Il sentire del foro amministrativo porta a dire che i nostri clienti (funzionari, amministratori locali e non, rappresentanti di società pubbliche, ecc.) hanno salutato con favore, quasi con un moto di sollievo, le novità introdotte dal D.L. “semplificazioni” in materia di abuso d’ufficio e di illecito contabile. Va ripetuto una volta di più che non deve mettere radici la  convinzione fallace che sino al 31 dicembre 2021 si possa operare con una scioltezza inedita, con una libertà sconosciuta. Però, se registriamo questa sensazione di liberazione o di alleggerimento, vuol dire che qualcosa non funziona a dovere, quantomeno nel percepito, e che si avverte il disagio proprio di ciò che non va. Questo non significa certo che la risposta data con il D.L. n. 76 sia quella giusta ma certamente vuol dire che dobbiamo porci il problema. L’avvocatura come cinghia di trasmissione tra la società e le istituzioni, forse la più stretta e la più diretta, deve interrogarsi su questo. Io dichiaro subito la mia preferenza chiarendo di aver a mia volta salutato con favore la riforma in materia di responsabilità erariale introdotta dall’art. 21, pur non nascondendomi certi evidenti punti critici (prima di tutto i motivi, che non è dato di capire, del “perché” la riforma dell’abuso d’ufficio sia a regime e la riforma del danno erariale sia invece a tempo determinato). Ma – appunto – ci dobbiamo porre domande specifiche sulle ragioni del disagio di cui si parlava, sulle cause delle pesantezze, degli aggravi da cui si presume di essersi divincolati. E, per riprendere l’invito che ci lanciava questa mattina il Presidente Bigolaro ad un confronto propositivo, che non si appiattisca solo su quelle che c’è ma che guardi anche a quello che potrà essere,  penso che il limite della semplificazione introdotta sia quello di fermarsi sul piano sostanziale e non sconfinare, come invece è successo nel campo degli appalti, anche nell’ambito processuale. Larga parte del malessere di cui parlavo e che rileviamo è legato – a mio parere – al modo o ai modi di condurre la fase pre-processuale del giudizio contabile, in particolare l’attività istruttoria della Procura, e agli esiti di questa attività.  Capita che ente e amministratori stiano sotto la gogna di indagini ampie, spesso sul filo della lievità della colpa, che poi approdano ad un proscioglimento giudiziale magari con cospicue spese legali a carico dell’Amministrazione per pagare gli avvocati degli assolti. Senza indulgere in fantasie riformistiche, anche perché ci troviamo a valle di un recente intervento di nuova codificazione del processo  contabile con il D.Lgs. n. 174 del 2016, vi è lo spazio per tre piccole riforme semplici ed efficaci: 1) estendere al giudizio erariale il controllo giudiziale sull’avvio ma soprattutto sul mancato avvio dell’azione, dando al Giudice potere di imposizione di supplemento di istruttoria o di imputazione coattiva. Si supererebbe con questo una sorta di unicum nel nostro ordinamento – una pubblica accusa sciolta da controlli sull’esercizio dell’azione – in fondo assimilando il sistema a quello della giustizia penale date le affinità tra le due giustizie (sottolineate anche con riguardo alla riforma del dolo introdotta sempre dall’art. 21 da intendersi in senso penalistico e non civilistico, come puntualizza nitidamente la relazione illustrativa del decreto); 2) una presenza in giudizio dell’Ente leso, perché se da un lato la spersonalizzazione dell’accusa interpretata dalla Procura è pensata per assicurare imparzialità, dall’altro non è concepibile che l’Amministrazione che si ritenga danneggiata sia costretta a vivere il giudizio come evento terzo, tanto più che l’Ente sarà tenuto a rifondere le spese di causa se l’azione della Procura si rivelerà infondata. L’assenza dell’Ente è in fondo un reliquato di derivazione sabauda che si giustificava quando il Procuratore era Procuratore del Re e rispondeva solo ad esso mentre ora conosciamo le varie articolazioni della Repubblica di cui ci parla l’art. 114 Cost. e l’autonomia finanziaria  sancita per gli enti locali dall’art. 119; 3) una diversa regolamentazione delle spese di soccombenza rispetto a quanto viene previsto dall’art. 31 del D.Lgs. n. 174 il cui secondo comma dispone che con la sentenza che esclude la responsabilità amministrativa il giudice liquida a carico dell’amministrazione d’appartenenza gli onorari e i diritti spettanti alla difesa; non è possibile che l’Ente locale rimasto estraneo al giudizio debba venire condannato a rimborsare le spese al suo funzionario infondatamente accusato dalla Procura e prosciolto dalla Corte. Ecco tre idee – verifica giudiziale dell’attività dell’accusa, partecipazione dell’Amministrazione e adeguata disciplina della soccombenza – che a ben vedere si tengono insieme, che possono essere utili per accompagnare una semplificazione del quadro anche processuale relativo alla responsabilità contabile e che aiuterebbero il mondo amministrativo a guardare con maggiore empatia alla giurisdizione contabile. Poi certo non deve sfuggire che la riforma prospetta problemi applicativi e induce effetti pratici di non poco momento. Diventerà ricorrente nella dinamica processuale lo scontro tra Procura e difensori sulla esatta qualificazione della fattispecie, nel senso che la Procura, per vedere perseguite determinate fattispecie in cui la prova del dolo diventa ardua, cercherà giocoforza di enfatizzare gli aspetti omissivi e sappiamo che la complicazione normativa del nostro paese, la congerie di norme e previsioni che dettano obblighi, oneri, incombenti, costituisce un viatico eccellente verso questo fronte, consentendo di individuare accanto ad una azione anche sempre una omissione, una inerzia, una mancanza. Alcuni magistrati contabili hanno già sostenuto, non a caso, che la riforma sdogana per le condotte omissive la colpa lieve (cfr. L. D’Angelo, Il “nuovo” dolo erariale nelle prime decisioni del giudice contabile, in Lexitalia, settembre 2020). E facendo un passo più avanti occorre essere consapevoli della possibilità che il togliere alla giurisdizione della Corte dei Conti non significhi dare in  abbondanza all’A.G.O. dove esiste la clausola generale del neminem laedere e non la limitazione dell’elemento soggettivo al dolo o alla gravità della colpa. Peraltro, come ci ha ricordato il prof. Domenichelli le Sezioni Unite Civili non mancano di rammentarci la procedibilità di azioni concorrenti, sia esperita dalla Procura contabile, sia esercitata dall’Ente in sede civile. Si ha – in ultima analisi – la sensazione che si tratti di una riforma che chiama altre riforme, magari anche altrettanto laconiche e operative, e che soprattutto andrà vigilata con grande attenzione nei suoi sviluppi applicativi perché in modo aberrante non produca un incremento della paura del fare più che una sua decrescita.

Riguardo alla potenziale concorrenza di giudizi diversi sulla medesima fattispecie mi permetto una ulteriore chiosa. Mi pare che tutti noi operatori nel mondo della giustizia e dell’amministrazione ci si senta come esposti ad un vuoto, ad una mancanza sempre più erosiva di certezze, ad un pragmatismo senza prospettive a lungo termine che alimenta sempre nuove inquietudini. Non voglio deragliare verso la sociologia o la psicologia sociale ma credo che nell’incertezza di fondo nell’operare vada ricercata la ragione  intima della stasi del sistema. Per non cedere ad alcuna drammatizzazione apocalittica della situazione è chiaro che tanti spunti e indicazioni uscite oggi vanno sicuramente in  tale direzione. E dobbiamo coltivare il valore della certezza, della prevedibilità delle decisioni, forse riscoprirlo visto che per decenni si sono ascoltate le sirene di chi diceva che la certezza è nemica della giustizia e che la certezza ha un costo terribile perché sacrifica la creatività. Promuovere interpretazioni stabili e prevedibili, far si che gli uomini e le donne possano contare su ciò che verrà significa porre la giurisdizione a servizio del cittadino, più che dei giuristi o dei giudici. Ci viene detto che il nostro sistema è passato dal principio della unicità della giurisdizione a quello dell’autonomia delle giurisdizioni ma è indispensabile assicurare un principio di coerenza e di non contraddittorietà tra accertamenti giurisdizionali diversi. In questo senso sarebbe opportuno che l’eventuale formazione del giudicato non operi più in maniera unidirezionale  (come prospetta l’art. 654 c.p.p.) e che vi sia una corrispondenza biunivoca. Quando un  accertamento vi è stato, sia avvenuto nel contraddittorio e nell’identità delle parti non vi è motivo per negare questa corrispondenza. Non è accettabile che si partoriscano verità diverse solo perché appartenenti ad ordini diversi.

Enrico Gaz

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