A) Sull’ultrattività del PTRC del 1992.

Ho già avuto modo di anticipare, nel corso della riunione preparatoria del convegno, il mio rispettoso dissenso rispetto al titolo della relazione assegnatami.

Il PTRC 1992 deve considerarsi a mio avviso morto e sepolto, come si evince dall’art. 82, comma 1, delle norme tecniche del nuovo PTRC, che così recita:

Il presente piano sostituisce il PTRC 1992 ed entra in vigore decorsi quindici giorni dalla sua pubblicazione nel BUR”.

Vero è che l’art. 80, comma 1, delle norme tecniche del PTRC, precisa, testualmente, che

La tavola “ricognizione degli ambiti di tutela del PTRC 1992” contiene l’analisi dello stato di attuazione delle aree di cui alle tavole 5 e 9 del Piano territoriale regionale di coordinamento approvato con provvedimento del Consiglio regionale n. 382 del 28 maggio 1992….Per tali ambiti, in attesa della disciplina paesaggistica recata dai piani paesaggistici regionali d’ambito (PPRA) di cui all’art. 72, si applicano le seguenti disposizioni….”.

In sostanza non si può parlare di “ultrattività” del PTRC 1992, ma semplicemente del recepimento delle tavole 5 e 9 del “vecchio” PTRC, nella tavola contenente la ricognizione degli ambiti tutelati.

Come tutti sanno, il “nuovo” PTRC 2020 è privo di valenza paesaggistica, ma ha esclusiva valenza urbanistica.

Va ribadito che il PTRC 1992, essendo precedente rispetto al codice dei beni culturali n. 42/2004 non possedeva la valenza paesaggistica prevista dal codice del 2004, essendo stato redatto in base all’art. 1, comma 1 bis della “legge Galasso” n. 431/1985, che attribuiva esclusivamente alle Regioni la competenza in tema di piani paesaggistici.

La conseguenza che deriva dalla mancanza di un piano paesaggistico redatto congiuntamente da Regione e Ministero in base all’articolo 135 del codice dei beni culturali è che l’autorizzazione paesaggistica potrà essere rilasciata dai Comuni soltanto previo parere obbligatorio e vincolante della Soprintendenza, in base all’art. 146 comma 5 del predetto codice.

Se invece si fosse in presenza di un piano avente anche valenza paesaggistica, elaborato di concerto con il Ministero, il parere della Soprintendenza rimarrebbe si obbligatorio, ma non vincolante.

La scelta, certamente di natura politica, compiuta dal Consiglio regionale, comporta dunque la permanenza in capo alla Soprintendenza del potere di veto assoluto in tema di autorizzazioni paesaggistiche: ben sappiamo noi avvocati che la giurisprudenza amministrativa ritiene insindacabili le motivazioni che sono frutto della discrezionalità tecnica, a meno che la motivazione sia soltanto apparente e non contenga “una sufficiente esternazione delle peculiari ragioni per le quali si ritiene che un’opera non sia idonea a inserirsi nell’ambiente attraverso l’esame delle sue caratteristiche concrete e l’analitica individuazione degli elementi di contrasto con il vincolo da tutelare”. Così TAR Veneto, sez. II, 15 gennaio 2020 n. 42, estensore Nasini.

Se la motivazione del parere contrario presenta i requisiti indicati nella sentenza citata,  il diktat della Soprintendenza non potrà essere messo in discussione dal Giudice Amministrativo.

Confesso che mi sfuggono le ragioni che hanno indotto il Consiglio regionale a far “saltare il tavolo”, per così dire, della pur faticosa trattativa con il Ministero per la redazione congiunta del Piano paesaggistico, con il risultato di mantenere di fatto la sudditanza dei Comuni nei confronti della Soprintendenza.

In parole povere: che fretta c’era per varare un PTRC “monco”?

È sorprendente che l’11 agosto 2020, a poco più di un mese dell’approvazione del PTRC, la Giunta regionale abbia approvato con delibera n. 1176 il “protocollo d’intesa” con il Ministero per proseguire nella “trattativa” per la redazione del piano paesaggistico.

È il caso di ricordare che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 66 del 30 marzo 2018, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 45 ter della l.r. 11/2004 (introdotto dall’art. 63, comma 7, l.r. n. 30/2016) che prevede che “nelle more dell’approvazione del piano paesaggistico di cui al comma 1 [la Giunta regionale] procede alla ricognizione degli immobili e delle aree dichiarate di notevole interesse pubblico e delle aree tutelate per legge di cui, rispettivamente, agli articoli 136 e 142, comma 1, del codice”, giacché “deve ritenersi che anche la ricognizione dei beni da sottoporre a vincoli paesaggistici debba essere realizzata congiuntamente con lo Stato…ne discende che anche l’attività ricognitiva deve essere frutto di un percorso condiviso in ogni suo passaggio e in ogni sua fase, da Stato e Regioni”.

Va poi aggiunto che la recentissima sentenza della Corte Costituzionale n. 240 del 17 novembre 2020 ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzioni sollevato dal Governo contro la Regione Lazio relativamente all’approvazione del Piano territoriale paesistico regionale per violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regione.

La decisione del Consiglio regionale di procedere unilateralmente all’approvazione di un PTRC “monco”, perché privo di valenza paesaggistica, appare dunque di assai dubbia legittimità.

Al di là della questione di legittimità costituzionale dell’approvazione di un piano territoriale “monco” della parte paesaggistica (in questa occasione il Governo non ha sollevato il conflitto di attribuzione) v’è da chiedersi se il Consiglio regionale si sia reso conto della gravità delle conseguenze derivanti dalla mancanza di un piano paesaggistico redatto congiuntamente da Regione e Ministero in base all’art. 135 del codice dei beni culturali: e cioè, come già rilevato, che l’autorizzazione paesaggistica potrà essere rilasciata dai Comuni soltanto previo parere obbligatorio e vincolante della Soprintendenza, in base all’art. 146, comma 5 del predetto codice.

 

B) Unico Piano Paesaggistico o 14 Piani Paesaggistici Regionali d’Ambito (P.P.R.A.)?

L’articolo 24 della Legge Regionale 11/2004, che riguarda il contenuto del P.T.R.C. non contiene alcun riferimento alla valenza paesaggistica prevista dal codice dei beni culturali del 22 gennaio 2004 n. 42, precedente di soli tre mesi rispetto alla Legge Regionale.

Per colmare la grave lacuna il legislatore regionale è intervenuto (dopo 7 anni!) con la legge n. 10 del 2011 introducendo nella l.r. urbanistica n. 11/2004 il titolo V bis – paesaggio – ed in particolare gli articoli 45 bis e 45 ter.

L’art. 45 bis contiene l’espresso riferimento agli artt. 135 e 143 del codice dei beni culturali, riconoscendo dunque la necessità della “copianificazione” paesaggistica, mentre l’art. 45 ter, nel testo introdotto nel 2011, così recita al comma 1:

La Regione approva il piano paesaggistico, ovvero un piano urbanistico – territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, secondo le modalità ed i contenuti di cui agli articoli 135 e 143 del codice. Il piano paesaggistico è adottato ed approvato con le procedure di cui all’art. articolo 25 e può essere formato anche per singoli ambiti territoriali considerati prioritari per la pianificazione paesaggistica.

(Altre modifiche all’art. 45 ter sono state introdotte dalle Leggi Regionali n. 30 del 2016 e 14 del 2017)

Ritengo che la previsione, introdotta nel 2011 con l’art. 45 ter (che prevede, in alternativa ad un unico piano paesaggistico la redazione di più “pianetti” per singoli ambiti territoriali), si ponga in contrasto con l’art. 135 del codice dei beni culturali che impone che “tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito….mediante piani paesaggistici”, laddove il plurale si giustifica con riferimento alle Regioni, al plurale, contenuto nel comma 1 comma dell’art. 135).

Il terzo comma dell’art. 135 prevede che “in riferimento a ciascun ambito i piani predispongono specifiche normative d’uso”.

In base all’art. 135, dunque, il piano paesaggistico non può che essere unico, ben potendo ovviamente contenere “specifiche normative d’uso” per ciascun ambito, ma non contempla certamente singoli “pianetti”.

L’art. 72 delle norme tecniche del P.T.R.C. così invece recita:

Il territorio regionale è articolato in 14 ambiti di paesaggio [primo comma] prevedendo al secondo comma, la “redazione di piani paesaggistici regionali d’ambito (P.P.R.A.) ai sensi e per gli effetti dell’art. 45 ter… congiuntamente con il Mibact”.

L’art. 80 delle norme transitorie e finali fa riferimento alla “disciplina paesaggistica recata dai piani paesaggistici regionali d’ambito (P.P.R.A.) di cui all’art. 72.”

È noto a tutti che il Ministero ha sollevato perplessità (per non dire contrarietà) sull’ipotesi del frazionamento del Piano Paesaggistico in 14 P.P.R.A..

Va detto che contemporaneamente all’approvazione del P.T.R.C. il Consiglio Regionale ha approvato un ordine del giorno presentato dal Consigliere Calzavara che impegna la Giunta Regionale “a proseguire nel lavoro di pianificazione paesaggistica congiunta con il Mibact … ed a “proseguire e concludere, pertanto, congiuntamente con il Mibact, il lavoro di relazione (forse si intendeva “redazione”) dei piani paesaggistici regionali d’ambito, come previsto dalla legislazione regionale e statale vigente.

Sennonché l’11 agosto 2020 la Giunta Regionale con la già ricordata deliberazione n. 1176 ha approvato uno schema di protocollo d’intesa tra la Regione ed il Ministero (all. A) che prevede, all’art. 2, la “predisposizione del piano paesaggistico esteso a tutto il territorio regionale”: mentre il comma 4 recita che “il piano paesaggistico predisporrà, ai sensi dell’art. 135, comma 3, del Decreto legislativo 42/2004, per ciascuno degli ambiti individuati, specifiche normative d’uso”.

Se ho ben interpretato il contenuto di questo protocollo, la Giunta Regionale ha compiuto un’apprezzabile retromarcia rispetto alla previsione degli artt. 72 e 80 delle norme tecniche, rinunciando all’idea di redigere 14 “pianetti” paesaggistici, come del resto proposto dalla Soprintendente di Venezia nella riunione di comitato tecnico Regione-Mibact del 30 gennaio 2020.

Forse che la Giunta regionale si è resa conto dell’illegittimità dei “pianetti”?

Se così fosse, il revirèment sarebbe apprezzabile.

Si torna dunque alla domanda iniziale: per quali motivi la Regione ha voluto varare un piano monco, piuttosto che proseguire la pur faticosa “trattativa” con il Ministero?

Quanti anni dovranno trascorrere per l’approvazione di un piano avente anche valenza paesaggistica?

Il “protocollo” di cui s’è appena detto (ignoro se sia già stato sottoscritto dalle due parti) prevede la redazione del piano paesaggistico a’sensi dell’art. 135 del codice dei beni culturali, che verrebbe ad affiancarsi al PTRC appena approvato.

Avremmo così due piani “monchi”!

È ben vero che l’art. 135 del codice prevede la possibilità di un piano esclusivamente paesaggistico, in alternativa ai “piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici”, ma la redazione di un autonomo piano paesaggistico potrebbe venire a trovarsi in contrasto con talune previsioni del piano urbanistico.

Per evitare il rischio di trovarsi di fronte a 2 piani “monchi”, non coordinati, suggerirei di integrare il PTRC con la parte paesaggistica, con le eventuali modifiche alla parte urbanistica che si rendessero necessarie alla luce delle previsioni (che non potranno che essere condivise) della parte paesaggistica: con il risultato di avere un unico PTRC avente anche valenza paesaggistica.

 

C) Sul labirinto delle varianti finali di adeguamento dei Comuni.

L’art. 81 delle norme tecniche prevede che “entro 12 mesi dall’entrata in vigore del presente piano le Province, la Città Metropolitana ed i Comuni adeguano i propri strumenti territoriali ed urbanistici ai contenuti dello stesso, a’sensi dell’articolo 3 e del comma 5 dell’art. 12 della legge regionale 11/2004: che prevede, all’art. 12, comma 5 che l’approvazione del Piano territoriale regionale di coordinamento, del Piano territoriale di coordinamento provinciale e delle loro varianti comporta l’obbligo per i comuni di adeguarsi adottando apposite varianti al PAT e al P.I.”.

Precisa poi il comma 2 dell’art. 81 delle norme tecniche del PTRC che “il decorso del termine di cui al comma 1 comporta l’applicazione dei poteri sostitutivi a’sensi dell’art, 30 della l.r. 11/2004”.

Si ricorda, al riguardo, che il comma 6 dell’art. 30 della legge regionale urbanistica attribuisce alla Provincia il potere sostitutivo, che si esercita attraverso la convocazione del Consiglio comunale con assegnazione di un termine, decorso infruttuosamente il quale nomina un commissario ad acta.

Credo che l’individuazione delle previsioni del PTRC che comportano l’adeguamento dei piani territoriali sottordinati al Piano territoriale provinciale (Piano provinciale, PATI, PAT e P.I.) sia un’impresa piuttosto ardua, anche perché il PTRC, in base all’art. 24 della legge regionale 11/2004, non sembra contenere, a differenza del piano provinciale, prescrizioni e vincoli.

Più che di labirinto, parlerei di cascate, se non del Niagara, quanto meno delle Marmore.

E ciò perché è ipotizzabile un adeguamento a cascata: dal Piano provinciale, al PATI, al PAT ed al P.I.!

Ci troveremo dunque di fronte a quell’eccesso di pianificazione urbanistica deplorato da Paolo Stella Richter, maestro di tutti noi in questa materia.

Credo che sia indispensabile, al riguardo, utilizzare l’art. 11 ter della legge urbanistica regionale (introdotto dalla legge regionale 30/2016, recante “misure per il coordinamento degli strumenti di pianificazione incidenti sul Governo del territorio”.

La norma prevede infatti che la Giunta regionale possa convocare una conferenza di servizi istruttoria tra gli enti interessati per verificare se sussistano disposizioni della pianificazione incoerenti o contrastanti tra loro.

Il secondo comma prevede opportunamente che la variazione degli strumenti di pianificazione comunale e provinciale possa essere attuata mediante un accordo di programma a’sensi dell’art. 32 della legge regionale 29 novembre 2001 n. 35 (da non confondere con l’accordo di programma di cui all’art. 7 della medesima l.r. 11/2004, che ha tutt’altro oggetto, essendo preordinato alla “definizione e la realizzazione di programmi d’intervento o di opere pubbliche o di interesse pubblico, che richiedono l’azione integrata e coordinata di comuni, Province, Regione, amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici o privati…a’ sensi dell’articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 “Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”: accordo che può anche comportare, come previsto dal secondo comma, varianti urbanistiche.

L’art. 32 l.r. 35/2001 (espressamente richiamato dal comma 2 dell’art. 11 ter introdotto nella l.r. 11/2004 “per il coordinamento degli strumenti di pianificazione incidenti sul Governo del territorio”) contiene il riferimento alla l.r. 23/1999 (sui PIRUEA, abrogata dall’art. 49 della medesima l.r. 11/2004), sennonché l’art. 11 ter della legge regionale all’urbanistica si limita a prevedere che “la variazione degli strumenti di pianificazione comunale e provinciale, conseguente all’accordo di programma, è determinata sulla base della risultanze della conferenza di servizi e dei pareri espressi in quella sede dai soggetti interessati…nel rispetto delle gerarchie dei piani e delle competenze dei soggetti in rapporto al livello di pianificazione”.

Né l’art. 11 ter l.r. 11/2004 (né l’art. 32 l.r. 35/2001) prevedono peraltro forme di pubblicità relativamente alle varianti allo strumento urbanistico oggetto dell’”accordo di programma: a differenza di quanto prevede l’art. 6 l.r. 11/2004 per gli accordi tra soggetti pubblici e privati, che, al comma 3, precisa che l’accordo costituisce parte integrante dello strumento di pianificazione cui accede ed è soggetto alle medesime forme di pubblicità e partecipazione”.

Orbene, pare a me che nell’auspicabile ipotesi che la Regione voglia avvalersi dell’art. 11 ter per provvedere alle varianti di adeguamento degli strumenti urbanistici “a cascata”, sia necessario rispettare le regole sulla pubblicità e partecipazione previste dal citato art. 6 l.r. 11/2004 e dagli artt. 14 e segg. della medesima legge regionale relativamente ai vari piani urbanistici: e ciò per evitare (o, per meglio dire, ridurre) il rischio di impugnazioni da parte dei proprietari di immobili la cui destinazione venga modificata.

Auspicherei, per concludere, un intervento chiarificatore della Giunta regionale che aiuti i Comuni ad individuare quali possano essere le previsioni del P.I. che richiedano la necessità di un adeguamento, in vista della convocazione delle conferenze di servizi previste dall’art. 11 ter.

Buon lavoro ai Comuni ed alla Direzione Urbanistica Regionale.

Post Scriptum

All’inizio della relazione orale ho espresso il mio più vivo apprezzamento per le precedenti relazioni (dei proff. Calegari e Breganze) e soprattutto per quella dell’arch. Sist, direttrice della direzione pianificazione territoriale della Regione, che ha illustrato l’enorme lavoro compiuto dagli uffici nel corso degli anni per la redazione del PTRC e mi ha aiutato a comprendere il contenuto dello stesso meglio di quanto sia ricavabile dalla mera lettura delle norme tecniche.

Rimane il mio dissenso sulla scelta politica finale compiuta dal Consiglio regionale, relativa all’approvazione di un piano “monco”, che mi è scappato di definire “scellerata” per le ragioni che ritengo di essere riuscito ad indicare.

Alberto Borella

* Relazione per il XXI Convegno “Le nuove norme tecniche del piano territoriale regionale di coordinamento –PTRC- Veneto 2020” – Castelfranco Veneto 27 novembre 2020.

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