Il recentissimo decreto- legge 31 maggio 2021, n. 77, titolato “Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”, contiene alcune misure di grande interesse riguardo alle azioni di tutela idrogeologica del paese. La messa in sicurezza dei territori fragili costituisce uno degli assi portanti del Piano a cui sono destinate risorse ingenti per la progettazione e la realizzazione di opere di contrasto al dissesto in essere. Come sappiamo, nelle zone alpine e prealpine le procedure di approvazione e di attuazione dei lavori pubblici trovano un notevole aggravio per la diffusa soggezione dei terreni al vincolo ambientale nonché per la rilevanza dei luoghi considerati ai fini della protezione idraulica del territorio. Nell’intento di snellire l’evasione delle pratiche e favorire l’attuazione delle opere l’art. 36 del decreto-legge n. 77 prevede che le attività di manutenzione straordinaria e di ripristino delle opere di sistemazione idraulica forestale in aree montane e collinari ad alto   rischio idrogeologico e di frana siano esenti sia dall’autorizzazione idraulica che dall’autorizzazione per il vincolo idrogeologico. Inoltre, il secondo comma della disposizione prevede che nei boschi e nelle foreste non è richiesta l’autorizzazione paesaggistica per gli interventi di manutenzione e ripristino delle opere di sistemazione idraulica forestale. Infine, anche per ogni altra area soggetta a protezione paesistica si introduce la possibilità di una autorizzazione semplificata per gli interventi selvicolturali di prevenzione dei rischi, per gli interventi di ricostituzione  e  restauro  di  aree  forestali degradate  o colpite  da  eventi  climatici  estremi  attraverso   interventi di riforestazione e sistemazione idraulica nonché per gli  interventi  di miglioramento delle caratteristiche di resistenza e resilienza ai cambiamenti climatici dei boschi.

In realtà, il decreto in parola si muove nel solco già tracciato dal nuovo Testo Unico in materia di foreste, emanato con il D. Lgs. 3 aprile 2018, n. 34, che focalizza in una serie di disposizioni di notevole importanza la simbiosi tra attività forestale e tutela idrogeologica. Ad esempio, all’art. 7 del Testo Unico si definiscono come attività di gestione forestale “le opere di sistemazione idraulico forestale realizzate con tecniche di ingegneria naturalistica” e, all’art. 6, si impegnano le Regioni ad adottare un Programma forestale regionale calibrato “alle necessità di prevenzione del rischio idro-geologico, di mitigazione e di adattamento al cambiamento climatico” (comma 2). Nel saldare questo intreccio tra gestione forestale e lotta al rischio idro-geologico il comma 12 dell’art. 7 statuisce che con il Piano paesaggistico regionale o sulla base di specifici accordi tra le Regioni e il MIBAC vengono concordati gli interventi di gestione forestale “ritenuti paesaggisticamente compatibili con i valori espressi nel provvedimento di vincolo”. La norma si segnalò subito per una spiccata portata innovativa. Adusi a determinazioni dell’Autorità tutoria che, in materia di paesaggio e di bellezze naturali, rassomigliano di frequente a mere clausole di stile, infarcite di una verbosità tautologica spesso fine a sé stessa e che mortifica qualsiasi seria comprensione dei contesti reali, la previsione comportava un autentico cambiamento di verso. Posta la delicatezza e l’importanza della tutela idro-geologica la legge promuove, infatti, strumenti consensuali che tendano alla riduzione dei margini di arbitrarietà, oggettivizzando criteri e parametri di valutazione. Abbandonando i lidi di un sistema in cui il provvedere è di matrice totalmente soggettivo-discrezionale, modellato su ponderazioni caso per caso com’è tipico degli atti soprintendentizi, questi accordi potranno essere la sede di una adeguata formalizzazione scientifica di regole e concetti, in un dialogo proficuo tra scienza e diritto.

D’altro canto, in questa direzione il D.P.R. n. 31 del 2017 è già di grande aiuto perché nell’allegato A annovera tra gli interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica “opere idrauliche; interventi di realizzazione o adeguamento della viabilità forestale al servizio delle attività agrosilvopastorali e funzionali alla gestione e tutela del territorio” (A 20) ed anche “interventi di manutenzione degli alvei, delle sponde e degli argini dei corsi d’acqua, compresi gli interventi sulla vegetazione ripariale arborea e arbustiva, finalizzati a garantire il libero deflusso delle acque – Interventi di manutenzione e ripristino funzionale dei sistemi di scolo e smaltimento delle acque e delle opere idrauliche in alveo” (A 25) oppure “interventi puntuali di ingegneria naturalistica diretti alla regimazione delle acque e/o alla conservazione del suolo” (A 26). Anche la procedura semplificata considerata dall’allegato B va riferita a rilevanti interventi di settore come “interventi di modifica di manufatti di difesa delle acque delle sponde dei corsi d’acqua e dei laghi per adeguamento funzionale” (B 39) e “interventi sistematici di ingegneria naturalistica diretti alla regimazione delle acque, alla conservazione del suolo o alla difesa dei versanti da frane e slavine” (B 40).

Dal punto di vista storico, merita poi segnalazione pure lo sforzo compiuto dalla Regione Veneto con la legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30 che all’art. 68, con il titolo di “norme semplificative per la realizzazione degli interventi di sicurezza idraulica” – prescriveva che “gli interventi di manutenzione degli alvei, delle opere idrauliche in alveo, delle sponde e degli argini dei corsi d’acqua, compresi gli interventi sulla vegetazione ripariale arborea e arbustiva, finalizzati a garantire il libero deflusso delle acque possono essere eseguiti senza necessità di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’articolo 149 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”. La previsione anticipava temporalmente la liberalizzazione che sarebbe poi stata introdotta con il D.P.R. n. 31 del 2017 ed ora corroborata dall’art. 36 in parola ma la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 66 del 30 marzo 2018, non tardò a dichiararne l’illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, comma 2, lett. s), Cost., posto che si prevedeva una procedura per l’autorizzazione paesaggistica diversa da quella dettata dalla legislazione statale, non essendo consentito alle Regioni introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale. L’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata non è stata esclusa dall’intervenuto D.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31, che ha individuato le tipologie di interventi per i quali l’autorizzazione paesaggistica non è richiesta, in quanto si è affermato che essa ha una portata più ampia della regolamentazione statale quanto al tipo di interventi esonerati (le «opere idrauliche in alveo»), ragion per cui – anche a volere ritenere coincidenti le due tipologie di interventi (quella regionale e quella statale sopravvenuta) – la norma regionale avrebbe prodotto, seppure per un limitato arco temporale, un abbassamento degli standard di tutela ambientale, così contravvenendo alla ripartizione costituzionale delle competenze.

Ora, con l’art. 36 del decreto-legge in questione la semplificazione del quadro operativo inerente gli interventi di tutela idro-geologica trova nuova linfa e se, come auspicabile, queste rilevanti novità normative verranno confermate in sede di conversione in legge del decreto, ci troveremo di fronte ad un marcato riordino delle sequenze procedimentali da salutare con favore per il loro indubbio impatto pratico.

Enrico Gaz

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