Con la sentenza n. 103 depositata il 29 maggio scorso (1), la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili e non fondate alcune questioni di legittimità costituzionale, relative a due disposizioni della legge della Provincia autonoma di Bolzano 11.07.2018, n. 10, sollevate dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa, sezione autonoma di Bolzano, con ordinanza del 25.10.2018. Le due disposizioni di legge sospettate di incostituzionalità – l’art. 44, comma 3 e l’art. 45 della l.p. n. 10 del 2018 – attengono alla materia delle concessioni per la costruzione e l’esercizio di impianti a fune in servizio pubblico, ed in quella materia l’interesse della sentenza della Corte costituzionale travalica senz’altro i confini dell’ordinamento della Provincia autonoma di Bolzano.
L’impianto della legge regionale veneta 21.11.2008, n. 21, recante la “disciplina degli impianti a fune adibiti a servizio pubblico di trasporto, delle piste e dei sistemi di innevamento programmato e della sicurezza nella pratica degli sport sulla neve”, è assai simile a quello dell’omologa fonte legislativa bolzanina ed i principi affermati dalla Corte costituzionale nel motivare il rigetto, per infondatezza, dei dubbi sollevati dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Bolzano, costituiscono delle chiavi di lettura direttamente applicabili anche nell’interpretazione del testo veneto, a tal punto che le conclusioni raggiunte, nel merito, dall’analisi della Corte costituzionale possono essere concretamente riferite anche all’ordinamento regionale veneto degli impianti a fune ad uso sportivo o turistico-ricreativo.
Nella Provincia autonoma di Bolzano la fonte principale (ma non esclusiva) della disciplina degli impianti a fune è la l.p. 30.01.2006, n. 1 (2). Le disposizioni della l.p. n. 10 del 2018 sottoposte al vaglio della Corte costituzionale fanno parte di un intervento legislativo più ampio, con il quale la Provincia autonoma di Bolzano ha voluto modificare, in parte per chiarire (3) e in parte per innovare (4), il testo della propria l.p. n. 1 del 2006. Prima di soffermarsi sulla sentenza della Corte costituzionale, torna particolarmente utile, per le finalità di queste note, illustrare in modo molto sintetico l’iniziativa della Provincia autonoma di Bolzano.
Prima delle modifiche del 2018, il testo della l.p. n. 1 del 2006 parlava di “impianti a fune” o “linee funiviarie” “in servizio pubblico” e “in servizio privato”, e stabiliva (all’art. 5, comma 1) che “La costruzione e l’esercizio degli impianti a fune in servizio pubblico sono soggetti a concessione”, rilasciata dall’assessore provinciale competente in materia di mobilità (art. 7, comma 1). La costruzione e l’esercizio di impianti a fune “in servizio privato”, invece, è lasciata ad “eventuali autorizzazioni” di competenza comunale (art. 31). L’art. 3, della l.p. n. 1 del 2006, inoltre, precisava che “1. Tutte le linee funiviarie sono impianti in servizio pubblico, escluse quelle utilizzate gratuitamente ed esclusivamente dal proprietario/dalla proprietaria, dai suoi congiunti, dal personale
di servizio, da ospiti occasionali e da persone addette all’assistenza medica, alla sicurezza pubblica, alla manutenzione ed altro e quelle adibite al trasporto di materiale.
2. Sono altresì soggette alle disposizioni che regolano il servizio pubblico le linee funiviarie destinate al trasporto di clienti a esercizi pubblici e ristori di campagna, di appartenenti a convitti, collegi e comunità e di allievi/allieve delle scuole di sci, ancorché gestite dai/dalle titolari dei rispettivi esercizi.”.
Per effetto dell’art. 44, comma 3, l.p. n. 10 del 2018, l’articolo 5 comma 1 della l.p. n. 1, del 2006, oggi recita: “La costruzione e l’esercizio degli impianti a fune in servizio pubblico sono soggetti a concessione, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 164, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.”.
Con l’art. 45, l.p. n. 10 del 2018, rivolgendosi al passato, la Provincia autonoma di Bolzano ha confermato che anche “Le concessioni di cui alle leggi provinciali 8 novembre 1973, n. 87, e successive modifiche, e 30 gennaio 2006, n. 1, e successive modifiche, che autorizzano la costruzione e l’esercizio di impianti a fune ad uso sportivo o turisticoricreativo, e i relativi rinnovi, rilasciati prima dell’entrata in vigore della presente legge, si configurano come provvedimenti autorizzatori ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 164, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.”.
Com’è noto, l’art. 164, comma 1, secondo periodo, del d. lgs. n. 50 del 2016, (posto in apertura della parte III del Codice dei contratti pubblici, dedicata ai contratti di concessione) ha chiarito che “In ogni caso, le disposizioni della presente Parte non si applicano ai provvedimenti, comunque denominati, con cui le amministrazioni aggiudicatrici, a richiesta di un operatore economico, autorizzano, stabilendone le modalità e le condizioni, l’esercizio di un’attività economica che può svolgersi anche mediante l’utilizzo di impianti o altri beni immobili pubblici” (5).
Quindi, in sostanza, con quelle due disposizioni la Provincia autonoma di Bolzano ha voluto chiarire, sia per il presente ed il futuro (intervenendo sul testo dell’art. 5, comma 1, l.p. n. 1 del 2006), sia per il passato (adottando l’art. 45, l.p. n. 10 del 2018), che le “concessioni”, alle quali sono soggette la costruzione e l’esercizio degli impianti a fune “in servizio pubblico”, ai sensi e per gli effetti di cui alla stessa l.p. n. 1 del 2006, non erano, e non sono, contratti di concessione, ma provvedimenti ad effetto autorizzatorio (6).
Tuttavia, tale intervento chiarificatore è stato reso possibile dalla risalente, e direi tradizionale, valorizzazione, nell’ordinamento bolzanino, di una latente distinzione di sostanza tra le varie finalità dei trasporti funiviari. L’ordinamento della Provincia autonoma di Bolzano (ma lo stesso si può dire anche per il Veneto e per altre regioni particolarmente interessate al turismo di montagna legato allo sci, come, ad esempio, la Provincia autonoma di Trento (7)), rispecchia il dato, di natura sociale, economica e aziendalistica, che i servizi di trasporto mediante impianti a fune aperti al pubblico non sono necessariamente tutti dei servizi pubblici di interesse economico generale (o servizi pubblici locali, secondo altra, più domestica, definizione): lo sono certamente i servizi prestati da impianti che collegano centri abitati, tra loro, o con altre strutture di trasporto pubblico locale (strade, ferrovie, etc..); non necessariamente lo sono, invece, i servizi prestati da impianti a fune “a finalità sportiva e turistica-ricreativa” (secondo la definizione utilizzata nell’ordinamento della Provincia autonoma di Bolzano, o “impianti a fune “per la mobilità turistico-sportiva” in aree montane, secondo la definizione utilizzata dal legislatore statale (8).
La Corte costituzionale ha apertamente dato atto che per questo ultimo tipo di impianti, che sono invero la maggioranza, le Regioni, anche a statuto ordinario, e le Province autonome, sono libere di scegliere di lasciare lo sviluppo e la gestione di queste attività alla libera iniziativa economica privata, perché tale scelta rientra nella sfera di autonomia riconosciuta tanto dall’ordinamento nazionale quanto dal diritto dell’Unione europea (9).
E sullo sfondo di una scelta consimile, la Corte costituzionale ha accertato che, anche prima degli interventi di modifica del 2018, i provvedimenti di concessione di cui alla l.p. n. 1 del 2006, occorrenti per la realizzazione e l’esercizio di tutti gli impianti a fune “in servizio pubblico” (ossia “destinati al pubblico esercizio” (10)), fossero essi funzionali allo svolgimento di un servizio di trasporto pubblico locale, o fossero essi destinati a finalità sportive o turistico-ricreative, erano gli unici titoli abilitativi necessari per questo secondo genere di impianti, mentre per l’affidamento di servizi di trasporto pubblico locale quei provvedimenti si integravano nella procedura ad evidenza pubblica prevista da una diversa legge provinciale: la n. 15 del 2015.
Il giudizio della Corte costituzionale è stato sollecitato dal dubbio (avanzato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e avallato dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Bolzano (11)), che le norme di cui agli artt. 44, comma 3 e 45, l.p. n. 18 del 2010, con lo statuire che le concessioni di cui alla l.p. n. 1 del 2006, erano e sono dei provvedimenti amministrativi (12) e non dei contratti di concessione, avessero in realtà voluto escludere le concessioni relative alla costruzione e gestione degli impianti a fune a uso turistico-sportivo dall’ambito di applicazione della disciplina dell’evidenza pubblica, posta dal codice dei contratti pubblici a tutela delle concorrenza in adempimento di obblighi discendenti dal diritto dell’Unione europea (13).
La Corte costituzionale, dopo aver ritenuto ammissibile la questione della denunciata incompatibilità dell’art. 45, l.p. n. 10 del 2018 (la nuova disposizione, cioè, che ha chiarito, con riferimento al passato, la reale natura giuridica delle concessioni di cui alla l.p. n. 1 del 2006), con la disciplina di diritto, dell’Unione (ex art. 3, 30 e 41 della direttiva 2014/23/UE) e nazionale (ex artt. 30 e 164, comma 2, cod. contratti pubblici), che impone procedure a evidenza pubblica per l’affidamento di concessioni di servizi pubblici (14), ha parafrasato e sintetizzato la questione da decidere rilevando che “il thema decidendum consiste, in buona sostanza, nel determinare se il legislatore provinciale fosse legittimato a stabilire, o anche solo a confermare (come sostiene la Provincia autonoma), che le concessioni rilasciate ai sensi della legge prov. Bolzano n. 1 del 2006 non necessitassero di alcuna procedura a evidenza pubblica in forza del richiamato art. 164, comma 1, secondo periodo, cod. contratti pubblici, che per l’appunto esenta talune categorie di provvedimenti dall’obbligo, a carico dell’amministrazione, di indire procedure a evidenza pubblica” (15).
Il metodo utilizzato dalla Corte costituzionale per dirimere tale questione consiste in una rigorosa analisi testuale delle fonti, guidata, a me pare, per un verso dalla piena coscienza di una doppia complessità: del lessico, e del panorama giuridico dei provvedimenti a carattere latamente ampliativo (16); e per un altro verso, dall’abbandono della tentazione di ridurre quella complessità mediante automatismi concettuali, primo fra tutti quello, pur dotato di un’innegabile forza d’attrazione (17), secondo il quale se in un testo di legge si trova usato il termine “concessione” riferito alla costruzione e all’esercizio di impianti di trasporto definiti, in quella stessa legge, “in servizio pubblico” allora deve trattarsi senz’altro di contratti pubblici di concessione d’opera e/o di servizi pubblici.
La Corte costituzionale, invece, nella sentenza annotata dimostra come quell’automatismo sia del tutto fallace.
Innanzitutto, chiarisce che il termine “concessione” e la qualificazione degli impianti a fune come “in servizio pubblico” possono veicolare significati diversi, da selezionare una volta ricostruita la logica interna all’intera fonte legislativa mediante un’esegesi non preconcetta delle altre disposizioni: la Corte avverte che si tratta di “equivoci indicatori terminologici”, ai quali “non può attribuirsi rilievo decisivo” (18); non possono, cioè, fungere loro da chiave ermeneutica del testo legislativo in cui sono utilizzati, ma, in quanto equivoci, debbono loro essere lumeggiati da una attenta interpretazione del contesto (19).
E così, per verificare se la “concessione” di cui alla l.p. n. 1 del 2006, prima delle modifiche del 2018, fosse un contratto pubblico di concessione o un provvedimento “che, ‘comunque denominato’, nella sostanza abbia contenuto autorizzatorio di un’attività economica privata, conformemente ai limiti e alle prescrizioni eventualmente fissati dall’amministrazione competente” (20), la Corte costituzionale ha ritenuto di dover indagare se la Provincia autonoma di Bolzano “consideri il trasporto di persone mediante impianti a fune come un proprio compito, da realizzare per mezzo di imprese legate alla Provincia stessa da contratti di concessione”, additando in quell’elemento il tratto distintivo di un contratto di concessione: sottolinea infatti la Corte che “la qualificazione in termini di ‘servizio pubblico locale di rilevanza economica’ ai sensi della legislazione nazionale, o quella (già considerata omologa alla prima dalla giurisprudenza di questa Corte: sentenza n. 325 del 2010 e n. 272 del 2004) di ‘servizio di interesse economico generale’ ai sensi della disciplina dell’Unione europea, non dipendono tanto dalla natura dell’attività svolta, quanto dalla circostanza che l’ente pubblico abbia in concreto inteso assumersi la responsabilità dell’attività stessa a beneficio dei consociati; responsabilità che poi potrà essere svolta in proprio, ovvero attraverso affidamenti cosiddetti in house, o ancora delegandone l’esercizio a imprese private mediante contratti di concessione” (21).
A rincalzo di tale principio, la Corte costituzionale rammenta che, ai sensi dell’art. 4 della direttiva 2014/23/UE, “ciascuno Stato, e ciascun ente territoriale dotato di autonomia politica (22), resta libero, in linea di principio, di stabilire quali prestazioni debbano costituire ‘servizi di interesse economico generale’ per le proprie comunità di riferimento (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 21 dicembre 2011, in causa C-242/10, Enel Produzione Spa e 20 aprile 2010, in causa C-265/08, Federutility), ed eventualmente di affidarne l’erogazione a imprese private mediante la stipula di contratti di concessione” (23).
Ovviamente ben conscia della complessità – nel senso della varietà – della fenomenologia del diritto positivo, anche in materia di provvedimenti amministrativi (per i quali sempre più ardua appare l’operazione di ricondurre una concreta forma di provvedimento entro precisi schemi tassonomici e sempre più labile l’importanza del nomen iuris (24)), la Corte costituzionale non ha difficoltà ad evidenziare che gli accessori giuridici che, nel testo della l.p. n. 1 del 2006, corredano la “concessione” ivi disciplinata, e che al Giudice rimettente (e alla A.G.C.M., che quel Giudice ha sollecitato) sembravano elementi tipici di un rapporto concessorio, addirittura contrattuale, avente ad oggetto servizi pubblici di interesse generale, in realtà sono pienamente compatibili anche con provvedimenti autorizzativi di attività imprenditoriali private soggette a vigilanza della pubblica amministrazione; tali sono, seguendone l’elencazione fatta dalla Corte costituzionale (
25): un’incisiva attività di supervisione dell’amministrazione per esigenze di tutela di diversi interessi pubblici; il riconoscimento di incentivi di carattere finanziario alle imprese private, nel rispetto della disciplina dell’Unione europea sugli aiuti di Stato (26); l’ausilio dell’espropriazione per pubblica utilità, anche nella forma della costituzione coattiva di diritti reali su fondi altrui; la decadenza dal provvedimento per reiterati inadempimenti degli obblighi fissati dalla normativa vigente, o dallo stesso provvedimento di concessione, a tutela di rilevanti interessi pubblici che potrebbero essere pregiudicati dall’esercizio degli impianti; la revoca del provvedimento, previa corresponsione di un’indennità, in presenza di “comprovate esigenze di pubblico interesse” (27).
Rivolgendo, dunque, al testo della l.p. Bolzano n. 1, del 2006 (anche nella versione anteriore alle modifiche del 2018), uno sguardo attento, e non condizionato da schemi concettuali troppo spesso evocati da una lettura “epidermica” di parole e locuzioni oggettivamente polisense (come “concessione” e “servizio pubblico”), la Corte costituzionale ha potuto concludere che “la ‘concessione’ [ex art. 5, l.p. Bolzano, n. 1 del 2006, n.d.r.] appare piuttosto come un provvedimento che ‘abilita’ l’impresa richiedente alla realizzazione dell’opera e poi al suo successivo esercizio, nel rispetto delle condizioni fissate dalla concessione; e dunque come un provvedimento nella sostanza “autorizzatorio” di una attività economica, sia pure fortemente conformata, che come tale non rientra nell’ambito applicativo della direttiva 2014/23/UE e della Parte III del codice dei contratti pubblici, giusta il disposto del considerando n. 14 della direttiva e dell’art. 164, comma 1, secondo periodo, del codice. Quanto poi all’amministrazione concedente, essa è concepita dalla legge provinciale non già come domina dell’attività economica in questione, ma piuttosto come soggetto a) chiamato a una penetrante supervisione sugli impianti in questione, a tutela dei plurimi interessi pubblici che potrebbero essere pregiudicati dall’attività stessa (infra 4.4.1) e assieme b) impegnato a promuovere lo sviluppo di questa attività imprenditoriale, concepita come funzionale alla crescita dell’economia locale nel cruciale settore del turismo (infra 4.4.2.), oltre che c) interessato a stimolare una puntuale collaborazione con le imprese private che già esercitano gli impianti in forza dell’autorizzazione provinciale, per l’esecuzione di prestazioni di rilievo pubblico negoziate successivamente tra tali imprese e le singole amministrazioni comunali attraverso appositi ‘contratti di servizio’ (distinti e autonomi rispetto al provvedimento autorizzatorio provinciale)” (
28).
Tali conclusioni, precisa la Corte, non sono contraddette dalla giurisprudenza amministrativa forgiata in applicazione di normative regionali, come quella della Regione Lazio, improntate ad una scelta di fondo completamente diversa e caratterizzate dall’esplicita assunzione della realizzazione e dell’esercizio degli impianti a fune, anche ad uso sportivo e turistico-ricreativo, tra i compiti della Regione o degli altri enti locali (province e comuni): avverte in proposito la Corte che “sarebbe però del tutto arbitrario” dedurre che i principi ritraibili da quella giurisprudenza e da quelle normative “debbano valere anche per diversi ordinamenti territoriali, che – come la Provincia autonoma di Bolzano – hanno invece regolato il procedimento concessorio dell’esercizio di impianti a fune sul presupposto dell’iniziativa di un privato: il quale chieda per l’appunto di essere autorizzato a costruire, e poi a gestire, l’impianto a fune, in molti casi su un terreno già di propria proprietà, allo scopo di esercitare un’attività imprenditoriale di fornitura di servizi commerciali aventi ad oggetto impianti destinati all’uso sportivo e turistico-ricreativo”.
Ebbene, come anticipato in apertura di queste note, tra gli ordinamenti territoriali omologhi a quello della Provincia autonoma di Bolzano, in materia di impianti a fune, può certamente essere ricondotto anche l’ordinamento regionale del Veneto, fondato sulla l.r. n. 21 del 2008.
Chi scrive ha avuto la grande fortuna di vedere ospitato nel volume “Scritti in onore di Ivone Cacciavillani”, edito nel 2018, da Editoriale Scientifica, sotto la cura dell’Avv. Enrico Gaz e della Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti, un contributo dal titolo ”Spunti per una razionalizzazione della disciplina regionale degli impianti a fune nelle montagne del Veneto”, poi gratificato dell’ulteriore onore di essere pubblicato anche sul sito della Associazione. Per non allungare più del dovuto queste note, mi permetto, quindi, di rinviare a quel mio scritto per indicare il luogo dove poter trovare la dimostrazione (29) delle conclusioni che qui, invece, semplicemente sintetizzo per giustificare, a ragione di questo mio intervento, la convinzione che la sentenza della Corte costituzionale n. 103 del 2020, possa seriamente fungere da sprone e da guida per rimettere mano all’ordinamento regionale veneto in materia di impianti a fune, facendo chiarezza sia nel testo (sostituendo gli “equivoci indicatori terminologici” presenti anche nella legge regionale Veneto), che nella sostanza (introducendo le coerenti distinzioni di regime tra impianti a fune di collegamento tra centri abitati, e tra quei centri e altre strutture di trasporto pubblico locale, e gli impianti a fune ad uso sportivo o turistico-ricreativo – i quali ultimi, peraltro, sono il vero obiettivo delle fonti legislative e regolamentari prodotte dalla Regione Veneto in materia di impianti a fune).
Una caratteristica saliente di tutti gli interventi legislativi della Regione Veneto nella materia degli impianti a fune, a cominciare dalla prima l.r. n. 52 del 1975, è quella di trattare quel settore imprenditoriale principalmente dal punto di vista dell’esigenza di rendere possibile e promuovere un ordinato ed equilibrato sviluppo socio-economico dei territori montani, nel rispetto delle loro spiccate caratteristiche naturali, utilizzando la leva principale del turismo invernale legato allo sci (30).
Anche nella Regione Veneto, come nella Provincia autonoma di Bolzano (e come, per fare un altro esempio, anche nella Provincia autonoma di Trento), la scelta politica di fondo, trasfusa nei pertinenti atti legislativi e regolamentari, è stata quella di lasciare la realizzazione e la gestione degli impianti a fune ad uso sportivo e turistico-ricreativo, delle piste e degli altri componenti delle aree sciistiche, alla libera iniziativa economica privata, affidando alla Pubblica Amministrazione soltanto il pregnante compito di supervisore e regolatore, al fine di garantire tutela ed equilibrio nel perseguimento di vari interessi pubblici, a volte potenzialmente conflittuali tra loro, che quell’attività imprenditoriale variamente interseca.
Sia nella previgente l.r. 06.03.1990, n. 18, sia nell’attuale l.r. n. 21 del 2008, benché il legislatore veneto abbia utilizzato il termine “concessione” (ed anzi la locuzione, ancora più impropria – dato il contesto – ed equivoca, di “concessione di linea” (31)) non vi è traccia alcuna di procedimenti per l’affidamento di contratti pubblici di concessione (neppure quando si tratti di impianti a fune per il collegamento di centri abitati): i procedimenti disciplinati in quelle fonti sono tutti chiaramente architettati per sfociare nel rilascio di provvedimenti amministrativi, su iniziativa dei soggetti richiedenti, che abilitano, nel rispetto di varie condizioni, la realizzazione dell’impianto e il suo successivo esercizio aperto al pubblico (32). Anche quando abbiano ad oggetto impianti a fune per il collegamento di centri abitati, tra loro o con altri terminali del servizio pubblico locale di trasporto, il provvedimento di “concessione di linea” e l’autorizzazione alla realizzazione degli impianti, di cui all’attuale l.r. n. 21 del 2008, costituiscono soltanto i provvedimenti che ne consentono, dal punto di vista tecnico-amministrativo, la realizzazione e l’esercizio aperto al pubblico, mentre l’affidamento del servizio di trasporto pubblico locale, una volta previamente – anche solo dal punto di vista concettuale – acquisiti i titoli abilitativi richiesti dalla l.r. n. 21 del 2008, segue le norme proprie di quel settore (
33).
Anche nel versante regolamentare ed amministrativo – e dunque sul piano della diretta attuazione delle fonti legislative – gli atti prodotti dalla Regione Veneto e dagli altri enti territoriali confermano la conclusione raggiunta analizzando le fonti di rango superiore, ossia che gli impianti a fune ad uso sportivo o turistico-ricreativo sono stati tenuti al di fuori dell’ambito della materia del trasporto pubblico locale. Dall’esame del vigente Piano Regionale Neve, previsto dalla l.r. n. 21, del 2008 (34); del Piano Regionale dei Trasporti (35); della relazione – ex art. 37, comma 20, d.l. n. 179, del 2012 – dell’Ente di governo del trasporto pubblico locale del bacino della Provincia di Belluno (sicuramente, tra le province venete, la più significativa per presenza di impianti a fune ad uso sportivo o turistico-ricreativo rispetto al sistema del trasporto pubblico locale); delle relazioni previsionali e programmatiche di quella Provincia; dall’esame di quei testi, dicevo, emerge chiaramente come, per un verso, nel PRN non sia contenuta alcuna previsione che riguardi impianti a fune per il collegamento di centri abitati (ossia gli impianti a fune con funzione di trasporto pubblico locale), mentre nel Piano Regionale dei Trasporti, e nei documenti di area provinciale che riguardano il trasporto pubblico locale, sono totalmente e radicalmente esclusi gli impianti a fune ad uso sportivo o turistico-ricreativo (36). Non è dunque un caso che la stessa Provincia di Belluno, nella relazione previsionale e programmatica 2014-2016, nel programma dedicato alla «viabilità e mobilità», abbia precisato che, pur nel contesto della l.r. n. 21, del 2008, e dell’approvato Piano Regionale Neve, la competenza della Provincia è «limitata alla attuazione delle norme regionali nell’ambito dei procedimenti autorizzativi; si procederà ad una sempre maggiore semplificazione dei procedimenti in modo tale da eliminare inutili appesantimenti burocratici, mantenendo però, in funzione del rilevante interesse pubblico, una rilevante attenzione all’impatto ambientale e alla sicurezza degli utenti» (37). Dunque, per la stessa Provincia di Belluno, ente competente al rilascio del provvedimento di “concessione di linea” ai sensi della l.r. n. 21, del 2008, quella concessione altro non è che un provvedimento di natura meramente autorizzatoria.
E la Provincia di Belluno, nel parlare di “procedimenti autorizzativi” per riferirsi in modo sintetico al sistema amministrativo delineato nella l. n. 21 del 2008, coglie correttamente la reale sostanza di quel sistema, come ho cercato di argomentare più ampiamente nel mio precedente contributo, ma come risulta ben più chiaro, ora, alla luce autorevole della sentenza della Corte costituzionale in commento.
Come per il provvedimento di concessione di cui alla l.p. n. 1 del 2006 della Provincia autonoma di Bolzano, così anche per il provvedimento di “concessione di linea” di cui alla l.r. n. 21 del 2008, si può sostenere, per gli stessi motivi lumeggiati nella sentenza annotata, perfettamente sovrapponibili anche alla realtà legislativa ed amministrativa della Regione Veneto, che esso “appare piuttosto come un provvedimento che ‘abilita’ l’impresa richiedente alla realizzazione dell’opera e poi al suo successivo esercizio, nel rispetto delle condizioni fissate dalla concessione; e dunque come un provvedimento nella sostanza “autorizzatorio” di una attività economica, sia pure fortemente conformata, che come tale non rientra nell’ambito applicativo della direttiva 2014/23/UE e della Parte III del codice dei contratti pubblici, giusta il disposto del considerando n. 14 della direttiva e dell’art. 164, comma 1, secondo periodo, del codice.”.

Alberto Munari

Sentenza 103_2020

* nota a sentenza della Corte Costituzionale n. 103 del 29 maggio 2020.

 

1 Pubblicata in G.U., 1^ serie speciale, n.23, del 3.6.2020.
2 Cui debbono aggiungersi il relativo regolamento di attuazione, d.P.P. 13.11.2006, n. 61; la l.p. n. 23.11.2010, n. 14, “Ordinamento delle aree sciabili attrezzate” ed il relativo regolamento esecutivo, di cui al d.P.P. 12.01.2012, n. 3; la l.p. 23.11.2015, n. 15, “mobilità pubblica”, ed in particolare gli artt. 2, 11, 37 e 58.
3 A quel fine sono volte le disposizioni di cui all’art. 45 e all’art. 44, commi, 1, 2, 3, 5, 11, 16, 18, 19.
4 Immutano in varia misura la disciplina preesistente, le disposizioni di cui all’art. 44, commi 4, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 13, 14, 15, 17, 20, 21 e 22.

5 Quella disposizione, come sottolineato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza annotata, ha un diretto antecedente, a livello di diritto dell’Unione europea, nel considerando n. 14 della direttiva 2014/23/UE, ai sensi del quale “non dovrebbero configurarsi come concessioni determinati atti dello Stato membro, quali autorizzazioni o licenze, con cui lo Stato membro o
una sua autorità pubblica stabiliscono le condizioni per l’esercizio di un’attività economica, inclusa la condizione di eseguire una determinata operazione, concesse di norma su richiesta
dell’operatore economico e non su iniziativa dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore e nel cui quadro l’operatore economico rimane libero di recedere dalla fornitura
dei lavori o servizi. Nel caso di tali atti dello Stato membro, si applicano le disposizioni specifiche della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. A differenza di detti atti
dello Stato membro, i contratti di concessione stabiliscono obblighi reciprocamente vincolanti in virtù dei quali l’esecuzione di tali lavori o servizi è soggetta a specifici requisiti definiti
dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore e aventi forza esecutiva”.
6 Nella motivazione della sentenza annotata la Corte più volte li considera, espressamente, come autorizzazioni o provvedimenti autorizzatori, tout-court, ed il relativo procedimento come
“procedimento autorizzatorio” (cfr. p.s., ai punti 4.4., ult. §, e 4.4.1, della motivazione “in diritto”).
7 Cfr. la pregnante motivazione di Comm. trib. II grado Trentino-Alto Adige Trento Sez. I, Sent., 03.04.2017, n. 31.
8 Del resto, anche il legislatore statale, nei suoi interventi più recenti, ha considerato gli “impianti di trasporti a fune per la mobilità turistico-sportiva eserciti in aree montane”
tendenzialmente estranei al novero dei servizi pubblici locali: il comma 2-bis dell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 (comma introdotto dall’art. 1, comma 48, della l. n. 308 del 2004, e non abrogato né dall’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, né dal referen-dum che abrogò l’art. 23-bis), ha escluso l’applicazione dell’articolo 113, in materia di gestione delle reti dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, «agli impianti di trasporti a fune per la mobilità turistico-sportiva eserciti in aree montane»; l’art. 4, comma 7, del d. lgs. n. 175, del 2016, stabilisce che «sono altresì ammesse le partecipazioni nelle società aventi per oggetto sociale prevalente la gestione di spazi fieristici e l’organizzazione di eventi fieristici, nonché la realizzazione e la gestione di impianti di trasporto a fune per la mobilità turistico-sportiva eserciti in aree montane»: quella norma, come le altre dettate ai commi da 3 a 8, dello stesso articolo 4, introduce un’espressa eccezione alla regola generale stabilita ai commi 1 e 2 di quell’articolo, e l’introduzione di quell’eccezione risponde all’evidente ragione di giustificare, con un’espressa deroga, la persistenza delle società a partecipazione pubblica che in varie regioni gestiscono «impianti di trasporto a fune per la mobilità turistico-sportiva eserciti in aree montane», pur non essendo, quella gestione, oggetto di un servizio pubblico generale; e che le società a partecipazione pubblica che abbiano come oggetto sociale la realizzazione e la gestione di quel tipo di impianti non gestiscano un servizio pubblico di interesse generale è ribadito anche dall’art. 26, comma 12-quater, dello stesso d. lgs. n. 175 del 2016, laddove chiarisce espressamente che alle società partecipate di cui all’art. 4, comma 7, debba applicarsi il requisito di cui all’art. 20, comma 2, lett. e), relativo a «partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d’interesse generale […]».
9 Cfr. Corte Cost., n. 103 del 2020, p. 4.4. del considerato in diritto.
10 Questo è il senso della locuzione “in servizio pubblico”, utilizzata nella l.p. n. 1 del 2006, per come espressamente chiarito dall’art. 44, comma 1, l.p. n. 10 del 2018, inserendo il comma 2-bis nell’art. 2, l.p. n. 1 del 2006.
11 Nell’ambito di un giudizio di annullamento promosso dalla A.G.C.M. ex art. 21-bis, l. n. 287 del 1990, avverso un provvedimento di rinnovo della concessione ex l.p. n. 1 del 2006 per l’esercizio di un impianto funiviario triposto situato nel comprensorio sciistico della Val Senales.
12 E in quanto tali esclusi dall’ambito di applicazione della normativa, comunitaria e statuale, dei contratti pubblici.
13 Le questioni sono state sollevate in riferimento all’art. 117, comma 2, lettera e) della Costituzione, in relazione agli artt. 30 e 164, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016, e in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 3, 30 e 41 della direttiva 2014/23/UE nonché agli artt. 49, 56 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).
14 Cfr. Corte Cost., n. 103 del 2020, p. 3.5 della motivazione “in diritto”.
15 Corte Cost., n. 103 del 2020, p. 4.1 della motivazione “in diritto”, II §.
16 Per utilizzare, più che altro in funzione di una sintesi meramente indicativa, la classificazione manualistica di P. Virga, in Diritto Amministrativo. Atti e ricorsi, Giuffré, 1994.
17 Ben testimoniata, del resto, proprio dall’ordinanza di rimessione del T.R.G.A. di Bolzano.
18 Così ai pp. 4.2, 4.3 e 4.4 della motivazione in diritto della sentenza annotata.
19 La Corte costituzionale, con riferimento alla parola “concessione”, ricorda “come l’utilizzazione del termine «concessione» fosse in passato assai frequente nella legislazione statale, regionale e della stessa Provincia autonoma di Bolzano, a indicare provvedimenti nella sostanza autorizzatori di attività economiche o inerenti al diritto di proprietà (come nel caso dei provvedimenti di «concessione edilizia», previsti sino a tempi non lontani anche dalla legislazione nazionale), che nulla avevano in comune con la «concessione di lavori o servizi» (pubblici) di cui parlano ora, all’unisono, la direttiva 2014/23/UE e il codice dei contratti pubblici.” (cfr. ivi, p. 4.2. della motivazione in diritto); riguardo alla locuzione “in servizio pubblico” utilizzata nella l.p. n. 1 del 2006, invece, la Corte, una volta ricontestualizzata quella locuzione nell’intero impianto della legge provinciale, conclude che essa ha “l’evidente finalità di distinguere le funivie destinate a una generalità di utenti e quelle destinate invece a uso privato”, cosicché “nella logica della legge prov. Bolzano n. 1 del 2006, la nozione di impianto «in servizio pubblico» coincide dunque con quella di impianto «destinato al pubblico esercizio», come precisato ora dal nuovo comma 2-bis dell’art. 2 della legge, inserito dall’art. 44, comma 1, della legge prov. Bolzano n. 10 del 2018” (cfr. ivi p. 4.3, del considerato in diritto). Del resto, anche nel contesto dato dalla l. 23.06.1927, n. 110 e dal r.d.l. 07.09.1938 (le fonti normativi statali della disciplina degli impianti a fune, rimaste in vigore fino all’avvio della potestà legislativa delle Regioni), la definizione di impianti «in servizio pubblico» indicava un genere più ampio di quello composto dagli impianti destinati ad un servizio di trasporto pubblico locale: prova ne sia che erano disciplinati dal r.d.l. n. 1696, del 1938, in quanto destinati ad un «esercizio in servizio pubblico» (art. 1, comma 1), anche impianti a fune che, di norma, non potevano usufruire della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e che, eccezionalmente, potevano essere dichiarati di pubblica utilità, non per il fatto di svolgere un servizio pubblico di trasporto, ma per effetto del riconoscimento di una «particolare importanza turistica».
20 Corte Cost., n. 103 del 2020, p. 4.1 del considerato in diritto, ult. §.
21 Corte Cost., n. 103 del 2020, p. 4.4 del considerato in diritto.
22 Ed è forse opportuno rammentare che sono tali anche le regioni a statuto ordinario: cfr., p.e., Corte Cost. n. 252 del 2017 e 219 del 2013.
23 Corte Cost., n. 103 del 2020, p. 4.4 del considerato in diritto.
24 Tanto è vero che anche in diritto positivo, ormai, si riscontra in più fonti l’aperta rinuncia da parte del legislatore italiano (soprattutto quando è alle prese con disposizioni di origine comunitaria) a dare importanza ad una precisa titolazione dei provvedimenti: oltre alla disposizione di cui all’art. 164, comma 1, secondo periodo del Codice dei contratti pubblici (dove è fatto riferimento a “provvedimenti, comunque denominati”), si può prendere ad esempio l’art. 8, comma 1, lett. f, del d. lgs. n. 59 del 2010 (attuazione della direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno), contenente la definizione di “regime autorizzatorio”.
25 Corte Cost., n. 103 del 2020, pp. 4.4.1., 4.4.2., 4.5. del considerato in diritto.
26 E’ interessante evidenziare che fu proprio per giudicare della legittimità di incentivi accordati dalla Provincia di Bolzano per la costruzione di impianti a fune che la Commissione europea si espresse con la Comunicazione 2002/C 172/02 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, C 172/2 del 18.07.2002), citata anche nella motivazione della sentenza qui annotata come l’unica occasione, nota alla Corte, in cui la Commissione si è occupata del servizio di trasporto a fune per uso sportivo o turistico-ricreativo, espressamente escludendolo dal novero dei servizi di interesse economico generale, nonostante il “fatto che la costruzione e il funzionamento degli impianti a fune sono soggetti a concessione, il che obbliga l’impresa ad effettivamente gestire l’impianto e a trasportare tutti gli utenti ai prezzi correnti. È prassi normale che un certo numero di professioni e di attività siano soggette ad una speciale autorizzazione e a determinati requisiti. A questo riguardo, la situazione degli operatori degli impianti a fune non differisce sostanzialmente da quella delle imprese di altri settori e non significa che debba essere valutata ai sensi dell’articolo 86, paragrafo 2.» (ivi, §§ 41, 42 e 43).
27 La Corte rammenta (al p. 4.5., IV §, del considerato in diritto) che “tale possibilità è prevista per la generalità dei provvedimenti amministrativi (art. 21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»), compresi evidentemente quelli a contenuto autorizzatorio”.
28 Corte Cost., n. 103 del 2020, p. 4.4. del considerato in diritto, ult. due §§.
29 Dimostrazione che, per ventura, è imperniata sugli stessi cardini argomentativi della sentenza della Corte costituzionale: la sostanziale differenza tra servizi di trasporto pubblico locale e servizi di trasporto prestati dagli impianti a fune ad uso sportivo o turistico-ricreativo; l’equivoca polisemia delle locuzioni “concessioni di linea” e “servizio pubblico di trasporto”; la neutralità del corredo giuridico del provvedimento di concessione nella fonte legislativa veneta (corredo del tutto analogo a quello predisposto nella legge della Provincia autonoma di Bolzano e analizzato dalla Corte); la ricognizione, sia a livello legislativo, che a livello amministrativo, dell’assenza di una scelta politico-legislativa volta a ricondurre la realizzazione e la gestione degli impianti di risalita, e delle aree sciistiche attrezzate in genere, tra i compiti istituzionali degli Enti territoriali competenti al rilascio del provvedimento di concessione; la non pertinenza di precedenti giurisprudenziali fondati su legislazioni regionali dall’impianto opposto a quello della legislazione veneta (o bolzanina o di diverse altre regioni d’Italia).
30 Cfr. il mio contributo ”Spunti per una razionalizzazione della disciplina regionale degli impianti a fune nelle montagne del Veneto”, in AA. VV. “Scritti in onore di Ivone Cacciavillani”, 2018, p. 180 e s.
31 Sul reale significato da dare a quella locuzione, mi permetto di rinviare a Spunti per una razionalizzazione etc., cit., pp. 190 e ss.
32 Cfr. Spunti per una razionalizzazione etc., cit., pp. 181, nota 16, 190 e ss., e in particolare pp. 197 e s.
33 Norme che, è bene rammentare, non prevedono come unico e necessario sbocco quello dell’affidamento di contratti di concessione.
34 Approvato con deliberazione della Giunta regionale n. 217 del 26.02.2013.
35 Adottato nel 2005.
36 Cfr. Spunti per una razionalizzazione etc., cit., pp. 186 e ss.
37 Così, la relazione previsionale e programmatica 2014-2016 della Provincia di Belluno, alla p. 62, consultabile nel sito istituzionale della Provincia di Belluno, al link: http://www.provincia.belluno.it/nqcontent.cfm?a_id=7646).

 

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