1 –  La normativa regionale in materia urbanistico-edilizia ci ha riservato nel corso del 2019 novità legislative rilevanti e di notevole interesse giuridico. 

Ad esempio, negli ultimi mesi si è avviato uno stimolante dibattito sui notevoli profili di criticità applicativa posti dalle leggi regionali di fine dicembre in materia di regolarizzazione degli abusi minori (L.R. n. 50 del 23 dicembre) e di recupero dei sottotetti (L.R. n. 51 sempre del 23 dicembre, circa la quale vedi su queste pagine il contributo di Alessandro Veronese e Giulio Politeo “Nuove disposizioni regionali per il recupero dei sottotetti a fini abitativi. Prime note alla L.R. n. 51/2019”) ma di rilievo sono anche le disposizioni introdotte dalla L.R. n. 29 del 25 luglio a modifica sia della L.R. n. 61 del 1985, sia della L.R. n. 11 del 2004. 

Purtuttavia, si conferma la L.R. n. 14 del 4 aprile 2019 il testo che – nella sua “organicità” – è in grado di segnare l’evoluzione prossima della disciplina urbanistica veneta. Nelle intenzioni del legislatore regionale, rese palesi dalla titolazione della legge, si tratta del testo che ci condurrà verso il Veneto del 2050 in materia di governo del territorio. 

Ad un anno di distanza dalla sua entrata in vigore pare di dominio generale – a dispetto della sua titolazione – la denominazione della L.R. n. 14 del 2019 come “ultimo piano-casa” o “nuovo piano-casa” o “quarto piano-casa”. E’ facile comprendere le ragioni dell’appellativo, dal momento che la legge abroga la L.R. n. 14 del 2009 ma ne regola ancora alcuni aspetti e – soprattutto – replica in parte le previsioni derogatorie che fecero la fortuna di quest’ultima. 

La nomea così metabolizzata dall’immaginario collettivo potrebbe reputarsi ingenerosa rispetto ai concetti di “riqualificazione” e di “rinaturalizzazione” sottolineati dal titolo della legge. Indugiare sui concetti di “piano” e di “casa”, nella accezione comune praticata dalla generalità degli operatori del settore, offre però lo spunto per cogliere le reali linee di tendenza verso le quali sembra evolvere la normativa regionale di materia.

 

2 – Nel decennio 2009-2019 quest’ultima aveva trovato nelle leggi regionali sul cosiddetto “piano-casa” (L.R. n. 14 del 2009, L.R. n. 13 del 2011 e L.R. n. 32 del 2013 e ss. mm. ii.) il proprio tratto distintivo. 

Esse si erano accompagnate, quasi in parallelo, ad un depotenziamento implicito dell’impianto pianificatorio tracciato dalla L.R. n. 11 del 2004 la cui  messa a regime ha conosciuto negli anni tali e tante deroghe, proroghe, eccezioni, novelle et cetera da sovvertire il quadro regolativo concepito in origine dal legislatore veneto. Alla data attuale sono state esattamente venticinque le leggi regionali che hanno modificato il testo iniziale della L.R. n. 11 del 2004 (1). Senza dire che, all’interno della stessa, si è venuta creando una sorta di “disciplina gemella”. Pur nata con finalità ancillari, per normare l’urbanistica dei comuni non ancora approdati al piano di assetto del territorio, questa disciplina, in larga parte rinvenibile nei ventiquattro commi dell’art. 48, sta in realtà regolando da quasi sedici anni il governo del territorio di svariati comuni veneti (ivi compreso un comune capoluogo come Belluno) sotto le apparenti spoglie della normativa a scadenza.

In questo senso, anche solo una veloce scorsa alle previsioni dell’elefantiaco art. 48 offre un’idea della molteplicità di disposizioni “transitorie” ancora in vigore ed applicabili, quasi delineando un corpus normativo autonomo. Ed è significativo che nel 2017 si sia stati costretti – a più di tredici anni di distanza dall’entrata in vigore della L.R. n. 11 – a differenziare le procedure di ricezione della L.R. n. 14 sul consumo del suolo, distinguendo all’art. 14 della stessa tra procedimenti per comuni  dotati di P.A.T. e procedimenti per comuni ancora privi di tale strumento generale.

Nella cornice in parola, l’emanazione del “piano-casa” ha avuto un effetto implosivo degli auspici programmatori predicati in precedenza. La normativa “piano- casa” è stata impostata con una deroga molto incisiva della pianificazione. La deroga non era infatti di carattere selettivo, limitata cioè a tipologie circoscritte di strumenti. 

Possiamo dire che essa investisse la generalità della programmazione territoriale di riferimento regionale e infra-regionale, dato che riguardava “le previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali comunali, provinciali e regionali, ivi compresi i piani ambientali dei parchi regionali” (così al comma 1 dell’art. 2), con la conseguenza chele disposizioni della presente legge di carattere straordinario prevalgono sulle norme dei regolamenti degli enti locali e sulle norme tecniche dei piani e regolamenti urbanistici contrastanti con esse” (cfr. primo comma dell’art. 6). Alle prescrizioni di piano, poi, si faceva eccezione sotto molteplici aspetti e la legge di interpretazione autentica si era premurata di precisare che le disposizioni emanate “consentono di derogare ai parametri edilizi di superficie, volume, altezza e distanza, anche dai confini, previsti dai regolamenti e dalle norme tecniche di attuazione di strumenti urbanistici e territoriali” (cfr. il primo comma dell’art. 64 della L.R. n. 30 del 2016).

La strumentazione urbanistica, generale e attuativa, veniva – quindi- sacrificata sull’altare dell’emergenza economica. Sia la circolare applicativa n. 4 del 29 settembre 2009, sia il Tar Veneto (anche se solo in alcune pronunce iniziali) sostenevano che “la L.R. 14/2009 non è una legge urbanistica né edilizia – pur avendo contenuti che incidono significativamente sulla disciplina di queste materie – ma è, prima di tutto, una legge economico-finanziaria … e che la ratio dell’intervento legislativo in esame è quella di incentivare, in una congiuntura economica altamente critica, il settore dell’edilizia attraverso la promozione degli interventi privati” (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. II, 4 giugno 2010 n. 2385). 

Ma, al di là, di questa “singolare” prospettazione di estraneità  del “piano-casa” alla legislazione urbanistico-edilizia, era e resta per tutti evidente la sua ricaduta sul governo del territorio. Se quest’ultimo si attua con programmi e strumenti, per l’appunto con “piani”, il “piano-casa” ne integrava un distanziamento strutturale. In sé, la locuzione sembrava alludere ad una regolazione, ma la concreta disciplina aveva messo in conflitto la pianificazione e l’edificazione, per cui la “casa” veniva ampliata a prescindere da quanto regolava il “piano”. Se quest’ultimo sostantivo pareva  mettere in campo una programmazione degli interventi (per così dire, un “piano” per far costruire), sappiamo che – in realtà – il “programma” principale del legislatore era quello di eludere le maglie della strumentazione urbanistica. 

 

3 – Sarebbe tuttavia riduttivo ricondurre questa tendenza entro i confini di una circoscritta esigenza di politica legislativa, dettata dalla necessità di approntare risposte efficaci e tempestive agli esiti della crisi economica. 

Il “piano-casa” è venuto ad incunearsi in una frattura già marcata della saldezza della pianificazione territoriale. Il legislatore ne aveva coltivato a lungo la stabilità, statuendo una rigida gerarchia tra i livelli di pianificazione: da tempo si era – ad esempio – eliminata la possibilità di P.U.A. in deroga (originariamente prevista dall’art. 52, u.c., della L.R. n. 61 del 1985). Nondimeno, ora trovano ricorrente frequenza pratica plurimi istituti di deroga ordinaria della strumentazione urbanistica. 

Alcuni sono avallati dalla stessa disciplina statale, come nel caso delle disposizioni sull’accordo di programma (art. 34 del D.Lgs. n. 267 del 2000), sul  permesso di costruire in deroga o convenzionato (artt. 14 e 28 bis del D.P.R. n. 380 del 2001) o sullo sportello unico per le attività produttive (D.P.R. n. 160 del 2010, “tradotto” in Veneto dalla L.R. n. 55 del 2012). La nostra Regione conosce poi norme apposite di analogo tenore (pensiamo alle intese ex artt. 6 e 7 della L.R. n. 11 del 2004 o agli accordi di programma di cui all’art. 32 della L.R. n. 35 del 2001). 

Così si è via via “ufficializzata” la crisi della pianificazione – reputata lenta, costosa, poco flessibile – e si è promosso quanto favoriva il superamento della stagnazione programmatoria, assecondando l’idea che le acque si possano smuovere solo concependo qualcosa di eccezionale o, comunque, di derogatorio. Emblematica in tal senso è la re-introduzione nella scorsa estate della facoltà di modifica del 10% del perimetro dei P.U.A. o anche del 15% di densità dei piani esecutivi di iniziativa pubblica ad opera dell’art. 8 della L.R. n. 29 del 2019 (ora disciplinata al comma 8 bis dell’art. 20 della L.R. n. 11 del 2004). 

Si ha come l’impressione che imperi una consapevolezza malcelata: gli enti territoriali, per ragioni diversificate (dalla carenza di risorse alle problematicità procedimentali), si “leggono” (o vengono “letti”) come incapaci di sostenere la complessità dell’odierna programmazione del territorio. L’apparato sembra non avere l’energia sufficiente per reggere l’impatto complessivo degli incombenti pianificatori e la legislazione si fa carico di prendere atto di questa “resa”. Espressiva di tale consapevolezza fu tempo fa la L.R. n. 21 del 1998 (modificativa degli artt. 50 e 51 della L.R. n. 61 del 1985) sulle cosiddette “mini-varianti” varate solo in ambito comunale ed è sintomatico che nel 2017 vi sia stata una “reviviscenza” incondizionata di quello schema procedimentale per la ricezione delle direttive in materia di consumo del suolo da parte dei comuni sprovvisti di P.A.T. (vedi la lett. a) del primo comma dell’art. 14 della L.R. n. 14 del 2017).

 

4 – Nel tempo non solo si è molto edificato ma si è anche tanto pianificato. Il paesaggio veneto pullula di “case” (ville, villette, condomini, annessi rustici, lottizzazioni, plessi produttivi); per converso, i protocolli istituzionali sono stati inondati di “piani” (programmi, strumenti, progetti). Sarà appassionante dedicare in futuro una analisi dettagliata alla qualità regolativa della pianificazione veneta. Con il beneficio dell’inventario, è possibile abbozzare delle prime indicazione. 

Più che dalla pretesa dirigistica di condizionare dall’alto lo sviluppo, sembra sia stata indotta dalla necessità di stabilire, in una società fattasi sempre più mossa ed esigente, un “ordine”. Scorrendo le previsioni dei vari piani traspare la ricerca di (o l’anelito verso) un “equilibrio” capace di comprendere piuttosto che di escludere ed in cui far “esprimere” le comunità locali. Per questo, non di rado troviamo approfondimenti che toccano l’economia, la storia, la struttura sociale, il paesaggio, i beni culturali, in uno sforzo multidisciplinare di sintesi che fa del piano generale ben altro che uno strumento puramente sulla fruizione dei suoli. Resta il fatto che in nome di questa esigenza di “ordinare” le dinamiche, spesso convulse e autodistruttive, dei territori locali si è regolato a dismisura, con una crescita abnorme delle prescrizioni.

Il Comune di Alleghe (il P.A.T.I. dell’Alto Agordino che coinvolge anche i Comuni di Rocca Pietore, Livinallongo del Col di Lana, Colle S. Lucia e Selva di Cadore si trova tutt’ora in fase di elaborazione) continua, ad esempio, ad essere governato con un Piano regolatore generale degli anni novanta. L’art. 53 delle norme tecniche di attuazione disciplina l’utilizzo di fondi agricoli arrivando a dettare un obbligo “al mantenimento delle colture orticole e agricole in atto”, con divieto di mutamento salvo “in caso di stretto bisogno e  … previa autorizzazione”. La fissità prescrittiva di questo dettato scoraggia qualsiasi evoluzione colturale degli usi rurali, avvitandosi in una ibernazione dello status quo che finisce con l’ostracizzare tutto quanto in esso non incluso; ma – quand’anche giustificata da ragioni protettive – essa si rivela soprattutto inadeguata, tanto più a distanza di decenni, nel gestire i cambiamenti del territorio, perpetuando una disciplina cristallizzata ed incapace di adattarsi alle trasformazioni successive, a cominciare dai mutamenti climatici.

Questa radicata patologia della programmazione territoriale, la cui bulimia è stata efficacemente battezzata da Ivone Cacciavillani con il nome di “pianite”, si è poi saldata pericolosamente con la incalzante complicazione delle procedure, tendenzialmente multilivello, che si sono stratificate in un coacervo di sequenze istruttorie e deliberative. E’ indicativo che di tanto in tanto, quasi istruito dalle esperienze negative o fiaccato dalle doglianze degli enti locali, il legislatore regionale batta un colpo per semplificare o attenuare taluni passaggi procedurali. Si pensi all’introduzione – ad opera dell’art. 63 della L.R. n. 30 del 2016 – dell’art. 11 ter della L.R. n. 11 del 2004 che opportunamente detta misure di coordinamento degli strumenti di pianificazione “per verificare se sussistano disposizioni della pianificazione incoerenti o contrastanti tra lorooppure, più di recente, alla introduzione (ad opera dell’art. 2 della L.R. n. 29 del 2019) dei commi da 4 bis a 4 sexies dell’art 4 della L.R. n. 11 del 2004 che regolano modalità “a scheda” per le procedure V.A.S. concernenti l’uso di piccole aree a livello locale e le modifiche minori di piani e di programmi.

 

5 – Rispetto a questo quadro la L.R. n. 14 del 2019 segna un punto singolare che a tutta prima pare manifestare però una sorta di “ambivalenza”.

L’impostazione derogatoria viene attivata, anche se non con il modulo tracciato dalla legislazione precedente (quella propriamente detta sul “piano-casa”). Le deroghe sono fortemente mitigate, specialmente nelle modalità di loro concessione. Questo cambio di passo non ha la sostanza di una inversione di tendenza e, men che meno, di un rientro del costruire nei lidi patrii della pianificazione generale ed esecutiva: rimangono ferme ampie possibilità di dispensare l’intervento dall’ordinario regime edilizio del fondo interessato.

Purtuttavia, le deroghe (o, meglio, parte di esse) vengono  – per così dire – indirizzate “a sistema”, cioè tendenzialmente ricondotte ad un controllo politico-amministrativo nella cornice delle consuete competenze di settore. Infatti, in vari casi, peraltro alquanto significativi dal punto di vista sostanziale, lo scettro passa dall’Ufficio Tecnico comunale al pianificatore comunale. In definitiva, si replica il modello in vigore in materia di S.U.A.P. o di titoli in deroga o di permessi convenzionati et cetera. La decisione viene cioè sottratta al funzionario responsabile e rimessa all’organo di governo. 

Al consiglio comunale spetta – infatti – individuare i manufatti incongrui ai quali abbinare i crediti edilizi (art. 4, comma 2), assentire gli ampliamenti di attività produttive in misura superiore al 20% dell’esistente (ovvero a 1500 metri quadri: art. 6, comma 9), identificare i terreni in cui è possibile la ricostruzione degli edifici situati in aree di pericolosità idraulica  (art. 9, comma 1), approvare lo strumento urbanistico attraverso il quale costruire in difformità al D.M. 1444 del 1968 (art. 11, comma 1), deliberare il convenzionamento per i permessi concernenti ampliamenti superiori ai 2000 mc. o con altezza superiore al 50 % dell’edificio originario (art. 11, comma 2), consentire la cessione di dotazioni territoriali inferiori ai minimi previsti (art. 11, comma 5).

Si assiste in questo modo ad un recupero della dimensione politico- territoriale: viene richiamato in causa il governo comunale a suo tempo considerato di ostacolo all’applicazione delle premialità (il pensiero corre alla nota querelle sulle deliberazioni consiliari di limitazione del “primo” piano-casa). Pur non enunciato tra gli obbiettivi elencati nell’art. 1 della legge, si arguisce per implicito l’intento del legislatore regionale di riportare parte della valutazione delle iniziative entro un vaglio di governo del territorio in senso stretto. D’altro canto, non poteva essere diversamente a fronte dell’altro obbiettivo da centrare non oltre il 2050, vale a dire il “consumo zero”, che la L.R. n. 14 del 2017 intende perseguire facendo leva su una concezione avanzata e speciale proprio della programmazione territoriale (come ha messo in risalto, evidenziando le connessioni tra le due legge regionali n. 14, del 2017 e del 2019, Marino Breganze nel contributo “Veneto 2050?” in questa sezione). 

La strada verso il 2050 sembra acquistare, quindi, le sembianze di una via “del ritorno”, quantomeno embrionale. L’attenzione inizia a ri-spostarsi dalla “casa” al “piano”. 

Ma questa tendenza conosce anche l’ambiguità data dal fatto che il regime derogatorio introdotto dalla L.R. n. 14 del 2019 non è più soggetto a scadenza, come era stabilito in maniera nitida per la L.R. n. 14 del 2009 (e sue successive modificazioni). Salvo alcune ipotesi particolari (vedi il quinto comma dell’art. 6), si tratta di misure che superano una impostazione contingente e si candidano a presentarsi come facoltà costruttive sine die, non più come deroghe a tempo determinato o emergenziali. Si aggiunga che la legge sul consumo del suolo ammette tra le iniziative in deroga tutti gli interventi “piano-casa” (cfr. lett. g) del primo comma dell’art. 12 della L.R. n. 14 del 2017).

Il legislatore sembra palesare una sua capitolazione. Scende in campo per farsi partecipe di una partita confusa, in cui l’incentivare la programmazione si confronta con l’offrire, nel contempo, gli strumenti per scansarne le rigidità. 

Resta così irrisolto, sullo sfondo, il nodo di una pianificazione troppo complessa e dispendiosa.  Se – da un lato- pare farsi spazio la convinzione che la soluzione finale non può essere l’espulsione dal campo degli organi di governo, dall’altro lato, diventa schiacciante il bisogno di snellire fortemente le procedure pianificatorie e di semplificare radicalmente le prescrizioni di piano, non di rado preda di verbosità tautologiche e quasi fine a se stesse. 

Si avverte in tale direzione l’esigenza – sempre più pressante – di restituire alle Amministrazioni una capacità di governo effettiva ed efficace, tema che giocoforza ci impegnerà nel futuro prossimo.

Enrico Gaz

 

1. Con cadenza praticamente annuale, principiando dallo stesso 2004 e arrivando persino a tre modiche nel medesimo anno come nel caso del 2016 e del 2019. In successione l’elenco delle leggi regionali di riferimento: n. 20 del 2004; nn. 8 e 23 del 2005; n. 18 del 2006; n. 4 del 2008; n. 26 del 2009; nn. 11 e 30 del 2010; nn. 10 e 13 del 2011; nn. 2 e 55 del 2012; nn. 3 e 32 del 2013; nn. 4 e 20 del 2015; nn. 12, 30 e 33 del 2016; nn. 14 e 45 del 2017; n. 15 del 2018; nn. 14, 29 e 49 del 2019.  

 

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