1. Quale è il ruolo e la natura dell’indennizzo a favore dei concessionari uscenti descritto dalle Adunanze Plenarie nn. 17-18/2021? Come potrebbe essere quantificato e parametrato detto indennizzo a favore di coloro che, in quanto concessionari uscenti, si affidavano su una concessione di durata ben più lunga rispetto al 31.12.2023?

Come dovranno essere organizzate le nuove gare pubbliche per individuare il concessionario?

Nelle sentenze 17-18/2022 dell’Adunanza Plenaria, vengono in rilievo diversi argomenti interessanti in ottica di realizzazione di future gare e affidamenti, oltre che di tutela dei concessionari uscenti. Alcuni dei dubbi che sorgono dalla lettura delle sentenze sono già chiariti nel testo di emendamento proposto al ddl concorrenza (AS 2469) e approvato di recente. Altri rimangono ancora sul tappeto ed è plausibile che creeranno problemi nel prossimo futuro.

Nel corso della presente relazione, cercherò di trattare alcuni di questi argomenti che, anche alla luce delle recentissime norme e modifiche emendative proposte al Governo sono da ritenere più rilevanti per il futuro. Tenterò di prospettare i vari profili in modo evolutivo al fine di rendere concreto quanto il Consiglio di Stato, prima, ed il Governo, poi, stanno affermando in tema di concessioni demaniali marittime.

Le tematiche che verranno affrontate di seguito svariano dall’indennizzo da riconoscere al concessionario uscente, alla disapplicazione delle norme contrarie al diritto UE da parte dell’amministrazione; dal valore da dare al termine fissato dall’Adunanza Plenaria al 31.12.2023, al significato di prorogare le norme incompatibili; infine si trarranno le considerazioni su alcune contraddizioni che sono contenute nelle due sentenze dell’Adunanza Plenaria.

Prima di approfondire la questione dell’organizzazione di nuove gare, bisogna considerare che, nella maggior parte dei casi, c’è un concessionario uscente che ha fatto ingenti investimenti per una concessione che sarebbe durata ben più di due anni (sino al 31.12.2023). Per tali situazioni le Adunanze Plenarie parlano di “riconoscimento di un indennizzo a tutela degli eventuali investimenti effettuati dai gestori uscenti, essendo tale meccanismo indispensabile per tutelare l’affidamento degli stessi”.

Da queste righe risulta che: deve essere riconosciuto un indennizzo unitamente all’indizione di nuove gare; bisogna verificare se gli investimenti del concessionario siano stati effettivamente realizzati (le sentenze parlano di eventuali); tale indennizzo è legato direttamente all’affidamento dei concessionari.

Il ruolo di questo indennizzo, insomma, è di tutelare le posizioni giuridiche di coloro che, senza colpa, hanno creduto di poter contare su una concessione affidata per molto più tempo di quello deciso dal Consiglio di Stato.

Già nel diritto amministrativo, è possibile rilevare diverse forme dell’indennizzo. Ad esempio, nella l. n. 241/1990 all’art. 2 bis comma 1 bis, art. 11 comma 4, art. 21 quinquies è previsto un indennizzo per rimediare al ritardo o a scelte dell’amministrazione che possono incidere sul privato.

Nel diritto amministrativo speciale, poi, si parla di indennizzo all’art. 42 bis del testo unico sulle espropriazioni, o l’art. 42 del codice della navigazione o l’art. 8 l. n. 440/1993 nel caso di illegittima occupazione di suolo pubblico da parte del privato, oltre a tanti altri casi.

Anche nel codice civile troviamo dei riferimenti all’indennizzo, come ad esempio il caso dell’art. 1381 (promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo), 1660 (variazione del progetto di appalto) oppure l’art. 2045 (stato di necessità), 838 (espropriazione per pubblica utilità) o in materia di proprietà e rapporti vicinali o realizzazione di opere (avulsione o miglioramenti) ecc. Oppure l’indennizzo per l’equa riparazione processuale ecc.

Insomma sono tante le forme dell’indennizzo ed esso può assumere, secondo le varie norme, il ruolo di compensazione o ristoro. Ad ogni modo l’indennizzo è generalmente riconosciuto per rimediare ad un danno da atto lecito e per questo si differenzia dal risarcimento in senso stretto.

Ora, nel caso delle Adunanze Plenarie nn. 17 e 18, in assenza di ogni precisazione sulla natura di questo indennizzo, non si fa neanche richiamo ad una norma primaria che consenta di individuare un regime applicativo. In tal caso, secondo la dottrina (Sandulli) il regime da seguire sarebbe quello del codice della navigazione e dell’art. 42: “(Revoca delle concessioni). Le concessioni di durata non superiore al quadriennio e che non importino impianti di difficile sgombero sono revocabili in tutto o in parte a giudizio discrezionale dell’amministrazione marittima. Le concessioni di durata superiore al quadriennio o che comunque importino impianti di difficile sgombero sono revocabili per specifici motivi inerenti al pubblico uso del mare o per altre ragioni   di   pubblico   interesse, a    giudizio    discrezionale dell’amministrazione marittima. La revoca non da’ diritto a indennizzo. Nel caso di revoca parziale si fa luogo ad un’adeguata riduzione del canone, salva la facoltà prevista dal primo comma dell’articolo 44. Nelle concessioni che hanno dato luogo a costruzione di opere stabili l’amministrazione marittima, salvo che non sia diversamente stabilito, è tenuta a corrispondere un indennizzo pari al rimborso di tante quote parti del costo delle opere quanti sono gli anni mancanti al termine di scadenza fissato. In ogni caso l’indennizzo non può essere superiore al valore delle opere al momento della revoca, detratto l’ammontare degli effettuati ammortamenti.

Dunque, nelle norme finora previste nella disciplina più simile a quella trattata dalle Adunanze Plenarie, l’indennizzo avrebbe natura compensativa ed è rapportato al costo delle opere per gli anni mancanti alla scadenza. Tuttavia, in tal caso il legislatore non ha ancora previsto alcunché al riguardo ed è verosimile attendersi che verrà prevista una norma ad hoc al fine di evitare che ogni amministrazione decida singolarmente sui criteri del calcolo dell’indennizzo. Sul punto si deve fare anche un coordinamento con l’art. 21 quinquies che tratta di danno emergente per il calcolo dell’indennizzo e, quindi, corrisponderebbe all’investimento fatto e non ripagato. In più, nel caso di specie non deve solo aversi riguardo all’investimento fatto, ma anche alle spese per l’avviamento.

Dubbi potrebbero sorgere nel caso in cui il concessionario uscente si aggiudichi la nuova gara e quindi, vedrebbe compensata la sua situazione con la nuova concessione. In tal caso non dovrebbe corrispondersi l’indennizzo. Ad ogni modo, per il calcolo è verosimile attendersi che ci si ancorerà a dati certi: investimenti, opere realizzate, canoni concessori.

Ma chi paga questo indennizzo? L’Adunanza Plenaria non precisa nulla al riguardo. Se, infatti, da una parte ci si potrebbe attendere che sia la pubblica amministrazione a doversi accollare il pagamento come solitamente avviene generalmente, dall’altra parte le sentenze sollevano dei dubbi, richiedendo di prevederlo contestualmente alle nuove gare, nel bando. Aspetto che viene ancor meglio specificato nell’emendamento appena approvato al ddl concorrenza art. 2 ter comma 2 lett.: “h) definizione di criteri uniformi per la quantificazione dell’indennizzo da riconoscere al concessionario uscente, posto a carico del concessionario subentrante, in ragione del mancato ammortamento degli investimenti realizzati nel corso del rapporto concessorio e autorizzati dall’ente concedente e della perdita dell’avviamento connesso ad attività commerciali o di interesse turistico;

Questo aspetto potrebbe, forse, disincentivare la concorrenza, considerando che il nuovo concessionario si dovrà accollare anche oneri per l’indennizzo al concessionario uscente, in un rapporto concessorio che per sua natura è più rischioso di altri.

Ad ogni modo, tale situazione potrebbe anche dare vita a nuovo contenzioso che, si ricorda, seguirebbero la giurisdizione del giudice amministrativo se si discute dell’an, mentre quella del giudice ordinario se si trattasse del quantum.

Vista la tematica dell’indennizzo, occorre soffermarsi sulle modalità di indizione delle nuove gare, anche considerando l’attuale fermento che risulta dalle cronache giornalistiche. Le sentenze dell’Adunanza Plenaria prevedono: criteri equi, non discriminatori, proporzionati, capacità tecnico professionali, par condicio, valorizzazione del know how, capacità di interazione del progetto con il complessivo sistema turistico-ricettivo, sostenibilità sociale e ambientale del progetto. La durata della concessione dovrebbe essere determinata dall’amministrazione affidante e proporzionata agli investimenti.

Sulle modalità di previsione delle nuove gare, si attende una norma da parte del legislatore delegato già con la legge annuale sulla concorrenza.

Allo stato risulta che siano stati approvati degli emendamenti che prevedono:

– in tema di concessioni portuali all’art. 3 “Le concessioni sono affidate, previa determinazione dei relativi canoni, anche commisurati all’entità dei traffici portuali ivi svolti, sulla base di procedure ad evidenza pubblica, avviate anche a istanza di parte, con pubblicazione di un avviso, nel rispetto dei princìpi di trasparenza, imparzialità e proporzionalità, garantendo condizioni di concorrenza effettiva. Gli avvisi definiscono in modo chiaro, trasparente, proporzionato rispetto all’oggetto della concessione e non discriminatorio i requisiti soggettivi di partecipazione e i criteri di selezione delle do-mande, nonché la durata massima delle concessioni. Gli avvisi indicano altresì gli elementi riguardanti il trattamento di fine concessione, anche in relazione agli eventuali indennizzi da riconoscere al concessionario uscente.

– in tema di concessioni balneari marittime inserimento nel ddl concorrenza dell’art. 2 ter: “Delega in materia di affidamento delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità̀ turistico-ricreative (…)
I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) determinazione di criteri omogenei per l’individuazione delle aree suscettibili di affidamento in concessione, assicurando l’adeguato equilibrio tra le aree demaniali in concessione e le aree libere o libere attrezzate, nonché la costante presenza di varchi per il libero e gratuito accesso e transito per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione anche al fine di balneazione, con la previsione, in caso di ostacoli da parte del titolare della concessione al libero e gratuito accesso e transito alla battigia, delle conseguenze delle relative violazioni;
b) affidamento delle concessioni sulla base di procedure selettive nel rispetto dei principi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, massima partecipazione, trasparenza e adeguata pubblicità, da avviare con adeguato anticipo rispetto alla loro scadenza;
c) in sede di affidamento della concessione, e comunque nel rispetto dei criteri indicati dal presente articolo, adeguata considerazione degli investimenti, del valore aziendale dell’impresa e dei beni materiali e immateriali, della professionalità acquisita, nonché valorizzazione di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori, della protezione dell’ambiente e della salvaguardia del patrimonio culturale;
d) definizione dei presupposti e dei casi per l’eventuale frazionamento in piccoli lotti delle aree demaniali da affidare in concessione, al fine di favorire la massima partecipazione delle microimprese e piccole imprese;
e) definizione di una disciplina uniforme delle procedure selettive di affidamento delle concessioni sulla base dei seguenti criteri:
    1) individuazione di requisiti di ammissione che favoriscano la massima partecipazione di imprese, anche di piccole dimensioni, e di enti del terzo settore;
    2) previsione di termini per la ricezione delle domande di partecipazione non inferiori a trenta giorni;
    3) adeguata considerazione, ai fini della scelta del concessionario, della qualità e delle condizioni del servizio offerto agli utenti, alla luce del programma di interventi indicati dall’offerente per migliorare l’accessibilità e la fruibilità del demanio, anche da parte dei soggetti con disabilità, e della idoneità di tali interventi ad assicurare il minimo impatto sul paesaggio, sull’ambiente e sull’ecosistema, con preferenza del programma di interventi che preveda attrezzature non fisse e completamente amovibili;
    4) valorizzazione, ai fini della scelta del concessionario:
        4.1) dell’esperienza tecnica e professionale già acquisita in relazione all’attività oggetto di concessione o ad analoghe attività di gestione di beni pubblici, secondo criteri di proporzionalità e di adeguatezza e, comunque, in maniera tale da non precludere l’accesso al settore di nuovi operatori;
       4.2) della posizione dei soggetti che, nei cinque anni antecedenti l’avvio della procedura selettiva, hanno utilizzato la concessione quale prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo familiare, nei limiti definiti anche tenendo conto della titolarità, alla data di avvio della procedura selettiva, in via diretta o indiretta, di altra concessione o di altre di attività d’impresa o di tipo professionale;
    5) previsione di clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato nell’attività del concessionario uscente, nel rispetto dei principi dell’Unione europea e nel quadro della promozione e garanzia degli obiettivi di politica sociale connessi alla tutela dell’occupazione, anche ai sensi dei principi contenuti nell’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006;
    6) previsione della durata della concessione per un periodo non superiore a quanto necessario per garantire al concessionario l’ammortamento e l’equa remunerazione degli investimenti autorizzati dall’ente concedente in sede di assegnazione della concessione e comunque da determinarsi in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare con divieto espresso di proroghe e rinnovi anche automatici;
       f) definizione di criteri uniformi per la quantificazione di canoni annui concessori che tengano conto del pregio naturale e dell’effettiva redditività delle aree demaniali da affidare in concessione, nonché dell’utilizzo di tali aree per attività sportive, ricreative e legate alle tradizioni locali, svolte in forma singola o associata senza scopo di lucro, ovvero per finalità di interesse pubblico;
       g) definizione di una quota del canone annuo concessorio da riservare all’ente concedente e da destinare a interventi di difesa delle coste e di miglioramento della fruibilità delle aree demaniali libere;
       h) definizione di criteri uniformi per la quantificazione dell’indennizzo da riconoscere al concessionario uscente, posto a carico del concessionario subentrante, in ragione del mancato ammortamento degli investimenti realizzati nel corso del rapporto concessorio e autorizzati dall’ente concedente e della perdita dell’avviamento connesso ad attività commerciali o di interesse turistico;
       i) definizione, al fine di favorire l’accesso delle microimprese e delle piccole imprese alle attività connesse alle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative e nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, del numero massimo di concessioni di cui può essere titolare, in via diretta o indiretta, uno stesso concessionario a livello comunale, provinciale, regionale o nazionale, prevedendo obblighi informativi in capo all’ente concedente in relazione alle concessioni affidate al fine di verificare il rispetto del numero massimo.

Considerati questi emendamenti, è possibile affermare che i suggerimenti dell’Adunanza Plenaria siano stati recepiti, anche se, bisogna vedere come tali proposte andranno a confluire in un testo di legge delegata, che conterrà le disposizioni applicabili dalle pubbliche amministrazioni. Difatti, servono ancora diversi passaggi per vedere come saranno realizzate le gare: prima uno governativo poi attraverso le amministrazioni. Ciò, senza considerare che potrebbe essere adottato uno schema tipo di bando contenente delle previsioni base per la gestione degli affidamenti.

In tale scenario è anche necessario capire come tale nuovo procedimento di affidamento concorrenziale delle concessioni si possa coordinare con le norme del d.lgs. n. 50/2016.

2. Quale è, dopo le Adunanze Plenarie n.n. 17-18, il perimetro dell’esercizio del potere di disapplicazione in capo alle pubbliche amministrazioni rispetto alla normativa interna non compatibile con il diritto eurounitario? Si può parlare in tal senso di un obbligo di disapplicazione o permane un margine di discrezionalità amministrativa?

Un ulteriore tema su cui si soffermano le Adunanze Plenarie riguarda la possibilità che hanno le pubbliche amministrazioni di disapplicazione delle norme nazionali contrarie con il diritto dell’Unione Europea.

Al riguardo le Adunanze Plenarie richiamano diversi orientamenti della giurisprudenza, sia nazionale che sovranazionale, i quali consentono di affermare che in capo alle pubbliche amministrazioni gravi un obbligo di disapplicazione (Corte Giustizia Fratelli Costanzo, 22 giugno 1989 C-103/88; Corte Cost. n. 389/1989; Cons. Stato Sez. V, 6 aprile 1991, n. 452). Secondo questo orientamento, infatti, le pubbliche amministrazioni sono una parte dello Stato (c.d. Stato apparato) ed in quanto tali hanno lo stesso obbligo che grava sullo Stato stesso di attuare il diritto dell’Unione Europea. In tale ottica, quindi, il diritto sovranazionale troverebbe attuazione non solo attraverso il legislatore, ma anche attraverso le amministrazioni pubbliche sul territorio.

Tuttavia, recentemente, il TAR Puglia, Lecce (73/2021), con una delle sentenze che poi hanno dato origine alla rimessione alla Plenaria, si è orientato in senso diverso. In particolare tale decisione (così come anche TAR Puglia Lecce, n. 1321/2020) ha affermato che la norma interna è sempre vincolante per la pubblica amministrazione che non potrebbe in nessun caso disapplicare. Il potere di disapplicazione spetterebbe solamente al giudice.

Le Adunanze Plenarie superano la posizione del TAR Lecce, valorizzando il fatto che le pubbliche amministrazioni sono una “parte dello Stato” e quindi devono contribuire con esso (e come esso) all’attuazione corretta del diritto UE. Di conseguenza le stesse pubbliche amministrazioni hanno il potere-dovere di disapplicare (non applicare) una norma interna contraria con il diritto UE.

Le Adunanze Plenarie aggiungono, poi, che la direttiva sulle concessioni ha natura self executing, come affermato dalla sentenza PromoImpresa. Ebbene, anche in caso di direttive self executing le pubbliche amministrazioni devono disapplicare la norma interna in contrasto con esse. Ciò al fine di garantire uniformità di comportamento tra le amministrazioni tra loro e tra esse e lo Stato centrale per perseguire l’illegittimità. In altre parole, le pubbliche amministrazioni, al momento dell’applicazione delle norme interne sono il primo baluardo di verifica della legittimità. Pertanto, fa parte del buon andamento amministrativo scegliere di non applicare una norma interna perché contraria al diritto UE.

Di conseguenza, secondo le Adunanze Plenarie, è da ritenere inedita e non prevista la categoria delle direttive applicabili solo dal giudice in vista di una disapplicazione solo in sede giurisdizionale.

Sarebbe altrimenti una contraddizione, immaginare che la pubblica amministrazione, che per Costituzione deve seguire il buon andamento con efficienza, economicità ed efficacia, debba obbligatoriamente adottare un atto, che sa essere illegittimo, in quanto vincolata ad applicare una norma in contrasto con il diritto UE. Ciò determinerebbe solamente una perdita di tempo e di risorse, in quanto poi sarebbe il giudice ad accertare l’illegittimità e disapplicare la norma.

In tal senso, se la P.A. non adotta l’atto rinnovo concessorio perché la legge italiana è incompatibile, il giudice deve rigettare l’eventuale ricorso contro la scelta amministrativa di non adottare atto.

In tal senso, difatti, non è corretto ritenere che la primazia del diritto UE sia affidata all’eventuale contenzioso giurisdizionale e non alla pubblica amministrazione. In caso di mancata impugnazione l’atto che si basa su una normativa contraria al diritto UE andrebbe inevitabilmente a consolidarsi.

Tale argomentazione è particolarmente importante, perché viene chiarito il rapporto tra potere di disapplicazione da parte delle pubbliche amministrazioni e direttive self executing, risolvendo dubbi in materia che avrebbero inciso sulla legittimità dell’agire amministrativo e sull’affidamento del privato.

Ora, tale chiarimento delle Adunanze Plenarie non vale solo in tema di concessioni demaniali, ma deve essere esteso a tutti gli ambiti del diritto amministrativo. È una regola di condotta dell’agire amministrativo che è volta alla celerità e all’efficienza della stessa, evitando che un inadempimento dello Stato si rifletta sul procedimento amministrativo e possa legittimare ulteriori violazioni. Si tratta, insomma, di un obbligo dell’amministrazione che deve disapplicare.

3. Quale significato può essere dato al termine del 31.12.2023 indicato nelle Adunanze Plenarie nn. 17-18/2021? In questi due anni le P.A. devono già bandire le gare per l’affidamento che devono necessariamente essere già state concluse entro il 1° gennaio 2024, oppure è possibile interpretare questo termine nel senso che le gare possono essere bandite anche oltre il 31 dicembre 2023 purché prima della stagione estiva successiva? In tal caso quale è sorte del bene demaniale dato in concessione nel periodo che intercorre tra il 31 dicembre 2023 e l’aggiudicazione successiva?

Una previsione importante della sentenza riguarda la fissazione al 31.12.2023 del termine in cui rimarranno vigenti le di concessioni demaniali marittime già efficaci. Le sentenze spiegano che tale termine è stato fissato tenendo conto del fatto che una dichiarazione immediata di illegittimità delle concessioni atto, comporterebbe effetti negativi sui concessionari. Pertanto è stato fissato il finire del 2023, senza che, però, le sentenze spieghino perché possa ritenersi congruo tale termine. Difatti, possono rimanere valide le concessioni per altre due stagioni balneari: 2022 e 2023 e solo dopo termineranno efficacia.

Scaduto il termine tutte le concessioni demaniali saranno prive di effetto, indipendentemente dal fatto se vi sia o meno un subentrante nella relativa concessione.

Interessante al riguardo la sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, 24.01.2022, n. 116 che accoglie parzialmente il ricorso consentendo la modifica della domanda affinché sia confermata la legittimità della concessione sino al 31.12.2023.

La stessa sentenza riconosce la possibilità di proseguire il rapporto concessorio, pur in virtù di una palese ed accertata incompatibilità tra norme, purché non oltre il 31.12.2023. In altre parole, diventa ultrattivo un atto illegittimo. È stata quindi riformata la decisione del TAR Catania (504/2021) che in primo grado aveva correttamente (secondo l’Adunanza Plenaria) disapplicato la normativa e non concesso la proroga della concessione.

Da lato legislativo, l’emendamento volto ad introdurre l’art. 2 bis al ddl concorrenza che da una parte positivizza la durata in vigore delle concessioni sino al 31.12.2023. Fino a tale data, è specificato, non è abusiva l’occupazione ai sensi dell’art. 1161 c.c. Poi dall’1.01.2024 sono abrogate tutte le norme sul rinnovo e proroga automatica delle concessioni e dichiarate illegittime le concessioni in atto.

Rimane, tuttavia, dubbio se entro il 31.12.2023 debbano già essere concluse le gare per l’affidamento, oppure se le stesse possano essere iniziate anche dopo tale data. Cioè, non è chiarito in che momento deve essere individuato il nuovo concessionario, né chi gestirà l’area demaniale nel periodo che eventualmente intercorre tra il 31.12.2023 ed il nuovo affidamento.

Dal punto di vista pratico, sarebbe meglio che le gare al 31.12.2023 fossero concluse al fine di consentire, anche con riguardo al concessionario uscente, di meglio organizzare la successione tra un soggetto affidatario e l’altro e l’organizzazione delle opere utili a gestire la concessione. Vero, infatti, che durante la stagione invernale gli stabilimenti turistico ricreativi non sono aperti, ma è altrettanto vero che determinate opere e strutture rimangono fisse annualmente (benché ora siano preferite le attrezzature completamente amovibili). Oltretutto, aver già predisposto le gare e gli affidamenti prima del 31.12.2023 potrebbe consentire di avere un margine di tempo qualora le stesse procedure di affidamento fossero contestate in sede giurisdizionale, senza che si concretizzi il rischio che l’area demaniale rimanga senza concessionario all’apertura della stagione balneare in attesa dell’esito del giudizio.

Ad ogni modo, attualmente non vi è certezza sull’inizio delle gare, anche se è interesse di ogni amministrazione pubblica iniziarle quanto prima per evitare di giungere al 31.12.2023 a dover gestire rapporti ancora pendenti. Si ritiene che non appena la legge sulla concorrenza verrà varata nel suo testo finale e, quindi, nei sei mesi successivi il Governo varerà la legge delegata sulla gestione delle gare pubbliche per le concessioni, allora verranno immediatamente bandite le prime procedure di affidamento. Sarà interessante, poi, vedere se a livello nazionale le amministrazioni pubbliche assumeranno le medesime tempistiche, anche se è verosimile attendersi che in ogni Regione o Provincia i bandi usciranno scaglionati nel tempo.

4. Come si può inquadrare da un punto di vista giuridico la “proroga delle norme incompatibili” sino al 31.12.2023? Cosa significa che per le Adunanze Plenarie nn. 17-18, l’atto di proroga amministrativa ha una funzione meramente ricognitiva?

Ulteriore tematica trattata dalle sentenze dell’Adunanza Plenaria riguarda la proroga delle norme incompatibili che è stata positivizzata (provvisoriamente) nell’art. 2 bis come proposto in sede emendativa nel ddl concorrenza.

Il Consiglio di Stato legittima tale scelta, facendo riferimento a poteri di modulazione della propria decisione (Ad. Plen 13/2017 su cessazione degli effetti dei vincoli preliminari ai beni culturali «L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato può modulare la portata temporale delle proprie pronunce, in particolare limitandone gli effetti al futuro, al verificarsi delle seguenti condizioni: a) un’obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni da interpretare; b) l’esistenza di un orientamento prevalente contrario all’interpretazione adottata; c) la necessità di tutelare uno o più principi costituzionali o, comunque, di evitare gravi ripercussioni socio-economiche».), che però parrebbero utilizzabili solo nel caso degli atti amministrativi e non delle norme di legge. La graduazione degli effetti dovrebbe, infatti, riguardare solo le pronunce rispetto ai provvedimenti amministrativi.

Tale proroga di norme incompatibili in realtà crea dei dubbi, in quanto il Consiglio di Stato non avrebbe il potere di decidere sulla compatibilità o meno delle norme o di prorogarne l’efficacia. Tale compito spetta alla Corte Costituzionale con le sue sentenze “monito” con le quali, ad esempio nel famoso caso Cappato, sulla diffamazione a mezzo stampa o sull’ergastolo ostativo, la Consulta ha dato termine al legislatore per bilanciare la normativa alle indicazioni date nella sentenza della Corte Costituzionale, al fine di evitare la dichiarazione di illegittimità costituzionale e modificare la disciplina in via legislativa.

Dunque, si può leggere questa scelta come una consapevolezza dell’impossibilità del Consiglio di Stato di intervenire direttamente sulla norma, ma del valore e della portata delle sue decisioni sui rapporti pubblicistici e, di riflesso, sul legislatore.

Di conseguenza, le decisioni dell’Adunanza Plenaria, volte a rimediare all’inerzia del legislatore, hanno creato una situazione di illegittimità latente o sospesa che, tramite la delega governativa, il Parlamento sta cercando di rimediare.

Quindi, da un punto di vista giuridico, è come se fosse stata creata una sorta di “zona franca” in cui norme illegittime continuano ad avere effetto, ed in cui il Consiglio di Stato ha già avvertito che dopo il 31.12.2023 tutti gli atti concessori in atto saranno passibili di annullamento (automatico?).

Tuttavia, da un punto di vista prettamente giuridico, la decisione del Consiglio di Stato di prorogare le norme incompatibili non trova riscontro in una norma di legge, potendole essere dato solo un significato ed un potere di persuasione ed esortazione.

Dall’altra parte, è possibile affermare che tale scelta riguardi direttamente solo la sfera dell’opportunità e quindi consenta di legittimare l’ultrattività di norme incompatibili con il diritto UE, solo in quanto ciò, di conseguenza, legittima gli atti concessori attualmente in atto. È una sorta di rassicurazione per i concessionari, accompagnata da un ammonimento per il legislatore.

Allo stesso modo, la scelta incide anche sulle pubbliche amministrazioni e sui rapporti concessionari in atto, pur se derivanti da un giudicato.

Al riguardo, le sentenze dell’Adunanza Plenaria, al fine di evitare innumerevoli impugnazioni degli atti amministrativi che hanno legittimato le proroghe concessorie utilizza l’escamotage giuridico di ritenere l’atto amministrativo come meramente ricognitivo: la proroga è direttamente disposta per legge, quindi l’atto amministrativo è meramente ricognitivo. La norma primaria regola il rapporto, mentre l’atto amministrativo proroga il rapporto in essere. In tal caso le sentenze parlano di “legge provvedimento” cioè di quegli atti che recepiscono e legificano rispetto ad un numero delimitato di situazioni giuridiche.

Ne consegue che la pubblica amministrazione non esercita l’autotutela, perché l’effetto autoritativo è prodotto direttamente dalla legge. Non vi è, dunque, la necessità di un secondo esercizio del potere amministrativo che incida sull’atto di proroga, perché l’effetto della costituzione del rapporto concessorio è avocato a sé da legislatore. In altre parole, non può esservi autotutela, in quanto la pubblica amministrazione ha semplicemente applicato una norma che consente la proroga ex lege del rapporto.

Ne consegue che la P.A. deve solamente comunicare l’inconsistenza oggettiva dell’atto ricognitivo, senza doversi rideterminare sugli atti di proroga con un nuovo esercizio di potere.

5. Sembra che siano diverse le innovazioni e le contraddizioni che fuoriescono dalle Adunanze Plenarie nn. 17-18, due decisioni che, in attesa di una presa di posizione del legislatore, manifestano la volontà del Consiglio di Stato di tentare arrogarsi il ruolo di regolare in maniera netta la materia delle concessioni demaniali marittime, non risolvendo solamente il contrasto giuridico, ma stabilendo norme (più o meno cogenti) per il prossimo futuro. Quali saranno, in conclusione, gli effetti principali che potremmo attenderci da queste sentenze? 

Dalla lettura delle sentenze dell’Adunanza Plenaria è possibile scorgere alcune contraddizioni di sistema.

Da una parte, le sentenze affrontano la tematica dei giudicati favorevoli, limitandone l’effetto al 31.12.2023. Una portata decisoria, invero, nuova, considerando che, solitamente, una sentenza successiva, salvo il caso dell’ottemperanza, non può andare a determinare gli effetti di una decisione antecedente presa da altro organo giurisdizionale. D’altronde, solo lo ius superveniens può andare a modificare gli effetti di un giudicato (come nel caso della cittadella giudiziaria di Bari Ad. Plen. 11/2016 rispetto alle decisioni della Corte di Giustizia UE) nei rapporti durevoli, ma nel caso di specie si tratta di sentenza del Consiglio di Stato, a cui non potrebbe essere riconosciuta la natura di diritto sopravvenuto in senso stresso. Solo le sentenze della Corte di Giustizia, difatti, hanno portata di ius superveniens.

Al riguardo, si aggiunge altresì che nel caso di specie potrebbe anche rilevarsi un problema di successione di decisioni. Cioè, la Corte di Giustizia si è espressa nel 2016 nella sentenza PromoImpresa, dopodiché sono intervenute una normativa di rinnovo e proroga delle concessioni nel 2018 ed un’altra nel 2020. In altre parole, la decisione della Corte di Giustizia con portata di ius superveniens, è precedente rispetto alle norme sulla proroga concessoria, con la conseguenza che il legislatore, al momento delle norme del 2018 e 2020, era già a conoscenza dell’illegittimità delle stesse.

Dall’altra parte, come già detto, non si ritiene che le sentenze dell’Adunanza Plenaria possano costituire ius superveniens, come invece parrebbero autodefinirsi.

Non è, dunque, chiaro, come si concilia tale situazione rispetto alla tematica dello ius superveniens.

Ulteriore questione dubbia, sulla quale si ritiene ci saranno spazi per la proposizione di un ricorso ex art. 111 comma 8 Cost., riguarda la tematica della separazione dei poteri e delle giurisdizioni (conflitto tra poteri). Da una parte il Consiglio di Stato si è arrogato il potere di “dettare” le regole per le nuove gare, per la validità degli atti e delle norme precedenti, per fissare un termine di efficacia e altro, dall’altra, ha assunto un ruolo che, in realtà, spetta alla Corte Costituzionale, non andando semplicemente a risolvere un contrasto interpretativo, ma disponendo sulla compatibilità delle norme e predisponendo una sentenza monito.

Al riguardo, addirittura, decide che la proroga del periodo è tamquam non esset, con un potere che certamente non spetta a questo organo giurisdizionale. Bisogna, infatti, ricordare che l’art. 99 comma 4 c.p.a. prevede precisi compiti per l’Adunanza Plenaria che sembrano essere stati superati dalle sentenze nn. 17 e 18 in questione.

Forse interpretazione estensiva del concetto di “funzione nomofilattica” potrebbe legittimare le sentenze dell’Adunanza Plenaria, non solo alla conservazione della norma, ma anche ad una interpretazione propulsiva ed abrogativa della stessa. Tuttavia, si ritiene che il ruolo principale dell’Adunanza Plenaria sia volto a garantire certezza tra più orientamenti giurisprudenziali a favore di cittadini e amministrazione pubblica, mentre nel caso di specie pare che il Consiglio di Stato si rivolga (e quasi si sostituisca) al legislatore e alla Corte Costituzionale.

Al riguardo, deve comunque rilevarsi che la scelta del Consiglio di Stato è volta a sopperire all’inerzia del legislatore per iniziare un cambiamento ed evitare ulteriori procedure di infrazione, il che sicuramente consente di vedere la decisione sono un’ottica diversa e non di semplice presa di posizione autoritaria, quanto piuttosto come un potere sostitutivo rimediale.

È, quindi, apprezzabile perché copre una lacuna lasciata dal legislatore, ma è anche indubbio il contrasto con il ruolo di divisione dei poteri.

Ad ogni modo, con il terzo principio di diritto espresso nelle sentenze, il Consiglio di Stato sembra andare oltre il ruolo del G.A. di decidere rispetto al rapporto in atto portato alla sua attenzione dalle parti. Oltretutto, lo stesso non sembra essere un principio di diritto come quelli che solitamente si trovano nelle decisioni della Adunanza Plenaria, bensì una decisione di fatto che riguarda anche atti futuri: è strano preannunciare l’annullamento di un atto futuro della P.A., a causa di un inadempimento non da parte dell’amministrazione, bensì del legislatore.

Questo sembra un potere che esula da quelli propri dell’Adunanza Plenaria.

Federico Smerchinich

*Intervento tenuto dall’avv. Federico Smerchinich durante il seminario del 25.02.2022 dal titolo “Le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali  dopo le sentenze n. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria” organizzato dall’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti.

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