Solo alcune brevi riflessioni sull’impatto processuale e sostanziale dell’iter acceleratorio in materia di appalti introdotto dal D.L. Semplificazioni, ovviamente correlato al tema della responsabilità erariale.

Nel D.L. Semplificazioni rientrano una serie di misure volte ad alleggerire il carico della responsabilità dei funzionari pubblici ed evitare la condotta inerte della pubblica amministrazione.

Obiettivo del Capo IV, Titolo II, del D.L. “Semplificazioni” è, infatti, quello di combattere la c.d. “burocrazia difensiva” altrimenti qualificata come “paura della firma” –motivo di paralisi dell’attività dalla P.A.-, ossia la ritrosia dei funzionari pubblici ad assumere decisioni o condotte utili allo sviluppo dell’interesse pubblico, preferendo assumerne altre ovvero a restare inoperosi, per timore di incorrere in giudizi di responsabilità penale (rientrando, dunque, nell’alveo del reato di abuso d’ufficio ex art. 323 c.p.) e finanziaria (commettendo un danno erariale).

È indubbio, infatti, come l’atteggiamento in parola si riveli sine dubio contrastante con l’esigenza -particolarmente sentita nell’attuale momento storico- di agevolare la ripresa delle attività produttive, specie dopo il blocco imposto dalle misure di contenimento della pandemia da COVID-19.

In particolare, il D.L. in questione ha inciso sia sulla disciplina della responsabilità erariale che su quella inerente la responsabilità penale, muovendosi in direzione nettamente opposta rispetto alle più severe scelte sottese alla “Legge Spazzacorrotti” (legge n. 3/2019), nel contrasto ai delitti commessi (principalmente da pubblici funzionari) ai danni della Pubblica Amministrazione.

In sintesi per quanto riguarda le condotte “attive” (e cioè l’emanazione di provvedimenti) sussiste la responsabilità del funzionario solo qualora la Corte dei Conti riesca a dimostrare il dolo, ovvero la volontà di compiere l’evento dannoso.

Per quanto riguarda le “condotte omissive” (danni cagionati da omissione e/o inerzia o ritardi) il soggetto agente continua, invece, a rispondere sia a titolo di dolo, sia di colpa grave.

Detto questo, occorre verificare come impatta su tale responsabilità l’iter acceleratorio introdotto dal D.L. Semplificazioni in materia di appalti.

Gli artt. 1 e 2 del predetto D.L. stabiliscono che per gli appalti sotto e sopra soglia l’aggiudicazione deve intervenire entro il termine rispettivamente di due e sei mesi dall’adozione dell’atto di avvio del procedimento.

L’art. 4 stabilisce, poi, che il contratto deve aver luogo entro i successivi 60 giorni da quando l’aggiudicazione è divenuta efficace.

Il mancato rispetto dei termini di cui sopra, la mancata tempestiva stipulazione del contratto ed il tardivo avvio dello stesso possono essere valutati ai fini di una responsabilità per danno erariale.

In sintesi, se il funzionario rispetta tutti i termini e poi l’atto viene riconosciuto illegittimo in sede giurisdizionale ne risponde solo a titolo di dolo; se invece non rispetta i termini, la responsabilità è piena (dolo e colpa grave).

L’unica esimente a tale responsabilità è se l’aggiudicazione è stata sospesa da un giudice del TAR. Ma se un concorrente propone un ricorso e non è stata inibita la stipula del contratto (e cioè non è stata concessa la sospensiva) l’esimente non vale.

Ovviamente devono essere rispettate le previsioni, non derogate, che impongono che il contratto non può essere comunque stipulato prima di 35 giorni dall’invio dell’ultima comunicazione del provvedimento di aggiudicazione, sia della clausola di stand still qualora sia proposto ricorso avverso l’aggiudicazione con contestuale domanda cautelare per 20 giorni dalla notifica e comunque fino al pronunciamento da parte del giudice.

Al fine di ovviare alle conseguenze derivanti da possibili ritardi, le stazioni appaltanti hanno, altresì, la facoltà di stipulare contratti di assicurazione della propria responsabilità civile derivante sia dalla stipulazione del contratto, sia dalla prosecuzione e/o sospensione del medesimo.

Queste previsioni mi trovano sostanzialmente d’accordo.

Posso fare l’esempio di una causa che ho seguito nel passato e che riguardava l’appalto dei lavori di rifacimento della copertura del Torrente Bisagno a Genova.

Io difendevo le ditte che avevano ottenuto l’aggiudicazione dell’appalto.

Avverso questa aggiudicazione sono stati proposti ben 6 ricorsi da altre ditte che avevano partecipato alla gara sia nanti il TAR Liguria, sia nanti il TAR del Lazio.

In nessun caso il giudice amministrativo, né in primo grado, né in secondo grado ha sospeso tale aggiudicazione ma nonostante ciò la stazione appaltante ha aspettato per ben tre anni la definizione di tutti i gradi del giudizio per avviare le opere. Purtroppo, nel frattempo, la perdurante mancata realizzazione delle opere ha cagionato la morte di alcune persone, a seguito di eventi alluvionali i cui effetti avrebbero potuto essere limitati se le opere fossero state eseguite a tempo debito.

L’aspetto paradossale di questa vicenda, presa a spunto dall’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi per tuonare nei riguardi della giustizia amministrativa, è che non è stato il TAR o il Consiglio di Stato a ritardare le opere, visto che l’aggiudicazione non è mai stata sospesa bensì la stazione appaltante che ha aspettato la definizione di tutti i giudizi per timore di essere chiamata a rispondere dinnanzi alla Corte dei Conti nell’ipotesi che qualche giudice avesse poi riconosciuto che l’aggiudicazione non era stata correttamente pronunciata.

Ben si comprendono le esigenze dell’Amministrazione, chiamata a districarsi, come tutti noi, nell’applicazione di norme non chiare e complicate, ma ora con il DL semplificazioni il non facere è produttivo di una responsabilità maggiore rispetto a quello di dare esecuzione ad un contratto che nessun giudice ha sospeso.

Certo non è trascurabile l’interrogativo che tanti si pongono: davvero la semplificazione amministrativa può essere ammissibilmente realizzata in un paese caratterizzato dal malcontento diffuso nella PA, invitando funzionari ed amministratori a “fare”, anche superficialmente, piuttosto che a “non fare” rischiando di risponderne?

Forse si poteva ovviare a tutto, mantenendo la stessa disciplina previgente sia per la responsabilità erariale che per l’abuso d’ufficio, ma riconoscendo ai funzionari, come ora d’altronde previsto, la possibilità di stipulare dei contratti di assicurazione della propria responsabilità civile derivante dalla conclusione del contratto e della prosecuzione o sospensione dell’esecuzione del medesimo.

Secondo un detto Zen, per spostare la montagna bisogna iniziare spostando piccoli sassi. Si poteva quindi iniziare con dei contratti di assicurazione prima di avviare una rivoluzione copernicana dell’attività amministrativa, possibile fonte di altre disfunzioni o inerzie.

E poi c’è una questione di fondo che merita di essere evidenziata in ordine al D.L. Semplificazioni e cioè l’attenzione prevalente che esso dedica alla riduzione dei tempi piuttosto che al buon andamento ed all’imparzialità dell’Amministrazione, sanciti dall’art. 97 della Costituzione.

È davvero così sicuro che l’interesse a realizzare comunque l’opera prevalga sull’interesse pubblico all’aggiudicazione ad un operatore affidabile?

E l’interesse dell’aggiudicatario individuato illegittimamente dopo la stipulazione del contratto è sempre prevalente su quell’operatore economico che avrebbe dovuto ottenere l’appalto?

E se l’intera procedura risulta viziata da gravi difetti sostanziali che hanno impedito l’effettivo svolgimento di un confronto concorrenziale, perché non si può rimediare alla gravissima illegittimità riscontrata?

È difficile, infatti, comprendere perché debba restare sempre efficace un contratto, quando sia accertato che l’operatore economico non possiede i requisiti minimi necessari mettendo a rischio la successiva corretta e regolare esecuzione delle prestazioni.

È stato, infatti, previsto che per talune procedure (come la procedura negoziata senza bando) il contratto, se stipulato e già operante, non possa essere annullato dal giudice in sede giurisdizionale e l’operatore che ottenga il riconoscimento che l’aggiudicazione doveva essere pronunciata nei suoi confronti possa conseguire solo un risarcimento del danno.

Forse sarebbe stato più corretto, come è stato fino ad oggi, lasciare al giudice di valutare se far sopravvivere o no il contratto. Così facendo l’Amministrazione (rectius la collettività) sarà costretta a pagare sia chi ha realizzato l’opera, sia il risarcimento del danno a chi l’avrebbe dovuta realizzare.

Senza contare che in questa ipotesi non vi sarà alcuna responsabilità erariale del funzionario che ha agito, visto che chi rispetta i tempi ma viola il codice degli appalti, risponde all’erario solo a titolo di dolo e non di colpa grave.

E poi che senso ha accelerare dei tempi già di per sé ristretti quali quelli delle procedure di gara e degli eventuali contenziosi (rispettivamente circa sei mesi e un anno per due gradi di giudizio nanti il TAR ed il Consiglio di Stato), se non vengono ridotti i tempi necessari per la progettazione, l’approvazione delle opere e l’esecuzione delle stesse (secondo un paper della Banca di Italia del dicembre 2019 occorrono più di quattro anni per la progettazione e la messa in funzione delle opere di importo fino a 300.000 di euro, che salgono fino a undici anni per le opere di importo superiore a 5 milioni di euro).

Semplificare non vuol dire solo intervenire per tagliare i tempi del procedimento o assicurare un miglior coordinamento tra amministrazioni.

Semplificare significa, anzitutto, evitare nuove complicazioni, che sono spesso il portato della cattiva qualità delle regole.

Spesso un funzionario rimane inerte non perché è un ottuso burocrate ma perché non è in grado di comprendere la portata di una norma e ne teme le conseguenze applicative.

Le vie per uscirne non possono che essere le seguenti:

1) Investire sulla qualità della regolazione

Se una norma è semplice e chiara si riduce l’inerzia del funzionario, si migliora non solo l’efficienza ma anche l’efficacia dell’azione amministrativa, si contrae il contenzioso;

2) Investire sulla formazione del personale amministrativo

Da questo punto di vista il quadro attuale è negativo: dipendenti anziani, titoli di studio inadeguati o impropri rispetto alle funzioni svolte, procedure di selezione che si basano solo su conoscenze teoriche anziché sulla capacità di risolvere i problemi, assenza di incentivi alla produttività ed il risultato finale.

3) Rafforzare una governance, unitaria per la semplificazione

L’emergenza sanitaria ha evidenziato una frammentazione eccessiva delle politiche di semplificazione, spesso condotte in maniera non coordinata e contraddittoria (la mano destra non sa quello che fa la mano sinistra). Occorre una Cabina di regia che coordini e monitori sia la fase di concepimento, sia la fase di applicazione delle norme sulla semplificazione, al fine di intervenire a titolo correttivo a seconda degli effetti misurati sul campo.

Una battuta conclusiva.

Il decreto Semplificazioni manca di un disegno chiaro, coerente e completo.

Le materie regolate sono troppe e le misure di semplificazione si mescolano con quelle dell’emergenza. Si punta sulla riduzione dei tempi ma non si semplifica l’organizzazione. Si utilizza una tecnica legislativa che complica le norme anziché razionalizzarle.

In breve, l’antitesi della semplificazione.

Serve un passo indietro secondo il motto dell’Imperatore Augusto “Festina Lente” ovvero affrettati ma con cautela. Ci vuole tempo per far bene le cose e soprattutto buon senso.

Daniela Anselmi

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