1.- Ritengo di individuare nel 2002 l’anno in cui cominciò una sorta di rifondazione dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti.

Quando, nell’ultimo periodo della sua vita, era ancora il nostro Presidente, avevo avuto occasione, per vari motivi, di frequentare Giulio Schiller.

Egli mi rammentava spesso – o forse dovrei dire: “Mi ammoniva” – che, secondo Feliciano Benvenuti, l’Associazione avrebbe dovuto perseguire uno scopo esclusivamente culturale.

Si doveva occupare, perciò, dell’organizzazione di convegni e dell’aggiornamento professionale.

Non avrebbe potuto, invece, curare gli interessi della categoria.

In altre parole, l’Associazione non poteva identificarsi in un sindacato forense.

Di tale vocazione era genuina espressione lo Statuto del 1979 e, fedele allo stesso, l’Associazione, per molti anni, si limitò (insieme a Sergio Dal Prà, che ne fu l’ispiratore) ad organizzare il Convegno di Cortina, oltre a qualche seminario.

Il momento associativo più rilevante era la cena natalizia, in cui, avvocati e magistrati, ci radunavamo in gioconda consorteria, senza troppi formalismi reciproci.

Sarebbe sbagliato ravvisare in questo atteggiamento un limite di quella che, allora, era la nostra Associazione.

Semplicemente, non c’era bisogno di fare di più.

Gli stessi esponenti del Foro non avevano bisogno di una convergenza associativa, perché ciascuno di quei pochi era in grado di affrontare le intemperie da solo. Quelle meno gravi, almeno.

 

2.- Con l’avvento del nuovo millennio, le cose presero, tuttavia, a cambiare, perché si profilarono i sintomi di quel che dopo si sarebbe avverato.

Vi era, innanzi tutto, un aspetto generazionale, di cui tenere conto.

Quegli Studi sorti insieme ai T.A.R. e, in un certo senso, fondatori del settore amministrativistico dell’avvocatura si erano evoluti, prendendo a bottega numerosi allievi e apprendisti. Questi, a loro volta, si erano poi emancipati, sì da ampliare, e non di poco, la platea dei professionisti dediti alla materia.

Emergevano, però, anche alcune circostanze esogene che prospettavano una realtà diversa.

In quel periodo che viene definito di passaggio alla Seconda Repubblica, i mutati assetti della politica, nazionale e locale, si ripercossero anche sul Foro, alterando equilibri fino a quel momento immutabili.

Questi disequilibri erano fonte di potenziali conflitti tra le posizioni, entrambe meritevoli ma distinte, di chi cercava di mantenere il consolidato e di chi cercava di inserirsi.

 

3.- Soprattutto, però, i sintomi di cambiamento erano due.

In primo luogo, se la disciplina della materia (con la legge sul procedimento, con la risarcibilità dell’interesse, con le riforme processuali) sembrava incoraggiare uno sviluppo della nostra attività, l’apparato giudiziale, per altro verso, vi si adeguava in modo, almeno apparentemente, tiepido.

Non parlo necessariamente del TAR Veneto, nei cui ranghi sono passati molti magistrati e Presidenti di valore, ma della giustizia amministrativa nel suo complesso.

Ci si lamentava delle troppe sospensive rigettate; dell’arretrato che alterava un fisiologico sviluppo dei processi, quelli vecchi e quelli nuovi; qua e là – duole ricordarlo – sembrava di cogliere apparenze ambigue che, anche quando non corrispondevano alla realtà delle cose, generavano sfiducia sull’effettività del mezzo di tutela, perché, come sappiamo, non basta che la moglie di Cesare sia onesta.

In secondo luogo, e più di ogni altro rilievo, già si coglieva l’albeggiare di quella crisi economica che sarebbe conclamata nel 2008.

Si era persuasi di vivere in una bolla; vi era ancora una buona e diffusa capacità di spesa, ma si temeva che la cosa non sarebbe durata a lungo e, quando insorgono periodi di ristrettezza, il primo settore che subisce una contrazione è proprio quello dei servizi.

Tutti questi fattori suggerivano una prospettiva che poi si realizzò anch’essa e che di tutte fu la più grave perché colpì sia gli interessi degli avvocati sia l’attuazione di un diffuso controllo di legalità sulle pubbliche amministrazioni.

Parlo, ovviamente, del drastico calo del contenzioso.

Va detto che, in quelle premonitrici circostanze, non fummo tutti ciechi e che non fummo totalmente voces clamantes in deserto.

 

4.- In una tale situazione, gli avvocati amministrativisti avevano due possibilità d’azione.

La prima, più semplice, consisteva nell’aspettare che tutti questi fattori di crisi facessero il loro lavoro e che sfoltissero poco alla volta la nostra schiera, ciascuno sperando di restare tra i pochi superstiti, magari attuando pratiche, dirette o indirette, di dumping.

A chi, però, l’avesse valutata con lucidità, questa strategia si sarebbe dimostrata, sin da allora, inefficace, quando pure si fosse accettato di piegarsi alle sue implicazioni egoistiche.

Il mercato dei servizi forensi è poco elastico ed è qualificato dall’esistenza di asimmetrie informative verso l’esterno, per tale dovendosi intendere anche l’insieme dei professionisti che operano in altri settori del diritto, a loro volta non meno in crisi.

Per questi motivi, sarebbe stato necessario un periodo piuttosto lungo perché ci si adeguasse alle mutate condizioni, durante il quale ci si sarebbe tutti indeboliti e durante il quale nuovi e inconsapevoli operatori si sarebbero aggiunti al settore, compensando e superando il numero di quelli che, nel frattempo, erano stati forzati ad uscirne.

L’altra possibilità, opposta e più difficile, era quella di unirsi, evitando il più possibile guerre fratricide e cercando anzi il mutuo soccorso, anche verso chi entrava a far parte della compagine, in modo da rallentare le conseguenze del dramma professionale che si stava delineando, visto che non era possibile scongiurarlo del tutto.

A distanza di molti anni, possiamo tracciare un profilo storico abbastanza netto e riconoscere che – pur tenuto conto degli inevitabili individualismi e della necessità comunque imposta di adeguarsi al mercato – la maggior parte di noi convenne sulla seconda soluzione.

 

5.- Dunque, riunirci, fare squadra. Ma come?

Anche qui si ponevano due opzioni.

La prima era quella di costituire una nuova entità associativa. Confesso che alcuni di noi valutarono seriamente la cosa; tra quelli, annovero me stesso.

La seconda era quella di utilizzare l’Associazione già esistente, ampliandone il campo d’azione.

A prevalere fu quest’ultima idea, perché aveva dalla sua un notevole vantaggio: non avrebbe diviso il Foro in due fazioni. Perciò si diede mano a porla in pratica.

Il luogo temporale in cui tutto ciò avvenne furono i due Direttivi presieduti da Ivone Cacciavillani e composti da Gian Paolo Sardos Albertini, Stefano Bigolaro, Alberto Borella, Alessandro Calegari, Stefano Cerillo, Francesco Curato, Giulio Gidoni, Cesare Janna, Fulvio Lorigiola, Francesco Mazzarolli, Maddalena Morino, Guido Sartorato, Raffaella Rampazzo, Livio Viel, Franco Zambelli e, infine, anche da me.

Come anche quelli che seguirono, furono due Consigli direttivi assortiti in modo assai felice, perché eterogenei.

Vi convennero, inoltre, caratterialità molto marcate; il che consentì che emergessero non poche occasioni di divergenza, anche se quasi mai di polemica.

Ci si accorse presto della necessità di procedere ad una riforma dello Statuto.

Il testo del 1979, nella sua semplicità, non era più adatto e quasi se ne erano perse le stesse tracce materiali.

Il che, lo noto incidentalmente, non fu cosa unica nel suo genere. Anche il c.d. lodo Benvenuti, per quanto io sappia, non è mai stato letto da nessuno e il suo contenuto, in realtà, è affidato all’incerta tradizione orale.

 

6.- Uno degli obiettivi principali della riforma statutaria fu il definire le competenze degli organi associativi e di formalizzarne le modalità di elezione, sino ad allora affidate ad una sorta di designazione spontanea, ormai inadeguata rispetto alle richieste di rappresentatività generate dal più vasto numero di colleghi.

Si discusse non poco sull’opportunità di istituire un collegio di probi viri, ma poi si decise che era meglio lasciar perdere.

L’Associazione non poteva affiancarsi agli Ordini nell’esercizio di una sorta di controllo deontologico.

Al di là dell’effettiva praticabilità della cosa, lo strumento, se affidato a mani disinvolte, si sarebbe prestato ad un uso distorto, finendo così per emarginare i colleghi, anziché riunirli.

Oggi, l’unico controllo che l’Associazione svolge si pone all’ingresso del nuovo associato, visto che l’iscrizione può essere rifiutata. Il che, in qualche occasione estremamente rara, si è dovuto, purtroppo, fare.

Quel che però ha caratterizzato più di tutto il nuovo Statuto è stato l’ampliamento dell’oggetto associativo.

A fianco delle tradizionali finalità culturali su cui si erano concentrati i fondatori, l’art. 2 ha previsto anche la tutela degli interessi e delle istanze del Foro amministrativo avanti alle Autorità istituzionali.

Con queste poche parole, l’Associazione si è trasformata e, in un certo senso, rifondata, perché ha assunto una legittimazione e un ruolo che, prima, non le spettavano.

 

7.- Se, oggi, l’Associazione conta circa quattrocento associati; se può esibire una ragguardevole messe di iniziative; se essa è ascoltato interlocutore della Magistratura sia in sede territoriale sia in sede nazionale, il merito va riconosciuto ai Presidenti che l’hanno retta e che la reggono con abnegazione.

Ma, a parer mio, il germe di tutti questi risultati va ravvisato in quella rifondazione e in quel nuovo Statuto che all’azione dei nostri rappresentanti ha indicato obiettivi nuovi e vincolanti.

Forse qualcuno potrebbe contestare che, così agendo, noi abbiamo tradito lo spirito associativo originario.

Sono convinto, però, che, di fronte al nuovo secolo, non si potesse fare altrimenti. Da dove ci guarda, forse anche Feliciano Benvenuti ce lo ha, alla fine, perdonato.

Confido, piuttosto, che egli sia compiaciuto di averci consegnato, con l’Associazione, lo strumento che, una volta evoluto, ci permette oggi di difendere l’identità, la funzione e l’onorabilità dell’avvocato amministrativista veneto.

Francesco Volpe

*Intervento al convegno “L’evoluzione dell’amministrativista”, organizzato l’8 novembre 2019 presso il centro culturale San Gaetano in Padova, in occasione dei 40 anni dall’atto costitutivo dell’Associazione veneta degli avvocati amministrativisti.

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