1. – È troppo presto perché si possa ritenere tramontata la stagione della c.d. soft law.

In disparte il fatto che altre sue forme continuano a sopravvivere in settori diversi da quello delle gare d’appalto (ad esempio in materia di autorizzazione integrata ambientale o di accreditamenti ospedalieri), lo stesso d.l. 18 aprile 2019, n. 32, definito “sbloccacantieri”, ne prevede la soppressione in modo approssimativo, aggiungendo nuovi dubbi a quelli che avevano accompagnato l’esordio di questa singolare forma di regolamentazione.

Vale esaminare, in primo luogo, le modalità generali con cui la nuova fonte normativa ha inciso sulla materia.

Al riguardo, una prima parte di disposizioni del decreto ha modificato il Codice dei contratti pubblici, in quei singoli articoli che prevedevano alcune linee guida dell’ANAC e alcuni decreti ministeriali di attuazione. In tal senso è stata prevista la sostituzione di specifiche ipotesi di soft law con il regolamento unico, benché tale operazione non risulti sempre accompagnata da una clausola di disciplina transitoria.

Peraltro, chi svolgesse un esame analitico sulle minuscole sostituzioni e correzioni al Codice noterebbe che la riforma non ha previsto una generale abrogazione di tutte le linee guida. In non pochi casi, anzi, esse sono destinate a sopravvivere.

Così, ad esempio, avviene quanto alle fattispecie relative all’Albo nazionale dei componenti le commissioni giudicatrici (art. 78); ai mezzi di prova delle cause di esclusione (art. 80); al c.d. rating d’impresa (art. 83); alle imprese ausiliarie dell’aggiudicatario in concordato (art. 110); agli affidamenti dei concessionari di opera pubblica (art. 177); al controllo nei casi di partenariato (art. 181).

Per alcune di queste ipotesi (segnatamente quelle degli artt. 78, 80 e 181 del Codice) l’ANAC, peraltro, è già intervenuta, dettando una disciplina di attuazione che, evidentemente, continuerà ad applicarsi.

 

2. – Vi è stata, poi, l’introduzione di una disposizione, data dal novellato art. 216, comma 27 – octies del Codice, che ha definito in termini generali come avverrà la successione delle linee guida e dei decreti con l’emanando regolamento unico del Consiglio dei Ministri. Essa suscita non pochi problemi, perché illustra varie fenomenologie per mezzo delle quali le linee guida verranno a cessare di produrre effetti.

Vi è un primo fenomeno paraabrogativo, che si riferisce alle linee guida e ai decreti adottati in attuazione di alcuni specifici articoli del Codice.

Si tratta delle disposizioni che concernono i requisiti dei prestatori di servizi d’ingegneria e architettura; i compiti del RUP; i contratti sotto soglia; l’avvalimento per le prestazioni di notevole contenuto; l’attività del direttore dei lavori; i requisiti di qualificazione dei direttori tecnici e degli esecutori dei lavori nel settore dei beni culturali; i livelli della progettazione e, infine, le operazioni di collaudo relative ai medesimi beni.

Per questo primo gruppo di abrogazioni che potremmo definire nominative, l’art. 216 stabilisce che “nelle more dell’adozione, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione” del regolamento, i relativi decreti e linee guida “rimangono in vigore o restano efficaci fino alla data di entrata in vigore” del regolamento stesso, purché “compatibili con il […] codice e non oggetto delle procedure di infrazione nn. 2017/2090 e 2018/2273”.

Con riferimento alle medesime linee guida nominativamente indicate, l’art. 216 consente il loro aggiornamento interinale, ma ai soli fini di favorire l’archiviazione delle procedure d’infrazione e, comunque, non oltre l’approvazione del regolamento.

Vale, incidentalmente, sottolineare che il nuovo art. 216 autorizza l’adeguamento di queste sole linee guida. Mi pare, perciò, persuasiva la tesi di chi ha sostenuto che, per le linee guida diverse da quelle di questo primo gruppo (ma in ogni caso interessate dai fenomeni di paraabrogazione), debba ritenersi cessato, sin da adesso, ogni potere d’intervento regolatorio in capo all’Autorità indipendente.

 

3. – Un secondo fenomeno di paraabrogazione considerato dall’art. 216 riguarda le linee guida previste dall’art. 213, comma 2, del Codice, che concerne la c.d. soft law non vincolante.

Dette linee guida sono destinate a cessare di efficacia, con l’emanazione del regolamento, quando esse ricadano sulle materie che dovranno essere investite dal contenuto dell’atto normativo di secondo grado.

Questo, pertanto, avverrà quando esse riguardino la “a) nomina, [il] ruolo e [i] compiti del responsabile del procedimento; [la] b) progettazione di lavori, servizi e forniture, e verifica del progetto; [il] c) sistema di qualificazione e requisiti degli esecutori di lavori e dei contraenti generali; [le] d) procedure di affidamento e realizzazione dei contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie; [la] e) direzione dei lavori e dell’esecuzione; [la]  f) esecuzione dei contratti di lavori, servizi e forniture, contabilità, sospensioni e penali; [il] g) collaudo e [la] verifica di conformità; [l’] h) affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria e relativi requisiti degli operatori economici; [i] i) lavori riguardanti i beni culturali”.

Fermo restando che si tratta di una cessazione di efficacia atipica, perché atipica è l’efficacia stessa che da dette linee guida, proprio in quanto non vincolanti, promana e che si traduce, in definitiva, nell’emersione di un eventuale vizio di eccesso di potere per il caso in cui le Stazioni appaltanti se ne discostino immotivatamente.

 

4. – Nell’art. 216, compare, infine, un ulteriore fenomeno abrogativo che si produrrà anch’esso con l’entrata in vigore del regolamento e che concerne le linee guide, pure non vincolanti, le quali, però, non tocchino le materie su cui è destinata a intervenire la fonte secondaria. Dette linee guida perderanno ugualmente effetti, ma solo se saranno in contrasto con le sopravvenute disposizioni del nuovo atto normativo.

 

5. – Mi scuso per la pedanteria descrittiva, che è stata imposta dalla necessità di precisare un dettato normativo molto complesso.

Intendendo riportare il tutto a sistema, osservo che è improprio parlare di “abrogazione” delle linee guida e dei decreti perché tale istituto può avere ad oggetto solo le fonti del diritto.

Benché le linee guida siano assai prossime, per il loro carattere di generalità e di astrattezza, agli atti normativi, è, tuttavia, discutibile che siano tali per davvero, perché esse mancano dei requisiti formali che li contraddistinguono.

È più probabilmente corretto, perciò, ricondurre le linee guida nel novero dei c.d. atti amministrativi generali.

 

6. – Una volta escluso il fenomeno dell’abrogazione in senso tecnico, la cessazione degli effetti delle linee guide deve essere spiegata necessariamente in altro modo.

Essa, invero, è subordinata, in linea di massima (e salvo quanto preciserò), al verificarsi di un fatto oggettivo, dato dall’emanazione del regolamento di attuazione.

La cessazione degli effetti sembra così spiegarsi con la categoria della condizione legale risolutiva.

In effetti, benché l’adozione del regolamento sia imposta, nulla garantisce che il regolamento verrà emanato e, tanto meno, che vi si provvederà tempestivamente: il termine di 180 giorni deve intendersi del tutto sollecitatorio. D’altra parte, stando alla lettera dell’art. 216, la sua scadenza non è sufficiente a far venir meno i previgenti atti di soft law.

L’emanazione del regolamento, pertanto, sarà il fatto futuro e incerto a cui è subordinato il permanere degli effetti delle linee guida e dei decreti.

Ciò suggerisce alcune riflessioni preliminari sul piano dell’opportunità.

Infatti, se si accoglie la tesi secondo la quale, dopo il decreto, le linee guida e i decreti – che siano diversi da quelli del primo gruppo indicato dall’art. 216 e che non abbiano a che vedere con le procedure d’infrazione in atto – non possono essere più modificate, vi è il pericolo che gli stessi continuino ad applicarsi senza alcun limite temporale, per il caso in cui il regolamento tardi a venire emanato.

Ciò comporterebbe, tuttavia, la possibile permanenza in essere di parafonti che sono state concepite proprio al fine di essere rapidamente adeguate alle sopravvenute cognizioni scientifiche o ai sopravvenuti mutamenti dei mercati. Vi è così la possibilità che rimanga a lungo in vigore una disciplina specialistica non aggiornata e progressivamente inadatta a regolare le fattispecie concrete.

 

7. – Avere ancorato il fenomeno paraabrogativo della soft law ad una condizione risolutiva non risolve, peraltro, ogni problema.

Il dettato dell’art. 216 è ben più complesso, prevedendo due eccezioni al principio appena stabilito.

La prima eccezione attiene al fenomeno abrogativo che ho definito nominativo, perché si riferisce alle linee guida e ai decreti contenuti negli articoli del Codice specificamente indicati dall’art. 216.

Circa i medesimi atti, l’art. 216 stabilisce, invero, che, anche prima dell’entrata in vigore del regolamento, la loro permanenza è subordinata al superamento di due rilievi: le linee guida non devono riguardare i procedimenti d’infrazione avviati dall’Unione Europea e non devono essere in contrasto con il Codice dei contratti.

Ove tali due presupposti non siano soddisfatti, le linee guida cessano di perdere efficacia immediatamente e per volontà diretta della legge, senza attendere l’entrata in vigore della futura regolamentazione di secondo grado.

La seconda eccezione riguarda quelle particolari e non vincolanti linee guida che, pur non impingendo nelle materie di cui il regolamento si dovrà occupare, risulteranno comunque in contrasto con lo stesso, quando sarà stato emanato.

Ove tale contrasto si verificasse, dette linee guida verrebbero meno, mentre, per il caso contrario, esse continuerebbero a produrre indisturbatamente i propri effetti.

Viene così a prodursi un quadro piuttosto complicato che converrà riassumere in questo modo:

  • Vi è un primo tipo di soft law che ha cessato di produrre effetti fin dall’entrata in vigore del decreto “sbloccacantieri” e della sua legge di conversione, perché in contrasto con il Codice o perché attinente alle procedure d’infrazione in atto;
  • Vi è un secondo tipo di soft law, descritta dalle linee guida nominate dal primo capoverso dell’art. 216, la quale, benché non sia interessata dalle procedure d’infrazione, cesserà di produrre effetti con l’entrata in vigore del regolamento, anche per il caso in cui non si ponga in contrasto con il regolamento stesso;
  • Vi è, poi, il generico gruppo di linee guida ANAC non vincolanti, previsto dall’art. 213 del Codice, che cesseranno di produrre effetti automaticamente con l’entrata in vigore del regolamento in quanto vertenti in una delle materie, elencate dall’art. 216, di cui il regolamento dovrà occuparsi. Anche in questo caso, la cessazione dell’efficacia avverrà indipendentemente dal fatto che il contenuto della soft law si ponga in contrasto con il regolamento stesso;
  • Vi è un quarto gruppo di linee guida dell’ANAC, non specificamente individuate e non vincolanti, che, non riguardando le materie di cui il regolamento è chiamato ad occuparsi, cesseranno di produrre effetti con l’entrata in vigore del regolamento, ma solo se il loro contenuto risulti incompatibile con il regolamento stesso;
  • Vi è, quindi, un quinto gruppo di decreti e linee guida, che sono indicati puntualmente nelle singole disposizioni del decreto “sbloccacantieri”, diverse dalla disposizione generale dell’art. 216, le quali cesseranno di produrre effetti con l’entrata in vigore del regolamento e indipendentemente dal loro contenuto.

Accanto a tutti questi gruppi di decreti e linee guida destinati, per una ragione o per l’altra, a cedere, vanno giustapposti, infine, i residui casi di soft law che, per non essere interessati da alcun fenomeno paraabrogativo, esplicito o implicito, continueranno ad applicarsi anche dopo l’entrata in vigore del regolamento e che potranno anche essere aggiornati.

Ciò non esclude che tra i vari gruppi possano crearsi fenomeni di sovrapposizione, i quali rendono incerta la soluzione da dare al caso concreto e di cui si dovrà, pertanto, tenere conto nell’esperienza applicativa.

 

8. – La diversità dei modi di cessazione di efficacia della soft law produce specifiche conseguenze sostanziali e processuali.

Con riferimento alle linee guida e ai decreti del primo e del quarto gruppo, il fatto che essi possano porsi in contrasto rispettivamente con il Codice o con l’emanando regolamento è l’evento che, per volontà di legge, esprime la condizione risolutiva della loro efficacia.

Tale evento, benché positivamente descritto, costituisce tuttavia l’oggettivizzazione di una valutazione soggettiva, la quale spetta, in primo luogo, all’amministrazione procedente (che in caso di contrasto non potrà applicare la soft law) e, in ultima istanza, al giudice, il quale, però, vi darà corso con conseguenze diverse da quelle consuete.

Per quanto attiene, in particolare, alle linee guida del primo gruppo (ove si parla di contrasto con un Codice in larga parte già in vigore al momento della loro emanazione), il sindacato sul contrasto, a ben vedere, integra una valutazione che, normalmente, si dovrebbe risolvere in un giudizio sulla validità delle linee guida stesse.

Se non sussistesse il riformato art. 216, l’Amministrazione dovrebbe continuare ad applicare la soft law, quantunque illegittima, mentre al ricorrente che volesse far valere il vizio (per contestare in via derivata gli atti che vi abbiano dato applicazione) spetterebbe d’impugnare in via preliminare la medesima linea guida, con l’effetto, ulteriore, di trasferire il contenzioso alla competenza del Tribunale amministrativo ove ha sede l’autorità che l’ha emanata. E, quindi, a Roma.

A me pare, tuttavia, che, una volta spostato dal campo dell’invalidità a quello dell’efficacia il problema della difformità della linea guida dal Codice, venga meno anche l’onere d’impugnativa diretta dell’atto di soft law.

Ritengo, perciò, che il giudice locale davanti al quale siano stati contestati gli atti di una gara che abbiano applicato dette linee guida possa (anche d’ufficio) verificare direttamente l’esistenza del contrasto con il Codice, pur quando le stesse linee guida non siano state fatte oggetto di specifico gravame.

Infatti, si tratta di definire una questione attinente alla loro efficacia la quale assorbe il problema della loro validità e si risolve nell’individuazione del diritto oggettivo applicabile, compiuta in seno all’esame di una questione pregiudiziale all’accertamento sulla legittimità degli atti di gara impugnati.

Tutto ciò porta anche ad escludere che si ponga il problema di un eventuale spostamento della competenza giurisdizionale a decidere la lite.

Aver negato che, con riguardo a queste particolari linee guida, sussista un onere d’impugnazione diretta produce peraltro ulteriori riflessi.

Il sindacato sul contrasto, infatti, non vincolerà nessun altro soggetto, che non sia una delle parti del giudizio in cui il tema sarà stato sollevato. Diversamente da quel che avverrebbe con una pronuncia di annullamento, il giudice, ove riconoscesse sussistente il contrasto con il Codice, assumerebbe, pertanto, una pronuncia che non avrebbe effetto erga omnes, ma effetti delimitati dal principio dell’art. 2909 c.c.

Quanto appena descritto vale, tuttavia, a patto che la questione riguardi una delle linee guida (o dei decreti) specificamente nominati dal primo capoverso dell’art. 216.

Per tutte le restanti linee guida che si pongano in contrasto con il Codice, rimane l’onere d’impugnazione diretta, a cui segue il dovere di adeguare la relativa competenza processuale.

L’amministrazione, dal canto suo, dovrà nel frattempo continuare ad applicarle, ancorché si rivelassero illegittime.

 

9. – Considerazioni in un certo senso analoghe a quelle appena sviluppate si pongono per le controversie che riguarderanno l’applicazione delle linee guida non vincolanti e che sono destinate a cadere, dopo l’entrata in vigore del regolamento, perché contrarie allo stesso.

A loro proposito, non si può ripetere che ricorre ivi un fenomeno di assorbimento di una causa d’invalidità in una causa d’inefficacia, perché alla luce del principio tempus regit actum, la sopravvenienza del regolamento, rispetto alla preesistente soft law, non può cagionare l’illegittimità della seconda.

Proprio per questo motivo, tuttavia, chi volesse contestare gli effetti della linea guida per contrarietà con il regolamento non dovrà impugnarla e spetterà, in ogni caso, al tribunale locale decidere sulla controversia. Per gli stessi motivi, anche l’amministrazione procedente non dovrà tenerne conto e non potrà darne applicazione.

Peraltro, lo stesso sindacato sul contrasto con il regolamento va condotto secondo alcuni limiti non esplicitati dall’art. 216, ma desumibili da un suo inquadramento sistematico.

In particolare, tale contrasto potrà essere verificato solo con riguardo a quelle fattispecie concrete che verranno a formarsi dopo l’entrata in vigore del regolamento.

Per la sua stessa natura, infatti, il regolamento previsto dall’art. 216 e al quale non è stato riconosciuto il valore di fonte autorizzata, non potrà introdurre alcuna disciplina retroattiva e dovrà soggiacere in tutto all’art. 11 delle preleggi. Pertanto, esso non sarà neppure in grado di erigersi a parametro di contrasto con le linee guida, quanto alle fattispecie generatesi prima della sua entrata in vigore.

Le fattispecie che si formassero prima dell’atto di secondo grado, anche se fossero giurisdizionalmente scrutinate dopo, soggiaceranno, quindi, al regime della previgente soft law, senza che questa possa essere ritenuta priva di effetti quando pure si ponesse in contrasto con il sopravvenuto regolamento.

 

10. – Superato il tema della c.d. abrogazione, la sostituzione della soft law con un atto di carattere regolamentare produce altre conseguenze.

In primo luogo, ove si aderisca alla tesi che le accomuna agli atti amministrativi generali, anche le linee guida (al pari dei regolamenti) non richiedono di essere motivate.

Se questo è il principio generale, desumibile dall’art. 3 della legge sul procedimento, esso va tuttavia applicato al fenomeno specifico, circa il quale vale osservare che la tecnica redazionale di una linea guida è ben diversa da quella di un regolamento, che è stilato secondo il classico articolato.

Le linee guida si esprimono, infatti, per il mezzo di un testo espositivo e non dispositivo. Ciò comporta che esse, benché non debbano essere motivate, lo siano, in un certo senso, per loro stessa natura.

Pertanto, esse si prestano ad essere aggredite, se non per la diretta violazione del citato art. 3, quanto meno sotto il profilo del vizio sintomatico, per il caso in cui la motivazione che ad esse è connaturata dovesse rivelarsi contraddittoria, illogica, intrinsecamente perplessa o non esauriente.

Lo stesso non potrà essere contestato al regolamento.

 

11. – Quanto a quest’ultimo, esso sarà a tutti gli effetti una fonte del diritto e, pertanto, sarà soggetto alle relative norme sull’interpretazione. In particolare, il regolamento seguirà i principi dell’art. 12 delle preleggi, con la conseguente preminenza del valore testuale del dettato normativo. Laddove le linee guida e i decreti ministeriali, se inquadrati come atti generali, sono soggetti, se mai, alle norme sull’interpretazione dei contratti (in quanto analogicamente applicabili), nelle quali trova più rilevante valore l’intenzione dell’autore e la buona fede suscitata nel destinatario.

Dell’assoluta incapacità del regolamento di disciplinare fattispecie del passato, ho già fatto cenno.

Lo stesso, invece, non può almeno astrattamente dirsi per le linee guida perché esse, in quanto atti amministrativi generali, non rispondono al divieto dell’art. 11 delle preleggi, cosicché possono operare retroattivamente, quando introducano un regime più favorevole per tutti i loro destinatari.

 

12. – Non sono questi, però, gli unici problemi che derivano dalla sostituzione della soft law con il regolamento.

A coronamento di ogni ulteriore valutazione, si pongono due più ampie questioni, che concernono rispettivamente i motivi che hanno ispirato la riforma e il contenuto che il regolamento medesimo dovrà recepire.

Alla prima domanda, credo che si debba rispondere guardando alla diversa competenza e alla diversa procedimentalizzazione del nuovo atto normativo.

Non è, infatti, la difformità redazionale ciò che ha spinto verso il regolamento unico. Sostengo questa ipotesi non fosse altro perché il rilievo non potrebbe estendersi agli attuali decreti ministeriali, che pure verranno meno insieme a buona parte della soft law, ma che sono formalmente stilati come un regolamento.

Né è solo una questione di contenuti della disciplina di attuazione, sebbene sia prevedibile che il regolamento sarà meno puntuale, e quindi anche meno minuzioso, delle linee guida.

Tenderei anche a negare che si sia voluto depotenziare le funzioni dell’ANAC. La cosa mi sembra improbabile, non fosse altro perché questa Autorità indipendente è considerata una sorta di garante, se non un vero e proprio insider, delle istituzioni sovranazionali alle quali la Repubblica deve rispondere.

È peraltro vero (e la cosa va rimarcata) che, con la riforma, il Consiglio di Stato tornerà a far proprio un ruolo che con il Codice del 2016 si era in un certo qual modo attenuato. Nel produrre il dovuto parere integrativo, infatti, il Consiglio di Stato di fatto finirà, more solito, per svolgere una funzione d’ispirazione sostanziale o, quanto meno, correttiva della disciplina d’attuazione, senza che debba soffrire la concorrenza parallela dell’Autorità indipendente.

Da questo punto di vista, il Consiglio di Stato si sostituirà, in un certo senso, all’ANAC, ma con una capacità di stabilizzare la disciplina ben più concreta, atteso che spetterà poi allo stesso organismo, nella distinta sede giurisdizionale, interpretare e sindacare la validità di quel regolamento che da lui è già stato vagliato, se non suggerito.

Più semplicemente, ritengo, però, che, con il regolamento unico, si sia voluto perseguire una concentrazione delle competenze sull’attuazione del Codice: competenze che vengono ad essere radunate nel Consiglio dei Ministri, nel ministero delle Infrastrutture e in quello dell’Economia, nonché nelle strutture a loro ausiliarie.

Se considerato da questo punto di vista, non mi pare che l’intento del decreto “sbloccacantieri” possa essere censurato, giacché l’attuale selva di atti di regolamentazione rende assai complicato individuare la disciplina concretamente applicabile.

È se mai criticabile il modo con cui l’intento è stato perseguito.

Il risultato a cui si mira, infatti, sortirà un costo gravoso, perché il regolamento sarà, come già detto, assai meno facilmente modificabile di quanto non sia oggi una linea guida e questo fatto, in un certo qual senso, potrà ingessare la disciplina d’attuazione.

Va, poi, sottolineato che in alcuni settori continuerà a rimanere la possibilità di assumere atti di soft law, i quali convivranno a fianco del regolamento stesso. Sembra così che l’obiettivo dell’unificazione (che si traduce nella consapevolezza della reperibilità della disciplina in un unico contesto) non sia stato affatto raggiunto, perché ogni eccezione al principio lo vanifica in toto.

 

13. – Vi è, poi, la seconda questione da affrontare, che è quella di definire i contenuti del regolamento stesso.

Sul punto, l’art. 216 è estremamente incerto.

Da un lato, il regolamento è concepito come una fonte di attuazione, esecuzione e integrazione. Lo stesso art. 216 indica le materie di cui il regolamento deve occuparsi.

Sembrerebbe, perciò, che non sia prevista nessuna forma di regolamentazione indipendente, ai sensi della lettera c) dell’art. 17 della legge sulla Presidenza del Consiglio.

Che tali debbano essere i limiti di contenuto del regolamento non è, tuttavia, cosa del tutto certa.

Lo dimostra proprio il fatto che lo stesso art. 216 prevede la cessazione di efficacia di quelle diverse linee guida che siano comunque “in contrasto con le disposizioni recate dal regolamento”, sebbene non vertano nelle materie di cui il regolamento deve occuparsi.

Il che sembra implicare che il regolamento possa disciplinare anche fattispecie diverse da quelle specificamente indicate dall’art. 216.

Se la conclusione trovasse conferma, l’unico limite contenutistico del regolamento riguarderebbe quelle questioni coperte da riserva assoluta di legge, come ad esempio la determinazione delle cause tassative di esclusione, rivelandosi, invece, legittimo un intervento su ogni altro aspetto della disciplina delle gare pubbliche.

Si pone dunque la prospettiva che il regolamento possa incidere anche su quelle fattispecie per le quali è prevista la piena sopravvivenza della soft law, così da prospettarsi ipotesi di conflitto tra le due discipline, di cui non sono chiari i modi di risoluzione.

 

14. – Si può, a questo punto, trarre un sunto dell’indagine.

Benché sia ispirata da apprezzabili ragioni di unificazione, la riforma soffre di una scarsa coerenza interna, aggravata da una confusione normativa.

Essa, infatti, non fa venir meno tutta la c.d. soft law: dopo l’emanazione del regolamento si opererà con un doppio sistema, in parte unificato, in parte frammentato.

Peraltro, i limiti di contenuto del regolamento sono vaghi, non potendosi escludere che esso possa intervenire su settori diversi da quelli specificamente indicati e su cui sono destinate a rimanere, invece, in vigore le preesistenti linee guida.

La riforma ha poi previsto un sistema di cessazione della soft law troppo complesso. Perciò, per un non breve periodo di tempo, ci si chiederà quali linee guida siano ancora in vigore e quali non lo siano più. Il rilievo sarà tanto più grave per quelle linee guida destinate a cadere automaticamente per contrasto con il Codice o con il regolamento, circa le quali, prima ancora che il problema venga sottoposto al vaglio del giudice, spetterà all’amministrazione, chiamata ad assumere gli atti di gara, compiere un tanto delicato sindacato.

L’efficacia della riforma è subordinata all’emanazione tempestiva del regolamento. Temo che questo obiettivo sia ottimistico, non fosse altro perché, già durante l’impero del Codice del 2006, si dovettero attendere quattro anni prima che ne venisse assunto il regolamento di esecuzione. Se la tradizione fosse confermata, continueremo ad applicare una soft law che, non potendo più essere nel frattempo modificata, volgerà verso una rapida obsolescenza.

Le armi processuali disponibili contro il regolamento saranno minori di quelle disponibili contro le linee guida, quanto meno perché sarà limitata la contestabilità del vizio sintomatico.

Infine, non sottovaluterei il doppio ruolo che, in questo fenomeno, verrà affidato al Consiglio di Stato, il quale, per un verso, sarà giudice e interprete del regolamento, mentre, per altro verso, ne sarà in buona parte l’ispiratore sostanziale e forse anche esclusivo.

Alla luce di questi rilievi sarebbe stato preferibile un intervento normativo più radicale e, soprattutto, più semplice e più chiaro; in tal modo, si sarebbe favorito davvero lo scopo di sbloccare i cantieri.

Mi chiedo, invece, se l’attuale riforma non lo abbia ulteriormente pregiudicato.

Francesco Volpe

* Relazione al Convegno su Gli appalti pubblici dopo il decreto sblocca cantieri: le principali novità” tenutosi a Milano il 3 ottobre 2019.

 

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