La prospettiva del magistrato penale si espone al rischio di restringere l’ambito di approfondimento di un tema così complesso e stimolante alla mera analisi dei canoni ermeneutici dell’accertamento giudiziale lasciando poche sponde per un confronto aperto e proficuo di saperi e professionalità. Non credo che possa essere questo il senso della mia presenza oggi, perciò mi sforzerò di evidenziare le caratteristiche dell’intervento penale che più di altre si collegano al più ampio ambito dei profili della prevenzione delle calamità naturali nella società dal rischio.

2° premessa. I temi relativi alla responsabilità colposa per la loro specificità sono frutto di elaborazione dottrinali e di carattere giurisprudenziale rispetto ai quali il compito di un giudice di primo grado rischia di apparire più che altro ricognitivo, ma questo non è del tutto vero e comunque non si tratta di argomenti da giuristi specialisti e basta, anzi: la costruzione del diritto vivente, parte dal basso, cioè dalla giurisprudenza di merito, per arrivare a quella di legittimità ed ha bisogno di supporti culturali e scientifici molto forti che aiutino a capire certi fenomeni e quindi ad intervenire su di essi nel modo più efficace e rispondente all’interesse della collettività. La stessa evoluzione della nozione di causalità, di colpa, di individuazione delle posizioni di garanzia fa sì che oggi non sia più fermo questo terreno. Credo siano necessarie sinergie e umiltà nell’approccio a questi temi, in coerenza con l’idea che fare giurisdizione in modo autentico (come presidio irrinunciabile in una società democratica) significa anzitutto premettere al momento della decisione quello della reale comprensione dei terreni specifici delle rispettive responsabilità (assetti decisori, valutativi, tecniche di prevenzione, momenti di intervento post-evento).

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Un breve excursus storico sul tema della responsabilità colposa può dare un’idea della complessità della questione.

Il controllo di legalità che ha avuto ad oggetto i reati colposi è stato per lungo tempo caratterizzato da un atteggiamento di inerzia e difficoltà ad entrare in vicende e dinamiche rispetto alle quali si riteneva non dovuto o certamente non scontato un intervento giudiziale, con la conseguente rarefazione dei procedimenti in materia di colpa (la mia esperienza di Pubblico Ministero nel territorio vicentino a metà degli anni ’90 ancora mi metteva di fronte a tale difficoltà/resistenza in particolare rispetto a tematiche ambientali o al campo delle malattie professionali).

Ad un certo punto i processi per colpa sono cresciuti (oggi il rischio di essere coinvolti in un processo colposo, è un rischio ubiquitario, esteso a tutti noi: non c’è segmento, non c’è settore, non c’è recesso della compagine sociale che non sia passibile di coinvolgimento in un processo per colpa): se pensiamo in particolare all’accadere di un evento calamitoso di qualsiasi tipo la prima reazione è quella della richiesta di “giustizia” che segna il superamento della teoria fatalistica del passato ma porta con sé anche con un carico di urgenze ed emotività che non sempre il processo è in grado di governare. Si sono aperte nuove frontiere del diritto sui concetti della fattispecie colposa, della fattispecie colposa di evento, della fattispecie omissiva impropria che hanno portato ad un’estensione a macchia d’olio del rimprovero penale mettendo in evidenza una maggiore consapevolezza di come la società del rischio imponga cautele e prevenzioni sempre più avanzate ma mostrando anche i limiti e le difficoltà nel maneggiare strumenti concettuali di estrema complessità e nel gestire anche gli effetti della giurisdizione (es. indagini su eventi di danno alla salute che riportano a condotte colpose di decenni precedenti…).

Allora, anticipando quello che riprenderò in conclusione, credo sia chiara una più matura consapevolezza: la ricerca delle regole dell’equilibrio, nel senso di acquisire consapevolezza che anche la giurisdizione deve sentirsi parte di un sistema complesso in cui diversi sono i problemi e gli interventi. Fare giustizia significa saper cogliere la realtà in cui si opera, tradurla in un percorso di accertamento che, come presidio di legalità e di tutela, ha le sue regole ma anche i suoi limiti.

Il sistema sconta sicure rigidità che vanno evidenziate: alcune legate a garanzie e presidi di legalità come l’obbligatorietà dell’azione penale, altre alla risposta repressiva che ad es. non riconosce la rilevanza delle diverse graduazioni della colpa o preclude gli spazi di valorizzazione della prospettiva della prevenzione altre ai tempi e alla gestione del processo, anche dal punto di vista dei rapporti tra processo e società, soprattutto in termini di trasparenza, comprensibilità ed effettività degli esiti dell’attività giudiziaria e gestione delle aspettative sociali e delle pressioni che sui processi esercitano l’emotività e i drammi personali che soprattutto parlando di calamità naturali derivano da questo tipo di eventi

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L’imputazione colposa ho subito un progressivo affinamento nella sua elaborazione: E’ allora opportuno, senza appesantire troppo il discorso, richiamare brevemente alcuni passaggi logici che aiutino a dare una corretta impostazione alla sostanza e concretezza dell’intervento penale.

Nesso causale. 1° passaggio.

  • Di fronte ad un evento calamitoso e un’imputazione per condotta colposa omissiva, soltanto delineando il comportamento dovuto è possibile tracciare un collegamento eziologico tra la condotta colposa che si rimprovera e l’evento verificatosi: insomma ragionate di nesso causale in questi casi significa formulare un giudizio ipotetico e prognostico su come l’eventuale compimento dell’azione doverosa avrebbe influenzato il corso degli accadimenti, impedendo l’evento. Di fronte a un evento che si asserisce causato da un’omissione, il Giudice deve quindi procedere ponendosi due domande: a) quali cautele era necessario adottare? b) è possibile ipotizzare che se le cautele fossero state adottate, l’evento non si sarebbe verificato? concludendo per l’esistenza del nesso causale tutte le volte che diventi certo (anzi probabile) che l’evento non si sarebbe verificato qualora l’agente avesse tenuto l’azione dovuta alla stregua di un giudizio di elevata probabilità logica.
  • La Giurisprudenza da più di 15 anni ha poi chiarito come non basti questa operazione: il profilo causale si deve fondare però anche su un giudizio di tipo induttivo che per così dire cala il ragionamento generale sulle particolarità del caso concreto, verificando se le inferenze del fatto posso confermare l’ipotesi formulata o aprire a ipotesi di decorsi causali alternativi[1]. E’ un passaggio ricostruttivo e probatorio ineludibile che mira a scongiurare prospettazioni che non tengano conto della realtà concreta del caso.

Il tema in punto di causalità è quello della evitabilità dell’evento e l’individuazione di misure volte a prevenirlo: diversi dunque sono i piani di verifica: quale prevenzione? segnalazione tempestiva? interventi di prevenzione? misure volte ad informare e formare i soggetti esposti al rischio? la stessa la legge 225/92 richiama questa pluralità di livelli: declina infatti l’attività della protezione civile lungo le 4 direttrici principali: previsione, prevenzione, soccorso e ripristino della normalità. Insomma: quando mi chiedo quale sarebbe dovuta essere la condotta alternativa devo aver chiaro l’orizzonte su cui si muove la mia indagine.

Ecco alcune delle criticità:

a) un aspetto estremamente rilevante nell’individuazione dei garanti nel sistema normativo della Protezione Civile è l’esatta identificazione della natura dell’evento: è di tutta evidenza come mutino le tematiche e le problematiche investigative, e prima ancora di intervento da parte della Protezione Civile, a seconda che per esempio siamo di fronte ad eventi a produzione immediata: un crollo, un naufragio, un disastro ferroviario, o al contrario ad eventi a formazione progressiva: un’alluvione, un’esondazione. Quando si parla delle difficoltà di individuazione dell’evento si deve anche considerare la distinzione tra evento primario e le sue conseguenze: il rischio da evitare è proprio quello di perdere di vista l’evento rispetto al quale di ipotizza una colpa (di mancata previsione o prevenzione). Mi permetto di attingere alla mia esperienza di giudice ferrarese impegnato in un processo per il sisma del 2012 (la sentenza è passata in giudicato): esiste l’evento sismico del 20.05.2012 e si sono verificati dei decessi all’interno di insediamenti produttivi; l’oggetto del processo ha riguardato la responsabilità di chi aveva progettato il capannone crollato e il datore di lavoro dell’operaio deceduto. Tanti i temi: previsione dell’evento, prevenzione dal rischio sismico: nel ragionare di responsabilità per rischio sismico è stato fondamentale anzitutto distinguere dal fatto terremoto, evento in sè naturale imprevedibile e non evitabile, rispetto all’emergenza sismica che è altra cosa: lo ha chiarito la giurisprudenza, essa fa riferimento al rischio derivante da un fatto come il terremoto che è da considerare alla stregua di eventi rientranti tra le normali vicende del suolo e non può essere giudicato come accadimento eccezionale e imprevedibile quando si verifica in zone già qualificate ad elevato rischio sismico (così si può dire di frane, esondazioni, crolli…).

Altro aspetto sull’evento riguarda le sue caratteristiche specifiche e quindi l’individuazione delle misure doverose che avrebbero evitato l’evento. Anche qui l’esempio del sisma è interessante: è un eventi caratterizzato da brevità e dirompenza che lo distingue da altre calamità (incendio) quindi le misure che puoi esigere sono diverse (es. no vie di fuga utili solo per chi ha muniti a disposizione, sì ripari idonei e riconoscibili).

b) Un problema collegato alla necessità di individuare in modo concreto le cautele è quello dell’incertezza scientifica: con riguardo ai criteri della prevedibilità e dell’evitabilità dell’evento antigiuridico, che, com’è noto, costituiscono i criteri di individuazione delle misure da adottare nelle situazioni in cui potrebbe sorgere una situazione di pericolo. Ora, se la individuazione di questi criteri è obiettivamente più facile in tutte quelle situazioni di pericolo già sperimentato, cioè in quelle situazioni nelle quali è già riconosciuto e riconoscibile il comportamento doveroso che bisogna attivare, tutto si complica in quei settori che sono caratterizzati da conoscenze scientifiche incerte, nei quali cioè mancano precedenti, quindi preesistenti regole di condotta, o quando l’evento naturale si presenta con caratteri di eccezionalità. Esiste un pericolo di un approccio sul tema della responsabilità frammentato e poco calato nella realtà: con l’effetto di produrre una Protezione Civile difensiva, cioè il rischio che un intervento non proporzionato da parte dell’Autorità giudiziaria possa operare nei destinatari, negli operatori di un determinato settore, una tendenza ad autolimitare i propri interventi per ridurre al massimo i pericoli di una successiva sovraesposizione giudiziaria o a ricorrere ad precauzionismo esasperato che mi metta al riparo da ogni eventuale censura. Già qui può essere utile una riflessione: la ricerca di quali devono essere le misure da adottare deve muoversi sulla base di ragionamenti chiari e scientificamente supportati, partendo da una prevenzione che ha bisogno di essere pianificata e programmata, valutando i rischi dove ci sono e indicando già le misure idonee per prevenirli.

c) Non a caso, alcune condotte che sono state ritenute causalmente rilevanti erano connesse ad obblighi di pianificazione. Sotto questo profilo, il problema dell’adeguatezza della pianificazione in tema di emergenza è un problema direttamente collegato a quello dell’individuazione delle posizioni di garanzia, individuazione delle regole cautelari, individuazione dei possibili responsabili.

d) in tema di nesso causale a proposito delle misure di informazione si è parlato di causalità psichica a proposito della condotta di chi di fronte a rischi di calamità avrebbe dato informazioni volte a rassicurare o comunque ad indurre comportamenti alla popolazione in caso di calamità esponendo le persone al rischio. Nel processo svoltosi per le numerose vittime cagionate dal terremoto dell’Aquila, secondo l’accusa, a causa delle notizie rassicuranti divulgate da eminenti esponenti della Commissione Grandi Rischi, alcune persone avevano assunto la decisione, poi rivelatasi fatale, di rimanere presso le proprie abitazioni. Agli imputati è stato contestato di aver influito sulla psiche delle vittime, inducendole ad assumere un comportamento altamente lesivo per la propria incolumità fisica. La Corte di cassazione, nella sentenza Grandi rischi, ha optato per l’utilizzo di un metodo inferenziale, per cui al fine di giungere alla prova dell’accertamento del nesso causale, dovrà farsi necessariamente riferimento a massime di esperienza generalmente condivise dalla collettività con la necessità tuttavia di un “rigoroso e puntuale riscontro critico fornito dalle evidenze probatorie e dalle contingenze del caso concreto (secondo il procedimento logico dell’induzione), suscettibili di convalidare o falsificare l’ipotesi originaria e contestualmente, di escludere o meno la plausibilità di ogni altro decorso causale alternativo, al di là di ogni ragionevole dubbio”. Sulla base di questa ricostruzione è stato ritenuto sussistente un nesso di causalità psichica tra la condotta comunicativa dell’ex vice capo della Protezione civile e la decisione dei cittadini aquilani di rimanere nelle proprie case: questo funzionario aveva rilasciato un’intervista alla televisione affermando non solo che “non ci fosse pericolo” ma utilizzando a fini rassicuranti concetti scientifici errati parlando di una “situazione favorevole per il verificarsi di uno scarico di energia continuo”. Al contrario è stata esclusa la responsabilità dei componenti della commissione Grandi rischi che in una riunione avevano espresso valutazioni scientifiche prive di ingiustificati toni rassicuranti tali da indurre modificazioni nella percezione del rischio da parte dei cittadini. La Giurisprudenza aveva così fatto una distinzione tra una possibile responsabilità per il contenuto delle valutazioni scientifiche e una possibile responsabilità per l'(eventuale) attività di informazione della popolazione.

e) Il tema, che più direttamente coinvolge su questo punto gli amministratori, si collega alla cd responsabilità pre-evento quando vengono in gioco eventuali doveri e quindi responsabilità in materia di preallarme della popolazione. La sentenza della Commissione Grandi Rischi della IV Sezione Penale, costituisce un paradigma della complessità di questo scenario e consente di ampliare l’orizzonte di osservazione dal punto di vista della giurisdizione e dal punto di vista del Servizio di Protezione Civile. In essa sul paragrafo: La ‘comunicazione sociale’ del rischio nel contesto della Protezione civile” si dice: “L’organo della Protezione Civile che provvede a fornire informazioni alla pubblica opinione circa la previsione, l’entità o la natura di paventati eventi rischiosi per la pubblica incolumità, esercita una concreta funzione operativa di prevenzione e di protezione ed è a tal fine tenuto ad adeguare il contenuto della comunicazione pubblica ad un livello ottimale di trasparenza e correttezza scientifica delle informazioni diffuse e ad adattare il linguaggio comunicativo ai canoni della chiarezza oggettiva, comprensibilità ed inequivocità espressiva”. Tornando alla sentenza dell’Aquila la colpa dell’imputato sarebbe stata quella di “dare ai cittadini, senza prima verificarne la fondatezza scientifica, notizie non corrette e imprecise sia sulla rilevanza dell’attività sismica in atto, sia sui suoi possibili sviluppi, affermando che lo sciame in corso si collocava in una fenomenologia senz’altro normale dal punto di vista dei fenomeni sismici che ci si dovevano aspettare, che non vi era pericolo, e che la situazione era favorevole perché era in atto uno scarico di energia continuo»

f) E’ stato più volte evocato il problema del principio di precauzione, che è tuttavia estraneo alla logica dell’affermazione della responsabilità penale colposa: sempre la sentenza Grandi Rischi ha un passaggio chiaro sul punto: “La regola cautelare, fondata sulla prevedibilità ed evitabilità dell’evento, ha riguardo ai casi in cui la verificazione di questo, in presenza della condotta colposa, può ritenersi, se non certa, quantomeno possibile sulla base di elementi d’indagine dotati di adeguata concretezza e affidabilità, sia pure di solo di consistenza empirica e non scientifica. Essa, invece, non può essere individuata sulla scorta del principio di precauzione, che ha riguardo ai casi in cui si è rimasti al livello del ‘sospetto’ che, in presenza di certi presupposti, possano verificarsi effetti negativi (in particolare sulla salute dell’uomo) – e dunque quando manchi in senso assoluto una possibile spiegazione dei meccanismi causali o non si disponga di concreti elementi di indagine (sia pure di consistenza empirica e non scientifica) idonei a formulare attendibili e concrete previsioni circa il ricorso di eventuali connessioni causali tra la condotta sospetta e gli eventi lesivi” (p. 46).

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Imputazione colposa 2° passaggio.

La verifica causale non coincide con quella relativa al profilo della colpa: prima infatti individuo il comportamento alternativo (costituito dalle misure suindicate) idoneo in via probabilistica ad evitare l’evento nella duplice prospettiva generale e concreta rispetto alle circostanze del caso e poi mi chiedo se quel comportamento poteva essere imputato ad un soggetto tenuto ad osservare quelle norme cautelari la cui violazione ha causato (in termini come detto giuridica ipotetica) l’evento. Anche qui la Giurisprudenza di legittimità ha individuato 2 piani del cd rimprovero colposo: un primo aspetto oggettivo, integrato dalla violazione della norma cautelare e un profilo soggettivo e personale, collegato alla capacità soggettiva e concreta dell’agente di osservare la regola cautelare e quindi all’esigibilità del comportamento dovuto secondo criteri di prevedibilità ed evitabilità dell’evento[2]. Viene in causa la figura paradigmatica del cd “agente modello”, identificabile nel soggetto ideale che svolge al meglio una determinata attività e a cui siano ascrivibili i compiti e i poteri per evitare, con una condotta diligente, i rischi prevedibili e le conseguenze evitabili.

Solo dopo aver precisato natura, caratteristiche e perimetro fattuale dell’evento, premessa per individuare quali sarebbero state le misure in grado di evitare un certo evento calamitoso, sarà dunque possibile ricercare quali fossero le regole (normative, cautelari) che facevano sorgere l’obbligo giuridico di attivarsi definendo il contenuto della  cosiddettaposizione di garanzia”, cioè di quella situazione tipica nella quale sia riconoscibile in capo ad un soggetto un obbligo.

E’ intuibile la complessità e delicatezza di questa operazione: posso ipotizzare tutte le cautele che se poste in essere secondo me avrebbero potuto evitare l’evento, ma per affermare una responsabilità penale devo dimostrare che quelle cautele/misure erano oggetto di regole cautelari e quindi di obblighi ascrivibili ad un soggetto.

a) Il problema spesso è quello di individuare i soggetti in capo ai quali riconoscere questa posizione di garanzia; tanto più avvertito in una realtà quale quella della Protezione Civile che è caratterizzata dalla complessità dell’articolazione e da una diffusione soggettiva di poteri esercitati, quindi, in concreto, la difficoltà di individuare caso per caso la titolarità di questa posizione di garanzia. Difficoltà che sono tanto più accentuate per il fatto che la legge prevede in capo agli operatori della Protezione Civile non solo il tradizionale compito di soccorso in favore della popolazione civile colpita da eventi o calamità naturali ma anche funzioni di previsione e prevenzione dei rischi, con collegati obblighi di comunicazione e di informazione in favore della popolazione. C’è sicuramente il rischio della cd ridondanza soggettiva: al netto delle vicende processuali, il pericolo che nei reati omissivi, in quelli omissivi impropri in particolare, vi sia una moltiplicazione dei soggetti attinti quantomeno dall’indagine, è un pericolo molto reale.

b)Altro problema è quello di dare un contenuto a questi obblighi che sostanziano la posizione di garanzia; capire qual è l’esatto spettro di quella posizione di garanzia, cioè se esso debba essere modulato esclusivamente o prevalentemente sugli obblighi derivanti da specifiche fonti normative oppure e in che misura da generali regole di diligenza o di prudenza. Ritengo che sia sempre necessario ancorarsi ad una fonte normativa, intendendoci sul suo contenuto.

Torno all’esempio del sisma: ai costruttori era ascritta una colpa specifica correlata alla violazione della normativa tecnica delle costruzioni in territorio sismico mentre al datore di lavoro la colpa specifica attiene alla violazione della normativa di prevenzione: il problema era che le norme tecniche delle costruzioni del 1987 erano antecedenti alla qualificazione del territorio come sismico del 2003 e la progettazione risaliva al 1992:

  • a chi aveva edificato l’edificio non posso rimproverare di non aver osservato norme tecniche che all’epoca della sua attività riguardavano la normativa sismica, visto che la zona non era ancora stata qualificata tale: la loro posizione di garanzia era rispetto all’immobile e alla tenuta della sua struttura.
  • altra cosa era la posizione di garanzia ascrivibile al datore di lavoro che riguardava il lavoratore e quindi poneva un obbligo di garantire al lavoratore di svolgere la sua attività in una struttura sicura, obbligo quindi che non era statico ma dinamico coinvolgendo la necessità di aggiornamento delle misure di protezione da adottare e di conoscenza tecnica aggiornata: questa è la fonte di responsabilità e quelle norme tecniche per le costruzioni che non valevano per affermare la responsabilità dei progettisti perché assumevano rilevanze per il datore avendo la funzione di integrare il contenuto di conoscenza tecnica.

Insomma il carattere personale dell’imputazione penale impone la necessità di definire in modo concreto e differenziato i ruoli, i compiti e le regole che devono disciplinare il loro svolgimento.

In sintesi

  • È necessario anzitutto che in fase di accertamento giudiziale sia ben individuato l’evento, nelle sue caratteristiche di prevedibilità ed evitabilità, che variano a secondo della sua natura.
  • Una volta definito l’evento, va individuata la condotta doverosa che con alta probabilità logica avrebbe potuto evitarlo; non solo in termini generali ma caratterizzando il fatto storico e considerando le particolarità del caso concreto;
  • Individuare il gestore del rischio nel soggetto munito di compiti e titolare dei poteri e capacità idonei per assolvere gli obblighi di previsione e prevenzione (il rimprovero colposo e quindi l’esigibilità della condotta hanno un senso solo se rivolto a chi aveva il potere e dovere di evitare il danno).
  • L’accertamento di tale posizione di garanzia è operazione complessa che richiede da parte del giudice apertura, capacità di raccogliere tutti gli elementi concreti di un fatto: involge l’accertamento, fondato e affidabile, su quale fosse l’ambito di conoscenze ed informazioni disponibili (concreti elementi di indagine (sia pure di consistenza empirica e non scientifica) idonei a formulare attendibili e concrete previsioni) e quali fossero le misure esigibili in concreto e idonee a prevenire l’evento: quindi un indagine a più livelli: piano di conoscenza previsione, un piano di pianificazione della gestione del rischio, un piano di gestione dell’emergenza.
  • Più chiari sono gli obblighi e le responsabilità nella prevenzione, più si restringe i rischio di un intervento repressivo indiscriminato e lontano dalla realtà e di un atteggiamento che alimenti atteggiamenti difensivi e situazioni di incertezza che invece di consentire di affrontare il rischio lo rendono più concreto e vicino.

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Qualche spunto per poter ridurre i margini di incertezza:

  • rapporto che deve intercorrere tra il giudice e la prova scientifica. La giurisprudenza di legittimità ha ridisegnato il rapporto che deve intercorrere tra il giudice e la prova scientifica, che è come dire tra il giudice e il portatore di competenze di carattere specialistico. Non è più consentito che il giudice si affidi ciecamente al consulente, salvo poi coprirne le criticità o coprire questo rapporto di mero affidamento richiamandosi al principio per cui il giudice è il perito dei periti: bisogna che si faccia una verifica della qualità del lavoro di intermediazione che l’esperto fa tra il processo e il mondo scientifico. Il giudice non può conoscere ciò che avviene nel processo attraverso l’esperto, nessuno glielo può chiedere, deve essere però il garante del metodo utilizzato dall’esperto, delle fonti dell’esperto.
  • E’ condivisibile l’auspicio fatto in sedi autorevoli di un concorso virtuoso fra il legislatore e la giurisprudenza. Il legislatore potrebbe adottare la stessa tecnica che ha utilizzato con la Balduzzi estendendola anche ad altre attività che sono segnate dalla particolare complessità, che può essere di carattere tecnico, di carattere operativo ricavando regole di esperienza che permettano di dare rilevanza alle ipotesi di minima rimproverabilità.

Vartan Giacomelli

*Relazione al XXIX Convegno annuale dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti, sul tema : “Cambiamenti climatici, tutela del suolo e uso responsabile delle risorse idriche” (Cortina d’Ampezzo, 5 luglio 2019).

 

[1] Cass. Sez. U n. 38343 del 24.04.2014, Cass. Sez. IV n. 1280 del 01.06.2016 .

[2] Cass. Sez. IV del 19.11.2015 n. 12478.

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