1. I confini stabili del codice del processo, minacciati dagli interventi contingenti di modifica. Opzione zero, verifica dell’applicazione delle norme e obiettivi chiari delle riforme.

La giurisdizione amministrativa ha bisogno di confini chiari e nitidi: questa è la condizione essenziale per impostare qualsiasi discorso sull’effettività della tutela.

Ciò vale non solo per definire il rapporto con le altre giurisdizioni, ma, anche e soprattutto per stabilire il modo in cui il diritto di azione e di difesa va attuato e garantito.

In questo senso, le vicende, anche recenti, che riguardano i continui mutamenti del “rito appalti” rischiano di determinare una sorta di pericoloso sconfinamento della giurisdizione, facendo smarrire la precisa indicazione del territorio entro cui si svolge il processo.

Sia chiaro: la stabilità delle regole non deve significare irrigidimento e rifiuto del nuovo. L’evoluzione fisiologica della nostra società e le particolari emergenze derivanti dalla pandemia in corso comportano certamente l’opportunità di trasformare il sistema processuale e modernizzarlo.

Tuttavia, le innovazioni devono costituire l’esito di una seria e accurata verifica dell’applicazione delle norme preesistenti, accompagnata da una lineare indicazione degli obiettivi perseguiti. Le norme, poi, è appena il caso di ricordarlo, devono costituire il frutto di un confronto trasparente con i protagonisti del processo, ferma restano la responsabilità decisoria del legislatore.

Si è detto, spesso, e condivisibilmente, che nella maggior parte dei casi, l’opzione zero (lasciare immutato il quadro normativo esistente) costituisce la soluzione più saggia, perché le modifiche generano incertezze, richiedono un periodo di adattamento, sono esposte al rischio di creare problemi maggiori di quelli che si intendono risolvere.

D’altro canto, l’evoluzione concreta del sistema della giustizia amministrativa si è realizzata attraverso l’adattamento graduale e meditato delle regole scritte alle mutate realtà sociale: basterebbe pensare alla costruzione giurisprudenziale del giudizio di ottemperanza e della tutela cautelare.

 

2. I confini dei processi speciali. È ancora giustificata la specialità del rito appalti? Fino a dove estendersi? La portata concreta delle regole. Il caso della specialità delle norme sulla decorrenza del termine: ambizione di chiarezza ed esito di incertezza. Il ruolo suppletivo della giurisprudenza (Adunanza Plenaria 12/2020).

Il tema della stabilità delle regole assume un rilievo specifico nel settore dei contratti pubblici. Si tratta di una materia “sensibile”, nella quale entrano in gioco interessi diversi, talvolta contrapposti.

Ed allora, la ricerca di “confini” chiari della giurisdizione pongono anche un altro interrogativo di fondo, riguardante la ragion d’essere della specialità dei riti previsti dal codice del processo amministrativo e, in particolare, del giudizio in materia di affidamento contratti pubblici, di cui all’art. 120 del CPA.

Il tema è molto complesso e investe la valutazione di alcune scelte di fondo del codice, che ha notevolmente razionalizzato il sistema, senza però realizzare in pieno i risultati auspicati: per esempio è ancora troppo ingarbugliata la disciplina dei termini e del loro dimezzamento; resta ancora non perfettamente coordinata la regolamentazione dei riti camerali; poco convincente è la previsione dell’art. 119, che contempla tantissime fattispecie eterogenee, dettando regole acceleratorie di efficacia non sempre sicura e lineare.

Senza dubbio, il rito appalti richiede effettivamente una specifica attenzione, ma l’eccesso di regole può determinare inutili complicazioni.

Basterebbe pensare alla questione della decorrenza del termine per il ricorso: la decisione della Plenaria n. 12/2020 ha evidenziato come i problemi applicativi sorgono nonostante (o forse proprio a causa della presenza di norme speciali che regolano la materia, contenute nell’art. 120, comma 5.

 

3. I confini del rito appalti e il sofferto rapporto con il diritto UE. La struttura “generica” della direttiva ricorsi e l’esigenza di adeguamento dopo 31 anni di esperienza. Un ordinamento e una specifica disciplina appalti rivoluzionata più volte. I contrasti con le direttive sostanziali: gli esempi degli obblighi di trasparenza e della tutela del cittadino contribuente.

Il rischio di “sconfinamento” della giurisdizione prevista dal rito appalti si intreccia, inevitabilmente, con il problema del sofferto coordinamento tra la normativa nazionale e quella europea.

In questo caso, però, è forse proprio l’eccessiva “stabilità” e genericità delle regole scritte di derivazione europea a determinare i problemi applicativi.

Come è noto, la direttiva ricorsi riguardante i settori ordinari risale ormai al 1989 e ha subito solo un’importante modifica nel 2006, riguardante il problema specifico della inefficacia del contratto, conseguente alle “gravi violazioni”.

Nel frattempo, la disciplina sostanziale degli appalti è cambiata molto profondamente, così come l’intero contesto di riferimento (i Trattati, la Carta di Nizza, l’allargamento dell’Unione) e le discipline nazionali.

Gli inconvenienti derivanti da questo stato di cose sono evidenti.

La normativa del 1989, visibilmente preoccupata di salvaguardare il principio di autonomia procedurale degli Stati membri, era (ed è tuttora) caratterizzata essenzialmente dalla enunciazione di principi molto ampi e generici, i quali rappresentavano l’espressione di valori giuridici largamente sedimentati in tutti gli Stati membri, riconducibili all’idea della effettività del diritto di difesa.

Questa convinzione era, ed è, presente anche nel nostro sistema.

Basterebbe osservare, al proposito, che il legislatore italiano non si è mai preoccupato di recepire formalmente e sistematicamente la direttiva ricorsi. L’unica eccezione aveva riguardato l’espressa previsione della tutela risarcitoria, necessaria, all’epoca, poiché secondo la costruzione dominante, l’imprenditore che contestava l’aggiudicazione era titolare di un interesse legittimo, come tale non risarcibile in base alle regole nazionali.

In sostanza, il legislatore era certo cha già negli anni Novanta, la tradizionale normativa racchiusa nella legge TAR e nelle disposizioni relative al Consiglio di Stato fosse perfettamente in linea con i parametri comunitari senza bisogno di adattamenti o regole attuative.

Dal canto suo, la Corte di Giustizia ha avuto modo di elaborare una ricchissima giurisprudenza diretta a specificare la portata dei principi espressi dalla direttiva ricorsi. Ne è scaturito un diritto europeo, in una materia così delicata, di matrice giurisprudenziale, visibilmente condizionato dalle peculiarità dei casi esaminati, con la conseguente oscillazione degli indirizzi interpretativi.

In alcuni casi, poi, il carattere giurisprudenziale del diritto europeo si è moltiplicato ulteriormente. È questo il caso della interminabile questione della legittimazione al ricorso e del ricorso incidentale escludente.

La CGUE, con la nota sentenza Fastweb, si pronuncia su un quesito che riguarda, direttamente, la correttezza dell’indirizzo interpretativo della Plenaria. Le successive decisioni Puligienica e Lombardi costituiscono specificazioni e puntualizzazioni della precedente decisione.

È una giurisprudenza “pretoria”, che costituisce fonte del diritto europeo, senza alcun dubbio. Ma è evidente che, in tal modo, il pericolo di indeterminatezza e, qualche volta, di imprevedibilità, delle regole risulta molto forte.

Quando il legislatore europeo ha invece ritenuto di affrontare espressamente determinati temi processuali, la certezza della giurisdizione è risultata più robusta. È il caso della direttiva n. 66/2007, recepita con puntualità dal legislatore italiano (decreto legislativo n. 53/2010), senza troppe difficoltà applicative.

Senza dimenticare che la legislazione sostanziale europea non sembra coordinarsi adeguatamente con i principi espressi dalla CGUE.

Basterebbero due esempi.

  1. In materia di trasparenza delle procedure di affidamento, le direttive del 2014 prevedono un obbligo di pubblicità “attenuato”, prevedendo che la stazione appaltante sia tenuta a comunicare all’operatore economico la sola “motivazione” della determinazione di aggiudicazione, mentre la CGUE ha ripetutamente affermato il diverso principio secondo cui l’effettività della tutela presuppone una trasparenza piena, con accesso a tutti i documenti della gara idonei ad accertare la violazione.
  2. Con riguardo al delicato tema della legittimazione al ricorso, la giurisprudenza dalla Corte ha individuato regole interpretative dirette a definire il concetto di “interesse ad un determinato appalto”, variamente declinato, ma pur sempre incentrato sull’esigenza di seguire un criterio selettivo ragionevole. Le direttive sostanziali, invece, fanno riferimento all’interesse legittimo del cittadino-contribuente alla verifica di legittimità della procedura di gara. La previsione, pur non chiarissima, esprime il riconoscimento di una posizione indifferenziata in capo al comune cittadino, che deve essere tutelata dinanzi ad un’Autorità indipendente.

È difficile ipotizzare che si possa mettere mano alle direttive ricorsi, anche solo in relazione al tema specifico della legittimazione al ricorso, che continua a suscitare molti interrogativi.

Si potrebbe anche evidenziare che, ultimatamente, la CGUE sembra orientata verso un dialogo più costruttivo con le Corte nazionali, che potrebbe giustificare la conservazione di un ruolo chiave nella costruzione del “diritto processuale comunitario”.

Tuttavia, resta da segnalare questa oggettiva discrasia: mentre assai spesso le istituzioni europee spingono per l’adozione di regole precise e dettagliate, riducendo i possibili dubbi interpretativi per l’applicazione in sede nazionale, nel settore de ricorsi in materia dii contratti pubblici rimane ferma la previsione di norme generalissimi, la cui concreta portata deve essere declinata dalla Corte.

 

4. I nuovi confini del rito appalti dopo gli interventi del decreto legge n. 76/2020. Più trasparenza (presupposto per l’efficace tutela) per gli appalti sopra soglia e decorrenza del termine di impugnazione.

Il decreto legge n. 76/2020 interviene ancora una volta sul rito appalti.

L’emergenza collegata al rilancio economico e al contrasto della pandemia rappresenta indubbiamente la base giustificativa di regole nuove, alcune delle quali destinate ad un’applicazione circoscritta sotto il profilo oggettivo e temporale.

Risulta anche piuttosto chiaro il filo conduttore dell’intervento normativo, anche con riguardo alle norme sostanziali e a quelle relative al raccordo tra la tutela giurisdizionale e la procedura di affidamento in atto.

Occorre domandarsi, però, se la nuova disciplina comporti o meno indesiderati “sconfinamenti”, accentuando l’incertezza delle regole, o limitando il diritto di difesa.

La nuova disciplina si presta a valutazioni articolate.

Non può trascurarsi che, indirettamente, si manifesta un’apprezzabile intento di rafforzare la trasparenza, estendendo gli obblighi di pubblicazione generalizzata degli atti di gara.

Qui, forse, il legislatore avrebbe potuto cogliere l’occasione per dipanare l’ingarbugliata matassa dell’art. 120, comma 5, che la sentenza n. 12/2020 della Plenaria ha sciolto solo in parte.

Sarebbe auspicabile, infatti, un chiarimento definitivo sul rapporto tra pubblicazione integrale dei documenti di gara, comunicazione “d’ufficio” ex art. 76 del codice n. 50/2016 e comunicazione “a domanda” prevista dalla stessa norma.

La decorrenza “a gradi” delineata dalla Plenaria, infatti, seppure sembra garantire il diritto di difesa nel modo più completo, e risulta coerente con la disciplina scritta, genera notevoli incertezze applicative. Ciò anche in relazione alla formulazione dell’art. 29 del codice n. 50/2016, che non fissa alcun termine in ordine alla pubblicazione dei documenti di gara.

Una possibile soluzione normativa potrebbe essere quella di aggiornare, sistematicamente, le regole contenute negli articoli 120, comma 5, 76 e 79 del codice dei contratti pubblici.

Una soluzione plausibile potrebbe essere quella di stabilire che la decorrenza del termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso resta ancorata alla comunicazione “d’ufficio” ex art. 76, purché accompagnata dal collegamento informatico per l’accesso alla documentazione di gara, indipendentemente dalla circostanza che essa sia stata resa pubblica ai sensi dell’art. 29.

Tale soluzione potrebbe conciliare diritto di difesa e certezza dei rapporti giuridici, evitando anche la complicazione della “dilazione temporale” di quindici giorni, del termine per la proposizione del ricorso.

In questo senso resterebbe da valutare l’opportunità di reintrodurre l’accesso semplificato di cui all’art. 79, comma 5-quinquies, dell’abrogato codice dei contratti, quanto meno nei casi in cui la comunicazione non sia accompagnata dalla disponibilità informatica dei documenti di gara, con l’esplicita previsione che il termine per l’impugnazione decorre dal momento in cui l’interessato ha esercitato l’accesso o è decorso il termine per il suo esercizio.

 

5. I confini della tutela cautelare e annullatoria: una disciplina poco efficace e inopportuna

Non meno interessanti sono le altre innovazioni, direttamente riferite al processo, che riguardano:

  1. Le limitazioni alla tutela cautelare e annullatoria;
  2. L’accelerazione della fase decisoria della lite.

Ad una immediata lettura, i due gruppi di norme si prestano a valutazioni di segno opposto.

Le previste limitazioni non convincono e mettono in serio pericolo la stabilità dei confini della giurisdizione amministrativa.

A tacere d’altro, le nuove regole sembrano riprodurre alcuni principi già ricavabili dal sistema. Ciò è piuttosto evidente per il richiamo all’art. 125 nella parte in cui subordina la decisione cautelare ad una motivazione stringente sull’interesse pubblico sotteso all’esecuzione del contratto. In tal modo ci si dimentica, però, dell’art. 120, comma 8-ter, che, introdotto nel 2016, disciplina la materia in modo completo e soddisfacente, pur dovendosi segnalare che nelle decisioni dei giudici la sua diretta ed esplicita applicazione non sembra frequente.

Anche la previsione riguardante i limiti alla inefficacia del contratto, seppure molto circoscritta sul piano oggettivo, sembra destinata a modificare poco l’assetto già ricavabile dell’art. 122, introducendo, semmai, una rigidità collegata all’effetto preclusivo derivante dalla intervenuta stipulazione del contratto, che potrebbe determinare, paradossalmente, l’effetto opposto a quello voluto dal legislatore, incentivando il giudice ad accordare la sospensione dell’aggiudicazione, impedendo, quindi, la stipulazione del contratto.

In ogni caso, i dubbi relativi alla sua legittimità comunitaria e costituzionale determinano incertezza e instabilità che non giovano alla sicurezza dei confini della giurisdizione amministrativa.

 

6. Accelerazione e certezza della decisione finale: un confine opportuno per il rito appalti.

A diverse valutazioni si presta, invece, la disciplina acceleratoria della fase di decisione, ferme restando alcune riserve.

Il disegno voluto dal legislatore è molto ambizioso: velocizzare la decisione e, in ogni caso, indicare i tempi certi di definizione della lite.

Ora, una volta scanditi con precisione i tempi delle singole fasi, l’art. 120 dovrebbe garantire la pubblicazione della decisione entro novanta giorni dalla notificazione del ricorso, eccezionalmente prorogabili fino a centocinque. Infatti, l’udienza va fissata entro il termine di quarantacinque giorni decorrenti dalla scadenza del termine (dimezzato a trenta giorni) per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente; la decisione va pubblicata entro quindici giorni dall’udienza, eventualmente prorogabili a trenta.

Ci si potrebbe chiedere se questa veloce tempistica sia “sostenibile” e se possa determinare un sacrificio eccessivo degli altri giudizi.

In questo caso il sistema della Giustizia amministrativa ha certamente il compito di svolgere un’accurata valutazione delle misure organizzative praticabili.

In altre parole, si dovrebbero sviluppare le analisi già avviate in ordine alle risorse occorrenti per garantire questo risultato e il suo eventuale “costo”, in termini di possibile rallentamento della produttività negli altri settori.

Forse sarebbe anche possibile studiare modalità di lavoro più lineari, costituite, ad esempio, dalla previsione di udienze dedicate, con predisposizione di collegi che possano dosare le “forze” dei magistrati in servizio.

In ogni caso, nella prospettiva della migliore definizione dei confini della giurisdizione amministrativa, la nuova regola sembra andare nella direzione giusta.

 

7. I nuovi confini della tutela cautelare. Le prospettive e il ruolo della valutazione prognostica sulla sorte del contratto.

Gli interventi recenti ripropongono la questione “classica” del peso e del ruolo della tutela cautelare, anche considerando che lo stesso decreto legge n. 76/2020 introduce, nella sostanza, un vero e proprio di divieto dell’autotutela sospensiva, spesso utilizzata dalle stazioni appaltanti, in parallelo alla prassi del “rinvio al merito” dell’esame dell’istanza cautelare.

Anche questo tema presenta aspetti di notevole delicatezza.

In passato, quando i tempi di decisione del merito erano notevolmente più lunghi, la tutela cautelare costituiva un passaggio necessario, che determinava rischi di decisioni con esiti contraddittori. Era fisiologica la successione di ben cinque pronunce incidenti sulla stessa procedura di gara: ordinanza del Tar, decisione cautelare di appello, sentenza di primo grado, sospensiva della sentenza, decisione di appello nel merito.

Questa circostanza rendeva particolarmente rilevante la decisione cautelare, capace di condizionare sia l’ulteriore corso del processo che lo sviluppo della gara.

Ora le cose sono cambiate, proprio in conseguenza della velocizzazione dei processi (pur quando i termini non sono puntualmente rispettati) e della previsione dei meccanismi di stand still processuale.

Un effetto evidente è rappresentato dalla circostanza che l’appello di ordinanze cautelari del TAR è sempre più esiguo. Ma anche le stesse decisioni cautelari di primo grado sono meno frequenti.

L’intervenuta calendarizzazione della decisione di merito, insieme al dispiegarsi degli effetti dello stand still e della sospensione volontaria disposta dalla PA costituiscono un incentivo al rinvio al merito. Inoltre, sono in crescita le decisioni di merito adottate in sede cautelare.

In linea empirica, qualora fosse rispettato costantemente il termine per la decisione di merito, la tutela cautelare potrebbe essere quasi sempre assorbita, alleggerendo il lavoro di tutti.

Tuttavia, pure in tale contesto, la domanda cautelare andrebbe comunque proposta, sia per evitare possibili conseguenze sulla limitazione della tutela risarcitoria successiva, sia per sottolineare l’urgenza della decisione di merito, sia, infine, per rispetto delle esigenze della parte difesa.

Il decreto legge n. 76/2020 potrebbe incidere significativamente sulle prassi ora in atto.

Ma gli scenari ipotizzabili sono molteplici.

Anzitutto, va ricordato che il rinvio al merito non determina il venir meno degli effetti dello stand still processuale.

Quindi, l’amministrazione potrebbe essere indotta ad assumere in sede cautelare un atteggiamento prudente, preferendo il rinvio al merito rispetto ad una decisione cautelare favorevole che la obbligherebbe a portare avanti la procedura.

Di contro le parti potrebbero avere interesse ad ottenere una decisione sul “merito cautelare”, idonea a chiarire se la procedura di affidamento debba proseguire o no.

Ne deriverebbe una valorizzazione dell’udienza cautelare, capace di incidere profondamente sulla vicenda contenziosa.

La fase cautelare sembra destinata a riprendere nuovo vigore.

Anche in quest’ottica, peraltro, le prospettive potrebbero essere piuttosto incerte, largamente condizionate dalle prassi che i diversi organi adotteranno di volta in volta.

Potrebbe espandersi ulteriormente la tendenza, già diffusa in molti TAR, di decidere il merito in sede cautelare.

Potrebbero svilupparsi decisioni cautelari molto attente alla verifica del fumus del ricorso.

Potrebbe, viceversa spostarsi il baricentro della decisione cautelare sul bilanciamento degli interessi in gioco, in relazione ai criteri di cui all’art. 120 comma 8-ter.

E, forse, questo profilo potrebbe risultare di estremo interesse, se collegato al tema dei limiti alla tutela demolitoria e caducatoria.

La norma speciale ha posto diversi interrogativi in ordine al suo preciso significato. Tra le diverse letture sembra plausibile l’opinione secondo cui si tratta della specificazione mera del criterio generalissimo della bilateralità del periculum, costantemente applicato dal giudice amministrativo e ritenuto in linea con i principi generali della tutela cautelare, anche in ambito europeo.

Ciò posto, va sottolineato che la disposizione, con una formula forse non impeccabile, indica il criterio secondo cui la decisione cautelare deve connettersi alla prognosi circa la decisione finale di pronunciare, o meno, l’inefficacia del contratto.

Ora, è vero che la decisione cautelare di non sospendere l’efficacia dell’aggiudicazione e della stipulazione del contratto è cautelare e provvisoria, non vincolando formalmente la decisione del merito, sarebbe senz’altro auspicabile che il giudice mantenga la massima coerenza tra l’esito cautelare e quello di merito.

Ci si potrebbe anche chiedere se, de iure condendo, non possa anche ipotizzarsi – espressamente – che la decisione camerale assuma carattere definitivo, in relazione al solo profilo della conservazione di efficacia del contratto.

Ma, anche in assenza di una previsione di tale contenuto, è certamente opportuno che il giudice, sulla base delle deduzioni delle parti, prenda in considerazione espressamente questo parametro, motivando sulle ragioni che militano a favore del mantenimento dell’efficacia del contratto.

Una tale pronuncia, seppure non preclusiva della decisione di disporre la caducazione del contratto, avrebbe, quanto meno, un’autorità di fatto, imponendo un accurato obbligo di motivazione al giudice che intenda pronunciare l’inefficacia de contratto, nonostante l’opposta decisine cautelare. Si pensi ai casi in cui risulti che, nonostante la decisione cautelare di rigetto, esplicitamente motivata anche in relazione ai criteri del comma 8-ter, l’esecuzione delle prestazioni sia rimasta ugualmente inattuata.

 

8. I Confini certi della giustizia amministrativa.

Una giurisdizione amministrativa dai confini certi, occorre ripeterlo, è garanzia di tutela piena dei diritti e degli interessi delle parti pubbliche e private.

Confini che possono ridisegnarsi, se occorre adeguare l’ordinamento alla realtà sociale ed economica in evoluzione, talvolta anche in modo drammatico, come avvenuto negli ultimi mesi.

Ma confini che vanno costantemente curati e monitorati, attraverso la dialettica del processo e il contributo dei suoi protagonisti.

Marco Lipari

 

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