Dietro l’ennesima pronuncia avversativa del Piano Casa della Regione Veneto, basata su argomentazioni che non sembrano affatto imposte dal quadro normativo di riferimento, potrebbe celarsi una discutibile scelta ideologica.

Non si può infatti escludere (ovviamente si tratta di un’ipotesi) che, nella visione del TAR, gli operatori del settore edile siano tutti “ingordi palazzinari”, che il Giudice Amministrativo si prefiggerebbe di combattere con una moderna crociata in nome del contenimento del consumo del suolo.

Sulla necessità che il consumo del suolo debba essere il più oculato possibile possiamo dirci tutti d’accordo, anche se, per la verità, non sembra proprio che il Piano Casa abbia generato quella colata di cemento che si vorrebbe far credere colpevole di un irrimediabile deturpamento del nostro territorio (sotto questo profilo, scelte pianificatorie licenziate senza alcun buonsenso urbanistico si sono rivelate assai più deleterie).

Sennonché, pur riconoscendo che il risparmio del suolo è un valore indiscutibile, si dovrebbe anche convenire che, in tempi di grave crisi economica come quelli odierni, il rilancio del settore edilizio rappresenta un prezioso volano, che nessuno può permettersi il lusso di fermare, senza una valida ragione.

Ecco perché, a rifiutare l’idea che quella in commento sia una sentenza di matrice ideologica, resterebbe pur sempre l’evidenza delle sue notevoli ricadute sul piano socio-economico, confermando l’impressione, non proprio confortante, della scarsa propensione di taluni magistrati a decidere anche in funzione degli effetti metagiuridici dei propri arresti, prediligendo, tra le diverse soluzioni disponibili, quelle di minore impatto.

Mi sono allora chiesto se, per caso, anche la sentenza in esame non sia il frutto di questa forma mentis.

All’interrogativo ho cercato di rispondere senza pregiudizi, allontanando (finché mi è stato possibile) l’idea che il TAR abbia proposto un’interpretazione del Piano Casa tanto restrittiva da risultare non solo poco avveduta, ma perfino irragionevole alla luce della dichiarata intenzione del legislatore regionale di farne un efficace strumento di rilancio della nostra economia.

La prima affermazione di principio che si rinviene nella sentenza -e da questa voglio muovere, perché ne costituisce il fulcro- è la seguente: “la legge regionale sul piano casa consente l’ampliamento, riferito a proporzioni dell’immobile esistente, solo se non è possibile realizzare l’ampliamento utilizzando le ordinarie previsioni del piano regolatore”.

Da questo principio il TAR ha tratto il corollario che gli incentivi del Piano Casa non siano cumulabili con l’indice edificatorio del PRG.

Di primo acchito, questa affermazione sembrerebbe suonare come un de profundis per la L.R. n. 14/2009 e s.m.i.; ma è davvero così?

Sul piano della logica aristotelica, prima ancora di quella giuridica, un divieto di cumulo in tanto è immaginabile in quanto un cumulo sia, almeno teoricamente, possibile.

Dunque, per poter concepire la potenziale sommatoria dei diritti edificatori consacrati dal Piano Casa e di quelli previsti dal PRG è necessario che l’ampliamento dell’immobile preesistente (di cui si occupa il primo) sia attuabile, indifferentemente, in virtù del Piano Casa o del PRG e che quindi i relativi indici di fabbricabilità siano tra loro fungibili.

Questa condizione non si verifica (e perciò la sentenza non dovrebbe valere come precedente negativo):

  • quando l’indice edificatorio del PRG risulta interamente esaurito;
  • quando l’indice edificatorio del PRG, pur sussistente, non risulta concretamente sfruttabile per vincoli di altezza, distanza, etc., posti dallo stesso PRG.

Nelle summenzionate ipotesi, non avrebbe alcun senso vietare il cumulo tra la volumetria del Piano Casa e quella del PRG, perché l’intervento potrebbe realizzarsi solo in forza del primo; in altri termini, non potendosi concepire un cumulo tra l’indice edificatorio del PRG e il bonus volumetrico del Piano Casa (essendo il primo inutilizzabile) non potrebbe nemmeno teorizzarsi un divieto di cumulo tra le potenzialità edificatorie previste dai due strumenti.

Perciò, nelle ipotesi testé indicate, verremmo a ricadere proprio nell’impossibilità –inquadrata dal TAR come motivo di deroga all’affermato divieto di cumulo- di realizzare l’ampliamento secondo le ordinarie previsioni del PRG (in quanto esaurito o non sfruttabile), con la conseguente possibilità, del tutto speculare e non revocabile in dubbio, di avvalersi del Piano Casa per eseguire un simile intervento, altrimenti precluso.

Debbo a questo punto rilevare che la situazione da ultimo considerata, nella quale un divieto di cumulo tra il PRG e il Piano Casa non è ragionevolmente prospettabile, parrebbe ricorrere anche in un’ulteriore fattispecie.

La situazione alla quale alludo è quella in cui il cumulo tra l’indice di fabbricabilità del PRG e quello del Piano Casa si profila come l’unica via praticabile per dar corso a un programma edificatorio per il quale il primo non è di per sé sufficiente (si pensi al caso in cui, utilizzando unicamente il PRG, si riuscisse a realizzare solo in parte le superfici del progetto, che invece potrebbe attuarsi integralmente utilizzando anche il Piano Casa).

A ben guardare, la fattispecie appena descritta potrebbe, a propria volta, articolarsi in due distinte ipotesi, a seconda che il progetto da assentire preveda o meno esso stesso la saturazione dell’indice edificatorio del PRG; e la prima di tali ipotesi, quella cioè dell’esaurimento dell’indice in questione ad opera del progetto presentato, sembrerebbe poi equiparabile (ai fini della non applicazione del divieto di cumulo) al caso in cui il medesimo indice risulti già interamente consumato, a causa di pregressi interventi, al momento dell’utilizzo del bonus volumetrico del Piano Casa.

Se questa fosse la cornice teorica della sentenza in commento, si potrebbe concludere che il TAR abbia voluto esprimere -peccando solo di scarsa chiarezza- un principio affatto diverso da quello del divieto assoluto di cumulo: proclamare la necessaria prevalenza (rectius precedenza) del PRG sul Piano Casa, consentendo l’utilizzo del bonus volumetrico riconosciuto dal Piano Casa solo a condizione di aver prima esaurito l’indice edificatorio attribuito dal PRG.

Certo, una simile prospettiva ometterebbe di considerare che la volumetria del PRG e quella del Piano Casa non sono in alcun modo sovrapponibili (basti pensare alla transitorietà della seconda o ai vantaggi economici ad essa collegati -quale ad esempio l’esenzione del contributo di costruzione per gli immobili destinati a residenza dell’avente titolo-); ma, per quanto discutibile, una tale impostazione non stravolgerebbe la ratio della L.R. n. 14/2009 e s.m.i.

Purtroppo, però, il tenore letterale della pronuncia ne preclude qualsiasi interpretazione indulgente, per cui non paiono accreditabili conclusioni alternative a quella dell’indiscriminato divieto di cumulo, in forza del quale (laddove un cumulo sia concepibile) il PRG assorbirebbe sempre il Piano Casa, con buona pace della funzione incentivante di quest’ultimo.

Mi pare infatti arduo negare che il TAR abbia preso in considerazione proprio il caso in cui il progetto sottoposto ad approvazione preveda lo sfruttamento simultaneo dell’indice edificatorio residuale del PRG e del bonus volumetrico del Piano Casa, dal momento che il calcolo della volumetria concretamente assentita dall’Amministrazione resistente è stato censurato negando, per l’appunto, la possibilità di sommare, all’atto della redazione del progetto, la potenzialità edificatoria residua desumibile dal PRG con quella premiale riconducibile al Piano Casa.

Per questa ragione, la sentenza in commento conserva un nucleo pregiudizievole che ritengo insuperabile, risultando impossibile circoscriverne l’ambito applicativo nei termini sinora prospettati, ossia sostenendo che il bonus volumetrico del Piano Casa sia utilizzabile per intero (non solo quando l’indice edificatorio del PRG risulti già esaurito al momento della presentazione del progetto o appaia concretamente inservibile -per cogenti limiti di altezza, distanza, etc. posti dallo stesso PRG- ma) anche quando sia lo stesso progetto a prevederne l’integrale sfruttamento insieme a detto bonus.

Peraltro, il percorso argomentativo seguito dal TAR non sembra particolarmente solido, soprattutto nel passaggio in cui viene richiamata la previsione dell’art. 3-bis, cc. 1 e 2, della L.R. n. 14/2009, che, secondo il TAR, comproverebbe “che per ogni altra fattispecie diversa dall’edificio residenziale in zona agricola che sia prima casa di abitazione, l’ampliamento non va calcolato sulla volumetria massima assentibile, ma sulla volumetria preesistente“.

Sono infatti convinto che l’anzidetta norma regionale vada letta in tutt’altro senso e che la sua unica finalità sia quella di consentire il calcolo del bonus volumetrico del Piano Casa facendo riferimento,  in via derogatoria, non  alla consistenza effettiva dell’immobile preesistente (come in ogni altro caso), ma alla volumetria teorica massima consentita per le abitazioni rurali (i noti 800 mc) anche se la stessa non sia stata ancora pienamente sfruttata e l’immobile da ampliare risulti avere in concreto una consistenza volumetrica inferiore.

In definitiva, dunque, il divieto di cumulo sancito dal TAR appare pressoché assoluto, potendosi ravvisare un’unica ipotesi in cui l’utilizzo delle potenzialità edificatorie attribuite dal PRG e dal Piano Casa potrebbero essere fruite congiuntamente: quella, in cui la volumetria del Piano Casa risulti maggiore di quella residua del PRG, perché in tale evenienza, il TAR, ammette la possibilità di servirsi della volumetria del Piano Casa, seppur al limitato fine di raggiungere –una volta esaurito l’indice di fabbricabilità del PRG- il limite massimo dell’ampliamento astrattamente possibile ai sensi della L.R. n. 14/2009 e s.m.i. (una tale evenienza, potrebbe, ad esempio, verificarsi in presenza di un edificio preesistente di 600 mq, ampliabile di ulteriori 150 mq in forza del PRG e teoricamente incrementabile di  ulteriori 180 mq in virtù del Piano Casa, perché in tal caso, il raggiungimento del tetto massimo rappresentato da quest’ultimo parametro – per l’appunto, i suddetti 180 mq–, raggiungimento precluso avvalendosi del solo PRG, sarebbe conseguibile con l’ausilio del Piano Casa, seppur nella misura ridotta di 30 mq, in luogo dei 180 mq in linea di principio sfruttabili laddove non operasse il divieto di cumulo predicato dal TAR).

La conclusione appena rassegnata riconduce alla supposizione iniziale della possibile valenza ideologica della tesi propugnata dal TAR, perché, in tale prospettiva, mi pare alquanto indicativo il passaggio della sentenza in cui il Collegio, affrontando la singolare eccezione di ultrapetizione sollevata dall’Amministrazione resistente e dal controinteressato con riferimento all’ordinanza cautelare, l’ha dichiarata infondata “perché il Collegio ha controllato se, come invocato da parte ricorrente, vi sia stato un eccesso di cubatura nel rilasciare un permesso di costruire sulla base degli ampliamenti volumetrici astrattamente consentiti dalla L.R. n. 14 del 2009” per cui “ritiene di aver svolto il proprio compito di interpretare le norme e di verificare l’applicabilità delle norme al caso di specie”.

Il sospetto più che legittimo è che, malgrado la questione del cumulo tra il PRG e il Piano Casa non rientrasse nel thema decidendum definito dal ricorso, il TAR abbia voluto egualmente trattarla, perché il suo obiettivo non era solo la risoluzione della lite, ma anche una nuova pronuncia demolitrice della L.R. n. 14/2009 e s.m.i.

Peccato, però, che la politica del territorio, di cui è espressione la potestà legislativa concorrente nelle materie dell’urbanistica e dell’edilizia, rientri indubbiamente tra le competenze della Regione e non del Giudice Amministrativo, il quale è chiamato ad applicare e non ad “abrogare” le leggi.

La Regione Veneto ha già rimarcato la propria riserva di attribuzioni in occasione di una pregressa pronuncia del TAR sin troppo nota, di cui ha neutralizzato le ricadute operative con una interpretazione autentica del quadro normativo di riferimento in tema di possibili deroghe ai parametri stabiliti dalla pianificazione locale.

Per questo motivo, la pervicacia con cui il TAR ha cercato di ridimensionare ancora una volta l’ambito applicativo del Piano Casa assume i contorni di una aperta sfida che, come ogni condotta recidiva, andrebbe fermamente stigmatizzata.

L’auspicio è che la Regione voglia intervenire in difesa delle proprie prerogative costituzionali, rammentando al TAR che lo Stato moderno si regge su un principio, quello della separazione dei poteri, che, nella corretta dinamica dei rapporti istituzionali, non ammette “invasioni di campo”, per definizione sempre “indebite”.

Luca Pellicani

 

*Sentenza 513_2018

image_pdfStampa in PDF