E quando tutto è semplice si commettono meno errori.
La parte più dispendiosa di una costruzione è rappresentata dagli errori
Ken Follett, I Pilastri della terra, 1989

PREMESSA

Lo stock immobiliare censito negli archivi del catasto italiano, al 31 dicembre 2020, è di oltre 74,9 milioni di immobili[1], di cui circa 64,5 milioni dotati di una rendita catastale[2].

Gran parte di questi immobili presentano alcune difformità edilizie più o meno rilevanti.

Dal 2019, tuttavia, si è registrata per il secondo anno consecutivo una flessione dell’indice di abusivismo edilizio, che si attesta sulla proporzione nazionale di 17,7 costruzioni illegali ogni 100 autorizzate, contro le 19,9 del 2017[3]. Nonostante ciò, solo il 32% delle ordinanze di demolizione viene eseguita dai Comuni[4].

Per quanto concerne il consumo del suolo nel 2020[5], a livello nazionale la Regione Veneto ha consumato l’11,87% del territorio, secondo solo alla Lombardia; a livello di Regione Veneto, invece, la provincia di Vicenza ha registrato l’incremento annuale di cementificazione maggiore, mentre il Comune di Padova ha segnato l’aumento della superficie artificiale più considerevole.

In questo panorama alquanto peculiare, la pandemia da Covid-19 ha innescato una crisi economico-finanziaria-sociale senza precedenti, che è stata affrontata dallo Stato italiano con oltre 180 miliardi in termini di indebitamento netto reperiti attraverso diversi scostamenti di bilancio[6], ma che, anche grazie ai fondi del P.N.R.R.[7], dovrebbe innescare una ripresa generale dell’economia italiana nel periodo 2022-2024[8], come chiarito dalla nota di aggiornamento al Def[9].

A livello edilizio, per far fronte alla crisi del “settore delle costruzioni”, primario volano dell’economia nazionale, sono state introdotte svariate misure di stimolo, in primis il cd. superbonus 110%[10].

LO STATO LEGITTIMO SEMPLIFICATO A LIVELLO STATALE

Il Governo ed il Parlamento hanno assunto svariate iniziative per rilanciare il comparto edilizio e per affrontare l’irrisolto problema dell’abusivismo edilizio.

Come noto, l’art. 10, c. 2 del d.l. 76/2020 conv. con modificazioni nella l. n. 120/2020 (cd. decreto semplificazioni), ha aggiunto il c. 1 bis dell’art. 9 bis del d.P.R. n. 380/2001 (T.U. edilizia), prevedendo lo stato legittimo semplificato degli immobili.

La norma recita: “Lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia”.

Il primo periodo dell’articolo àncora lo stato legittimo a ciò che è “stabilito” dal titolo abilitante originario o da quello medio tempore ottenuto (rectius: dal titolo edilizio scricto sensu inteso e dalle tavole progettuali dallo stesso richiamate per relationem), ricordando agli operatori del settore che il titolo edilizio legittima esclusivamente la porzione dell’immobile indicata chiaramente nella pratica edilizia, e non quelle parti dell’edificato che, pur segnalate graficamente, non costituiscono l’oggetto specifico dell’istanza edilizia, pena l’introduzione di una “sanatoria implicita[11].

Il secondo periodo, invece, concerne gli immobili per i quali non vi era l’obbligo di acquisire un titolo edilizio.

Sul punto, giova ricordare quanto segue.

Per comprendere se vi fosse la necessità di premunirsi di un titolo edilizio, occorre scandagliare le normative statali e quelle comunali alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale.

Agli arbori della normativa urbanistico-edilizia, gli artt. 86[12] e 93[13] della l. 25.06.1885 n. 2359 richiedevano di individuare il centro abitato all’interno del piano regolatore e di ottenere un “consenso” per costruire all’interno dell’aggregato urbano[14]. Analoghe disposizioni si rinvenivano negli artt. 109[15] e 111[16] del R.D. 12.02.1911 n. 297 e nella Circolare del Ministero dei LL.PP.[17] del 1913.

Negli anni trenta, l’art. 4[18], c. 1 e c. 4 del R.D.L. 25.03.1935 n. 640 e l’art. 6[19] del R.D.L. 22.11.1937 n. 2105 introducevano l’autorizzazione del Podestà per le nuove costruzioni, ma solo in zona sismica.

È solo con l’avvento dell’art. 31[20] della l. 17.08.1942 n. 1150 (cd. legge Urbanistica fondamentale) che è stata richiesta la “licenza” per le nuove costruzione ricadenti nei centri abitati e/o nelle zone di espansione, poi estesa a tutto il territorio comunale dalla l. 06.08.1967 n. 765[21] (cd. legge Ponte).

Con precipuo riferimento alla delimitazione del centro abitato, l’art. 41[22] quinques della l. 17.08.1942 n. 1150 attribuiva al Consiglio comunale il compito di individuare tale perimetro che, peraltro, corrispondeva ad una “situazione di fatto[23].

Ciò posto, per quanto concerne i regolamenti edilizi che imponevano a tutto o a parte del territorio comunale (rectius: centro abitato) di munirsi di titolo abilitante, rispettivamente, ante 1967 o ante 1942, in passato la giurisprudenza[24] tendeva a negare loro valore giuridico, stante la contrarietà alla disciplina statale surriferita.

Ora, la giurisprudenza maggioritaria[25] sembra considerare vincolanti anche tali regolamenti edilizi comunali, frutto di una potestà legificatoria di secondo livello.

Applicando queste coordinate ermeneutiche all’esegesi del testo di legge ora in vigore, lo stato legittimo semplificato dell’immobile è “desumibile” da alcuni indizi probanti[26] che spetta al privato fornire all’Amministrazione e che sono indicati solo in via esemplificativa dalla norma di legge in commento (i.e. informazioni catastali di primo impianto, riprese fotografiche, estratti cartografici, documenti d’archivio, altri atti pubblici o privati, dichiarazioni sostitutive di atto notorio, ortofoto).

Sul punto, è importante notare la diversità di terminologia usata dal legislatore: nel primo periodo, lo stato legittimo “è stabilito” dal titolo, ovvero è quello risultante (rectius: che dovrebbe risultare) in modo certo, oggettivo e vincolato dallo stesso[27]; nel secondo, “è desumibile” dalle informazioni che si riescono a raccogliere, ovvero è frutto di un’attività di valutazione dal contenuto fortemente discrezionale[28].

Infine, l’ultimo periodo della norma estende le presunzioni iuris tantum indicate dal secondo alinea anche all’ipotesi di smarrimento del titolo edilizio[29].

In tutte e tre le ipotesi, però, spetta all’ente valutare con adeguatezza, ragionevolezza e proporzionalità quanto fornito dal privato, evitando un approccio ingiustificatamente rigido e/o cavilloso allorquando vengono esaminati dati progettuali risalenti nel tempo che, per loro natura, “non sono idonei a rappresentare in modo preciso la consistenza dell’edificio autorizzato[30], ovvero qualora l’istante abbia prodotto “tutto quanto in suo potere (ad impossibilia nemo tenetur) per dimostrare l’erroneità delle risultanze catastali[31] [32].

LO STATO LEGITTIMO SEMPLIFICATO A LIVELLO REGIONALE

Anche la Regione Veneto ha inserito una disciplina di dettaglio sullo stato legittimo semplificato, con l’obiettivo di dare attuazione ai principi ispiratori contenuti nell’art. 9 bis, c. 1 bis del d.P.R. n. 380/2001 con riferimento alla materia di legislazione concorrente afferente al “governo del territorio” (C. Cost. 41/2017).

L’art. 7 della l.r. Veneto n. 19/2021 (cd. Veneto cantiere veloce) ha aggiunto l’art. 93 bis rubricato “Stato legittimo dell’immobile – Tolleranze” nella l.r. Veneto n. 61/1985 disponendo che: “1. ln attuazione dell’articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, lo stato legittimo di immobili in proprietà o in disponibilità di soggetti non autori di variazioni non essenziali risalenti ad epoca anteriore al 30 gennaio 1977, data di entrata in vigore della legge 10/1977 e dotati di certificato di abitabilità/agibilità, coincide con l’assetto dell’immobile al quale si riferiscono i predetti certificati, fatta salva l’efficacia di eventuali interventi successivi attestati da validi titoli abilitativi.
2.Lo stato legittimo di immobili realizzati in zone esterne ai centri abitati e alle zone di espansione previste da eventuali piani regolatori in epoca anteriore al 1° settembre 1967 è attestata dall’assetto dell’edificio realizzato entro quella data e adeguatamente documentato, non assumendo efficacia l’eventuale titolo abilitativo rilasciato anche in attuazione di piani, regolamenti o provvedimenti di carattere generale comunque denominati, di epoca precedente”.

Il primo comma considera legittimi ex lege gli immobili in proprietà o disponibilità di soggetti terzi rispetto agli autori delle variazioni non essenziali che, peraltro, devono essere state realizzate prima dell’entrata in vigore della legge cd. Bucalossi (30.01.1977) e devono riferirsi ad immobili dotati di abitabilità o agibilità.

Ricorrendo tali presupposti, lo stato legittimo “coincide” con l’assetto dell’immobile risultante dai titoli de quibus, fermo restando i titoli edilizi successivamente rilasciati.

Il secondo comma, invece, specifica che se l’immobile è stato realizzato antecedente alla data di entrata in vigore della legge cd. Ponte (01.09.1967) e si trova al di fuori del centro abitato e/o alle zone di espansione, lo stato legittimo “è attestato” dall’assetto dell’edificio esistente, purché adeguatamente documentato dal privato ed a prescindere dagli eventuali titoli edilizi emanati dall’ente.

La norma regionale è alquanto peculiare perché, al primo capoverso, introduce un’efficacia “salvifica” al certificato di agibilità – che, di regola, esplica i suoi effetti solo in ambito igienico-sanitario, nonostante parte della giurisprudenza attribuisca una valenza urbanistico-edilizia a tale attestazione[33] – ed un’efficacia “esimente” alla personalità dell’autore della variazione non essenziale; al secondo capoverso, essa legittima l’immobile come attualmente esistente nella sua conformazione fisica, ignorando gli eventuali titoli edilizi medio tempore rilasciati e, soprattutto, il contenuto dei possibili regolamenti edilizi comunali ante 1967.

E ancora, data la ratio legis sottesa alla previsione de qua[34], appare ragionevole ipotizzare che la presenza di eventuali vincoli di matrice statale (i.e. paesaggistico, forestale, idraulico, stradale, cimiteriale etc.) pre-esistenti o susseguenti alla realizzazione dell’immobile siano assolutamente ininfluenti ai fini dell’applicazione della norma che, difatti, nulla dice in merito. Mutatis mutandis, lo stesso dicasi con riferimento alle normative comunali sulla distanza tra le costruzioni e/o dai confini, ovvero a quella statale sulla distanza di dieci metri tra pareti finestrate, ex art. 9 del d.m. n. 1444/1968, che parimenti dovrebbero essere ininfluenti per l’applicazione della disposizione.

Infatti, fermo restando l’ipotetico ottenimento di un nulla osta o di una presa d’atto cd. postume per quanto concerne l’assenza ab origine del parere favorevole dell’ente preposto alla tutela del vincolo, nonché l’esperimento di un’azione di accertamento dell’usucapione dei diritti soggettivi disponibili, la legge regionale in esame sembra prescindere in toto da tali accertamenti tecnico-giuridici, richiedendo unicamente o che le variazioni edilizie, come desunte dal combinato disposto dell’art. 32[35] del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 92[36] della l.r. Veneto n. 61/1985, non siano essenziali[37], siano state realizzate da un soggetto terzo e si riferiscano ad un immobile dotato di abitabilità/agibilità (cfr. primo comma); o che l’immobile sia stato costruito ante 1967, fuori dal centro abitato e/o dalle zone di espansione e ci sia prova di ciò (cfr. secondo comma), nulla di più.

Forse, anche per tale ragione, con ricorso RG 49/2021 pubblicato sul B.U.R.V. n. 131 del 01.10.2021[38] il Presidente del Consiglio dei Ministri ha impugnato dinanzi alla C. Cost. questo articolo, lamentando un conflitto di attribuzioni in capo alla Regione con riferimento alla disposizione statale contenuta nell’art. 9 bis, c. 1 bis del d.P.R. n. 380/2001 – che, come visto supra, prescinde da ogni riferimento all’agibilità/abitabilità per desumere lo stato legittimo dell’immobile -, nonché una possibile disparità di trattamento relativamente alle altre normative regionali – dato che la norma in discussione introduce un unicum a livello nazionale-.

La proposizione di tale impugnazione statale richiede un atteggiamento alquanto cauto e prudente nell’applicazione della norma che, in attesa della pronuncia della Corte, è comunque e doverosamente applicabile da parte delle Pubbliche Amministrazioni.

Infatti, non appare corretto equiparare questa previsione normativa alla previgente l.r. Veneto n. 50/2019 (cd. mini-condono regionale) che, lo si ricorda, richiedeva la presentazione di una S.C.I.A. edilizia per sanare le difformità ante 1977. In quel caso, se la S.C.I.A. non era stata inibita dal Comune in via ordinaria nel termine di trenta giorni, ex art. 23 del d.P.R. n. 380/2001, ovvero in autotutela nel termine dei diciotto mesi, ex art. 21 nonies della l. n. 241/1990, ora annuale, i suoi effetti giuridici si sono consolidati in modo definitivo, nonostante la sentenza di incostituzionalità n. 77/2021 medio tempore sopraggiunta, trattandosi di un rapporto ormai esaurito (C. Cost. n. 68/2021).

Tale sillogismo giuridico, però, non può essere esteso nell’interpretazione e nell’applicazione dell’art. 7 della l. Veneto cantiere veloce.

La disposizione in commento, come visto, introduce una sanatoria ex lege che non richiede né la presentazione di una pratica edilizia, né un’attestazione da parte dell’istante, come previsto dall’art. 34 bis del d.P.R. n. 380/2001 sulle cd. tolleranze di cantiere.

Se così è, si possono cristallizzare gli effetti giuridici della norma in un titolo edilizio che sopravviva alla probabile pronuncia di incostituzionalità della previsione?

Alcuni professionisti, per tentare di ovviare gli effetti caducanti e retroattivi della pronuncia di incostituzionalità, cercano di premunirsi di un titolo edilizio depositando presso l’ente una pratica edilizia di sanatoria per alcune opere realizzate dopo il 1977, ovvero provvedendo ad una ristrutturazione generale dell’immobile, eventualmente anche con demo-ricostruzione. In ambedue i casi, essi attestano che il fabbricato oggetto dei lavori è legittimo in virtù della suindicata legge regionale.

Tuttavia, a livello strettamente giuridico, i titoli edilizi che il Comune rilascerà non dovrebbero essere in grado di produrre alcun effetto “protettivo” nei confronti della possibile sentenza di incostituzionalità perché, da un lato, essi non hanno ad oggetto specifico le opere abusive originarie – che, difatti, vengono legittimate ex lege e non in virtù di un titolo edilizio pregresso o attuale – e, soprattutto, venendo meno la legge, l’immobile originario tornerà ad essere abusivo nella sua totalità, in quanto non più sanato per opera diretta della legge. In tale ipotesi, fermo restando la remota possibilità dell’annullamento in autotutela del titolo rilasciato che, a rigori, si scontrerebbe con l’affidamento qualificato ingenerato nell’istante e, spesso, con l’assenza di un pubblico interesse, l’ente potrebbe però inibire gli ulteriori interventi di manutenzione, ristrutturazione o ampliamento che il richiedente potrebbe richiedere perché, a rigori, essi concernerebbero un immobile ancora abusivo.

BONUS EDILIZI

Lo stato legittimo semplificato dell’immobile è una tematica strettamente connessa ad un altro argomento di estrema attualità, il cd. superbonus 110% che, alla data del 31.10.2021, ha già determinato 11 miliardi di detrazioni fiscali e, alla data del 30.09.2021, ben 19,3 miliardi di cessioni di crediti d’imposta e sconti in fattura, ma anche 800 milioni di evasione fiscale[39] che il d.l. n. 157 del 11.11.2021 (G.U. 269/2021) tenta di arginare sia con l’estensione del visto di conformità e congruità delle spese sia col rafforzamento dei controlli preventivi e dell’Agenzia delle Entrate[40].

Come noto, tale bonus eleva al 110% l’aliquota di detrazione delle spese sostenute per specifici interventi in ambito di efficienza energetica ed antisismica, o per l’installazione di impianti fotovoltaici o delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici, introducendo la possibilità, al posto della fruizione diretta della detrazione, di optare per un contributo anticipato sotto forma di sconto praticato  dai fornitori dei beni o servizi o, in alternativa, per la cessione del credito corrispondente alla detrazione spettante.

Sotto l’aspetto edilizio, l’art. 119, c. 13 ter del d.l. n. 34/2020 conv. con modificazioni nella l. n. 77/2020 (cd. decreto rilancio), più volte emendato dal Governo, contiene una disciplina di favore sullo stato legittimo dell’immobile, stabilendo che: “Gli interventi di cui al presente articolo, anche qualora riguardino le parti strutturali degli edifici o i prospetti, con esclusione di quelli comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA). Nella CILA sono attestati gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell’immobile oggetto d’intervento o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione ovvero è attestato che la costruzione è stata completata in data antecedente al 1° settembre 1967. La presentazione della CILA non richiede l’attestazione dello stato legittimo di cui all’ articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Per gli interventi di cui al presente comma, la decadenza del beneficio fiscale previsto dall’articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 opera esclusivamente nei seguenti casi:
a) mancata presentazione della CILA;
b) interventi realizzati in difformità dalla CILA;
c) assenza dell’attestazione dei dati di cui al secondo periodo;
d) non corrispondenza al vero delle attestazioni ai sensi del comma 14”.

La norma, in presenza di un intervento di ristrutturazione edilizia che non prevede la demolizione e ricostruzione del fabbricato (rectius: manutenzione straordinaria), richiede di presentare una C.I.L.A. Superbonus[41] indicando esclusivamente che la costruzione è stata realizzate ante 1967, ovvero è stata autorizzata da un titolo abilitante o è stata sanata/condonata/fiscalizzata. In tali circostanze, non è più necessario attestare lo stato legittimo dell’immobile, ex art. 9 bis, c. 1 bis, d.P.R. n. 380/2001, come richiesto dagli artt. 49[42] e 50[43] del d.P.R. n. 380/2001 per poter usufruire delle agevolazioni fiscali, ferme restando le possibili sanzioni penali connesse al reato di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380/2001[44] [45], qualora si intervenisse su di un immobile in tutto o in parte abusivo.

La peculiarità di tale normativa è dirompente: allo stato attuale, per poter usufruire del cd. superbonus 110%, non è più necessario né comprovare la conformità urbanistico-edilizia dell’immobile oggetto d’intervento, né dimostrare di aver preventivamente sanato/condonato/fiscalizzato l’immobile.

L’art. 119, c. 13-quater, tuttavia, fa salva ed impregiudicata “ogni valutazione circa la legittimità dell’immobile oggetto di intervento” da parte della Pubblica Amministrazione.

Ciò significa che, se da un lato, l’Agenzia delle Entrate non dovrebbe procedere alla revoca dell’incentivo fiscale anche se l’intervento di efficientamento energetico e/o antisismico venisse realizzato su di un immobile in tutto o in parte abusivo, il Comune potrebbe (rectius: dovrebbe) comunque attivarsi per reprimere l’abuso, giungendo finanche ad ordinare la demolizione dell’opera abusiva, anche comprensiva dei lavori connessi al cd. superbonus 110% medio tempore eseguiti, qualora la difformità edilizia riscontrata non fosse sanabile, ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, o fiscalizzabile, ex art. 34 del d.P.R. n. 380/2001.

Giova ricordare che tale normativa “speciale” sullo stato legittimo dell’immobile concerne esclusivamente gli interventi di cd. superbonus 110% di manutenzione straordinaria che vengono realizzati tramite C.I.L.A.S., non gli interventi di cd. superbonus 110% che prevedono interventi di demo-ricostruzione soggetti a S.C.I.A. o PdC, né gli altri bonus edilizi: essi, infatti, richiedono la dimostrazione dello stato legittimo dell’immobile per non incorrere in decadenze e/o controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate, ex art. 49 e 50 del d.P.R. n. 380/2001.

Per completezza espositiva si sottolinea la recente sentenza della Cassazione civile, sez. II, 20.04.2021, n. 10371, secondo cui tutti i condomini, anche quelli proprietari dei magazzini e/o interrati, dovrebbero compartecipare alle spese connesse al cappotto termico e/o agli altri interventi di efficientamento energetico/sismico, ai sensi dell’art. 1123 c.c.

Benchè la Suprema Corte citi, in via incidentale, anche la normativa attinente al cd. superbonus 110%, non sembra che tale conclusione possa attagliarsi al caso in esame.

Infatti, l’art. 119, c. 9 bis[46] del cd. decreto rilancio prevede, da un lato, che le deliberazioni assembleari de quibus siano approvate a maggioranza degli intervenuti e che tali soggetti debbano rappresentare un terzo del valore dell’edificio per essere valide; dall’altro lato, che la spesa per i lavori edili venga suddivisa tra tutti i condomini solo con il loro parere favorevole, pena l’invalidità della deliberazione condominiale.

Di conseguenza, con precipuo riferimento al cd. superbonus 110%, si riscontra una normativa speciale e derogatoria rispetto al codice civile ed agli approdi della giurisprudenza di legittimità: le spese necessarie per l’esecuzione degli interventi di efficientamento energetico o sismico saranno ripartite tra i soli condomini che avranno espresso voto favorevole in assemblea.

In aggiunta, dal punto di vista paesaggistico, la Circolare del Ministero della Cultura – Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio n. 4 del 04.03.2021, integrando quella n. 42 del 21.07.2017, sembrava aver chiarito che gli interventi relativi al cappotto termico dovevano essere estromessi dall’ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica, rientrando nell’esclusione prevista dalla voce A.2[47] dell’allegato A del d.P.R. n. 31/2017, allorquando l’incremento di spessore fosse pressoché insignificante o minimale, ovvero non alterasse l’aspetto esteriore anche in termini di finiture.

La recente Circolare del Ministero della Cultura – Soprintendenza archeologia, belle arti paesaggio per le Province di Verona, Rovigo e Vicenza datata 15.11.2021 prot. 30660, però, ha ulteriormente specificato che gli interventi di isolamento termico non rientrano affatto nella voce A.2, bensì nella voce B.3[48] dell’allegato B del d.P.R. n. 31/2017, ovvero sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica semplificata.

Quindi, si consiglia cautela prima di ritenere non necessaria l’autorizzazione paesaggistica con riferimento agli immobili de quibus.

Infine, nella seduta del Consiglio dei Ministri del 28.10.2021[49], il Governo ha approvato la bozza del testo di legge di bilancio 2022 che, da quanto consta, con riferimento alla proroga cd. superbonus 110% dovrebbe concernere:

  • villette ed edifici unifamiliari: fino al 30.06.2022;
  • villette ed edifici unifamiliari: fino al 31.12.2022 se la CILA è stata depositata entro il 30.09.2021 o se la pratica di demo-ricostruzione è stata avviata entro il 30.09.2021; ovvero se si tratta di prima casa d’abitazione ed il richiedente ha un ISEE inferiore ai 25.000,00 Euro;
  • edifici plurifamiliari/condomini: fino al 31.12.2022;
  • edifici plurifamiliari/condomini: fino al 31.12.2023 con detrazione del 110% per le spese sostenute sino al 31.12.2023, del 70% per quelle sostenute sino al 31.12.2024 e del 65% per quelle sostenute sino al 31.12.2025;
  • interventi eseguiti da persone fisiche su edifici composti da 2 a 4 unità immobiliari, anche se posseduti in via esclusiva o in comproprietà: fino al 31.12.2022 se al 30.06.2023 si è raggiunto almeno il 60% dei lavori, altrimenti fino al 30.06.2022;
  • IACP e cooperative: fino al 31.12.2023 se al 30.06.2023 si è raggiunto almeno il 60% dei lavori, altrimenti fino al 30.06.2023.

Con precipuo riferimento agli altri bonus, il Governo sembra voler estendere il bonus facciate sino al 2022 ed i bonus ristrutturazione, ecobonus e sismabonus sino al 31.12.2024, nonché ampliare la cessione del credito e lo sconto in fattura a tutti i bonus edilizi.

Ovviamente, per avere certezza di ciò, occorrerà attendere la pubblicazione della legge in Gazzetta ufficiale dopo l’approvazione del Parlamento.

CONCLUSIONI

Riassumendo quanto esposto, dinnanzi ad un quadro socio-economico di assoluta novità nel panorama globale e nazionale, sia lo Stato italiano sia la Regione Veneto hanno cercato di stimolare, seppur con metodi e forme diversificate, lo “sblocco” del settore edile, introducendo alcune forme di semplificazione normativa sullo stato legittimo degli immobili, che consentano di effettuare interventi edilizi di rinnovamento del vetusto patrimonio esistente con indubbie ripercussioni positive anche sugli altri comparti dell’economia.

Trattasi di uno sforzo lodevole che, soprattutto ad opera del legislatore statale, avrebbe necessitato di maggior coraggio e di una reale presa di posizione rispetto ad una problematica che non risulta più procrastinabile e che richiede una risposta pronta e, soprattutto, realista: l’abusivismo edilizio.

Se da un lato, soprattutto nelle Regioni del Nord Italia, le difformità edilizie si sostanziano, nella maggioranza dei casi, in parziali difformità che meriterebbero un trattamento “benevolo” data la loro esistenza pluridecennale ed il loro scarso impatto sul territorio, in altre Regioni d’Italia, soprattutto al Sud, spiace constatare come sussistano interi quartieri costruiti in assenza di titolo.

Appare chiaro che legittimare in modo lineare tutte queste situazioni non può essere una soluzione condivisa, soprattutto se tali opere costruttive si pongono in insanabile contrasto con altri valori costituzionalmente garantiti, come la tutela del paesaggio e la salvaguardia dei beni culturali per citarne alcuni, ex art. 9 Cost.

Il legislatore statale, forse, avrebbe dovuto scandagliare con maggiore scrupolo e capacità di analisi le molteplici ipotesi di difformità edilizie esistenti sul territorio nazionale, giungendo a modulare, a seconda delle fattispecie concrete ravvisate, alcune forme di sanatoria a titolo gratuito, che finalmente permetterebbero di rendere questi immobili competitivi da un punto di vista energetico e/o sismico, favorendo al contempo importanti interventi di ristrutturazione edilizia.

A modesto avviso di chi scrive, infatti, occorre avere il coraggio di superare le antiche logiche “protezionistiche” legate alla parola “condono edilizio”[50] e porsi in un’ottica concreta dinanzi a questa patologia edilizia che, come visto nelle premesse, coinvolge gran parte del panorama italiano e che è diventata ormai endemica.

Occorre avere il coraggio e la serietà di fissare un nuovo “punto zero” per l’attività edilizia, sanando con legge dello Stato – e non delle singole Regioni – tutto ciò che è stato realizzato prima di una certa data e che non impatta gravemente sul territorio, ristrutturando tutto ciò che merita di essere salvaguardato con il riconoscimento di apprezzabili agevolazioni fiscali e, infine, demolendo tutto ciò che si pone in insanabile contrasto con la legge, anche ricorrendo ai poteri sostitutivi attribuiti al Prefetto ai sensi dell’art. 41 del d.P.R. n. 380/2001 [51], come interpretati dal Ministero[52] e dalla giurisprudenza amministrativa[53].

Per qualcuno costruire è una nobile arte, una ragione di vita.
Io sostengo che anche distruggere è un’arte che richiede un notevole talento”
Ken Follett, I Pilastri della terra, 1989

Matteo Acquasaliente

*Il testo riproduce e amplia l’intervento tenuto dall’avv. Matteo Acquasaliente durante il XXII° Convegno Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti del 26 novembre 2021.

[1]https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/233848/Il+Sistema+Catastale+2021+-+pubblicato+set2021.pdf/b4e3de16-ad6d-2814-d77d-b0c846e7ee70
[2] https://www1.finanze.gov.it/finanze3/immobili/contenuti/immobili_2019.pdf
[3] https://www.istat.it/it/files//2021/03/BES_2020.pdf
[4] https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2021/06/Abbattilabuso-2021.pdf
[5] https://www.snpambiente.it/2021/07/14/consumo-di-suolo-dinamiche-territoriali-e-servizi-ecosistemici-edizione-2021/
[6] https://www.mef.gov.it/focus/COVID-19.-Tutte-le-misure-a-sostegno-della-sanita-e-delleconomia/
[7] https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR.pdf
[8] https://www.mef.gov.it/inevidenza/Approvata-la-NADEF-2021-lo-scenario-di-crescita-delleconomia-italiana/
[9] http://www.dt.mef.gov.it/it/pubblicazioni/aggiornamento_NADEF/
[10] https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/superbonus-110%25
[11] La sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 31.05.2021, n. 1358 prevede: “– tale disposizione non può interpretarsi se non nel senso che lo «stato legittimo dell’immobile» è quello riveniente dal «titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa», nonché, se a questo siano susseguiti ulteriori titoli abilitativi, dal titolo «che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali»;
– con l’innovazione introdotta dall’art. 10, comma 1, lett. d, n. 2, del d.l. n. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni), conv. in l. n. 120/2020, il legislatore ha inteso semplicemente chiarire che lo «stato legittimo dell’immobile» è quello corrispondente ai contenuti dei sottesi titoli abilitativi, relativi non solo alla sua originaria edificazione, ma anche alle sue successive vicende trasformative;
– non altro; perché, se altro il legislatore avesse inteso stabilire, e cioè se avesse ricollegato portata totalmente abilitante al titolo «che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare», a prescindere dal relativo oggetto – come assunto da parte ricorrente, allorquando dalla legittimazione edilizia (giusta PdC prot. n. 2774/2012) del frazionamento dell’unità abitativa ubicata in Cava de’ Tirreni, via M. Della Corte, n. 2, e censita in catasto al foglio 16, particella 1131, sub 23, viene inferita, per sineddoche, anche la legittimazione edilizia della controversa chiusura verandata del terrazzo (giammai contemplata dal PdC prot. n. 2774/2012) –, avrebbe abbandonato il principio ordinamentale basico di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, operante nel campo processuale, ma ragionevolmente esportabile anche nel campo dei procedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati e, soprattutto, avrebbe surrettiziamente introdotto una sorta di sanatoria implicita per tutti i manufatti assistiti da (qualsivoglia) titolo abilitativo, seppure non riferibile alla loro integrale consistenza e conformazione”.
[12] L’art. 86 della l. n. 25.06.1885 n. 2359 recita: “I Comuni, in cui trovasi riunita una popolazione di diecimila abitanti almeno, potranno, per causa di pubblico vantaggio determinata da attuale bisogno di provvedere alla salubrità ed alle necessarie comunicazioni, fare un piano regolatore, nel quale siano tracciate le linee da osservarsi nella ricostruzione di quella parte dell’abitato in cui sia da rimediare alla viziosa disposizione degli edifizi, per raggiungere l’intento”.
[13] L’art. 93 della l. n. 25.06.1885 n. 2359 recita: “I Comuni pei quali sia dimostrata la attuale necessità di estendere l’abitato, potranno adottare un piano regolatore di ampliamento in cui siano tracciate le norme da osservarsi nella edificazione di nuovi edifizi, a fine di provvedere alla salubrità dell’abitato, ed alla più sicura, comoda e decorosa sua disposizione”.
[14] L’art. 35 delle Istruzioni ministeriali del 20.06.1886 recita: “Dovrà essere richiesto all’autorità comunale il consenso per costruzioni nuove, ricostruzioni, riadattamenti di edifici e per qualunque lavoro interessante la fognatura domestica o la provvigione d’acqua.
[15] L’art. 109 del R.D. 12.02.1911 n. 297 recita: “I Comuni, con regolamenti di polizia urbana, stabiliscono norme: … 3° per la nettezza dell’abitato e dei cortili interni delle case; circa il modo e il tempo di costruire, mantenere e spurgare i luoghi e depositi immondi”.
[16] L’art. 111 del R.D. 12.02.1911 n. 297 recita: “Sono materie dei regolamenti edilizi le norme concernenti: …. 2° la determinazione del perimetro dell’abitato a cui si devono intendere circoscritte le prescrizioni dei regolamenti stessi”.
[17] La Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 10.10.1913 n. 4052 recita: “la parola abitato può intendersi indubbiamente con una certa larghezza, con l’ammettere cioè che siffatti regolamenti possano estendere la loro efficacia anche nelle zone nelle quali le costruzioni edilizie diventano frequenti o cominciano a svolgersi così da far presumere che, in un tempo non lontano, si formerà un centro di abitazione. Non potrebbe però ammettersi che i regolamenti edilizi estendessero la loro azione a tutto il territorio comunale, e neppure da comprendere zone rurali. Anche le frazioni possono rientrare nell’abitato, purché costituiscano di fatto piccoli centri”.
[18] L’art. 4, c. 1 e c. 4 del R.D.L. 25.03.1935 n. 640 recita: “Coloro che intendano fare nuove costruzioni, ovvero modificare od ampliare quelle esistenti debbono chiedere al podestà apposita autorizzazione, obbligandosi ad osservare le norme particolari dei regolamenti di edilizia e d’igiene comunali … Qualora vengano iniziati i lavori senza autorizzazione ovvero vengano proseguiti quelli per i quali sia stata notificata ordinanza di sospensione, il podestà ordina la demolizione a spese del contravventore senza pregiudizio delle sanzioni penali di cui all’art. 106 del t. u. della legge comunale e provinciale o di quelle maggiori contenute nei regolamenti edilizi. L’ordinanza del podestà ha carattere di provvedimento definitivo”.
[19] L’art. 6 del R.D.L. 22.11.1937 n. 2105 recita: “coloro che intendano fare nuove costruzioni, ovvero modificare od ampliare quelle esistenti, debbono chiedere al podestà apposita autorizzazione, obbligandosi ad osservare le norme particolari dei regolamenti di edilizia e d’igiene comunali”.
[20] L’art. 31 della l. 17.08.1942 n. 1150 recita: “Chiunque intenda eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o modificarne la struttura o l’aspetto nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell’art. 7, deve chiedere apposita licenza al podestà del comune.
Le determinazioni del podestà sulle domande di licenza di costruzioni devono essere notificate all’interessato non oltre il sessantesimo giorno della ricezione delle domande stesse.
Il committente titolare della licenza e l’assuntore dei lavori di costruzioni responsabili di ogni inosservanza così delle norme generali di legge e di regolamento come delle modalità esecutive che siano fissate nella licenza di costruzione”.
[21] L’art. 31 della l. 17.08.1942 n. 1150, come modificato dall’art. 10, c. 1 della l. 06.08.1967 n. 765, recita: “Chiunque intenda nell’ambito del territorio comunale eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle esistenti ovvero procedere all’esecuzione di opere di urbanizzazione del terreno, deve chiedere apposita licenza al sindaco”.
[22] L’art. 41 quinques della l. 17.08.1942 n. 1150 recita: “Nei Comuni sprovvisti di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione, la edificazione a scopo residenziale è soggetta alle seguenti limitazioni:
a ) il volume complessivo costruito di ciascun fabbricato non può superare la misura di un metro cubo e mezzo per ogni metro quadrato di area edificabile, se trattasi di edifici ricadenti in centri abitati, i cui perimetri sono definiti entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge con deliberazione del Consiglio comunale sentiti il Provveditorato regionale alle opere pubbliche e la Soprintendenza competente, e di un decimo di metro cubo per ogni metro quadrato di area edificabile, se la costruzione è ubicata nelle altre parti del territorio”.
[23] La sentenza del T.A.R. Veneto, Venezia, sez. II, 19.06.2019, n. 745 stabilisce: “la nozione di “centro abitato” rilevante nella materia si riferisce, come da condivisibile giurisprudenza, ad una situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e vicine, anche distante dal centro, ma suscettibile di espansione (così Consiglio di Stato, 21 ottobre 2014, n. 5173). Pertanto la delimitazione del centro abitato operata nello strumento urbanistico, ad altri fini, può assumere rilevanza probatoria solo della situazione di fatto esistente all’epoca in cui il piano fu adottato”.
[24] La sentenza del T.A.R. Toscana, Firenze, sez. III, 29.05.2014, n. 899 afferma: “questo Tribunale ha in altre occasioni affermato, ai fini dell’accertamento della regolarità edilizia di manufatti realizzati al di fuori dei centri abitati in epoca anteriore alla entrata in vigore della L. 765 del 1967, assume rilevanza esclusiva la norma primaria sopravvenuta di cui all’art. 31 della L. 1150 del 1942 che ha disciplinato la materia con efficacia cogente su tutto il territorio nazionale introducendo l’obbligo di preventivo titolo abilitativo limitatamente agli immobili ricadenti nei centri abitati (Cons. Stato, V, 21/10/1998 n. 1514; TAR Toscana, III, 29/01/2009 n. 52, id. 4/02/2011 n. 197). Detta norma deve considerarsi prevalente rispetto alla disciplina regolamentare preesistente atteso che, come ha sancito la Corte Costituzionale nella sentenza 303 del 2003, la disciplina dei titoli abilitativi rientra nell’ambito dei principi fondamentali della materia edilizia che la Costituzione (anche prima della riforma del Titolo V) riservava e ancora oggi riserva allo Stato al fine di garantire uno standard uniforme di trattamento del diritto di proprietà su tutto il territorio nazionale anche in coerenza con la riserva di legge prevista dall’art. 42 Cost”.
[25] La sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 02.05.2017, n. 1996 dichiara: “questo Consiglio di Stato con un proprio precedente specifico (Sezione IV, sentenza 21 ottobre 2008, n. 5141; ma vedi anche Sezione V, sentenza 14 marzo 1980, n. 287) si è già chiaramente espresso nel senso che non può riconoscersi “ex sé portata abrogante o disapplicativa della norma secondaria (introdotta dall’art. 1 del regolamento edilizio) all’art. 31 della legge urbanistica del 1942, laddove reca la disciplina costruttiva nei centri abitati sancendo l’obbligo dell’apposita licenza del Sindaco. Il precitato articolo 31 ha disciplinato in via generale l’obbligo di cui trattasi; ciò non comporta peraltro, ex se, l’abrogazione tacita di una disposizione speciale più rigorosa per le costruzioni al di fuori dei centri abitati esistente nel regolamento edilizio vigente in ragione della particolare disciplina che l’ente locale ha inteso introdurre ai fini della regolamentazione dell’attività costruttiva sul proprio territorio”, ma si veda anche Consiglio di Stato, sez. IV, 29.07.2019, n. 5330 e T.A.R. Veneto, sez. III, 28.06.2019, n. 783.
[26] La sentenza del T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 23.03.2021, n. 1901 statuisce: “la valenza delle risultanze catastali, a favore della prevalenza accordata dall’ordinamento alle informazioni di quelle di primo impianto, in mancanza, come nel caso in esame, di ulteriori elementi a supporto della fondatezza dell’asserita diversa consistenza dell’immobile, giova richiamare il recente intervento del legislatore”.
[27] A tal proposito giova ricordare che un immobile condonato ai sensi della l. n. 47/1985 (cd. primo condono), l. n. 724/1994 (cd. secondo condono), l. n. 326/2003 (cd. terzo condono) è ex se legittimo, come chiarito dalla sentenza del T.A.R. Liguria, Genova, sez. I, 22.04.2021, n. 361 ove si legge: “Non merita condivisione l’assunto ricorsuale secondo cui l’intervento edilizio ristrutturativo del 2017 non avrebbe potuto essere assentito, in ragione del fatto che su un fabbricato condonato sarebbero ammissibili solamente interventi conservativi, vale a dire di manutenzione ordinaria e straordinaria. Tale tesi, seppur seguita in passato da un indirizzo giurisprudenziale, risulta superata dalla più recente elaborazione pretoria, secondo la quale l’immobile, una volta sanato, diventa legittimo a tutti gli effetti e, quindi, ha il medesimo regime giuridico dell’edificio legittimamente assentito, senza limitazioni derivanti dall’applicazione del condono (in tal senso cfr., ex multis, T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 29 gennaio 2021, n. 144; T.A.R. Umbria, sez. I, 30 marzo 2018, n. 188, concernente un intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione di un manufatto condonato; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 11 giugno 2010, n. 8808; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 19 febbraio 2009, n. 109). Quest’ultimo orientamento risulta oggi codificato dall’art. 9-bis, comma 1-bis, del d.p.r. n. 380/2001, inserito dal d.l. n. 76/2020, conv. in l. n. 120/2020, ai sensi del quale “Lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa””.
[28] La sentenza del T.A.R. Trento, sez. unica, 27.10.2020. n. 182 ricorda: “relativamente agli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, tale disposizione non specifica quando possa ritenersi assolto l’onere della prova relativo alla dimostrazione dello stato legittimo del fabbricato, che grava sul soggetto che chiede il titolo edilizio per eseguire un intervento di ricostruzione come quello per cui è causa”.
[29] La sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 06.04.2021, n. 846 stabilisce: “b) Un ulteriore principio di prova nel senso della legittimazione edilizia dei manufatti in contestazione si rinviene anche nella circostanza che nell’esibito registro alfabetico delle pratiche edilizie evase dal Comune di Amalfi negli anni 1960-1972 figura riportata al n. 5 quella corrispondente al nominativo di Afeltra Teresa, la quale, però, – come allegato da parte ricorrente – è risultata smarrita dagli archivi documentali comunali. c) A fronte di simili circostanze indizianti la sussistenza del titolo abilitativo edilizio, l’amministrazione intimata, in difetto di istruttoria, si è limitata a liquidare come abusivi detti manufatti, peraltro realizzati in epoca ormai risalente (cfr. contratto di direzione dei lavori dell’11 agosto 1962”. Ma si veda anche T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 12.07.2021, n. 1704 e, in precedenza, T.A.R. Veneto, Venezia, sez. II, 19.05.2016, n. 535.
[30] La sentenza del T.A.R. Veneto, Venezia, sez. II, 10.10.2021, n. 1239 prevede: “Quanto al primo profilo (conformità dello stato di fatto alla licenza di sopraelevazione), il Collegio condivide le conclusioni cui sono pervenute le parti resistenti, confermate dal verificatore, secondo cui gli elaborati progettuali allegati alla licenza edilizia n. 5874 del 1957 non sono idonei a rappresentare in modo preciso la consistenza dell’edificio autorizzato e, pertanto, non costituiscono un parametro attendibile di confronto tra lo stato di fatto e quello autorizzato da cui possa desumersi la natura parzialmente abusiva dell’edificio … Tenuto conto della risalenza del titolo ad un’epoca in cui non v’era obbligo di asseverazione da parte dei progettisti, della circostanza che esso non riguarda l’intero fabbricato ma la sola sopraelevazione, che le tavole grafiche presentano le lacune ed imprecisioni evidenziate dal verificatore, pertanto, il Collegio ritiene condivisibile la valutazione di complessiva inidoneità dei disegni allegati a costituire un preciso parametro di raffronto con lo stato di fatto asseverato, ai fini della verifica della conformità dell’edificio preesistente”.
[31] La sentenza del T.A.R. Veneto, Venezia, sez. II, 09.07.2021, n. 911 dispone: “Il provvedimento impugnato è illegittimo per difetto d’istruttoria e di motivazione.
La ricorrente ha fornito specifici e circostanziati elementi potenzialmente atti a superare le risultanze della planimetria catastale del 1939 (avente valore di mera presunzione relativa), che, sebbene riferita all’unità immobiliare per cui è causa, civico 520, secondo l’odierna istante, sarebbe in realtà afferente all’unità abitativa attigua, con accesso dal civico 518 e per un mero errore grafico sarebbe stata indicata con il numero 520.
Al fine di dimostrare l’erroneità della planimetria del 1939 e che il terzo piano esisteva prima del 1939 la ricorrente ha profuso un notevole (o comunque adeguato) sforzo istruttorio, allegando foto, disegni, relazioni, confronti con altri progetti … Orbene, in una situazione di questo tipo in cui la ricorrente ha fatto tutto quanto in suo potere (ad impossibilia nemo tenetur) per dimostrare l’erroneità delle risultanze catastali del 1939, il Comune avrebbe dovuto approfondire, in sede istruttoria, i temi d’indagine sottoposti al suo vaglio – procedendo, se del caso, anche ad un sopralluogo – per verificare la situazione di fatto ed accertare se la differenza tra le planimetrie catastali del 1939, del 1957 e del 1991 (quest’ultimo corrispondente allo stato attuale) sia dovuta ad un intervento abusivo ovvero ad un erronea rappresentazione dello stato dei luoghi operata in sede di redazione grafica delle tavole catastali.
Non risulta che tali approfondimenti istruttori siano stati svolti, il che comporta un difetto d’istruttoria.
Anche la motivazione del provvedimento impugnato deve ritenersi insufficiente poiché non dà conto delle concrete ragioni per le quali la ricostruzione dei fatti prospettata dalla ricorrente non possa trovare accoglimento, limitandosi il diniego a richiamare le risultanze catastali, la cui tenuta – nel particolare caso di specie – deve, tuttavia, essere vagliata alla luce degli specifici e circostanziati elementi forniti dalla ricorrente e potenzialmente volti ad infimarne l’attendibilità”.
[32] Analoghe considerazioni si rinvengono nell’articolo pubblicato dall’avv. Dario Meneguzzo in data 05.11.2021 sulla rivista telematica di informazione giuridica ItaliaIUS   https://italiaius.it/sanatoria-edilizia/e-logico-applicare-il-concetto-attuale-di-abuso-edilizio-per-difformita-alle-situazioni-anteriori-alla-legge-n-101977 nonchè dall’avv. Prof. Buno Barel nell’articolo pubblicato in data 08.11.2021 https://italiaius.it/permesso-di-costruire/un-intervento-del-prof-barel-su-difformita-edilizia-e-situazioni-anteriori-alla-legge-n-101977
[33] La sentenza del T.A.R. Veneto, Venezia, sez. III, 27.12.2018, n. 1202 dichiara: “Come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, infatti, il rilascio del certificato di agibilità presuppone sia la verifica di conformità urbanistica ed edilizia dell’opera, sia l’accertamento dei requisiti igienico-sanitari, secondo quanto previsto dall’art. 24, comma 1, d.p.r. 380/2001 (ratione temporis vigente) che precisa che il certificato di agibilità attesta “la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente” (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. n. 5025/2013 e n. 2760/2009; TAR Palermo, sent. n. 1055/2012; TAR Napoli, sent. n. 3992/2014)”, ma si veda anche Consiglio di Stato, sez. II, 17.05.2021, n. 3836 e T.A.R. Toscana, Firenze, sez. III, 16.10.2021, n. 1328.
[34] https://www.consiglioveneto.it/documents/34871/d29d8ba4-94be-9ff9-e89b-7dceff32e261
[35] L’art. 32 del d.P.R. n. 380/2001 recita: “1. Fermo restando quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 31, le regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato, tenuto conto che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni:
a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968;
b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;
c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza;
d) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito;
e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali. 2. Non possono ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative. 3. Gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali”.
[36] L’art. 92 della l.r. Veneto n. 61/195 recita: “Fermi i casi di cui al primo e al secondo comma dell’art. 91, gli interventi eseguiti in assenza di concessione anche tacitamente assentita ovvero in totale difformità ovvero con variazioni essenziali, sono soggetti allo stesso regime sanzionatorio amministrativo.
Si considerano in totale difformità dalla concessione edilizia o dalla relativa istanza, ove essa sia stata tacitamente assentita, le opere che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di destinazione d’ uso da quello oggetto della concessione stessa, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza e autonomamente utilizzabile.
Si considerano variazioni essenziali dalla concessione edilizia o dalla relativa istanza, ove essa sia stata tacitamente assentita, gli interventi:
a) che comportino, con o senza opere a ciò preordinate e in contrasto con le destinazioni d’ uso espressamente stabilite per singoli edifici o per le diverse zone territoriali omogenee, un mutamento sostanziale tra destinazioni residenziale, commerciale-direzionale, produttiva o agricola; si ha mutamento sostanziale quando esso riguarda almeno il 50% della superficie utile di calpestio della singola unità immobiliare e non comporta l’esercizio di attività alberghiera o comunque di attività radicalmente incompatibili con le caratteristiche della zona a causa della loro nocività o rumorosità;
b) che comportino un aumento della cubatura superiore a 1/5 del volume utile dell’edificio o un aumento dell’altezza superiore a 1/3, con esclusione delle variazioni che incidono solo sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative;
c) che comportino l’alterazione della sagoma della costruzione o la sua localizzazione nell’area di pertinenza, in modo da violare i limiti di distanza, anche a diversi livelli di altezza, recando sensibile pregiudizio alle esigenze della zona sotto il profilo igienico-sanitario, degli allineamenti previsti e dell’ordinata distribuzione dei volumi;
d) che comportino una ristrutturazione urbanistica ai sensi della lettera e) dell’art. 31 della L. 5 agosto 1978, n. 457, in luogo della ristrutturazione edilizia assentita ai sensi della lettera d) dell’art. 31 della legge stessa;
e) che comportino violazione delle norme tecniche relative alle costruzioni antisismiche.
Le opere conseguenti agli interventi, di cui al primo comma e in contrasto con la disciplina urbanistica, sono demolite ed è comunque ripristinato lo stato dei luoghi o delle costruzioni a cura e spese dei responsabili dell’abuso entro un termine non superiore a 90 giorni, ingiunto dal Sindaco con ordinanza, previo parere della Commissione Edilizia Comunale.
Con le stesse modalità il termine può essere prorogato per cause sopravvenute o di forza maggiore.
L’ordinanza è notificata ai soggetti secondo le modalità e per gli effetti di cui al quarto e quinto comma dell’art. 91.
Decorso inutilmente tale termine, i beni sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune e l’accertamento dell’inottemperanza previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione nel loro possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari; quindi, il Consiglio Comunale decide se le opere abusive non contrastino con rilevanti interessi urbanistici e/o ambientali e se comunque possano essere utilizzate per fini pubblici, compresi quelli di edilizia residenziale pubblica.
Quando il Consiglio Comunale decide negativamente il Sindaco provvede alla demolizione e al ripristino, avvalendosi degli uffici comunali o di imprese private o pubbliche, ponendo in ogni caso le spese sostenute a carico dei soggetti responsabili.
Per area su cui insiste l’opera abusiva, si intende quella occupata dall’opera stessa con le sue immediate pertinenze, valutate anche ai fini dell’accesso e tenuto conto del rapporto di copertura previsto dal Piano Regolatore Generale, in modo comunque da non essere mai superiore a 10 volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.
In parziale deroga al settimo comma, quando si tratti di opere abusivamente eseguite su terreni sottoposti, in base a leggi statali o regionali, a vincolo di inedificabilità, l’acquisizione gratuita, nel caso di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, si verifica di diritto a favore delle amministrazioni cui compete la vigilanza sull’osservanza del vincolo. Tali amministrazioni provvedono alla demolizione delle opere abusive e al ripristino dello stato dei luoghi a spese dei responsabili dell’abuso. Nella ipotesi di concorso di vincoli, la acquisizione si verifica a favore del Comune.
In deroga al presente articolo, gli interventi di ristrutturazione edilizia, di cui alla lettera d) dell’art. 31 della L. 5 agosto 1978, n. 457, eseguiti in assenza di concessione o della relativa istanza o in totale difformità o con variazioni essenziali dalla stessa, sono soggetti alla disciplina sanzionatoria prevista dall’art. 93 per le opere in parziale difformità
”.
[37] La sentenza del T.A.R. Veneto, Venezia, sez. II, 05.03.2021, n. 304 ritiene: “Né la parziale modifica dell’area di sedime, benchè abbia determinato la violazione delle distanze previste dal titolo, è sufficiente ad integrare i presupposti normativamente previsti dall’articolo 92, terzo comma, lettera c), L.R. 61/1985 per affermare la natura essenziale della difformità.
Alla stregua della suddetta disposizione sono essenziali le difformità “c) che comportino l’alterazione della sagoma della costruzione o la sua localizzazione nell’area di pertinenza, in modo da violare i limiti di distanza, anche a diversi livelli di altezza, recando sensibile pregiudizio alle esigenze della zona sotto il profilo igienico-sanitario, degli allineamenti previsti e dell’ordinata distribuzione dei volumi”.
La norma dà attuazione alla disposizione di principio di cui all’articolo 8 l. 47/1985 che, nel rimettere alla potestà regionale l’individuazione delle variazioni essenziali, affermava testualmente – per quanto qui interessa – che “l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni: (…) c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza”.
Alla stregua del suddetto parametro normativo, non è sufficiente la violazione delle distanze, a qualificare la modifica dell’area di sedime come variazione essenziale, occorrendo verificare che vi sia stata un’alterazione sostanziale della localizzazione e che la violazione delle distanze abbia determinato “sensibile pregiudizio alle esigenze della zona sotto il profilo igienico-sanitario, degli allineamenti previsti e dell’ordinata distribuzione dei volumi””.
[38] https://bur.regione.veneto.it/BurvServices/pubblica/DettaglioSentenzaOrdinanza.aspx?id=458753
[39] https://www.ilsole24ore.com/art/bonus-edilizi-l-agenzia-entrate-scopre-800-milioni-crediti-inesistenti-AEER13u
[40] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/11/11/21G00173/sg
[41] http://www.funzionepubblica.gov.it/sites/funzionepubblica.gov.it/files/Modulo_CILA_Superbonus.pdf
[42] L’art. 49 del d.P.R. n. 380/2001 recita: “1. Fatte salve le sanzioni di cui al presente titolo, gli interventi abusivi realizzati in assenza di titolo o in contrasto con lo stesso, ovvero sulla base di un titolo successivamente annullato, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti, né di contributi o altre provvidenze dello Stato o di enti pubblici. Il contrasto deve riguardare violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che eccedano per singola unità immobiliare il due per cento delle misure prescritte, ovvero il mancato rispetto delle destinazioni e degli allineamenti indicati nel programma di fabbricazione, nel piano regolatore generale e nei piani particolareggiati di esecuzione. 2. È fatto obbligo al comune di segnalare all’amministrazione finanziaria, entro tre mesi dall’ultimazione dei lavori o dalla segnalazione certificata di cui all’articolo 24, ovvero dall’annullamento del titolo edilizio, ogni inosservanza comportante la decadenza di cui al comma precedente. 3. Il diritto dell’amministrazione finanziaria a recuperare le imposte dovute in misura ordinaria per effetto della decadenza stabilita dal presente articolo si prescrive col decorso di tre anni dalla data di ricezione della segnalazione del comune. 4. In caso di revoca o decadenza dai benefici suddetti il committente è responsabile dei danni nei confronti degli aventi causa”.
[43] L’art. 50 del d.P.R. n. 380/2001 recita: “1. In deroga alle disposizioni di cui all’articolo 49, le agevolazioni tributarie in materia di tasse ed imposte indirette sugli affari si applicano agli atti stipulati dopo il 17 marzo 1985, qualora ricorrano tutti i requisiti previsti dalle vigenti disposizioni agevolative ed a condizione che copia conforme del provvedimento di sanatoria venga presentata, contestualmente all’atto da registrare, all’amministrazione cui compete la registrazione. In mancanza del provvedimento definitivo di sanatoria, per conseguire in via provvisoria le agevolazioni deve essere prodotta, al momento della registrazione dell’atto, copia della domanda di permesso in sanatoria presentata al comune, con la relativa ricevuta rilasciata dal comune stesso. L’interessato, a pena di decadenza dai benefìci, deve presentare al competente ufficio dell’amministrazione finanziaria copia del provvedimento definitivo di sanatoria entro sei mesi dalla sua notifica o, nel caso che questo non sia intervenuto, a richiesta dell’ufficio, dichiarazione del comune che attesti che la domanda non ha ancora ottenuto definizione. 2. In deroga alle disposizioni di cui all’articolo 49, per i fabbricati costruiti senza permesso o in contrasto con la stessa, ovvero sulla base di permesso successivamente annullato, si applica la esenzione dall’imposta comunale sugli immobili, qualora ricorrano i requisiti tipologici di inizio e ultimazione delle opere in virtù dei quali sarebbe spettata, per il periodo di dieci anni a decorrere dal 17 marzo 1985. L’esenzione si applica a condizione che l’interessato ne faccia richiesta all’ufficio competente del suo domicilio fiscale, allegando copia della domanda indicata nel comma precedente con la relativa ricevuta rilasciata dal comune. Alla scadenza di ogni anno dal giorno della presentazione della domanda suddetta, l’interessato, a pena di decadenza dai benefici, deve presentare, entro novanta giorni da tale scadenza, all’ufficio competente copia del provvedimento definitivo di sanatoria, o in mancanza di questo, una dichiarazione del comune, ovvero una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, attestante che la domanda non ha ancora ottenuto definizione. 3. La omessa o tardiva presentazione del provvedimento di sanatoria comporta il pagamento dell’imposta comunale sugli immobili e delle altre imposte dovute nella misura ordinaria, nonché degli interessi di mora stabiliti per i singoli tributi. 4. Il rilascio del permesso in sanatoria, per le opere o le parti di opere abusivamente realizzate, produce automaticamente, qualora ricorrano tutti i requisiti previsti dalle vigenti disposizioni agevolative, la cessazione degli effetti dei provvedimenti di revoca o di decadenza previsti dall’articolo 49” 5. In attesa del provvedimento definitivo di sanatoria, per il conseguimento in via provvisoria degli effetti previsti dal comma 4, deve essere prodotta da parte dell’interessato alle amministrazioni finanziarie competenti copia autenticata della domanda di permesso in sanatoria, corredata della prova del pagamento delle somme dovute fino al momento della presentazione della istanza di cui al presente comma. 6. Non si fa comunque luogo al rimborso dell’imposta comunale sugli immobili e delle altre imposte eventualmente già pagate”.
[44] L’art. 44 del d.P.R. n. 380/2001 recita: “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica: a) l’ammenda fino a 10.329 euro per l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire; b) l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 5.164 a 51.645 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione; c) l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 15.493 a 51.645 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell’articolo 30. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso. 2. La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite. Per effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione. La sentenza definitiva è titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari. 2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi suscettibili di realizzazione mediante segnalazione certificata di inizio attività ai sensi dell’articolo 23, comma 01, eseguiti in assenza o in totale difformità dalla stessa”.
[45] La sentenza della Cassazione penale, sez. III, 17.07.2020, n. 27993 ritiene che: “tale impostazione, tuttavia, avrebbe una sua valenza nel caso in cui fosse certo che il titolo autorizzatorio fosse legittimo, mentre, in caso contrario, sarebbero idonee ad assumere rilievo penale anche mere condotte manutentive, dovendosi richiamare la costante e condivisa affermazione di questa Corte (cfr. ex multis Sez. 3, n. 48026 del 10/10/2019, Rv. 277349 e Sez. 3, n. 38495 del 19/05/2016, Rv. 267582), secondo cui, in tema di reati edilizi, qualsiasi intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente, ancorché l’abuso non sia stato represso, costituisce una ripresa dell’attività criminosa originaria, che integra un nuovo reato, anche se consista in un intervento di manutenzione ordinaria, perché anche tale categoria di interventi edilizi presuppone che l’edificio su cui si interviene sia stato costruito legittimamente”.
[46] L’art. 119, c. 9 bis del d.l. 34/2020 recita: “Le deliberazioni dell’assemblea del condominio aventi per oggetto l’approvazione degli interventi di cui al presente articolo e degli eventuali finanziamenti finalizzati agli stessi, nonché’ l’adesione all’opzione per la cessione o per lo sconto di cui all’articolo 121, sono valide se approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell’edificio. Le deliberazioni dell’assemblea del condominio, aventi per oggetto l’imputazione a uno o più condomini dell’intera spesa riferita all’intervento deliberato, sono valide se approvate con le stesse modalità di cui al periodo precedente e a condizione che i condomini ai quali sono imputate le spese esprimano parere favorevole”.
[47] La voce A.2 dell’allegato A del d.P.R. n. 31/2017 prevede l’esclusione dall’autorizzazione paesaggistica per gli “interventi sui prospetti o sulle coperture degli edifici, purché eseguiti nel rispetto degli eventuali piani del colore vigenti nel comune e delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti, quali: rifacimento di intonaci, tinteggiature, rivestimenti esterni o manti di copertura; opere di manutenzione di balconi, terrazze o scale esterne; integrazione o sostituzione di vetrine e dispositivi di protezione delle attività economiche, di finiture esterne o manufatti quali infissi, cornici, parapetti, lattonerie, lucernari, comignoli e simili; interventi di coibentazione volti a migliorare l’efficienza energetica degli edifici che non comportino la realizzazione di elementi o manufatti emergenti dalla sagoma, ivi compresi quelli eseguiti sulle falde di copertura. Alle medesime condizioni non è altresì soggetta ad autorizzazione la realizzazione o la modifica di aperture esterne o di finestre a tetto, purché tali interventi non interessino i beni vincolati ai sensi del Codice, art. 136, comma 1, lettere a), b) e c) limitatamente, per quest’ultima, agli immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l’edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici”.
[48] La voce B.3 dell’allegato B del d.P.R. n. 31/2017 sottopone ad autorizzazione paesaggistica semplificata gli “interventi sui prospetti, diversi da quelli di cui alla voce B.2, comportanti alterazione dell’aspetto esteriore degli edifici mediante modifica delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali o delle finiture esistenti, quali: modifica delle facciate mediante realizzazione o riconfigurazione di aperture esterne, ivi comprese vetrine e dispositivi di protezione delle attività economiche, o di manufatti quali cornicioni, ringhiere, parapetti; interventi sulle finiture esterne, con rifacimento di intonaci, tinteggiature o rivestimenti esterni, modificativi di quelli preesistenti; realizzazione, modifica o chiusura di balconi o terrazze; realizzazione o modifica sostanziale di scale esterne”.
[49] https://www.governo.it/it/articolo/consiglio-dei-ministri-n-44/18347
[50] Nella sentenza della C. Cost. 28.07.1995 n. 416 si legge che la normativa sul condono edilizio, “ove fosse reiterata, soprattutto con ulteriore e persistente spostamento dei termini, riferiti all’epoca dell’abuso sanabile, non troverebbe giustificazione sul piano della ragionevolezza, in quanto finirebbe col vanificare del tutto le norme repressive di quei comportamenti che il legislatore ha considerato illegali perché contrastanti con la tutela del territorio”.
[51] L’art. 41 del d.P.R. n. 380/2001 recita: “1. In caso di mancato avvio delle procedure di demolizione entro il termine di centottanta giorni dall’accertamento dell’abuso, la competenza è trasferita all’ufficio del prefetto che provvede alla demolizione avvalendosi degli uffici del comune nel cui territorio ricade l’abuso edilizio da demolire, per ogni esigenza tecnico-progettuale. Per la materiale esecuzione dell’intervento, il prefetto può avvalersi del concorso del Genio militare, previa intesa con le competenti autorità militari e ferme restando le prioritarie esigenze istituzionali delle Forze armate. 2. Entro il termine di cui al comma 1, i responsabili del comune hanno l’obbligo di trasferire all’ufficio del prefetto tutte le informazioni relative agli abusi edilizi per provvedere alla loro demolizione”.
[52] La circolare del Ministero dell’Interno n. 13001/113/110/Ufficio IV Affari interni prot. 11142 del 16.02.2021, da un lato, non ritiene perentorio il termine di centottanta giorno previsto dall’art. 41 del d.P.R. n. 380/2001 e, dall’altro lato, circoscrive la portata della disposizione agli abusi accertati successivamente alla data di entrata in vigore della norma (15.09.2020), ricordando che gli oneri per la demolizione dovrebbero comunque essere a carico dell’ente locale.
[53] La sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, sez. VI, 07.10.2021, n. 6327 sostiene: “va affermato l’obbligo di provvedere del Prefetto di Napoli in forza del nuovo testo dell’articolo 41 D.P.R. n. 380 citato.
Tale disposizione, infatti, “trasferisce” la competenza in materia di procedure di demolizione – in caso di loro mancato avvio entro 180 giorni dall’accertamento dell’abuso – ai Prefetti che si avvalgono dell’ausilio degli uffici comunali per ogni esigenza tecnico-progettuale e con il concorso, previa intesa con l’autorità militare, del Genio militare.
La disposizione dell’articolo 41 – che è il frutto di una novella legislativa introdotta in sede di conversione del d.l. 16 luglio 2020, n. 76 – innova il sistema sanzionatorio previsto dal D.P.R. n. 380 concentrando in capo al Prefetto – in deroga quindi alle ordinarie competenze previste negli articoli 27 e segg. in capo a comuni, enti gestori dei vincoli e regioni – il compito di curare le procedure di demolizione in un’ottica di semplificazione e di effettività delle sanzioni; benchè la disposizione non sia chiarissima in punto di decorrenza del termine di sei mesi (il riferimento all’accertamento dell’abuso non è univoco) nella fattispecie tale termine è chiaramente (e ampiamente) decorso dato che, anche a voler utilizzare come dies a quo la data del provvedimento che ha ingiunto la demolizione facendo quindi coincidere l’accertamento con la data di emanazione di esso, sta di fatto che tale provvedimento risale al 7 luglio 2020 per cui alla data della diffida 180 giorni erano decorsi”.
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