Mi consentirete di essere cinico affermando che il tema delle specializzazioni è di diritto pubblico dell’economia.

Le specializzazioni, infatti, sono una forma di regolamentazione del mercato forense e, come tali, possono piacere o no, secondo la posizione di mercato che si ricopre e in ragione di come si concepisca la funzione dell’Avvocatura.

Quanto a me, io aborrisco le specializzazioni. Le reputo dannose per il ceto forense e per le conseguenze che ne derivano. Dal mio punto di vista, esse non dovrebbero essere riformate o migliorate; dovrebbero essere radicalmente soppresse.

Quali sono i motivi di questa mia convinzione?

Innanzitutto, sgombriamo il tavolo dai paludamenti delle buone intenzioni e riconosciamo che le specializzazioni sono un prodotto della crisi economica.

Il primo tentativo di introdurle, abortito per merito del T.A.R. e di chi allora fece ricorso (e io fui tra quelli), risale al 2010, quando la crisi dei servizi legali cominciava a farsi sentire in modo grave, mentre gli albi continuavano ad infoltirsi, sì da moltiplicare il numero delle fette in cui doveva essere ripartita una torta sempre più piccola.

Di fronte al diradarsi degli incarichi, molti hanno cercato di riadattarsi: i civilisti hanno preso a fare i familiaristi; i tributaristi sono diventati penalisti e gli amministrativisti si sono fatti laboristi. E viceversa.

Tutto questo non è piaciuto a quelli di noi che erano già radicati in un certo settore. Le specializzazioni, perciò, sono, innanzi tutto, un tentativo di frenare queste migrazioni professionali.

Di fronte alla crisi, l’Avvocatura – invece di convocarsi a coorte per chiedere riforme che la aiutassero o per impedire le riforme che l’avrebbero danneggiata (ricordo, a tacer d’altro, che, nel 2006, sono stati aboliti i minimi tariffari) – ha preferito risolvere i suoi problemi lanciando guerre intestine, contrapponendo gli specialisti di una disciplina a quelli dell’altra e, più in generale, gli specialisti ai non specialisti.

Per questi ultimi si vuole, in definitiva, ricavare un ruolo di meri paralegali. Costoro non saranno cancellati dagli albi, ma verranno marginalizzati, svuotando o rendendo meno attraente il titolo originario.

Come tutte le guerre intestine, anche questa è destinata a indebolire il nostro ceto e a renderlo più vulnerabile, perché, alla fine, saremo più disgregati.

Questa è la critica più grave che rivolgo alle specializzazioni.

Non mancano, però, altri motivi di critica.

Uno. Non dobbiamo guardare solo noi stessi, avvocati con una carriera ormai alle spalle.

Per chi si affaccia alla professione, le specializzazioni sono una nuova e grave barriera all’ingresso.

Per operare con probabilità di successo, non sarà sufficiente il semplice titolo di avvocato; servirà diventare anche specialisti. In media, oggi, un avvocato non può pensare di essere economicamente autonomo prima dei trentacinque anni. Con le specializzazioni si andrà oltre.


Due
. Specializzarsi costa. Costa in termini economici, ma costa soprattutto in termini di tempo da dedicare al conseguimento del titolo. Molte ore settimanali per un paio di anni.

Ebbene, chi si iscrive a quelle scuole di cosa vivrà, mentre le frequenta? Perché, a mio giudizio, quello specializzando o frequenta la scuola o segue le proprie cause e dovrà quindi rinunciare a una delle due cose.


Tre
. Proprio perché la specializzazione è un costo, essa è anche un investimento da parte dello studio in cui lo specializzando opera. Un investimento di oggi in vista del maggior apporto di clientela che il titolo di specialista veicolerà domani.

Ma quali sono gli studi professionali che possono investire su un proprio componente permettendogli di frequentare le scuole e, nello stesso tempo, garantendogli quanto basta a sopravvivere?

Un investimento del genere non può essere sostenuto dagli studi individuali o costituiti da poche unità di professionisti.

Questo investimento sarà affrontato, invece, da quegli studi strutturati che hanno in scuderia qualche decina – o anche più – di avvocati e che sono ramificati in tutto il territorio nazionale.

Ecco così dimostrato che le specializzazioni sono un vero e proprio intervento pubblico nell’economia, perché favoriscono alcuni operatori del mercato forense a discapito degli altri.

E, se volete saperlo, io parteggio per le vecchie botteghe artigianali, piuttosto che per quelle strutture in cui l’esercizio della professione è sempre più imprenditoriale, sempre più impersonale e, soprattutto, è basato sull’equivoco per cui i professionisti di cui si avvalgono non possono essere trattati con le garanzie e i costi di un lavoratore dipendente, pur essendolo di fatto.


Quattro
. Si pensa di aprire le scuole di specializzazione in tutto il territorio nazionale.

Non sarà facile, sia per problemi organizzativi, sia per problemi di accreditamento. Almeno all’inizio, le scuole saranno concentrate a Roma e in qualche altra grande città. Il che significa che anche gli specialisti si concentreranno nelle medesime città. Questo, però, non significa che a Padova o a Trento o a Catania i non specialisti saranno al riparo dalla concorrenza che gli specialisti potrebbero portare loro.

Proprio il carattere ramificato di quegli studi strutturati dimostra il contrario. Il grande studio milanese aprirà la sede secondaria a Padova e vi stabilirà uno dei suoi avvocati specialisti, su cui avrà precedentemente investito.

Inoltre, l’esperienza di quest’anno ha enormemente sviluppato la telematizzazione dei nostri servizi e da tutto questo non si tornerà più indietro. Sono telematici i processi, sono telematiche le udienze, sono telematici gli incontri con i clienti. Cosa impedirà ad un avvocato specialista romano di patrocinare una causa davanti al TAR del Veneto per conto di un imprenditore veneto, senza mai spostarsi da Roma o senza che mai si debba spostare il cliente? Nulla.


Cinque
. Di fatto sono state introdotte le gare per gli affidamenti dei servizi legali. Vale per gli incarichi provenienti dagli enti pubblici, ma stanno prendendo piede anche le gare della clientela privata. Il titolo di avvocato specialista sarà, quindi, utilizzato da chi bandisce la gara come criterio di valutazione preferenziale o addirittura come requisito di partecipazione. Non tranquillizza il fatto che il titolo di avvocato specialista non abbia alcun peculiare valore legale. Nella sostanza, è come se lo avesse.


Sei
. Le specializzazioni ingessano il professionista in una sola disciplina.

In un certo senso, esse sono come le cinta murarie di una città medievale. Difendono dagli attacchi dall’esterno, ma, allo stesso tempo, impediscono a chi è rinserrato dentro di uscirne.

Immaginiamo, dunque, che io decida di investire il mio tempo e il mio denaro per specializzarmi nel diritto amministrativo e immaginiamo che, una volta specialista, io scopra che il contenzioso davanti ai T.A.R. è, nel frattempo, crollato.

È solo un esempio di fantasia, ben s’intende.

A quel punto, vorrei riconvertirmi, per dedicarmi al tributario o addirittura al penale.

Se così facessi, però, avrei gettato al vento il mio investimento di tempo e di denaro; inoltre, in quegli altri settori in cui volessi inserirmi, troverei i colleghi appropriatamente specialisti ad alzarmi la barriera.

Sarò condannato, così, a rimanere amministrativista e a esercitare in una disciplina diventata asfittica, con buona pace di chi predica la necessità di sapersi riconvertire.


Sette
. Come dicevo, il titolo di avvocato specialista non ha, oggi, prerogative legali diverse da quelle di un avvocato non specialista. Si sa, però, come procedono le cose. Una volta introdotto il titolo, è facile prevedere che una leggina dirà che, per presentare quel tale ricorso in materia di lavoro, servirà la relativa specializzazione. Seguirà poi un’altra leggina che imiterà la prima in un altro settore. È così irragionevole ipotizzare che gli appelli al Consiglio di Stato saranno riservati, in futuro, allo specialista?

A dispetto di quel che si crede, il Foro non si opporrà, perché le riforme procederanno per piccoli passi che, all’inizio, ci sembreranno marginali e perché, quando tutto questo avverrà, sarà rimasta a far fronte una categoria sempre più indebolita e dispersa.

Due considerazioni finali.

La prima è frutto, anch’essa, del mio cinismo e la dichiaro senza tante perifrasi: quale sarà il giro d’affari delle scuole di specializzazione? Non è, per caso, che stiamo facendo tutto questo anche per dare ad altri occasione di lavorare?

La seconda è una considerazione sentimentale e mi sembra giusto concludere con questa.

Nei miei trent’anni di professione, ho sempre esercitato nel settore del diritto

amministrativo. A rigore, dovrei esserne uno specialista.

Ma io non voglio essere definito tale. La mia toga è quella dell’avvocato completo, integro in tutte le sue prerogative e capace di assumere qualunque difesa suggerita dalla sua coscienza.

La mia toga è la continuazione millenaria di una tra le più nobili professioni che esistano.

Io voglio finire la mia carriera indossando quella toga in tutta la sua pienezza. Non voglio rinunciarvi per infilarmi nel burocratico camiciotto dell’avvocato specialista.

Francesco Volpe

 

*Il presente contributo riprende l’intervento svolto nel corso del seminario deontologico “L’avvocato specialista nell’amministrativo e nel tributario: come potrà funzionare (e cosa potrebbe non funzionare)” tenutosi venerdì 26 febbraio 2021.

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