Già la Costituzione, nel 1948, all’articolo 44, aveva previsto la necessità di “conseguire il razionale sfruttamento del suolo ”.

Ma la stessa disciplina della Legge Urbanistica del 1942 e -quindi- le necessità correlate ai post eventi bellici (“piani di ricostruzione”), la mancanza, a lungo, in molti Comuni, di strumenti di pianificazione (specie “seri”) ed il c.d. “boom” edilizio -correlato a quello economico- degli anni ’60 e ’70 dello scorso secolo, vuoi sotto il profilo residenziale che produttivo, avevano, quantomeno di fatto, spinto sempre a nuove edificazioni, di sovente disordinatamente, senza pensare che così il suolo andava -spesso malamente- consumandosi.

E solo a partire dal 1978 iniziarono e via via crebbero le agevolazioni procedurali (con titolo edilizi più “semplici”) ed economiche per favorire gli interventi anche sull’esistente.

Ma si è sempre trattato di modalità per interventi -sostanzialmente di natura edilizia- da effettuare (e, quindi, per lo più, di espansione). Anche se, a partire dal 1992, con i varii programmi miranti alla riqualificazione urbana, si iniziò a pensare seriamente, sotto il profilo urbanistico, ad interventi che, inevitabilmente, oltre a migliorare le città, avrebbero comportato un risparmio nel consumo del suolo (anche se ancora non lo si diceva e ciò non rientrava, quindi, tra le finalità nominatim indicate dalla norma).

Solo nel 2004, per la prima volta, in una legge, si parlò di “consumo” del territorio. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs. n.42 del 2004), invero, e non a caso in quella sede, all’articolo 135, 4°  comma, lettera c), stabilì, infatti, che, i piani paesaggistici devono definire apposite prescrizioni e previsioni ordinate in particolare “alla salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche degli ambiti territoriali, assicurando, al contempo, il minor consumo del territorio”.

E con l’articolo 6, 2° comma, della legge n. 10 del 2013 (“Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”) si precisò che “ai fini del risprmio del suolo e della salvaguardia delle aree comunali non urbanizzate, i comuni possono…prevedere particolari misure di vantaggio volte a favorire il riuso e la rioganizzazione degli insediamenti residenziali e produttivi esistenti, rispetto alla concessione di aree non urbanizzate, ai fini dei suddetti insediamenti”.

Ma su questa strada non si sarebbe forse proceduto adeguatamente se non vi fosse stata la spinta delle Istituzioni europee.

Dopo che, già nel 1972, “la Carta Europea del suolo” aveva chiarito che “il suolo è una risorsa limitata che si distrugge facilmente”, invero, in una Comunicazione del 2011 e nel Documento di lavoro dei servizi della Commissione Europea del 15 maggio 2012, contenente “Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo”, si è indicato, come obiettivo per il consumo dello stesso, quello di giungere a “quota zero entro il 2050”.

Ed a questo orientamento il legislatore italiano ha deciso di adeguarsi: ma i disegni di legge in tal senso predisposti non sono mai giunti a compimento, anche se la necessità di procedere al riguardo è ben nota.

Basti pensare che, nel presentare al Parlamento il primo progetto di legge al riguardo, il Ministro dell’Ambiente, Galletti, nel 2015, notò espressamente che “il consumo del suolo rappresenta, come è noto, un problema reale per l’Italia, dalle dimensioni preoccupanti…Ogni secondo questo Paese ha perso negli ultimi anni, e continua a farlo, tra i 6 e i 7 metri quadrati. Parliamo di una cifra enorme: il 7% circa del suolo nazionale…Il nuovo consumo di suolo ha inciso prevalentemente sulle aree agricole…e il 19% del consumo del suolo ha distrutto, per sempre, aree naturali, e deturpato una parte non irrilevante delle coste italiane. Questo utilizzo sfrenato della risorsa suolo comporta un costo ambientale evidente ”.

Ed il Ministro ha conseguentemente evidenziato che bisogna valorizzare “i principii del riuso e della rigenerazione urbana, vincolando gli enti territoriali a queste due direttrici nella loro pianificazione territoriale…traguardo ambizioso ma raggiungibile: consumo netto zero da raggiungere entro il 2050, secondo gli obiettivi cui l’Unione Europea aspira”.

Ma occorre, ha evidenziato opportunamente il Ministro “la fissazione di definizioni chiare ed al contempo precise. Sappiamo che molti dei disastri urbanistici ed edilizi del nostro paese si fondano su leggi incerte e ambigue, su interpretazioni opinabili. Il consumo scriteriato di suolo rappresenta dunque un deficit culturale da sanare, un danno economico e sociale, un retaggio di un’economia lineare che certo è servita in alcuni passaggi difficili della nostra storia per risollevarci, ma che oggi non può essere modello per guardare con fiducia a un futuro di crescita. Non possiamo più permetterci di consumare nuovo territorio. Di cementificare e non di rigenerare. Di sprecare e non riutilizzare…:valorizzando invece nel modo più sostenibile, senza rinunciare allo sviluppo, il territorio unico al mondo per eccellenze agricole, paesaggistiche, naturalistiche e ambientali”.

Ma se lo Stato ancora non è riuscito, con leggi, a dar corso  a quanto dal Ministro evidenziato e ad attuare quanto indicato dalle Istituzioni europee, molte Regioni ne hanno invece ripreso, sia pur in modo assai diverso tra di loro, taluni contenuti.

Così ha fatto anche il Veneto –dopo che già con la L.R. n. 50 del 2012 aveva affermato la necessità di “risparmio di suolo, incentivando il recupero e la riqualificaizione urbanistica di aree e strutture dismesse e degradate”- con la L.R. n. 14 del 2017 (“Disposizioni per il contenimento di consumo del suolo”): che con la successiva Deliberazione della Giunta Regionale n. 668 del 15 maggio 2018, ha, tra l’altro, fissato “la quantità massima di consumo di suolo ammesso” (nel tempo e con la gradualità stabiliti, da verificare almeno ogni 5 anni) nel territorio regionale, “in coerenza con l’obiettivo comunitario di azzerarlo entro il 2050” (limitandolo agli “ambiti di urbanizzazione consolidata”) e stabilito “la sua ripartizione per ambiti comunali e sovracomunali omogenei”. Tutto ciò con l’obbligo per i Comuni di adeguarsi alla stessa, fissando anche gli interventi di riqualificazione e rigenerazione urbana.

E la Regione ha continuato (per limitarsi all’essenziale) con la L.R. 4 aprile 2019, n. 14 (“Veneto 2050: politiche per la riqualificazione urbana e la rinaturalizzazione del territorio”). Si tratta di una legge sotto certi profili “rivoluzionaria”: in primis per quanto attiene ai “crediti edilizi da rinaturalizzazione”, determinati dalla demolizione dei manufatti incongrui e -appunto- dalla rinaturalizzazione del suolo dagli stessi occupati e liberamente commerciabili.

A queste leggi hanno fatto seguito le attuative DGR n. 668 del 15 maggio 2018 (“Individuazione della quantità massima di consumo di suolo ammessa nell territorio regionale”) e 263 del 2 marzo 2020 (“Regole e misure applicative ed organizzative per la determinazione e circolazione dei crediti edilizi” da rinaturalizzazione) e la L.R. 30 giugno 2021, n. 19 (“Semplificazioni in materia urbanistica ed edilizia per il rilancio del settore delle costruzioni e la promozione della rigenerazione urbana e del contenimento del consumo del suolo -<<Veneto cantiere veloce>>”).

L’impegno del legislatore regionale c’è stato, dunque: ma le difficoltà sono tutt’altro che trascurabili. E l’evidenzia il “Dossier dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) sul consumo del suolo”, che chiarisce come il Veneto continui con l’aumento dello stesso.

Se queste sono le linee generali –specie urbanistiche- per la difesa del suolo, grazie alla riduzione, fino all’eliminazione, del suo consumo, è evidente che particolare attenzione dev’esser ulteriormente data a quella parte del suolo che è paesaggisticamente vincolata per il suo “notevole interesse pubblico”.

Così, il Codice dei beni culturali e del paesaggio ribadisce, ripetutamente, fin dall’articolo 1 (dove il concetto viene ripetuto ben 3 volte, tra i principii), che del patrimonio culturale deve essere da tutti –Stato, Regioni, enti territoriali, altri soggetti pubblici e privati- assicurata e garantita la “conservazione”, secondo le modalità dal Codice stesso indicate, e la “valorizzazione”, che comprende altresì la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati.

E precisa che, in ordine alla tutela (e, quindi, alla difesa) del paesaggio, occorre “riconoscere, salvaguardare e, ove necessario,recuperare i valori culturali che esso esprime ” (articoli 131 e 133).

Per far ciò, il territorio regionale deve essere “adeguatamente salvaguardato, pianificato e gestito” (art. 135) ed il piano paesaggistico (articolo 143) –di cui, ahimè, solo 5 Regioni si sono finora munite- per difenderlo, deve individuare i fattori di rischio e gli elementi di vulnerabilità del paesaggio e gli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate: e “può individuare” –ma meglio sarebbe stato dire: “deve”- “anche linee guida prioritarie per progetti di conservazione, recupero, riqualificazione, valorizzazione e gestione di aree regionali, indicandone gli strumenti di attuazione, comprese le misure incentivanti”.

Il da farsi, dunque non è poco se si vuole davvero difendere il paesaggio, valorizzarlo e –nel contempo- farlo “rendere” col turismo: come già cento anni fa nella sua Relazione al Senato del Regno, illustrando quella che sarebbe divenuta la prima legge organica di difesa di ciò che oggi chiamiamo paesaggio (la legge 11 giugno 1922, n. 778), sottolineò il Ministro Benedetto Croce, affermando che la tutela e la difesa delle bellezze naturali risponde ad “alte ragioni morali e non meno importanti ragioni di pubblica economia”!

Ed altrettanto significativo dovrà essere ora l’impegno per la difesa dell’ambiente: dopo che, integrando l’articolo 9 della Costituzione (con la prima modifica, mai finora avvenuta e ritenuta un tempo impensabile ed impossibile, ad uno dei principii fondamentali della stessa!), che già tutelava il paesaggio, la legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1 ha precisato -segnando un decisivo iato tra ambiente e paesaggio ed evidenziando una parità di “valore” tra i due- che la Repubblica “tutela l’ambiente” -di cui pure , in ordine alla sua difesa, gli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 152 del 2006 sono volti “ad assicurare la tutela ed il risanamento del suolo”-, “la biodiversità e gli ecosistemi” (anche se non è facile comprendere in cosa questi si differenzino tra di loro e con l’ambiente!).

Marino Breganze de Capnist

*Introduzione al Seminario su “Paesaggio e difesa del suolo”, tenuto nell’ambito del Corso di Alta Formazione “Diritto del paesaggio: attualità e prospettive” (Università di Padova, 25 marzo 2022).

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