SOMMARIO: 1. La travagliata genesi del P.T.R.C. del 2020: profili di criticità – 2. I contenuti fondamentali del P.T.R.C. – 3. La diversa cogenza, all’interno del P.T.R.C., di direttive, prescrizioni e vincoli – 4. Il rapporto del P.T.R.C. con gli altri piani urbanistici, comunali, provinciali e regionali – 5. Il delicato tema dell’autonomia comunale – 6. La mancata valenza paesistica del nuovo P.T.R.C.: un problema?

 

1. È sempre un piacere e un onore intervenire al Convegno di Castelfranco Veneto. Mi perdonerete, quindi, se farò precedere alla trattazione del tema affidatomi un sentito ringraziamento all’avv. Primo Michielan, all’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti, al Comune di Castelfranco Veneto, alla Provincia di Treviso e al Centro Studi della Marca Trevigiana, che hanno curato l’organizzazione dell’evento. Ringrazio anche tutti i presenti in video-collegamento, che vedo essere oggi particolarmente numerosi.
Tocca a me il compito di svolgere un’introduzione non tecnica ai contenuti del piano territoriale di coordinamento della Regione Veneto (d’ora innanzi P.T.R.C.), spiegandone la genesi e individuandone i punti di forza e le criticità, con particolare riguardo alle disposizioni che ne costituiscono l’apparato normativo.
Inizierò col dire che il nuovo P.T.R.C. sostituisce integralmente il piano territoriale del 1992, ma ha avuto, rispetto a questo, una genesi molto più travagliata. Basti considerare che esso ha conosciuto due diversi atti di adozione, un primo nel 2009 (1) e un secondo nel 2013 (2), per essere poi definitivamente approvato solo nel 2020 (3).
Le ragioni di questo ritardo sono solo in parte riconducibili ai lunghi e complessi lavori preparatori, sui quali ci dirà meglio l’arch. Sist; in realtà, la lenta gestazione del piano è dipesa anche dalle divergenze insorte, nel corso della sua redazione, tra la Regione Veneto e il Ministero per i beni e le attività culturali. Stato e Regione avrebbero, infatti, dovuto procedere alla stesura di un piano condiviso, in ragione della sua valenza paesistica, così come prevedeva (e tuttora prevede) l’art. 135 del d.lgs. n. 42 del 2004 (4). E, in effetti, Regione e Ministero avevano per questo motivo siglato un protocollo d’intesa (5), nominando anche una commissione paritetica (6), che aveva svolto già buona parte del suo lavoro, quando il dialogo s’è interrotto. Oggi, quel dialogo è fortunatamente ripreso e i due attori della vicenda hanno sottoscritto un nuovo protocollo d’intesa (7).
Ma la Regione aveva nel frattempo deciso che era tempo di approvare comunque una prima versione del piano, visto il (forse troppo) lungo tempo trascorso dalla seconda adozione. Così, essa ha stralciato dal piano la parte più strettamente paesaggistica, per la quale era comunque necessaria l’intesa con lo Stato, ed ha approvato il piano (ma sarebbe meglio dire la parte di piano), che oggi conosciamo. Ben conscia, tuttavia, che si trattava solo del primo passo e che la parte di piano mancante, quella forse più importante perché relativa ai veri contenuti paesaggistici, era ancora da scrivere. Ciò che verrà fatto, a questo punto, sulla base del nuovo accordo, intervenuto a valle dell’intervenuta approvazione parziale del piano stesso.
I dubbi suscitati da questo modus operandi sono almeno tre: il primo attiene al rapporto tra l’adozione del 2009 e la riadozione del 2013; il secondo riguarda il lunghissimo tempo trascorso tra l’adozione e l’approvazione definitiva; il terzo riguarda la mancata partecipazione del Ministero alla formazione del piano ed il conseguente stralcio della parte paesaggistica. Ci si chiede, in particolare, se fosse possibile apportare ad un piano solo adottato della varianti sostanziali, com’avvenuto nel 2013. E, ancora, se fosse possibile approvare nel 2020 un piano formato molti anni prima e, quindi, potenzialmente divenuto nel frattempo inattuale. E, infine, se fosse possibile stralciare dal piano una parte di fondamentale importanza, come quella paesaggistica, per poterlo approvare senza il concorso del Mibac e la condivisione con lo Stato.
Sul primo tema mi risulta che almeno un Comune, il più importante della Regione (Venezia), abbia presentato delle osservazioni, per mettere in dubbio che potesse essere modificato in corso d’opera, nel 2013, il piano che era stato adottato nel 2009 e che, già da quattro anni, aveva goduto della salvaguardia (8). I dubbi palesati dal Comune capoluogo si concentravano soprattutto sul fatto che la salvaguardia sarebbe stata così surrettiziamente estesa per altri cinque anni. Se dovessimo, tuttavia, applicare al P.T.R.C. i principi che sono stati affermati in giurisprudenza per i piani comunali (9), dovremmo concludere che la modifica in itinere di un piano adottato è senz’altro ammessa ed equivale, in parte qua, ad una riadozione dello stesso (10). Il prolungarsi del periodo di salvaguardia è, in realtà, solo una conseguenza della riadozione e non costituisce di per sé motivo per ritenere il piano illegittimo. Lo sarebbe solo se la variante fosse stata introdotta o il piano fosse stato riadottato all’esclusivo fine di prolungare il regime soprassessorio. Ma non è, evidentemente, il nostro caso.
Anche il secondo tema non mi sembra presentare particolari difficoltà. Per quanto anomalo possa essere che il procedimento di formazione di un piano territoriale o urbanistico duri per tanti anni, non credo, infatti, che il mancato rispetto dei termini fissati per ogni fase del procedimento di formazione dall’art. 25 della l.r. n. 11 del 2004 (11), i quali sono chiaramente dei termini non perentori, possa determinare per se stesso l’illegittimità del piano. Vero è che, decorso un certo tempo, il piano adottato non godrà più della salvaguardia. Ma ciò non lo renderà automaticamente illegittimo. Bisognerà, piuttosto, considerarne il contenuto e vedere se, al momento dell’approvazione, non risulti palese che in qualche sua parte (o nella sua totalità) esso risulti inattuale e superato. Solo in questo caso, invero, la manifesta inadeguatezza e illogicità del piano, potrebbero indurre a qualificarlo come illegittimo. È ciò che avvenne, ad esempio, con il P.R.G. del Comune di Cortina d’Ampezzo, adottato nel 1975 e definitivamente approvato, a seguito di un travagliato e complesso iter amministrativo e giudiziario, solo nel 1999, senza essere stato nel frattempo adeguato (12). Anche questa ipotesi non sembra ricorrere nel caso in esame.
Certamente più delicato, invece, è il tema della mancata partecipazione del Mibac alla redazione del piano veneto e alla conseguente approvazione di un piano “mutilato” di una delle sue parti caratterizzanti, quella paesaggistica. Ed invero, nella versione originaria dell’art. 3 della l.r. n. 11 del 2004, il P.T.R.C. doveva necessariamente avere anche valenza paesaggistica (e non solo urbanistica e territoriale), cosicché non sarebbe stato possibile approvarlo senza il concorso dello Stato. Non solo perché così prevede, per tutti i piani territoriali regionali con valenza paesaggistica, l’art. 135 del d.lgs. n. 42 del 2004, ma perché in tal senso è saldamente orientata la giurisprudenza della Corte costituzionale. Si poteva, quindi, decidere di tagliare i contenuti paesaggistici del piano per giustificarne l’approvazione senza il concorso dello Stato? Aveva senso farlo?
Per il momento, vorrei lasciare in sospeso la risposta, limitandomi a segnalare che tutto questo è stato reso possibile anche perché l’art. 3 della legge urbanistica regionale del 2004 è stato modificato, stralciando il riferimento ad un contenuto paesaggistico obbligatorio del piano (13). Ora, infatti, l’articolo si limita a prevedere che il piano sia elaborato nel rispetto del codice dei beni culturali (14): come a voler dire che la sua redazione impone l’accordo tra Stato e Regione solo se e solo quando il piano affronti anche tematiche ambientali e paesaggistiche, potendo altrimenti la Regione procedere in autonomia.

2. Riservandomi di tornare sullo stralcio dal piano della parte paesaggistica alla fine del mio intervento, vorrei ora brevemente soffermarmi sui contenuti del nuovo P.T.R.C., per analizzarne, anzitutto, la rispondenza al dettato della l.r. n. 11/2004.
Il P.T.R.C. del 2020 è composto dai seguenti elaborati: a) Relazione illustrativa con i “Fondamenti del Buon Governo”; b) Elaborati grafici; c) Quadro conoscitivo (in formato digitale); d) Documento per la valorizzazione del paesaggio veneto; e) Norme Tecniche; f) Rapporto Ambientale – Sintesi non tecnica – VIncA. Ci sarebbe dovuta essere anche la ricognizione dei vincoli paesaggistici, che manca, come detto, per effetto del mancato raggiungimento dell’intesa con lo Stato.
Non potendo di certo analizzare ora tutti questi contenuti, mi occuperò nelle pagine seguenti soprattutto delle norme tecniche, rinviando di volta in volta alle relazioni che seguiranno.
Schematicamente, possiamo trovare nelle norme del piano sia principi che attengono ai contenuti della pianificazione sia principi che attengono al metodo di pianificazione. Alla prima categoria appartengono i principi di: sostenibilità delle scelte; uso razionale del territorio; contenimento del consumo di suolo; rinaturalizzazione dei suoli antropizzati; tutela del paesaggio e dei beni culturali. Alla seconda categoria, invece, possono essere ricondotti: i principi di: sussidiarietà, tutela delle autonomie locali; condivisione e partecipazione; riduzione delle prescrizioni e dei vincoli; monitoraggio obbligatorio (v. art. 6).
Per un giurista assumono particolare valenza anche i criteri ermeneutici, di cui si occupano gli artt. 2 e 3. Nel primo, si afferma, coerentemente al carattere non immediatamente cogente del piano, che «i tematismi e gli oggetti (ivi) rappresentati non hanno funzione localizzativa e hanno valore meramente indicativo». Possiamo, infatti, affermare che il P.T.R.C. non ha un “contenuto conformativo” della proprietà privata, se non in limitatissime ipotesi, circoscritte ad elementi assolutamente puntuali. Mentre, nel secondo, si dice che, in caso di dubbio o discordanza, prevale la scala a maggior dettaglio, nonché la previsione normativa sulla rappresentazione grafica degli elaborati. Ma si tratta di specificazioni sulle quali non vale la pena soffermarsi, perché ricognitive di principi assolutamente consolidati.
Il P.T.R.C. aveva anche un altro obiettivo; ed era quello di semplificare il quadro pianificatorio, riducendo il numero degli strumenti di pianificazione sovracomunale. Si tratta, però, di un obiettivo solo parzialmente raggiunto, dal momento che, se è vero che i piani d’area contemplati dal piano del 1992 sono stati oggi tutti assorbiti dal piano territoriale regionale di coordinamento, è altrettanto vero che i piani di settore sono stati non solo mantenuti, come autonomi strumenti di pianificazione, ma anche (come si dirà) incrementati nel numero.

3. Quanto ai contenuti, balza subito all’occhio che, se il piano di coordinamento del 1992 aveva un alto numero di vincoli e prescrizioni, il nuovo P.T.R.C. risponde, invece, maggiormente alla logica propria dei piani di livello sovracomunale, dove le previsioni vincolistiche puntuali rappresentano l’eccezione e dove la regola è costituita dall’uso delle direttive. In questo, dunque, i redattori del piano si sono effettivamente attenuti al mandato ricevuto ed ai principi informatori della legge urbanistica regionale del 2004 (15).
Ne costituisce indiretta conferma anche la mancanza delle schede che, nel piano del 1992, contenevano le norme specifiche di tutela per gli ambiti di particolare valenza paesaggistica e che nel nuovo piano sono scomparse. Anche se non trarrei da questo elemento delle conclusioni dirimenti, visto che la mancanza di un simile apparato di specifiche norme di tutela potrebbe, in effetti, dipendere anche dallo stralcio dal piano della parte paesaggistica, dovuta al mancato raggiungimento dell’intesa con il Mibac. Ed invero, se prendiamo in esame l’articolo 24 della legge n. 11 del 2004, noteremo che i contenuti di natura prescrittiva del piano sono proprio quelli riferiti alla tutela del paesaggio e dei beni culturali (16). Cosicché, sarebbe stato molto difficile per la Regione inserire delle norme specifiche di tutela di siffatti beni in un piano redatto unilateralmente, senza averle previamente condivise con lo Stato. Ed è anche per questo che non si può, a mio avviso, affermare che la riduzione di prescrizioni e vincoli sia dipesa dalla effettiva volontà di semplificare o non sia, invece, dipesa, dalla impossibilità di introdurle in modo legittimo, per la mancanza dell’intesa con lo Stato.
In ogni caso, vorrei far notare la profonda differenza esistente tra il citato art. 24, che affida al piano di coordinamento regionale un contenuto molto ampio, e l’art. 5 della legge urbanistica nazionale n. 1150 del 1942, che riduceva al minimo i contenuti del piano territoriale di coordinamento e ne faceva un piano di direttive, rivolte esclusivamente alle amministrazioni locali, perché le recepissero nei loro piani. Le differenze, in realtà, sussistono anche in relazione all’articolo 5 della vecchia legge urbanistica regionale (la n. 61 del 1985), che insisteva molto, a differenza della legge attualmente in vigore, sulla differenza esistente tra direttive, da un lato, e prescrizioni e vincoli, dall’altro, spiegandone anche i diversi effetti (17). Norma, questa, non più in vigore, evidentemente, ma che rimane utile ancor oggi per comprendere la differenza concettuale tra le due categorie di contenuti, che viene data oggi per scontata dal legislatore regionale.
È, infatti, evidente che una direttiva non ha un’immediata efficacia precettiva nei confronti del proprietario del suolo, ma si rivolge soltanto alle amministrazioni che governano i piani sottordinati. E, dunque, non comporta nemmeno l’onere dell’immediata impugnazione, perché non è di per sé lesiva. Le direttive indicano, invero, soltanto degli indirizzi, che devono poi essere necessariamente tradotti e recepiti; mentre le prescrizioni e i vincoli hanno un’immediata cogenza e, quindi, possono imporre limiti o stabilire divieti direttamente applicabili ai proprietari, che ne possono anche risultare lesi, così da essere onerati dalla loro immediata impugnazione.
Tutto questo ha delle conseguenze anche sotto un altro profilo, che è quello dell’applicazione delle misure di salvaguardia. In effetti, l’articolo 29 della l.r. n. 11 del 2004 statuisce che, in relazione alle prescrizioni e ai vincoli, i piani di coordinamento regionale e provinciale possono essere oggetto di salvaguardia (18). Cosa che non sarebbe invece possibile per le direttive e per i meri indirizzi.
Prescrizioni e vincoli del P.T.R.C. sono anche quelli che più facilmente possono minare l’autonomia decisionale riservata ai Comuni, nell’esercizio del potere di pianificazione del territorio, perché la legge dice che essi “sono automaticamente prevalenti” sulle diverse norme e previsioni degli strumenti urbanistici locali. Questo significa, ad esempio, che prescrizioni e vincoli del piano regionale si sovrappongono e si sostituiscono ex lege alle diverse indicazioni dei piani comunali. Tant’è vero che rispetto agli obblighi di adeguamento dei piani comunali indicati nell’articolo 12 della l.r. n. 11 del 2004, si dice che i Comuni hanno il compito di sviluppare le direttive dei piani coordinamento regionali e provinciali, ma non si dice che essi devono recepire e sviluppare le prescrizioni e i vincoli: questo perché essi devono semplicemente attuarli, in quanto gli stessi sono già stati stabiliti una volta per tutte dalla Regione (19). Si capisce, allora, che in un sistema conformato al principio di sussidiarietà (verticale) il ricorso alle prescrizioni e ai vincoli, da parte del piano di coordinamento regionale, debba essere contenuto entro i limiti dello stretto indispensabile.
Da questo punto di vista, forse anche per questa ragione, possiamo registrare un’effettiva semplificazione rispetto al 1992, perché le prescrizioni e i vincoli che troviamo oggi nelle norme tecniche del P.T.R.C. sono davvero in numero molto contenuto.
Scorrendo tutte le norme del P.T.R.C. ho trovato, infatti, solo pochi articoli nei quali sono individuabili delle previsioni immediatamente cogenti e vincolanti. Sono, ad esempio, quelle riguardanti: la tutela della sicurezza idraulica, la tutela dei corridoi ecologici (di cui ci parlerà il prof. Campeol), la localizzazione degli impianti di produzione di energia (di cui parlerà l’avv. Michielan), la gestione dei rifiuti, le aree strategiche situate in prossimità dei caselli autostradali (di cui ci parlerà il prof. Pedrocco), la salvaguardia transitoria prevista per gli ambiti di tutela, che vengono confermati in attesa di nuove future prescrizioni vincolistiche (20). Nessuna previsione vincolistica è, ad esempio, imposta per il settore produttivo e commerciale, di cui ci parlerà il prof. Volpe.
Una delle previsioni più delicate e controverse è proprio quella relativa alle c.d. Architetture del Novecento, intese come edifici non necessariamente vincolati ai sensi del codice dei beni culturali, che sono stati specificamente individuati come testimonianze di architetture significative del secolo scorso, perché realizzate da progettisti più o meno famosi. Di esse, invero, sono vietate di regola le demolizioni e le alterazioni significative dei valori architettonici, costruttivi e tipologici. Solo in certi casi è possibile ottenere una deroga, ma unicamente chiedendo una preventiva autorizzazione alla Giunta regionale, che dovrà acquisire sul punto il parere del Comune interessato. Il che appare quanto meno singolare per edifici che, come detto, non sono necessariamente vincolati come beni culturali (21).
Sulla possibilità che il P.T.R.C. introduca limiti e divieti sovrapponibili alla disciplina urbanistica comunale e su questa prevalenti, la Corte costituzionale si è già espressa in molteplici occasioni, a far inizio dalla nota sentenza n. 378 del 2000, originata dall’impugnazione al T.A.R. del piano territoriale di coordinamento della Regione Emilia-Romagna da parte del Comune di Rimini. Fin da quella occasione, infatti, fu sollevato il problema della possibile lesività del piano regionale rispetto all’autonomia decisionale dei Comune, ma la Corte respinse la questione, spiegando che era già all’epoca superata la logica del piano di mera direttiva del ‘42 e chiarendo che l’attribuzione della valenza paesistica al piano di coordinamento dava alla Regione la possibilità di introdurre, a tutela dei valori paesaggistici e ambientali, delle prescrizioni direttamente vincolanti e prevalenti rispetto a quelle comunali, perché si trattava in questo caso di garantire la tutela di interessi di dimensione e rilievo sovracomunale. Devo dire che, se oggi affrontassimo gli stessi problemi, pur avendo riguardo al principio di sussidiarietà nel frattempo introdotto nell’art. 118 Cost., arriveremmo alle medesime conclusioni.
Lo stesso T.A.R. Veneto, del resto, con riferimento alla vicenda del PALAV, aveva chiarito che già la l.r. n. 61 del 1985, seguendo la stessa logica di tutela, consentiva alla Regione di introdurre legittimamente nel piano anzidetto, di ambito necessariamente sovracomunale, delle prescrizioni e dei vincoli automaticamente prevalenti e immediatamente efficaci (e lesivi) nei confronti dei proprietari (22).

4. Quanto appena detto ci consente di occuparci anche dei rapporti tra il P.T.R.C. e gli altri piani urbanistici.
L’aspetto dominante resta ancora quello della gerarchia, che va, però, coniugato con i temi, oggi enfatizzati dal vigente art. 118 Cost., della sussidiarietà e dell’autonomia. Non è più, infatti, la gerarchia di un tempo, legata al dato meramente formale; ma la prevalenza oggi assicurata ai piani di livello sovracomunale è strettamente legata ai loro contenuti, che devono rispecchiare la dimensione sovracomunale degli interessi tutelati. Potremmo dire, per semplificare il concetto, che ogni livello di pianificazione deve corrispondere all’importanza e alla dimensione territoriale degli interessi che lo specifico piano, regionale, provinciale o comunale, è chiamato a soddisfare. E l’attenzione nei confronti della riserva di pianificazione garantita ai Comuni non è solo formale, come si potrebbe pensare guardando alla struttura della vigente legge urbanistica generale, che inizia la descrizione degli strumenti urbanistici iniziando proprio dai piani comunali, per giungere a quelli regionali, passando per i piani provinciali. Lo vedremo tra poco, richiamando un recente orientamento della Corte costituzionale.
Il portato della gerarchia era, comunque, già chiaramente enunciato nell’art. 6 della legge fondamentale del ‘42, anche se allora non esistevano ancora le Regioni e il P.T.R.C. era un piano statale, meramente facoltativo (non obbligatorio com’è invece il P.T.R.C. nella legge regionale) e dall’ambito territoriale non definito. Era, infatti, quell’articolo a stabilire che i Comuni dovessero uniformare i loro piani alle direttive superiori del piano di coordinamento (23).
L’art. 3 della l.r. n. 11 del 2004 ribadisce, pur nel rispetto del sopravvenuto principio di sussidiarietà, che il piano regionale e, a cascata, pure il piano provinciale indicano il complesso delle direttive e le prescrizioni e i vincoli automaticamente prevalenti – nei termini dianzi precisati – rispetto alle previsioni operative dei piani comunali; e stabiliscono anche i modi e i tempi di adeguamento delle stesse (24). In linea con questo principio, quindi, troveremo anche nelle norme tecniche del P.T.R.C. i termini entro il quale i Comuni dovranno adeguarsi alle direttive regionali e l’indicazione di cosa potrebbe succedere nel caso in cui i Comuni non vi si adeguassero tempestivamente. Ce lo dicono, ad esempio, l’art. 4 e l’art. 81, ribadendo che il P.T.R.C. è strumento sovraordinato a tutti i piani territoriali e urbanistici e che il mancato adeguamento di questi giustifica l’intervento sostitutivo della Regione (v. infra).
L’art. 4 delle N.T.A. chiarisce anche che il P.T.R.C. ha una valenza equivalente ai piani di settore, le cui indicazioni prevalgono su quelle più generali del piano di coordinamento in forza di un criterio di specialità e competenza (25). I piani d’area, per i quali avrebbe potuto funzionare un meccanismo analogo di specialità “territoriale”, sono invece oggi assorbiti, come ricordavo, nel piano territoriale di coordinamento.
La gerarchia di cui ho appena detto non è solo temperata dai principi di autonomia e sussidiarietà, ma è pure, in taluni casi, derogata in forza di un singolare meccanismo di flessibilità, che contempla un’inversione dell’ordine gerarchico dei piani: il sistema, infatti, prevede che, a certe condizioni, quando non vadano cioè a stravolgere i contenuti sostanziali della pianificazione superiore, anche i piani comunali possano introdurre delle modifiche alla pianificazione regionale. In questo caso, però, la loro approvazione dev’essere deliberata dalla Giunta regionale, subordinatamente all’acquisizione del parere della Commissione consiliare competente (26).
Fuori da questo caso, però, la regola è che il Comune adegui i propri strumenti alle previsioni del P.T.R.C. e lo faccia nel termine massimo di un anno (27), peraltro usufruendo a tal fine del canale privilegiato previsto dall’articolo 48, comma 1 ter, della l.r. n. 11 del 2004, che esenta le varianti di adeguamento ai piani sovraordinati dal rispetto dei limiti stabiliti per le altre varianti, quando il Comune non sia ancora dotato di PAT (28).
L’articolo 81 delle N.T.A. del P.T.R.C. si occupa, a questo riguardo, dei poteri sostitutivi della Regione (29), che non sono, a dire il vero, disciplinati dalla legge con specifico riferimento al piano comunale, ma si ricavano in via sistematica dall’articolo 30 della l.r. n. 11 del 2004, che riguarda tutti gli atti «dovuti» dei Comuni in tema di governo del territorio, rispetto ai quali è contemplato l’esercizio in via sussidiaria del potere sostitutivo regionale o provinciale (30). Ovviamente, come noto, il rapporto di gerarchia esistente tra il P.T.R.C. e i piani comunali consente anche alla Provincia di non approvare il P.A.T. che necessiti di essere meglio coordinato con le previsioni degli strumenti sovraordinati ovvero di approvarlo con modifiche d’ufficio (31).
Certamente più salvaguardata dalla legge regionale è l’autonomia provinciale. Nel rapporto di sovraordinazione gerarchica tra piano regionale e piano provinciale, infatti, non sono previsti automatismi, né pesanti interventi sostitutivi. Più semplicemente, l’art. 23, comma 7, della l.r. n. 11 del 2004 prevede che, qualora la Giunta regionale riscontri la non compatibilità del piano provinciale con il P.T.R.C., trasmette il piano stesso alla Provincia per la sua rielaborazione. E qualora il consiglio provinciale non provveda entro novanta giorni dalla trasmissione del piano rielaborato, ovvero non introduca nel piano le modifiche necessarie per renderlo compatibile con il P.T.R.C., la Giunta regionale lo restituisce oppure, stralciate le parti non conformi, lo approva. Non v’è mai, dunque, come nel caso del piano comunale, un’ingerenza diretta della Regione.
Passando ora ai rapporti del P.T.R.C. con gli altri piani regionali, vorrei limitarmi a svolgere due velocissime osservazioni.
La prima riguarda la pianificazione regionale di settore, che il P.T.R.C. non ha minimamente ridotto o semplificato. I soli piani di settore citati nelle norme del P:T.R.C. sono invero tantissimi e alcuni di essi sono pure del tutto nuovi, come il piano delle acque, previsto dall’articolo 21, di cui ci parlerà il prof. D’Alpaos, o il piano regionale della mobilità ciclistica (32). Essi occupano, come dicevo, lo stesso livello gerarchico del P.T.R.C., che vanno in parte qua ad integrare col loro contenuto specialistico (33).
Costituiscono una figura a parte, invece, i c.d. Progetti strategici, di cui la legge urbanistica regionale si occupa all’art. 26. Per alcune opere, programmi o interventi di particolare rilevanza il P.T.R.C. può, invero, delegare alla Giunta regionale di operare a mezzo di questi strumenti, purché il loro contenuto non contrasti con gli indirizzi e i criteri dello stesso P.T.R.C. e la Giunta proceda alla loro attuazione in accordo con gli enti locali, stipulando degli appositi accordi di programma. A questa figura, ad esempio, appartiene anche il Progetto strategico “Dolomiti e Montagna Veneta”, citato all’art. 59 delle N.T.A. del piano di coordinamento (34).

I piani d’area non sono, infine, più previsti come tali. Essi erano, insieme ai piani di settore, dei piani regionali autonomi (ancorché coordinati) rispetto al P.T.R.C. del 1992; e, su questa base, l’articolo 48 della l.r. n. 11 del 2004 aveva consentito in via transitoria di portare a compimento i procedimenti di pianificazione già avviati per alcune aree, nonché di mantenere in vita i piani d’area esistenti (35).
In prospettiva futura, però, le previsioni di quei piani dovrebbero essere assorbite dalle previsioni di natura paesaggistica che andranno a far parte integrante del P.T.R.C. Ma, finché ciò non accadrà, essi continueranno a valere, in una con le norme specifiche di tutela del vecchio P.T.R.C.
Dei nuovi piani paesaggistici regionali d’ambito P.P.R.A., pure citati dal nuovo P.T.R.C., ci parlerà invece l’avv. Borella.

5. La sovraordinazione gerarchica del P.T.R.C. ai piani comunali pone, all’evidenza, il problema della salvaguardia dell’autonomia comunale.
A questo riguardo, vorrei richiamare alcuni precedenti che mi sembrano interessanti. In primo luogo, il caso già citato dell’impugnazione del piano di coordinamento della Regione Emilia-Romagna da parte del Comune di Rimini, che portò la Corte costituzionale a riconoscere la legittimità della legislazione emiliana, che attribuiva al piano regionale il potere di introdurre norme specifiche di tutela, prevalenti sulle previsioni degli strumenti urbanistici locali (36). Quella sentenza fu poi seguita dalla decisione n. 478 del 2002, relativa ad un caso simile, nel quale alcuni Comuni siciliani lamentavano la lesione, da parte della Regione autonoma, della loro potestà in materia di pianificazione urbanistica. Anche in quella occasione, la Corte riconobbe l’esistenza di un’autonomia decisionale dei Comuni, ma ribadì che essa deve coordinarsi con le competenze regionali, che necessariamente attengono ad un livello di governo del territorio differente, caratterizzato dalla presenza di interessi sovracomunali. Perché l’autonomia dei Comuni sia salvaguardata è importante – si legge in quella sentenza – che i Comuni non siano estromessi dal procedimento di pianificazione, ma abbiano invece un ruolo di partecipazione attiva nel procedimento di formazione del piano regionale.
Mi sembra pure degna di esser ricordata una decisione di qualche anno fa del T.A.R. Veneto, sempre riguardante l’annosa vicenda del piano regolatore di Cortina d’Ampezzo, che accolse il ricorso proposto dal Comune contro la delibera regionale che aveva introdotto d’ufficio delle modifiche al piano adottato, dopo avere inutilmente invitato l’Ente locale a recepire le proposte di modifica. Il T.A.R. riconobbe illegittimo quell’intervento regionale perché andava a ledere l’autonomia comunale, così come doveva configurarsi a seguito della riforma costituzionale 2001. Quella sentenza, invero, rimane una delle prime applicazioni del principio di sussidiarietà verticale, che consentì al T.A.R. di rileggere e reinterpretare in senso costituzionalmente orientato l’art. 46 della l.r. n. 61 del 1985, senza sollevare la questione della sua possibile incostituzionalità (37).
Molto interessante è anche la recente sentenza della Consulta n. 179 del 2019, riguardante la legge regionale lombarda n. 31 del 2014 sul consumo di suolo e la sua concreta applicazione al PGT del Comune di Brescia. Con essa, la Corte ha affermato l’illegittimità della citata legge regionale, nella parte in cui aveva imposto ai Comuni lombardi, nelle more del recepimento dei nuovi limiti al consumo di suolo, di non procedere ad alcuna modifica dei loro strumenti urbanistici, vietando non solo, comprensibilmente, di prevedere nuovo consumo di suolo, ma pure, irragionevolmente, di diminuire il consumo di suolo già da essi previsto. Il Comune di Brescia, infatti, aveva ridotto l’edificabilità ad alcune aree ed i proprietari avevano impugnato la relativa variante invocando la norma regionale che imponeva il congelamento della pianificazione comunale; così, il Consiglio di Stato aveva sollevato la questione di costituzionalità della legge lombarda, osservando che appariva del tutto irragionevole che la Regione avesse bloccato anche i procedimenti di pianificazione volti a ridurre il consumo di suolo, in attesa che il complesso meccanismo da essa previsto per conseguire questa finalità entrasse a regime.
In effetti, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del divieto, riconoscendo che lo stesso non era proporzionale e necessario, di talché finiva per ledere inutilmente l’autonomia comunale. In questo modo, peraltro, la Corte ha affermato due importanti principi: da un lato, confermando l’appropriatezza e l’idoneità del livello regionale per governare i meccanismi di riduzione del consumo di suolo; dall’altro, ribadendo che le scelte del legislatore regionale devono comunque essere ragionevoli e proporzionate rispetto alla finalità perseguita. E quella scelta della Regione Lombardia era totalmente illogica, perché imponeva ai Comuni delle limitazioni che potevano addirittura confliggere con la finalità di contenimento del consumo di suolo a cui la legge stessa diceva di volersi ispirare, in questo modo non superando il test di proporzionalità che avrebbe potuto giustificare, in concreto, una compressione dell’autonomia comunale.

6. Torno ora al tema più delicato della mia relazione, che ho lasciato volutamente alla fine e sul quale immagino vorranno dire qualcosa, dopo di me, anche il prof. Breganze de Capnist e l’avv. Borella.
La valenza paesaggistica dei piani territoriali è stata prevista per la prima volta dalla legge Galasso, n. 431 del 1985, la quale, con riferimento ai beni vincolati ex lege, introdusse l’obbligo per le Regioni, cui la materia era stata delegata dall’art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, di dotarsi dei piani paesaggistici previsti dalla legge n. 1497 del 1939, offrendo però loro anche l’alternativa di occuparsi della tutela di quei beni all’interno dei propri piani territoriali di coordinamento, di contenuto urbanistico, attribuendo ad essi una specifica valenza paesistica (38).
E così fece, come quasi tutte le Regioni italiane, anche il Veneto, che approvò a tal fine la legge n. 9 del 1986, modificativa della legge urbanistica n. 61 del 1985, stabilendo che non solo il piano territoriale, ma anche i piani adottati e approvati in attuazione di quello, avrebbero da allora avuto il compito di occuparsi, tra le altre cose, anche della tutela dei beni sottoposti a vincolo paesaggistico ex lege, assumendo così valenza paesaggistica. E così avvenne puntualmente per il P.T.R.C. del 1992.
Cosa è accaduto in seguito? È successo che il codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004 ha stabilito che la pianificazione del paesaggio era un tema troppo delicato per essere lasciato alle Regioni, anche per le importanti implicazioni che la c.d. vestizione dei vincoli (39) prevista dall’art. 135 avrebbe comportato – come dirò subito appresso – sul piano della semplificazione delle procedure di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. Così, lo stesso art. 135 ha previsto che tanto i piani paesaggistici, quanto i piani territoriali urbanistici con valenza paesistica, entrambi denominati ugualmente piani paesaggistici, dovessero essere elaborati d’intesa tra Stato e Regioni (40).
Non tragga in inganno il fatto che la norma si riferisce ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143, lettere b), c) e d), perché in questa ampia forbice ricadono, in realtà, tutte le categorie di beni paesaggistici, dalle bellezze d’insieme, alle bellezze individue, ai beni vincolati ex lege, ai beni vincolati direttamente dal piano (41). Nulla, quindi, sfugge alla nuova regolamentazione congiunta del paesaggio.
Questo, infatti, è il nuovo principio: che Stato e Regioni devono concorrere a definire, attraverso il piano paesaggistico o il piano di coordinamento con valenza paesistica, le forme di intervento consentite all’interno degli ambiti vincolati, disseminati su tutto il territorio nazionale.
Solo così, infatti, potrà giungersi alla scrittura di quelle regole d’uso del territorio che consentirà, finalmente, di ridurre la discrezionalità delle amministrazioni locali preposte al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica e di portare a compimento la riforma voluta nel 2004, col risultato che, da un lato, il parere della Soprintendenza non sarà più vincolante ai fini del rilascio della stessa autorizzazione paesaggistica da parte dei Comuni (o degli altri enti a ciò delegati dalle Regioni) e, dall’altro, che in certe zone l’edificazione potrà avvenire direttamente in forza del solo titolo edilizio, senza la necessità di chiedere anche l’autorizzazione paesaggistica.
Ma, prima d’allora, le Regioni dovranno munirsi di nuovi piani di coordinamento, a cui le Province e i Comuni dovranno poi adeguare i loro strumenti. E per farlo dovranno procedere in accordo con il Mibac. Il traguardo, quindi, è ancora abbastanza lontano. E ancor più lontano e difficile esso appare per quelle Regioni che, come il Veneto, decidessero di approvare dei piani territoriali di coordinamento privi di valenza paesaggistica, perché non formati d’intesa con lo Stato.
Di qui la prima perplessità di fronte alla scelta della nostra Regione di abbandonare il tavolo dell’intesa e di procedere all’approvazione di un piano paesaggistico “mutilato” della sua parte più importante. A chi potrà giovare, infatti, un piano di questo tipo, ammesso che abbia un senso l’averlo approvato, salvo stipulare, dopo soli pochi giorni dalla sua entrata in vigore, un nuovo accordo con il Ministero per riscriverlo?

La verità è che la maggior parte del territorio regionale è comunque interessata da vincoli paesaggistici, eppertanto riesce difficile immaginare che si riesca a costruire una pianificazione di coordinamento che obliteri del tutto la dimensione paesaggistica. Basta, invero, considerare che il paesaggio è una delle tre componenti fondamentali, insieme alla città (di cui parlerà l’arch. Cappochin) e alla montagna (di cui parlerà, insieme alla zone agricole, il prof. Piva), del piano che è stato approvato (42).
Il Veneto si è mosso, dunque, all’interno di un vero e proprio campo minato, visto la Corte costituzionale ha già chiarito in diverse occasioni, una delle quali riguardante proprio l’art. 45-ter della nostra legge urbanistica regionale, che non solo l’attività di “vestizione” dei vincoli, ma pure l’attività preordinata alla loro individuazione, deve avvenire sulla base di un’intesa necessaria con lo Stato; questo perché la stessa ricognizione dell’esistenza, dell’estensione e della portata dei vincoli è attività riconducibile alla tutela del paesaggio.
La Consulta, invero, ha già dichiarato costituzionalmente illegittimi, con la sentenza n. 66 del 2018, i commi del citato art. 45-ter, introdotto nella l.r. n. 11 del 2004 dalla l.r. n. 30 del 2016, che, nelle more dell’approvazione del piano paesaggistico, consentivano alla Regione di effettuare da sola un’operazione puramente ricognitiva dei vincoli esistenti (43). Anche tale attività, infatti, ricade a pieno titolo, in base all’art. 143 del codice, in quella preordinata alla formazione del piano paesaggistico (44).

In linea con quel precedente è pure la recentissima sentenza della Corte n. 240 del 17 novembre 2020, che riguarda la Regione Lazio, ma enuncia dei principi che sembrano adattarsi perfettamente anche alla situazione veneta. Essa, in particolare, sembra rispondere all’interrogativo che ci siamo posti fin dall’inizio: se sia possibile scindere i contenuti urbanistici del piano territoriale da quelli paesaggistici, così da ammettere che una Regione possa anche scegliere di approvare da sola e senza intesa con lo Stato un piano territoriale che trascuri la dimensione del paesaggio per concentrarsi solo sulla dimensione urbanistico-territoriale.
Le parole usate dalla Corte non sembrano infatti lasciare margini di incertezza, laddove la sentenza afferma che «l’unitarietà del valore della tutela paesaggistica comporta dunque l’impossibilità di scindere il procedimento di pianificazione paesaggistica in sub-procedimenti che vedono del tutto assente la componente statale».
Sul P.T.R.C. approvato grava, pertanto, un’ombra piuttosto inquietante, se solo si considera che la legittimità della procedura seguita per la sua approvazione si fonda su tre presupposti alquanto malfermi: da un lato, che la Regione potesse liberamente disattendere, senza una valida motivazione, il protocollo d’intesa firmato nel 2009 (così apparentemente violando il principio di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni e il disposto dell’art. 15 della legge n. 241 del 1990, che non contempla, come noto, forme di recesso unilaterale analoghe a quella prevista dall’art. 11, negli accordi tra p.a.) (45); dall’altro, che la Regione potesse approvare un piano di coordinamento solo urbanistico, stralciandone cammin facendo i contenuti paesaggistici, dopo che il piano era nato ed era stato adottato con un contenuto più ampio e diverso, come piano territoriale di coordinamento con valenza paesistica; dall’altro, ancora, che la Regione potesse davvero scindere, all’interno di un piano che, per definizione, è chiamato a valutare la dimensione paesaggistica unitaria del territorio, una limitata e circoscritta dimensione urbanistica (46).
A ciò si aggiunga, se possibile, un’altra rilevante criticità, di cui ci si può facilmente avvedere scorrendo il contenuto del piano e delle stesse sue norme di attuazione. Molte ve ne sono, infatti, che comportano un diretto coinvolgimento della componente paesaggistica. Tra queste, per esempio, quella che attribuisce ai Comuni il potere di intervenire in materia di tutela delle Ville venete (47); o quella che attribuisce alla Regione il potere di individuare autonomamente gli ambiti dei piani paesaggistici regionali d’ambito, cioè delimitare le zone che sono destinate ad avere una loro specifica pianificazione paesaggistica di dettaglio (48). Evidente, in quest’ultimo caso, è il contrasto con il principio affermato nelle sentenze nn. 66 del 2018 e 240 del 2020 della Consulta, che sopra ho richiamato.
Vero è, pur tuttavia, che la stessa Corte costituzionale, in altre occasioni, aveva affermato che nulla impedisce alle Regioni, nell’ambito della loro potestà legislativa concorrente, che riguarda l’esercizio della funzione di pianificazione urbanistica, di individuare delle forme di tutela dei beni culturali e paesaggistici aggiuntive e concorrenti a quelle offerte dal codice, che la dottrina non a caso ha chiamato tutele parallele. Così ha fatto, ad esempio, e proprio in relazione ad un altro articolo della nostra legge urbanistica regionale, la sentenza n. 232 del 2005, secondo cui l’art. 40 della l.r. n. 11 del 2004 del Veneto non contrasta con la riserva allo Stato della tutela dei culturali e paesaggistici, proprio perché la Costituzione non vieta che quei beni ricevano anche forme di tutela diverse e complementari da parte delle Regioni, delle Province e dei Comuni (49).

Immagino, dunque, che, ove mai dovesse insorgere un contenzioso sulla legittimità del P.T.R.C., basato proprio sulla criticità di un piano territoriale “mutilato” della sua componente paesaggistica, il solo modo per difendere la scelta compiuta dalla Regione Veneto potrebbe essere quello di qualificare la tutela offerta dal piano come una tutela, sì parziale, ma concorrente e parallela a quella che la Regione stessa avrebbe dovuto concordare con lo Stato, non già sostitutiva di questa. Ma credo che resterà comunque un compito impegnativo per i pur valorosi difensori di Palazzo Balbi.

Alessandro Calegari

* Relazione introduttiva del XXI Convegno dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti sul tema: “Le nuove norme tecniche del piano territoriale regionale di coordinamento del Veneto 2020”, svoltosi a Castelfranco Veneto il 27 novembre 2020.

 

1 Cfr. la D.G.R. n. 372 del 17 febbraio 2009, pubblicata nel BUR n. 22 del 13 marzo 2009.
2 Cfr. la D.G.R. n. 427 del 10 aprile 2013, pubblicata nel BUR n. 39 del 3 maggio 2013.
3 Cfr. la D.C.R. n. 62 del 30 giugno 2020, pubblicata nel BUR n. 107 del 17 luglio 2020, da cui decorrono i 15 giorni di vacatio per l’entrata in vigore del piano.
4 Il cui comma 1 recita: «Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: “piani paesaggistici”. L’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 1».
5 Si tratta, specificamente, del Protocollo di intesa del 15 luglio 2009, consultabile al sito:
https://www.slideshare.net/annoeuropeo/accordo-15-07-2009-tra-regione-veneto-e-ministero-beni-culturali-2009-dgr-1503-all-a.
6 Con D.G.R. n. 1503 del 2009, ai sensi dell’art. 5 del Protocollo d’intesa, era stato infatti istituito il Comitato Tecnico per il Paesaggio (CTP), a composizione paritetica ministeriale e regionale, operante dal settembre 2009.
7 Si veda la D.G.R. n. 1176 dell’11 Agosto 2020, recante l’approvazione del nuovo protocollo d’Intesa con il Mibac, per un nuovo P.T.R.C. con valenza paesistica.
8 Il documento è scaricabile alla pagina web:
http://archive.comune.venezia.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/b%252F6%252Fc%252FD.d0d0cb2678e370a0ca85/P/BLOB:ID=66763
9 Quando, ad esempio, la riadozione si rende necessaria per l’intervenuto accoglimento di osservazioni che modificano sostanzialmente il contenuto del piano adottato.
10 Sulla scelta discrezionale e volontaria – non, quindi, obbligata dalla restituzione o dall’annullamento del piano o dalla sua sostanziale modifica in accoglimento di osservazioni presentate – di riadottare ex novo un piano attuativo già adottato, senza procedere alla sua approvazione, non esistono, in realtà, molti precedenti. Si vedano comunque, con esiti contrapposti: T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 23 febbraio 2002, n. 38, in Foro amm. TAR, 2002, 432, per la soluzione affermativa; e T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 6 maggio 2020, n. 635, in www.giustizia-amministrativa.it, per la soluzione negativa.
11 Questo è il procedimento descritto ai commi da 4 a 7 dell’art. 25 della l.r. n. 11 del 2004:
«4. Entro trenta giorni dall’adozione il piano è depositato presso la segreteria della Giunta regionale e presso le province. Dell’avvenuto deposito è data notizia nel BUR, con indicazione delle sedi in cui chiunque può prendere visione degli elaborati, e sui quotidiani a diffusione regionale.
5. Entro centoventi giorni dalla pubblicazione dell’avvenuto deposito di cui al comma 4, gli enti locali, le comunità montane, le autonomie funzionali, le organizzazioni e le associazioni economiche e sociali, nonché chiunque ne abbia interesse, possono presentare alla Giunta regionale osservazioni e proposte.
6. La Giunta regionale, entro i successivi centoventi giorni, trasmette al Consiglio regionale per la sua approvazione il piano adottato con le osservazioni pervenute, corredate del relativo parere e le eventuali proposte di modifica.
7. Il piano è approvato con provvedimento del Consiglio regionale».
12 Cfr. T.A.R. Veneto, Sez. I, 5 ottobre 2000, n. 3139, in www.giustizia-amministrativa.it.
13 Questo era il contenuto originario dell’art. 3, comma 6, l.r. n. 11 del 2004:
«6. Il PTRC, i PTCP nonché i PAT e i PI sottopongono a specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale il territorio includente i beni ambientali, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 149 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della L. 8 ottobre 1997, n. 352” e successive modificazioni».
14 Il comma è stato così sostituito dall’art. 3, l.r. 26 maggio 2011, n. 10:
«6. Il PTRC, i PTCP nonché i PAT e i PI sono elaborati nel rispetto della normativa di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137” e successive modificazioni».
15 Si legge nel prologo delle norme:
«Il PTRC persegue gli obiettivi non mediante prescrizioni imposte ai cittadini e limitative dei loro diritti, bensì col creare una rete – un’alleanza strategica all’insegna della condivisione e della corresponsabilità – tra tutti gli enti territoriali, perché indirizzi e direttive confluiscano in un unico quadro normativo e precettivo di livello comunale: chiaro, sobrio, condiviso, efficace».
16 Secondo il quale, «Il PTRC indica gli obiettivi e le linee principali di organizzazione e di assetto del territorio regionale, nonché le strategie e le azioni volte alla loro realizzazione. In particolare: omissis; b) indica le zone e i beni da destinare a particolare tutela delle risorse naturali …omissis… e le relative tutele; c) indica i criteri per la conservazione dei beni culturali, architettonici e archeologici, nonché per la tutela delle identità storico-culturali dei luoghi, disciplinando le forme di tutela, valorizzazione e riqualificazione del territorio in funzione del livello di integrità e rilevanza dei valori paesistici; d) indica il sistema delle aree naturali protette di interesse regionale; omissis».
17 Secondo il quale, «Il piano territoriale regionale di coordinamento, redatto sulla base del Programma regionale di sviluppo, provvede, con riferimento esclusivo alle competenze regionali e nel rispetto di quelle nazionali, a: omissis; 4) indicare il complesso delle direttive, sulla cui base redigere i piani di settore e i piani di area di livello regionale e gli strumenti urbanistici di livello inferiore, con particolare riferimento alle zone e ai beni di cui al punto 1); 5) determinare il complesso di prescrizioni e vincoli automaticamente prevalenti nei confronti dei piani di settore di livello regionale e degli strumenti urbanistici di livello inferiore; omissis».
18 Così il secondo comma: «Dall’adozione del piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) e del piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP), o di loro eventuali varianti e fino alla loro entrata in vigore, e comunque non oltre cinque anni dalla data di adozione, il comune è tenuto a sospendere ogni determinazione sulle domande relative ad interventi di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio che risultino in contrasto con le prescrizioni e i vincoli contenuti nei piani».
19 Si riportano di seguito i commi 5 e 6 dell’articolo:
«L’approvazione del piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC), del piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP) e delle loro varianti comporta l’obbligo per i comuni di adeguarsi adottando apposite varianti al piano di assetto del territorio (PAT) ed al piano degli interventi (PI) entro il termine massimo di un anno.
Le varianti di adeguamento di cui al comma 5: a) sviluppano le direttive attraverso opportune analisi ed approfondimenti pianificatori; b) attuano le prescrizioni e adattano la individuazione dei vincoli in relazione alla diversa scala di rappresentazione».
20 Questi i riferimenti puntuali:
Art. 21 divieti “idraulici”;
Art. 27 Corridoi ecologici;
Art. 30, 31, 32 Localizzazione impianti produzione energia;
Art. 35 Ubicazione impianti gestione rifiuti;
Art. 40 Aree strategiche (caselli autostradali);
Art. 79 – Architetture del Novecento;
Art. 80 – Norme transitorie per gli ambiti di tutela del PTRC 1992, in attesa dei piani paesaggistici regionali d’ambito (PPRA).
21 Questo il tenore del terzo comma dell’articolo 79: «Fatti salvi gli eventuali accordi conclusi, i provvedimenti rilasciati o le varianti urbanistiche approvate o adottate prima dell’entrata in vigore del presente piano, che abbiano espressamente valutato e considerato le caratteristiche di tali edifici, fino all’adeguamento degli strumenti di pianificazione comunale a quanto previsto dal comma 2: a) è vietata la demolizione e l’alterazione significativa dei valori architettonici, costruttivi e tipologici degli edifici, manufatti e sistemi di edifici; b) possono essere realizzati, per gli edifici, i manufatti e i sistemi di edifici pubblici o di interesse pubblico, interventi di riqualificazione o recupero, ivi compresi quelli di demolizione dei manufatti o di loro parti che siano privi di valore storico-architettonico e non riducano il valore identitario del manufatto o dell’insieme di manufatti; in tale ipotesi, ferme restando le disposizioni di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” e quelle di cui al d.lgs. 42/2004, i progetti di tali interventi sono sottoposti a preventiva autorizzazione da parte della Giunta regionale che, sentito il Comune, verifica il rispetto del mantenimento degli elementi tipologici, costruttivi e architettonici propri dell’architettura del Novecento. Sono sempre consentiti gli interventi sugli edifici pubblici e di interesse pubblico necessari per la loro messa in sicurezza e per garantire la pubblica incolumità, nel rispetto della normativa».
22 Cfr. T.A.R. Veneto, Sez. I, 31 maggio 1988, n. 501.
23 Si riporta di seguito il testo dell’articolo:
«Il piano territoriale di coordinamento ha vigore a tempo indeterminato e può essere variato con decreto reale previa la osservanza della procedura che sarà stabilita dal regolamento di esecuzione della presente legge.
I comuni, il cui territorio sia compreso in tutto o in parte nell’ambito di un piano territoriale di coordinamento, sono tenuti ad uniformare a questo il rispettivo piano regolatore comunale».
24 Questo il tenore dell’articolo:
«1. Il governo del territorio si attua attraverso la pianificazione, urbanistica e territoriale del comune, della provincia e della Regione. I diversi livelli di pianificazione sono tra loro coordinati nel rispetto dei principi di sussidiarietà e coerenza; in particolare, ciascun piano indica il complesso delle direttive per la redazione degli strumenti di pianificazione di livello inferiore e determina le prescrizioni e i vincoli automaticamente prevalenti.
2. I piani di livello sovracomunale stabiliscono i modi e i tempi di adeguamento dei piani di livello comunale, nonché l’eventuale disciplina transitoria da applicarsi fino all’adeguamento.
3. Ogni piano detta i criteri ed i limiti entro i quali il piano di livello inferiore può modificare il piano di livello sovraordinato senza che sia necessario procedere ad una variante dello stesso».
25 Dall’art. 4 cit.: «Ai sensi del comma 2, dell’articolo 24, della l.r. 11/2004, i piani di settore regionali a valenza territoriale approvati dal Consiglio regionale ed i piani di sviluppo delle grandi reti di servizi sono sempre oggetto di coordinamento con il PTRC e lo integrano e modificano qualora non ne alterino i contenuti essenziali».
26 Così l’art. 25, di cui si riporta il comma 10: «Per assicurare la flessibilità del sistema di pianificazione territoriale e urbanistica, i piani di assetto del territorio comunali e intercomunali possono contenere proposte di modificazione al piano territoriale regionale di coordinamento purché tali proposte abbiano carattere meramente operativo e non alterino i contenuti sostanziali della pianificazione territoriale. In tale caso la modifica è approvata dalla Giunta regionale subordinatamente all’acquisizione del parere della competente commissione consiliare e acquista efficacia ai sensi del comma 8».
27 Così, rispettivamente, i già citati commi 5 e 6 dell’art. 12 della l.r. n. 11 del 2004:
«L’approvazione del piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC), del piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP) e delle loro varianti comporta l’obbligo per i comuni di adeguarsi adottando apposite varianti al piano di assetto del territorio (PAT) ed al piano degli interventi (PI) entro il termine massimo di un anno.
Le varianti di adeguamento di cui al comma 5: a) sviluppano le direttive attraverso opportune analisi ed approfondimenti pianificatori; b) attuano le prescrizioni e adattano la individuazione dei vincoli in relazione alla diversa scala di rappresentazione».
28 In tal senso, cfr. il comma 1 ter dell’art. 48 cit.:
«In deroga al divieto previsto dal comma 1, fino all’approvazione del primo PAT, sono consentite, anche in assenza dei requisiti di cui al comma 9 dell’articolo 50 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 e successive modificazioni e con le procedure dei commi 10, 11, 12, 13 e 14 del medesimo articolo 50, le varianti allo strumento urbanistico generale finalizzate all’adeguamento al piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC), ai piani territoriali di coordinamento provinciale (PTCP) omissis».
29 Questo il tenore dell’articolo:
«1. Le Province, la Città metropolitana di Venezia e i Comuni, entro 12 mesi dall’entrata in vigore del presente piano, adeguano i propri strumenti territoriali e urbanistici ai contenuti dello stesso, ai sensi dell’articolo 3 e del comma 5 dell’articolo 12, della l.r. 11/2004.
2 L’inutile decorso del termine di cui al comma 1 comporta l’applicazione dei poteri sostitutivi ai sensi dell’articolo 30 della l.r. 11/2004.
3. Le Province, la Città metropolitana di Venezia e i Comuni, entro il termine di cui al comma 1, individuano le previsioni degli strumenti territoriali e urbanistici che risultano già adeguate al presente piano e inviano il relativo provvedimento per conoscenza alla Provincia, alla Città metropolitana di Venezia e alla Regione.
4. L’adeguamento degli strumenti territoriali e urbanistici può avvenire anche con più varianti parziali, che devono comunque riguardare singole tematiche o ambiti territoriali omogenei».
30 Cfr. in specie, con riguardo ai piani comunali, il comma 6 di detto articolo, secondo cui: «Quando il comune, con riferimento alla formazione o alla variazione degli strumenti di pianificazione urbanistica, non adotti o non compia, entro i termini previsti dalla legge, atti o adempimenti cui è espressamente obbligato, il presidente della provincia esercita i poteri sostitutivi promuovendo d’ufficio, ove possibile, la convocazione dell’organo comunale competente per la deliberazione dell’atto previsto oppure assegnando un termine al comune per il compimento dell’atto o dell’adempimento. Decorso inutilmente il nuovo termine, il presidente della provincia nomina un commissario ad acta. All’atto dell’insediamento il commissario, preliminarmente all’emanazione del provvedimento da adottare in via sostitutiva, accerta se, anteriormente alla data dell’insediamento medesimo, l’amministrazione abbia provveduto ancorché in data successiva al termine assegnato».
31 L’art. 14 della l.r. n. 11 del 2004 prevede, al riguardo quanto segue:
«La giunta provinciale approva il piano decidendo sulle osservazioni presentate e introducendo d’ufficio le modifiche necessarie ad assicurare:
la compatibilità del piano con il PTRC e con il PTCP;
omissis
7.Qualora la giunta provinciale rilevi l’incompletezza del quadro conoscitivo, non integrabile ai sensi del comma 5, oppure che il piano necessiti del coordinamento territoriale di cui all’articolo 16 in conformità alle previsioni del PTRC o del PTCP, lo restituisce al comune indicando le necessarie integrazioni al quadro conoscitivo, o l’ambito cui riferire il piano di assetto del territorio intercomunale (PATI)».
32 Questi i soli piani di settore citati dalle N.T.A. del PTRC del 2020 e gli articoli in cui essi vengono richiamati:
piano regionale delle attività di Cava (PRAC) – 15;
piano regionale di tutela delle acque (PTA) – 16;
piano regionale di utilizzazione della risorsa termale (PURT) – 19;
piani stralcio di assetto idrogeologico (PAI) – 21;
piano delle acque (PdA) – 21;
contratto di fiume (CdF) – 22;
piano regionale dei trasporti (PRT) – 38;
piano regionale neve – 39;
piano regionale della mobilità ciclistica – 44;
piano della portualità turistica definisce – 56;
piano faunistico venatorio regionale – 80.
33 L’art. 24, comma 2, della l.r. n. 11 del 2004 recita, in proposito, che «I piani regionali di settore approvati dal Consiglio regionale ed i piani di sviluppo delle grandi reti di servizi sono sempre oggetto di coordinamento con il PTRC e lo integrano e modificano qualora non alterino i contenuti essenziali della pianificazione territoriale del PTRC. Al fine di restituire un unico quadro pianificatorio e conoscitivo coerente, si provvede agli aggiornamenti cartografici e normativi al PTRC».
34 A proposito dei Progetti strategici, l’art. 5 delle N.T.A. del P.T.R.C. prevede quanto segue:
«Per l’attuazione del PTRC possono essere definiti appositi progetti strategici finalizzati alla realizzazione di opere, interventi o programmi di intervento di particolare rilevanza che interessino parti significative del territorio regionale, secondo quanto previsto dall’articolo 26 della l.r. 11/2004.
Restano fermi i progetti strategici indicati nelle presenti norme, nonché quelli già avviati dalla Giunta regionale prima dell’approvazione del presente piano».
35 Si riporta qui di seguito il comma 2, dell’art. 48:
«I piani di area vigenti sono parte integrante del piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) e possono essere modificati con le procedure di cui all’articolo 25. Con le medesime procedure sono approvati i piani di area adottati prima dell’entrata in vigore della legge regionale 27 dicembre 2002, n. 35 “Modifica della legge regionale 9 maggio 2002, n. 10 “Rideterminazione del termine previsto dell’articolo 58, comma 2, della legge regionale 13 aprile 2001, n. 11 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle autonomie locali in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112″ e disposizioni transitorie in materia urbanistica” e successive modificazioni, e possono essere adottati e approvati solo i seguenti piani di area:
a) Garda-Baldo;
b) Corridoio metropolitano Padova- Venezia;
c) Grandi Valli Veronesi;
d) Medio Corso del Piave;
e) Valle del Biois e di Gares;
f) Prealpi Vittoriesi e Alta Marca.
36 La già citata sentenza n. 378 del 27 luglio 2000.
37 Cfr. T.A.R. Veneto, Sez. II, 15 marzo 2005, n. 976.
38 Così, infatti, disponeva l’art. 1 bis della legge:
«1. Con riferimento ai beni e alle aree elencati dal quinto comma dell’articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 , come integrato dal precedente articolo 1, le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio mediante la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali, da approvarsi entro il 31 dicembre 1986.
2. Decorso inutilmente il termine di cui al precedente comma, il Ministro per i beni culturali e ambientali esercita i poteri di cui agli articoli 4 e 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616».
39 Con tale espressione ci si riferisce alla specifica normativa d’uso che, per ciascuna zona, il piano dovrà prevedere a mente dei commi 2 e 3 dell’articolo in commento, di seguito riportati:
«I piani paesaggistici, con riferimento al territorio considerato, ne riconoscono gli aspetti e i caratteri peculiari, nonché le caratteristiche paesaggistiche, e ne delimitano i relativi ambiti.
In riferimento a ciascun ambito, i piani predispongono specifiche normative d’uso, per le finalità indicate negli articoli 131 e 133, ed attribuiscono adeguati obiettivi di qualità».
40 Di seguito, il tenore del comma 1 di detto articolo, secondo cui «Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: “piani paesaggistici”. L’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 143».
41 Possiamo dire, anzi, che il P.T.R.C. del 2020 non si dimentica proprio di alcuna bellezza, visto che il suo art. 58 parla anche del turismo naturalistico e del turismo naturistico, in particolare, che pudicamente definisce “turismo emergente”.
42 Cfr. l’Allegato B/10 – Tavola degli Obiettivi.
43 Questa era la formulazione dei commi da 1 bis a 1 quater dell’articolo dichiarati incostituzionali dalla Consulta:
«1 bis. La Giunta regionale, in attuazione all’accordo con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT) di cui agli articoli 135, comma 1 e 143, comma 2, del Codice, nelle more dell’approvazione del piano paesaggistico di cui al comma 1, procede alla ricognizione degli immobili e delle aree dichiarate di notevole interesse pubblico e delle aree tutelate per legge di cui, rispettivamente, agli articoli 136 e 142, comma 1, del Codice.
1 ter. La ricognizione degli immobili e delle aree di cui al comma 1 bis è costituita dalla delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla loro identificazione e consiste nella trasposizione su carta tecnica regionale della perimetrazione degli stessi.
1 quater. La Giunta regionale approva la ricognizione di cui ai commi 1 bis e 1 ter ed il relativo provvedimento è pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto e nel sito istituzionale della Giunta regionale».
44 L’assunto si ricava agevolmente dal chiaro tenore dell’art. 143, di cui si riporta qui un ampio stralcio:
«L’elaborazione del piano paesaggistico comprende almeno:
a) ricognizione del territorio oggetto di pianificazione, mediante l’analisi delle sue caratteristiche paesaggistiche, impresse dalla natura, dalla storia e dalle loro interrelazioni, ai sensi degli articoli 131 e 135;
b) ricognizione degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell’articolo 136, loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione delle specifiche prescrizioni d’uso, a termini dell’articolo 138, comma 1, fatto salvo il disposto di cui agli articoli 140, comma 2, e 141-bis;
c) ricognizione delle aree di cui al comma 1 dell’articolo 142, loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione di prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione;
omissis
h) individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate;
i) individuazione dei diversi ambiti e dei relativi obiettivi di qualità, a termini dell’articolo 135, comma 3».
45 Che il protocollo d’intesa firmato nel 2009 appartenesse al genus degli accordi tra pubbliche amministrazioni ex art. 15 l. n. 241 del 1990 è confermato dal tenore dell’art. 143, comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004, secondo cui: «Le regioni, il Ministero ed il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare possono stipulare intese per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta dei piani paesaggistici, salvo quanto previsto dall’articolo 135, comma 1, terzo periodo. Nell’intesa è stabilito il termine entro il quale deve essere completata l’elaborazione del piano. Il piano è oggetto di apposito accordo fra pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241. L’accordo stabilisce altresì i presupposti, le modalità ed i tempi per la revisione del piano, con particolare riferimento all’eventuale sopravvenienza di dichiarazioni emanate ai sensi degli articoli 140 e 141 o di integrazioni disposte ai sensi dell’articolo 141-bis. Il piano è approvato con provvedimento regionale entro il termine fissato nell’accordo. Decorso inutilmente tale termine, il piano, limitatamente ai beni paesaggistici di cui alle lettere b), c) e d) del comma 1, è approvato in via sostitutiva con decreto del Ministro, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare».
Il Protocollo di intesa firmato dalla Regione e dal Ministero il 15 luglio 2009: all’art. 6 specificava che le parti si sarebbero impegnate a completare l’elaborazione congiunta del piano entro il 31 dicembre 2010; stabiliva anche che il piano avrebbe formato oggetto di accordo tra il Ministero e la Regione, ai sensi dell’art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241; all’art. 10, comma 3, prevedeva, infine, l’impegno delle parti a completare la ricognizione indicata all’art. 143, comma 1, lettere b) e c), cod. beni culturali, ivi compresa la determinazione delle specifiche prescrizioni d’uso intese ad assicurare, rispettivamente, la conservazione dei valori espressi e la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione, entro il 31 dicembre 2009.
46 Non solo per quanto detto nella sentenza n. 240 del 2020 della Corte costituzionale, ma anche in base al tenore dell’art. 24 della l.r. n. 11 del 2004, secondo cui: «Il PTRC: omissis; b) indica le zone e i beni da destinare a particolare tutela delle risorse naturali omissis e le relative tutele; c) indica i criteri per la conservazione dei beni culturali, architettonici e archeologici, nonché per la tutela delle identità storico-culturali dei luoghi, disciplinando le forme di tutela, valorizzazione e riqualificazione del territorio in funzione del livello di integrità e rilevanza dei valori paesistici». Ed anche in forza dell’art. 45-ter, comma 1, della stessa legge, a mente del quale: «La Regione approva il piano paesaggistico, ovvero un piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, secondo le modalità e con i contenuti di cui agli articoli 135 e 143 del Codice».
47 Afferma, in proposito, l’art. 74 che «i Comuni in cui ricadono le Ville Venete provvedono, nei propri strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, ai sensi dell’articolo 40 della l.r. 11/2004, alla salvaguardia, valorizzazione e riqualificazione delle ville e dei contesti paesaggistici ad esse afferenti, recependo e attuando le previsioni e le disposizioni contenute negli strumenti di pianificazione territoriale sovraordinati, anche mediante l’inibizione di ampliamenti, il trasferimento di nuove costruzioni, la demolizione di opere incongrue e l’eliminazione di eventuali elementi di degrado, anche ricorrendo ad azioni perequative e/o assegnazione di compensazioni ai sensi della normativa vigente».
48 Vero è che l’art. 72 dispone che i piani devono poi essere approvati d’intesa con lo Stato, ma è l’art. 71 a consentire che il loro ambito sia individuato unilateralmente dalla Giunta regionale.
49 Significativo il passaggio della sentenza in cui si afferma che «stabilire che, previa analisi dei manufatti e degli spazi liberi e individuazione delle loro pertinenze, sia il PAT a determinare i livelli di tutela e le modalità di utilizzazione dei beni culturali esistenti nei centri storici, non comporta contraddizione della normativa statale in tema di tutela dei beni culturali, in quanto la disciplina regionale è in funzione di una tutela non sostitutiva di quella statale, bensì diversa ed aggiuntiva, da assicurare nella predisposizione della normativa di governo del territorio, nella quale necessariamente sono coinvolti i detti beni. La legge regionale non stabilisce nuovi criteri di identificazione dei beni culturali ai fini del regime proprio di questi nell’ambito dell’ordinamento statale, bensì prevede che nella disciplina del governo del territorio – e quindi per quanto concerne le peculiarità di questa – si tenga conto non soltanto dei beni culturali identificati secondo la normativa statale, ma eventualmente anche di altri, purché però essi si trovino a far parte di un territorio avente una propria conformazione e una propria storia».
Sulla stessa linea si pone oggi l’art. 67 delle N.T.A. del P.T.R.C., a mente del quale «la Regione riconosce il patrimonio storico e culturale, anche non oggetto di tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”, quale elemento conformante il territorio ed il paesaggio e quale componente identitaria delle comunità che vi insistono, promuovendone la conoscenza, la catalogazione, la salvaguardia e la valorizzazione in tutte le sue forme».

 

 

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