Regione Friuli – Venezia Giulia.

In quest’ottica appare significativo il tentativo di consentire nell’ambito del parco dei Colli Euganei coltivazioni di trachite in deroga alle limitazioni ex L.N. 29.11.1971 n. 1097, favorendo modalità estrattive all’avanguardia, per lo più in sotterraneo, che riducono gli impatti ambientali.

 

Vigilanza e sistema sanzionatorio

Nulla è mutato in tema di vigilanza sul regolare svolgimento dei lavori, riservata, come per il passato, ai Comuni interessati che possono avvalersi del supporto operativo di Arpav, operando d’intesa con la Provincia di riferimento.

Al contrario non soddisfacente appare il riferimento al procedimento sanzionatorio delle irregolarità estrattive.

Il nuovo legislatore, salvo quantitativi volumetrici di scarsissimo rilievo, non ha saputo o voluto, distinguere tra abusi perpetrati senza titolo e cioè, in mancanza di debita autorizzazione e quelli anche sostanziali esperiti violando il titolo rilasciato ma, comunque, nell’ambito del perimetro estrattivo licenziato. Laddove l’entità della sanzione statuita (art. 28), aggravata dal moltiplicatore (sestuplicazione) del valore del materiale, definito dai mercuriali locali, avrebbe dovuto consentire di distinguere la natura degli abusi commessi e conseguentemente l’ammontare della sanzione da applicare.

Il tutto, comunque, dimenticando che l’escavo di una cava presuppone l’impiego di mezzi di notevoli dimensioni che operano senza la possibilità, pur adottando i più idonei accorgimenti, di evitare scostamenti anche minimali rispetto agli indici planimetrici definiti nel progetto.

Viene, anzi, prevista una specifica sanzione per l’asporto del materiale associato in difformità dell’autorizzazione e destinato alla ricomposizione ambientale (art. 28 comma 5).

 

Norme transitorie e finali

Il titolo Vi – Norme transitorie e finali – dispone, per i procedimenti di cava pendenti all’entrata in vigore della nuova legge, l’applicazione delle disposizioni vigenti alla data in cui questi sono sorti (art. 30). L’articolo 31 disciplina, invece, il regime transitorio da applicarsi all’istruttoria di nuove domande di rilascio di autorizzazione per cave di sabbia e ghiaia, presentate dalla data di entrata in vigore della nuova legge e fino all’entrata in vigore del PRAC. Dette istanze saranno istruite secondo le disposizioni dell’art. 95 della legge regionale n. 30 del 2016, a tale specifico fine recepite dalla nuova legge. Il comma 2 del medesimo articolo pone tassativi criteri per il rilascio di autorizzazioni per l’attività di cava per l’estrazione di materiali diversi da sabbia e ghiaia, nelle more dell’entrata in vigore del PRAC. E, comunque, in ciascuna delle ipotesi contemplate dall’art. 31 valgono le prescrizioni dettate per la ricomposizione ambientale dall’art. 9 della nuova disciplina e, in pianura, alla fine dei lavori di ricomposizione ambientale l’inclinazione delle scarpate di cava rispetto al piano orizzontale non può avere un angolo superiore a 25 gradi.

Si tratta, per concludere questa breve analisi, di una legge che, nonostante il lungo travaglio cui è stata sottoposta, appare perdersi in dettagli minuziosi molto lontani dalla realtà operativa. Si è preferito trascurare le più accorte ed equilibrate istanze della componente imprenditoriale, marginandone gli apporti collaborativi.

Franco Zambelli

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