Il decisum è semplicemente strabiliante. Sostanzialmente nel petitum di causa non c’era un vero e proprio thema decidedum, ma semplicemente una mera sequenza di dati esposti in bell’ordine come accade normalmente nei giudizi di ottemperanza: la sentenza che da torto alla PA c’è e sulla sua meritevolezza non c’è alcuna possibilità d’interferenza; si tratta solo di stabilire cosa la PA sia tenuta a fare onde il decisum di merito sia realizzato. Dovrebbe farlo “di suo”; se non lo fa il Giudice nomina il Commissario ad acta, che faccia quello che avrebbe dovuto fare la PA omittente.

In materia di ottemperanza non si può non ricordare lo storico Convegno indetto dalla nostra Associazione Amministrativisti celebratosi a Bibione il 21.10.2006, sul tema “I sistemi di giustizia amministrativa di Austria, Germania, Greci, Italia Spagna”, su “Effettività della giustizia amministrativa: l’esecuzione delle sentenze del giudice amministrativo” e di esso la Relazione del Presidente della Corte Federale Amministrativa di Germania, Eckart Hien, che concluse la sua breve Relazione rilevando che nel sistema giudiziario tedesco “sono i detentori del potere pubblico (sovranità)  che si adeguano a quanto stabilito da una sentenza giudiziaria” (Atti, pag. 114). Egli seguì poi con interesse i vari interventi illustrativi delle difficoltà dell’ottemperanza negli ordinamenti dotto esame ed alla fine -a mo’ di conclusione; parlava correntemente italiano- osservò: “devo confessare che son rimasto profondamente stupito a sentire le difficoltà di quella che voi chiamate ottemperanza; difficoltà che da noi in Germania non esistono proprio, perché non è nemmeno pensabile che un Pubblico Funzionario non esegua immediatamente ed integralmente una sentenza!”. Altro sistema, d’accordo, ma anche altri giudici!

Il nostro sistema di giustizia amministrativa è sostanzialmente quello vetero-francese, descritto a metà Ottocento da Alexis de Tocqueville: nell’ordinamento uscito dalla dittatura napoleonica d’inizio secolo, il giudice civile giudicava di tutte le questioni non penali. Capitava spesso che – per la scarsa preparazione tecnica dei suoi Funzionari – il Re uscisse soccombente con gravi conseguenze per il pubblico Erario. Fu per tale ragione che, sempre secondo il de Tocqueville, il Re istituì un giudice speciale come “giudice suo”, che gli desse almeno qualche volta ragione. Ecco l’equivocità della definizione del giudice amministrativo come “giudice dell’Amministrazione”: in che senso di grazia? Nel senso che “giudica l’Amministrazione” nel significato attuale del giudicare (stabilito dall’art. 6 della CEDU: toute persone a droit à que sa cause soit entendue équitablement) o nel senso vetero-francese alla Tocqueville, per cui, appartenendo egli all’Amministrazione, anche quando deve proprio darle torto, cerca di farle il minor male possibile: ecco la sistematica compensazione delle spese, in caso di soccombenza della PA!

Si rilegga la massima: è una severa requisitoria contro il comportamento sistematicamente omittente del Commissario ad acta, ma le conclusioni che la sentenza ne trae sono che “le spese del doppio grado possono essere compensate in ragione della complessità delle questioni trattate”. Semplicemente strabiliante! Dov’è mai la “complessità delle questioni trattate” in una sentenza ch’è solo la descrizione delle pervicaci omissioni del Commissario ad acta?!

Per amaro che sia, è tempo che il Foro prenda posizione contro un andazzo giurisprudenziale che sta letteralmente distruggendo il sistema di “giustizia amministrativa”: a fronte dei costi d’impianto del ricorso; dei tempi d’attesa della decisione; della non rara sua  aberranza nel merito (è ancora ben vivo il rancore per la sciagurata sentenza del Consiglio di Stato sul CNF Consorzio d’imprese!), chi sarà mai quello scriteriato che s’avventura in un ricorso amministrativo contro un’Amministrazione, che nemmeno quando perde rimborsa le spese sostenute?

Non sarà più semplice e pratico chiudere in una sicura busta gli argomenti giuridici che, come osservava un grande Giurista americano, quando prendono il colore verdeggiante del dollaro conseguono anche una straordinaria forza di convincimento? Altra giustizia!

Oppure attestarsi su una Giustizia veramente “terza”, dove il Funzionario neghittoso o superficiale paga, anche sotto il pungolo d’una Corte dei conti che fosse veramente tale, inesorabile a sua volta nell’applicare la regola del “chi sbaglia paga”!

Sogni d’una notte di (forse) inizio estate!

Ivone Cacciavillani 

* Di seguito si riporta la massima di riferimento della decisione: per una lettura integrale della sentenza si rinvia al link riportato in calce.

Consiglio di Stato – Sez. IV, 19 nov. 2018, n. 6488; Pres. Anastasi; Est. Di Carlo – Soc. XY (Avv. Rottin & Scafarelli), c. Agenzia del Demanio del Veneto e Direzione Centrale (Avv. Stato), Regione Veneto (n.c.) (riforma TAR Veneto sez.  I, n. 26/2016).

Va affermata la sostanziale non esecuzione del decisum da parte del Commissario ad acta. Sul medesimo gravava l’obbligo di porre in essere tutta l’attività necessaria per poter addivenire ad una conclusione definitiva (nel senso dell’accoglimento ovvero in quello del diniego) del procedimento iniziato su domanda del privato. A tanto infatti, il Commissario era stato autorizzato dal giudice con la sentenza che ne aveva disposto la nomina. Ciò, certamente, non è stato fatto dal Commissario, il quale ha omesso di esercitare proprio i poteri sostitutivi (di legge) che gli erano stati conferiti col decisum da portare ad esecuzione. Pertanto, in accoglimento dell’appello, va riaffermato il potere/dovere del Commissario ad acta di portare ad esatta esecuzione l’ordine impartito, sostituendosi in tutto e per tutto all’Autorità competente ad adottare l’atto finale conclusivo del procedimento, e ciò nel termine di novanta giorni dalla comunicazione della presente sentenza in via amministrativa o, se anteriore, dalla notificazione a cura della parte interessata. Le spese del doppio grado possono essere compensate in ragione della complessità delle questioni trattate.

Sentenza

 

 

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