Il d.lgs. n. 127/2016 ha profondamente innovato la disciplina della conferenza di servizi, oggi contenuta negli articoli 14, 14‐bis, 14‐ter, 14‐quater, 14‐quinquies della legge n. 241 del 1990, e destinata ad applicarsi a tutti i procedimenti avviati a partire dal 28 luglio 2016.

L’obbiettivo perseguito dal legislatore è stato quello di assicurare tempi certi di conclusione delle procedure per i cittadini, le imprese e per le opere pubbliche. In quest’ottica, la riforma ha privilegiato l’istituto della conferenza di servizi in forma semplificata e asincrona, quale modalità “fisiologica” di assunzione delle determinazioni della P.A. in caso di coinvolgimento di più enti.

La disciplina ricollega all’utilizzo della modalità c.d. asincrona (senza necessità di riunioni caratterizzate da presenza simultanea dei rappresentanti degli enti nel procedimento) un onere molto stringente per le amministrazioni coinvolte di far pervenire le proprie determinazioni entro un termine perentorio ed inderogabile, in un’ottica acceleratoria e di semplificazione: detto termine, come regola generale, non può essere superiore a 45 giorni, e può essere esteso fino a 90 giorni nell’ipotesi in cui tra le amministrazioni coinvolte nel procedimento ve ne siano di preposte alla tutela ambientale, paesaggistico‐territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute dei cittadini.

In particolare, l’art. 14-bis comma 4 della L. n. 241/1990 prevede che, esclusi i casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione europea richiedono l’adozione di provvedimenti espressi (ad esempio VIA, AIA, emissioni in atmosfera etc.), la mancata comunicazione della determinazione entro il termine indicato dall’amministrazione procedente all’atto dell’indizione della conferenza “equivale ad assenso senza condizioni”. Si considera inoltre acquisito l’assenso anche nel caso in cui la determinazione, pur pervenuta in termini, risulti priva dei requisiti minimi richiesti e pertanto non risulti idonea a svolgere la propria funzione all’interno del procedimento della conferenza di servizi[1].

La norma opera poi un chiaro ed inequivocabile cenno – anzi, un vero e proprio monito – alle responsabilità non solo dell’ente, ma anche personali del dipendente, connesse all’effetto di assenso, anche implicito, rispetto alla richiesta del privato, per le ipotesi in cui l’istanza a causa del meccanismo di silenzio / assenso trovi un accoglimento che non avrebbe meritato, ove l’ente coinvolto avesse reso il parere nei termini o con i requisiti di contenuto necessari[2].

Va inoltre rilevato che la giurisprudenza amministrativa, nei primi casi pratici portati alla sua attenzione, ha adeguatamente valorizzato le conseguenze del ritardo nell’emissione del parere da parte degli enti coinvolti nella conferenza di servizi, ritenendolo ex lege quale assenso senza condizioni, indipendentemente dal contenuto (nei casi trattati, negativo) delle valutazioni rispetto all’istanza del privato[3].

L’impianto normativo induce ad alcune riflessioni.

  1. Non c’è dubbio che il punto di equilibrio, nella gestione degli interessi coinvolti nella conferenza di servizi, sia stato volutamente spostato, e di molto, a favore del privato: il ritardo da parte dell’ente tenuto a rendere il parere, infatti, si traduce automaticamente in un pieno assenso alla richiesta, senza possibilità di revirement e senza margini di manovra in capo all’amministrazione titolare del potere di gestione del procedimento, obbligata a considerare il parere acquisito e pienamente favorevole all’istanza.

La disciplina sembra quindi orientata a far ricadere esclusivamente sulla parte pubblica le conseguenze di eventuali omissioni e ritardi: nel bilanciamento degli interessi convolti, quello del privato alla celerità procedimentale è stato ritenuto meritevole di tutela assoluta e incondizionata.

  1. Tale scelta determina forti criticità per la tutela degli interessi pubblici nell’ipotesi in cui l’istanza del privato non risulti ab origine fondata, ma trovi comunque assenso incondizionato per effetto dell’inerzia dell’ente coinvolto e deputato a rendere il parere.

In questi casi, la minaccia di responsabilità dell’ente o del dipendente non sembra costituire una “valvola di sicurezza” sufficiente: se l’omissione, nonostante la minaccia di sanzione, avviene comunque, vengono lasciate completamente scoperte le conseguenze pratiche dell’assenso incondizionato, destinate a creare una lesione tendenzialmente definitiva ai valori pubblici tutelati, rispetto ai quali avrebbe dovuto essere verificata la compatibilità dell’istanza del richiedente (si pensi, ad esempio, alla realizzazione di un intervento edilizio in zona vincolata, oppure all’apertura di un’attività con implicazioni negative per la salute dei cittadini).

Configurare una responsabilità ex post dell’ente o del dipendente per le conseguenze dell’omissione non ristora certo, sotto alcun profilo, la collettività della lesione subìta.

Verrebbe da considerare che la lesione in questo caso è “in forma specifica” (come concreta conseguenza dell’assenso incondizionato), mentre la responsabilità della P.A., pur non delineata chiaramente dalla norma, sarà comunque giocoforza una responsabilità “per equivalente”, probabilmente con risvolti di carattere erariale, ma destinata a porsi su un piano distinto e secondario rispetto alla concreta ed irreversibile lesione degli interessi pubblici prodottasi a causa dell’assenso incondizionato.

  1. La disciplina non sembra lasciare spazio nemmeno alla possibilità di intervenire in autotutela sull’esito della conferenza, per porre rimedio agli effetti prodottisi in virtù dell’inerzia.

È vero che l’art. 14 – quater della L. n. 241/1990[4], riserva un potere degli enti coinvolti di stimolare, con richiesta motivata, l’Amministrazione procedente a intervenire in autotutela sugli esiti della conferenza, sia con l’annullamento ai sensi dell’art. 21 – nonies, sia con la revoca ai sensi dell’art. 21 – quinquies.

Tuttavia, l’esercizio di tale potere è radicalmente precluso agli enti che siano rimasti inerti in seno alla conferenza, oppure abbiano emanato un parere fuori tempo massimo ovvero privo dei requisiti minimi previsti.

Ciò è previsto espressamente per l’ipotesi di richiesta di revoca, possibile per gli enti solo “purché abbiano partecipato, anche per il tramite del rappresentante di cui ai commi 4 e 5 dell’articolo 14-ter, alla conferenza di servizi o si siano espresse nei termini”.

Il limite (e quindi l’impossibilità di stimolare l’autotutela) sembra poi dover essere riferito anche all’ipotesi di annullamento ex art. 21-nonies, anche se la norma non lo afferma espressamente, in quanto diversamente (se l’assenso incondizionato potesse essere reversibile su impulso della P.A.) l’intera ratio della disciplina del silenzio – assenso verrebbe del tutto vanificata.

  1. In conclusione, la semplificazione e la celerità cui mira la disciplina, se da un lato possono costituire un efficace “grimaldello” per il privato che aspira ad ottenere quanto richiesto, determinano dall’altro, come contraltare, insidie e responsabilità amministrative piuttosto pesanti per la parte pubblica.

Le forti responsabilità assegnate ai pubblici funzionari per il caso di inerzia appaiono ancor più gravose ove si consideri il contesto generale del sistema pubblico, caratterizzato sempre più da contrazione delle risorse disponibili per gli enti, sottodimensionamento delle dotazioni di personale e concentrazione di competenze in un’ottica di risparmio di spesa.

Una valutazione dell’efficacia della riforma appare prematura.

Se si guarda alla celerità dei procedimenti, lo spauracchio della responsabilità personale potrebbe determinare ricadute positive, anche se bisognerà verificare se effettivamente gli enti pubblici (immaginando rivalse interne sul proprio dipendente) o la magistratura contabile intenderanno in concreto applicare la disciplina e non lasciarla quale mero monito astratto.

Tuttavia, la celerità è solo un aspetto dell’efficacia dell’azione amministrativa, ed è fisiologicamente un valore inversamente proporzionale rispetto alla bontà dei provvedimenti ed all’adeguatezza dell’istruttoria: è un dato di comune esperienza che “presto e bene raro avviene”.

Nello scenario delineato dalla riforma, si ha la sensazione che un funzionario pubblico cauto, sempre ove colga i rischi insiti nella nuova disciplina, sarà sempre portato a preferire l’emanazione di un parere adottato sulla base di un’istruttoria superficiale o inesistente, ovvero illegittimo perché non adeguatamente studiato ed approfondito, ma reso in termini, rispetto a mantenere un’inerzia colpevole, possibile fonte di pregiudizi personali.

In quest’ottica, e salvo l’esperienza concreta non riservi gradite sorprese, la novella non sembra davvero aver posto le basi per un effettivo perseguimento del principio di buona amministrazione, ed addirittura potrebbe determinare al contrario l’ennesima deriva dell’attività amministrativa verso lo svilimento dell’istruttoria e l’abbassamento della qualità dei provvedimenti, in un ambito – quello della conferenza di servizi – di rilevanza centrale per l’attività della Pubblica Amministrazione.

Alberto Salmaso

 

[1] Art. 14, comma 4 L. n. 241/1990: “Fatti salvi i casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione europea richiedono l’adozione di provvedimenti espressi, la mancata comunicazione della determinazione entro il termine di cui al comma 2, lettera c), ovvero la comunicazione di una determinazione priva dei requisiti previsti dal comma 3, equivalgono ad assenso senza condizioni. Restano ferme le responsabilità dell’amministrazione, nonché quelle dei singoli dipendenti nei confronti dell’amministrazione, per l’assenso reso, ancorché implicito”.

[2] Art. 14, comma 2 lett. c della L. n. 241/1990: 2.  “La conferenza è indetta dall’amministrazione procedente entro cinque giorni lavorativi dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte. A tal fine l’amministrazione procedente comunica alle altre amministrazioni interessate:

(…) c) il termine perentorio, comunque non superiore a quarantacinque giorni, entro il quale le amministrazioni coinvolte devono rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della conferenza, fermo restando l’obbligo di rispettare il termine finale di conclusione del procedimento. Se tra le suddette amministrazioni vi sono amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali, o alla tutela della salute dei cittadini, ove disposizioni di legge o i provvedimenti di cui all’articolo 2 non prevedano un termine diverso, il suddetto termine è fissato in novanta giorni;”

[3] TAR Campania – Salerno, II^ Sezione, sentenza n. 1115 del 5.7.2017: “dal combinato disposto del comma 2 lett. c), del comma 3 e del comma 4 di tale disposizione legislativa, nel caso che ci occupa la mancata comunicazione della determinazione entro il termine di cui al comma 2, lettera c) da parte di (amministrazione che deve rendere il parere, nota dello scrivente, in quel caso la Soprintendenza) contrariamente a quanto ritenuto dal dirigente del Comune (…), corrisponde ad un “assenso senza condizioni”, stante l’espressa e incondizionata clausola d’equivalenza, sancita dal comma 4 dell’articolo in commento e non vertendosi, all’evidenza, in un’ipotesi in cui disposizioni del diritto dell’Unione Europea richiedano l’adozione di un provvedimento espresso. (…); in senso conforme TAR Veneto, I^ sezione, ordinanza cautelare n. 509 del 26.10.2017, in cui viene rilevato: “la P.A. non pare aver adeguatamente valutato gli effetti dell’inosservanza del termine perentorio per l’espressione di avvisi negativi previsto dall’art. 14-bis, comma 2, lett. c), della l. n. 241 cit.”

[4] Articolo 14-quater (Effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi), commi 1 e 2:

  1. La determinazione motivata di conclusione della conferenza, adottata dall’amministrazione procedente all’esito della stessa, sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle amministrazioni e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati.
  2. Le amministrazioni i cui atti sono sostituiti dalla determinazione motivata di conclusione della conferenza possono sollecitare con congrua motivazione l’amministrazione procedente ad assumere, previa indizione di una nuova conferenza, determinazioni in via di autotutela ai sensi dell’articolo 21-nonies. Possono altresì sollecitarla, purché abbiano partecipato, anche per il tramite del rappresentante di cui ai commi 4 e 5 dell’articolo 14-ter, alla conferenza di servizi o si siano espresse nei termini, ad assumere determinazioni in via di autotutela ai sensi dell’articolo 21-quinquies.

 

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