Se è abbastanza facile criticare anche vivacemente la tesi giurisprudenziale (Cons. Stato, A. P. n.7/2017, mia nota in questo sito: La demolizione dell’edificio abusivo in capo all’acquirente di buona fede: una devianza d’alto bordo (dell’Adunanza Plenaria), che, qualificando meramente ripristinatorio e non sanzionatorio l’abbattimento coattivo dell’edificio abusivo disposto solo in capo all’acquirente in buona fede (debitamente accertata), resta incerta e “vagante” la sorte giuridica dell’edificio, che, al di là di tutte le diatribe in ordine alla titolarità della proprietà, resta pur sempre abusivo.

Una situazione giuridica radicalmente “falsa”, nel senso che, dall’una parte, c’è l’esigenza della tutela dell’acquirente di buona fede della proprietà in forza di un contratto certamente nullo -addirittura truffaldino- essendo l’acquisto avvenuto sulla dichiarazione della perfetta legittimità dell’edificio venduto (resa dal venditore per espressa disposizione di legge imposta proprio e solo per cerziorare l’acquirente della bontà giuridica del suo acquisto); dall’altra, l’esigenza della tutela del territorio, che esige l’eliminazione degli scempi che lo deturpano.

La chiave di sutura delle due posizioni deve seguire dall’esatta collocazione (o debita valorizzazione) del ruolo della “mano pubblica” (col che s’usa indicare il complesso di enti/organi pubblici ai quali la legge affida la funzione della tutela del territorio) nel controllo dell’attività edilizia o genericamente incidente sul territorio (ovvio, che ad es., normalmente  una cava è molto più disastrante d’un edificio). Funzione di controllo che va coniugata con le regole costituzionali dell’esercizio della funzione pubblica; regole che ben possono riassumersi nella corretta coniugazione dei due principi-base: art. 97.1: “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”; art. 54.2: “i cittadini cui sono affidate pubbliche funzioni, devono adempierle con disciplina e onore”.

La soluzione del tema posto è condizionata dalla corretta coniugazione di quei due principi.

1. Fermo che la sorte fisica dell’abuso dovrà essere determinata sulla considerazione -di squisito carattere tecnico- del valore leso, è sulle conseguenze giuridiche che ne derivano che qui ci si sofferma, muovendo da una doverosa impostazione sistematica e precisamente dal dovere del Funzionario (il cittadino cui sono affidate pubbliche funzioni) di adempierle con disciplina (ovvio che l’onore uno l’usa se ce l’ha). Da tale dovere deriva il vero e proprio diritto del cittadino (insito nel concetto stesso di cittadinanza) di farvi pieno affidamento; così come esiste il diritto all’affidamento sul rispetto del dovere di altri Funzionari della PA, ad es., di assicurare l’ordine pubblico, il che autorizza il “cittadino normale” a camminare disarmato senza doversi preoccupare della propria autodifesa.

Questo è principio-base per la soluzione del problema postoci. Non è tollerabile che, mentre tutta la convivenza civile si fonda sul dovere civico -nel senso di assolutamente generale- dell’affidamento generalizzato (dal comminare disarmato; al tenere la destra nel guidare l’auto), nell’acquisto della proprietà d’un edificio la convivenza civile debba tramutarsi in una giungla, dove diventa pienamente lecito e addirittura tutelato dalla legge che il più “furbo” possa non solo prevalere sul cittadino normale (che semplicemente voglia comprarsi la casa), ma lo protegga al punto tale che, se gli riesce (al ”furbo”) di “fregare” lo sprovveduto  cittadino normale, appioppandogli come perfettamente legittimo un vero e proprio abuso, ben gli sta (“la ”fregatura”) all’allocco, di tal che la “mano pubblica” in tutta legittimità punisce il cittadino fesso che s’è lasciato “fregare” dal cittadino furbo, abbattendogli la casa e lasciando del tutto “in pace” (proprio senza nemmeno torcergli un capello) il cittadino furbo, che si gode tranquillo il gruzzolo percetto (il prezzo della vendita), col solo cruccio di doverne pagare le tasse.

Una soluzione palesemente abnorme, ch’è semplicemente paradossale (notare la generosità della qualificazione) aver visto affermata niente meno che dalla sentenza del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria commentata nella Nota sopra citata.

2. Tornando (o cercando di tornare) alla civiltà dell’ordinamento, anche chi compra (o s’accinge a comprare) casa ha diritto di camminare disarmato (o di tenere la destra nella guida) e, se vede il fatico cartello “vendesi” appeso ad un edificio, ha pieno titolo e diritto di entrare e di trattarne l’acquisto, tanto più che la stessa legge del contratto gli da titolo -e quindi diritto- all’affidamento, imponendo a chi vende di rilasciare a chi compra la solenne dichiarazione che l’edificio è perfettamente in regola; a pena di nullità del contratto! Delittuosa la dichiarazione della perfetta legalità dell’edificio acquistato (violazione dell’art. 483 cod pen., che punisce “chiunque, attesta falsamente al pubblico ufficiale -il notaio rogante- fatti di cui l’atto è destinato a provare la verità”; chissà se il Funzionario, che ordina l’abbattimento dell’edificio abusivo in capo all’acquirente, ha provveduto a denunciare al PM il delitto di “falsità ideologica del privato in atto pubblico” insita nella dichiarazione avanti al notaio; se non avesse fatto tale segnalazione al PM, avrebbe a sua volta commesso il delitto di ”omessa denuncia, da parte del p. u.”, previsto e punito dall’art. 361 cod. pen.!); truffaldina quella dichiarazione; palese il profittamento illecito, da parte del venditore, della dabbenaggine del compratore, che se n’è fidato.

Una situazione che per larga parte spazia più nel diritto penale, che in quello civile contrattuale ed amministrativo, della tutela del territorio.

3. Quid juris per lo sfortunato compratore incappato nelle spire dell’abusivista?

La responsabilità del Comune deriva dal diritto civico all’affidamento e si fonda sul principio-presupposto già evidenziato nella precedente citata Nota, che ogni abuso edilizio è sostanzialmente ed in nuce un atto d’accusa dell’insufficienza di adeguato controllo da parte della “mano pubblica” sulle trasformazioni che avvengono sul suo territorio.

Doppio controllo, si noti: (a) sul progetto, che il costruttore s’appresta a realizzare, e comunque ed in via autonoma sul cantiere montato per l’esecuzione, di solito preceduto dal piantamento dell’albero della gru, che generalmente non è un arboscello facilmente ”camuffabile”; (b) a lavori ultimati, segue  per legge il controllo di utilizzabilità/abitabilità dell’edificio; solo dopo, di solito, spunta il cartello del “vendesi”.

Ove risulti qualche profilo d’illegittimità dell’edificato (abuso edilizio), o per sopraggiunta diversa valutazione degli elementi di fatto in allora favorevolmente valutati o addirittura per omessa denuncia dell’intero intervento edificatorio, l’azione sanzionatoria del Comune si differenzia radicalmente a seconda che la proprietà dell’edificio abusivo appartenga ancora (e fin dalla presumibile data della perpetrazione dell’abuso) alla stesso soggetto, per cui la sanzione dell’abuso -la demolizione dell’edificio- segue la paternità dell’illecito; posizione giuridica radicalmente diversa (ed anzi opposta) a quella in cui esista prova che l’abuso sia stato attuato da soggetto  diverso dall’attuale proprietario, divenuto tale per acquisto fattone sulla dichiarazione del venditore della perfetta legalità dell’edificio.

In questo secondo caso la notifica dell’ordinanza di demolizione al solo proprietario attuale del bene -soggetto diverso dall’autore dell’abuso- prima d’ogni altra qualificazione giuridica, va considerata un banale errore di persona, perché confonde l’autore dell’illecito (abuso) -l’altro (quello che risulta essere atto l’originario costruttore)- con la sua vittima, l’acquirente di buona fede.

ll principio ha finalmente fatto capolino anche nel diritto positivo: il comma 4 bis dell’art. 31 del D.L.vo 380/2001, aggiunto dall’art. 17, comma 1 lett. qbis del DL 133/2014, ha introdotto il seguente capoverso: ”la mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del Dirigente o del Funzionario inadempiente” (e si tratta della sanzione per la mancata ottemperanza dell’ingiunzione di demolire intimata al proprietario abusivista).

Nel caso di proprietario non abusivista (non autore dell’abuso) sussiste esaustivamente -ed in via assorbente di ogni diversa considerazione- la giurisprudenza europea diffusamente esaminata nella citata precedente Nota, secondo cui non può essere in assoluto applicata nessuna sanzione senza un previo accertamento della responsabilità in capo al soggetto ingiunto (applicazione del principio romanistico nulla poena sine lege). Anche perché all’attuale proprietario acquirente di buona fede si può rimproverare d’aver comprato, non di aver costruito.

Il quale attuale proprietario acquirente di buona fede, nei confronti del costruttore abusivo si trova nella stessa posizione giuridica in cui si trova il Comune, di parte lesa da un’azione illecita altrui, il costruttore abusivo: il Comune per la ferita inferta al territorio; l’acquirente di buona fede per il prezzo pagato per l’acquisto; ecco perché s’è qualificato mero errore di persona l’ordinanza di demolizione intimata soltanto all’attuale proprietario acquirente di buona fede.

4. Et ergo? La posizione sostanziale è ben chiara: due le parti lese su valori diversi: il Comune nel corretto uso del territorio, funzione pubblica; il proprietario acquirente di buona fede, “nel portafoglio”, per aver comprato e pagato “una patacca”. Due posizioni uguali nella situazione finale, ma profondamente diverse nella rispettiva eziologia, perché a determinare la posizione giuridica così pesantemente patologica per il proprietario acquirente ha concorso, con ruolo eziologico autonomamente sufficiente e determinare l’eventus damni, lo stesso Comune, avendo omesso d’esercitare i controlli specificamente attribuitigli dalla legge (violazione del dovere di disciplina ex art 54.2 Cost.).

Ed in materia di responsabilità aquiliana vale pleno jure il principio posto dall’alinea dell’art. 40 cod. pen.: “non impedire un evento, che si ha obbligo giuridico di impedire, equivale causarlo”. Giuridicamente è pertanto anche il Comune che ha provocato al proprietario acquirente il danno d’aver comprato un abuso edilizio.

5. Quo modo? Non si può non partire dal capoverso sopra trascritto, che”la mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio costituisce responsabilità amministrativo-contabile del Dirigente o del Funzionario inadempiente”.

Come ben noto, la “responsabilità amministrativo-contabile del Funzionario inadempiente” può nascere solo dal fatto che il Comune sia stato condannato a risarcire qualche danno per mala gestio d’una sua funzione di spettanza, assegnatagli dalla legge. Esiste dunque formale dichiarazione legislativa della possibilità d’una responsabilità del Comune per suo insufficiente controllo delle modificazioni abusive che siano state attuate sul territorio.

È partendo da tale principio che va costruita l’ipotesi d’un concorso del Comune nel risarcimento del danno subito dall’attuale proprietario incolpevole, per la culpa in non vigilando che dallo svolgimento dei fatti anteatti possa essere addebitata al Comune.

L’ipotesi più ricorrente non può che essere proprio quella ipotizzata dall’integrazione normativa sopra riportata, della ”mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio” dell’abuso, rispetto alla data della perpetrazione. Dal mancato esercizio della sanzione dell’abuso -nel consolidato generale convincimento che, se ci fosse stato abuso, certamente l’Autorità non avrebbe potuto non intervenire per sanzionarlo- non poteva che seguire la certezza che non esistesse alcun abuso. Si crea così (o meglio il comportamento comunale crea), nella pubblica estimazione -che evidentemente si consolida col passar del tempo- il convincimento che nel fabbricato offerto pubblicamente in vendita non esistesse alcun abuso, per cui la stessa dichiarazione del venditore, in sede di contratto notarile, della sua perfetta legittimità doveva venire considerata mera formalità.

Ecco la matrice della responsabilità del Comune, derivante dall’infedeltà alla funzione, tenuta -non rileva in questa sede indagare se per condiscendenza interessata o per mera neghittosità- dal Funzionario, della quale la stessa citata integrazione normativa tipicizza l’esistenza.

Tutta evidentemente “aperta” la determinazione sia per quanto attiene alla graduazione dell’an della corresponsabilità del Comune, sia per la fissazione del quantum del dovuto.

Evidentemente se questi principi, che discendono de plano da una corretta impostazione sistematica del tema, fossero chiaramente affermati in giurisprudenza in luogo dell’incredibile superficialità della distinzione tra funzione meramente ripristinatoria alternativa a quella sanzionatoria, ne conseguirebbe una ben marcata deterrenza dell’abusivismo edilizio.

Ivone Cacciavillani

image_pdfStampa in PDF