Caro Andrea,

accolgo con piacere l’invito che mi hai rivolto, per la stima e l’affetto che nutro nei confronti di tuo padre, per il riferimento che egli ai miei occhi rappresenta.

Colgo quindi l’occasione per metter sulla carta alcune riflessioni sulla nostra professione, oggi come mai prima in tormentata trasformazione, che provo a sintetizzare, un po’ alla rinfusa, in queste righe.

Il ruolo dell’avvocatura non è cambiato rispetto ad un tempo: essa continua ad essere, come del resto l’Ordinamento ancora vuole che sia, strumento indefettibile per garantire che la giustizia amministrata sia effettiva Giustizia.

La professione dell’avvocato continua a richiedere impegno, competenza e  aggiornamento, assunzione di responsabilità, empatia ed immedesimazione nelle vicende e nelle necessità del Cliente.

Eppure, l’avvocato è oggi vessato da incombenti e balzelli che poco o nulla hanno a che vedere con questa sua funzione; è messo in condizioni che rendono difficile conservare alla professione i suoi connotati.

Ci si impone, ad esempio, di fare gli “inquisitori” dei nostri stessi Clienti (normativa antiriciclaggio); vicariando noi ad una funzione che dovrebbe essere dello Stato, e che comunque non può essere svolta proprio da colui cui il Cliente si affida! Quale rapporto fiduciario, quale empatia può effettivamente instaurarsi, se il soggetto che richiede la nostra assistenza si vede, preliminarmente, “messo sotto inchiesta” proprio da noi?

Ci si impone, per poter lavorare, di assicurarci contro gli infortuni. Che c’entra questo con l’esercizio della professione? Di tale assicurazione beneficeranno forse i nostri Clienti? E noi già non abbiamo un sistema di previdenza a cui contribuiamo lautamente?

I minimi tariffari sono stati aboliti. Ne guadagnano la qualità e la  professionalità, consentendosi di “svendere” il lavoro e promuovendo il “sottocosto”?

Dopo i minimi tariffari sono state più radicalmente abolite le stesse tariffe, che erano un riferimento oggettivo, consultabile da chiunque, per verificare la congruità della richiesta economica dell’avvocato, in ragione dell’attività che la pratica, a causa del suo sviluppo, aveva effettivamente reso necessaria.

E per ovviare al vuoto determinato dall’eliminazione del tariffario, veniamo ora obbligati a formulare ex ante, ed anche se il Cliente non lo richiede, un dettagliatissimo preventivo scritto per ogni pratica che introitiamo. A nessun altro professionista è imposto, almeno per quanto mi risulta, un simile onere: evidentemente si pensa che siamo inclini ad approfittare dei nostri Clienti, i quali vanno quindi messi in guardia rispetto alle nostre pretese.

Mi piacerebbe però almeno sapere se la mente illuminata che ha partorito questo ingegnoso sistema, ha mai provato a divinare quale sviluppo potrà effettivamente avere una pratica legale, prima che inizi (quanti atti si dovranno fare? quante questioni giuridiche si dovranno affrontare? quante udienze occorreranno? quante sessioni col Cliente e quanto lunghe? ecc. ecc.).

Il rapporto fiduciario e la professionalità sono pressoché banditi dagli incarichi delle pubbliche amministrazioni: l’imperativo che ne determina i destini è, ormai indiscriminatamente, il “massimo ribasso”.

Si ammette la costituzione di società di professionisti, cui possono partecipare anche soci non professionisti e, peggio, di solo capitale. Ciò non apre la strada al declassamento della professione in mero “servizio”, dove l’avvocato rischia di diventare (e mi riferisco soprattutto ai colleghi più giovani, che di capitali spesso non dispongono) “impiegato” di un operatore sostanzialmente commerciale, di fatto alla mercé delle scelte e delle decisioni di chi magari nemmeno è avvocato ma detiene la leva finanziaria?

Insomma, spero di sbagliarmi, ma ho l’impressione che la nostra professione, nobile, bella ed appassionante quale la persona di Luigi tuo padre dimostra che è, sia destinata a divenire in breve tempo un mestiere; anzi, che già lo stia diventando nella percezione e nella  considerazione della gente, delle istituzioni e degli operatori economici dai quali siamo oramai reputati un “fornitore” qualsiasi.

E la cosa mi inquieta.

Michele Steccanella

 

*Il presente intervento riprende l’analogo contributo pubblicato in “La professione del giurista – Scritti in onore di Luigi Manzi” – Editoriale scientifica, Napoli, 2018

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