Indice – sommario. 1. Un po’ di storia. Le composizioni del Tsap. 2. Il processo di cognizione diretta in unico grado. Cenni, anche sull’applicabilità del cod. proc. amm. 3. Alcune tipologie di contenzioso. 4. Conclusione. “Primum vivere”?

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Quando mi è stato domandato di parlare del contenzioso dinanzi al Tribunale superiore delle acque pubbliche (Tsap) ho ritenuto che fosse il caso di dare brevemente conto in via preliminare delle peculiarità che distinguono non solo il processo delle acque ma anche l’assetto ordinamentale del Tribunale superiore, e ho pensato a se e quanti si interroghino, anche nelle aule parlamentari, sul se il Tsap abbia ancora una sua ragione di esistere, sia al passo coi tempi e quale apporto effettivo in termini di tempi e qualità della risposta di giustizia stia dando e sia ancora in grado di dare in frangenti come quelli attuali.

Vediamo se al termine di questa relazione troveremo una risposta plausibile.

La domanda non appare scontata, specie in un clima di “futurismo processuale” come quello odierno, fatto di riti sommari abbreviati accelerati e super accelerati – o superspeciali, come quello su ammissioni e esclusioni da procedure di gara – viene in mente l’art. 120, comma 2 bis del c.p.a., di recente soppresso, in cui la telematica ci ha abituati a una immediatezza decisionale quasi impensabile non molti anni fa.

Tra processo amministrativo telematico (pat), pct, ptt e sigle e acronimi processuali – giudiziari vari il Tsap spicca come un organo alquanto “vintage” che funziona tuttora a forza di “biglietti di cancelleria”. Un processo ancora oggi del tutto cartaceo sul quale i commenti degli addetti ai lavori mi sembra si alternino tra “vecchiotto ma tutto sommato ancora funzionante”, e altre opinioni forse ingenerose che con “andamento carsico” lo considerano un organo da abolire.

E in effetti, un tentativo di soppressione del sistema giurisdizionale delle acque si era avuto nel 2002 – mi riferisco al decreto legge 11 novembre 2002, n. 251, non convertito – col trasferimento delle competenze dei tribunali delle acque in parte al giudice ordinario e in parte alla giurisdizione del giudice amministrativo: dai tribunali regionali delle acque al Tribunale ordinario, le controversie sulle materie, relative e diritti soggettivi, di cui all’art. 140 del testo unico sulle acque n. 1775 del 1933; dal Tsap al giudice amministrativo (Tar – Consiglio di Stato, giudice amministrativo “ordinario”), le cause di cui all’art. 143 del testo unico, con la precisazione che le azioni di condanna al risarcimento del danno venivano attribuite al giudice amministrativo nei casi devoluti alla sua giurisdizione e che i ricorsi per Cassazione, decisi dalle Sezioni unite, contro le pronunce di appello del Consiglio di Stato, erano circoscritti ai motivi attinenti alla giurisdizione.

Oggi, dopo che il Ministro della giustizia, lo scorso ottobre, a Bologna, al congresso dell’Unione nazionale degli avvocati amministrativisti, aveva annunciato iniziative rivolte alle soppressione dei tribunali regionali e del Tsap, il disegno di legge Atto Senato n. 1075 del 2019 contiene una nuova proposta di soppressione della giurisdizione sulle acque pubbliche e di attribuzione delle liti alla giurisdizione del (solo) giudice amministrativo, ad eccezione di quelle che riguardano indennità, devolute al giudice ordinario.

 

1. Quanto al Tsap, un passo indietro, un po’ di storia.

1916, tempo di guerra, prima industrializzazione. Nasce il Tribunale delle acque pubbliche, che concentra la competenza sulla materia, cruciale, della derivazione e utilizzo dell’acqua pubblica, in un solo giudice, cui è conferita una giurisdizione esclusiva inedita. Il sistema giurisdizionale duale – giudice ordinario / diritti soggettivi e giudice amministrativo (essenzialmente, Consiglio di Stato in unico grado) / interessi legittimi esiste dal 1889 o perlomeno dal 1907, con la creazione della quinta sezione.

1919 Sono creati otto tribunali regionali e un Tribunale superiore, quest’ultimo con funzioni sia di appello e sia di unico grado, e con composizione del collegio giudicante mista, formata da giudici ordinari di Cassazione e consiglieri di Stato, e integrata da un funzionario tecnico del Genio civile. Emerge la singolarità dell’organo giudiziario, o giurisdizionale.

1933 È approvato il testo unico n. 1775 sulle acque (e gli impianti elettrici, posto che le concessioni di – grande e piccola – derivazione di acqua pubblica, per produrre forza motrice, rivestivano, e mantengono tuttora, un’importanza fondamentale).

Gli articoli 138 e seguenti confermano la “geografia giudiziaria” e l’assetto ordinamentale dei tribunali, con una suddivisione di competenze, agli articoli 140 e seguenti e 143 e seguenti, fra i Tribunali regionali, e il Tsap in grado di appello –andando al concreto, sulle (limitate) controversie per risarcimento dei danni dipendenti da opere idrauliche eseguite da una P. A. – ad esempio, danni correlati alla esondazione di un torrente o derivati da una carente manutenzione di opere idrauliche, e con pochissimi appelli al Tsap, sulla proposizione dei quali oggi è assai probabile che abbia un ruolo seriamente “dissuasivo” la disposizione che prevede, per il caso di rigetto della impugnazione, il raddoppio del contributo unificato; e i ricorsi in unico grado, “di cognizione diretta del Tsap” (art. 143) affidati alla “giurisdizione di legittimità” del Tribunale superiore, beninteso, giudice anche del fatto sui motivi di incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge contro provvedimenti dell’Amministrazione “in materia di acque pubbliche” (2).

Viene concepito un processo semplificato, antiformalistico, povero di preclusioni processuali e con una fase istruttoria e cautelare delegata a un giudice monocratico, di norma relatore nell’udienza collegiale, con un disegno all’epoca moderno e tuttora vitale (v. articoli da 145 e 210 del t. u.).

Il Tribunale regionale è una sezione della Corte di appello presso la quale è istituito (art. 64 dell’Ordinamento giudiziario).

Del resto, per aversi organo specializzato della giurisdizione ordinaria ex art. 102 Cost. – sulle sezioni specializzate per determinate materie, occorre che la composizione mista sia in prevalenza di giudici ordinari il che, nel caso dei tribunali regionali in primo grado, avviene, e avviene anche per il Tsap giudice della impugnazione. Infatti, il collegio giudicante di appello, sebbene misto, è a cinque, con tre magistrati di Cassazione, un consigliere di Stato e il tecnico, sicché l’apporto preminente è di giudici della giurisdizione ordinaria, al cui interno è decisa la causa sia in primo grado sia in appello.

Diversa, e allargata a sette votanti, la “formazione” del Tsap “giudice di legittimità in unico grado di merito sugli interessi legittimi”: tre magistrati di Cassazione, tra i quali il presidente, tre consiglieri di Stato, e il tecnico, composizione che permane anche oggi. Del tutto evidente (siamo nel 1933) la simmetria, perlomeno numerica, con la composizione del collegio in Consiglio di Stato, il quale decideva con sette votanti (art. 43 del t. u. n. 1054 del 1924, e sarà così fino al 1982, quando l’art. 1 della l. 186 stabilirà che il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, divenuto dal 1974 organo di appello – sempre di ultimo grado della giurisdizione amministrativa – decide con l’intervento di cinque magistrati –v., oggi, l’art. 6 del cod. proc. amm.).

Prevale la tesi che qualifica il Tsap come giudice (amministrativo) speciale, antecedente alla Costituzione.

Il fondamento costituzionale di tale collocazione ordinamentale va ravvisato nel richiamo, compiuto all’art. 103, comma 1, Cost., agli “altri organi di giustizia amministrativa”.

Non ho dimenticato il componente tecnico.

Anzi. È elemento distintivo del Tsap.

Ne parlerò al momento di dare conto dell’esperienza processuale concreta.

 

2. Quanto al processo delle acque e al rinvio esterno, l’art. 208 del t. u. del 1933 compie un rinvio duplice.

Per tutto ciò che non è regolato dalle disposizioni processuali del medesimo testo unico (articoli da 145 a 210) si osservano, per i ricorsi ex art. 140, sui diritti soggettivi, le norme del codice di procedura civile del 1865. Per i ricorsi ex art. 143, ossia quelli che ci interessano qui e adesso, il rinvio è alle norme del t. u. n. 1054 del 1924 sul Consiglio di Stato.

A partire da Cass. civ., n. 5693 del 1981, il rinvio è considerato non recettizio, e quindi dinamico, alle disposizioni del codice di procedura e, per i ricorsi – di cognizione diretta – in unico grado davanti al Tsap, al cod. proc. amm.

Su questo tema rinvio a Cass. civ., sez. un., n. 24146 del 2017.

Sicché, in confronto con l’assetto processuale originario, e pur rimanendo, ancora oggi, il processo di cognizione diretta al Tsap, saldamente ancorato nella prassi a un “modello novecentesco” di tutela impugnatoria e annullatoria contro provvedimenti amministrativi autoritativi, in un’epoca relativamente recente sono stati introdotti istituti e strumenti di tutela per dir così “aggiuntivi” rispetto al giudizio di legittimità nella sua struttura “cassatoria” iniziale.

Mi riferisco in primo luogo alla azione di ottemperanza che, ai sensi dell’art. 112 e seguenti del cod. proc. amm. , va proposta, per attuare sentenze di accoglimento del Tsap rese in unico grado in sede di legittimità e rimaste ineseguite, innanzi al medesimo Tsap, il quale avrà giurisdizione estesa al merito, e non davanti al giudice amministrativo “ordinario” (v. sent. Tsap n. 158/2016); ove del caso domandando il pagamento di una somma di denaro a titolo di penalità di mora ai sensi dell’art. 114, comma 4, lettera e) del c.p.a. (Tsap, n. 49/2013).

Del resto, la cognizione dei ricorsi per ottemperanza richiede al giudice, ancor più della pronuncia sull’azione di annullamento, il possesso di quella competenza tecnica specifica per garantire la quale è prevista, tuttora, la presenza dell’esperto tecnico nel collegio giudicante.

Ancora, va proposto dinanzi al Tsap – e non al giudice amministrativo “ordinario” – il ricorso avverso il silenzio dell’Amministrazione obbligata a provvedere, in base al disposto di cui agli articoli 31 e 117 del cod. proc. amm. , quale rimedio processuale, non raro, nella pratica, a fronte di una durata eccessiva di procedimenti amministrativi specie nel settore delle concessioni di derivazione di acqua pubblica.

Sul punto, anche dinanzi al Tribunale superiore, analogamente a quanto avviene davanti al Tar e al Consiglio di Stato, vi è una grande prudenza del giudice nel pronunciarsi, come l’art. 31, comma 3, del c.p.a. permette di fare, sulla fondatezza sostanziale della pretesa dedotta in giudizio. Infatti, l’azione amministrativa “di settore” è contrassegnata spesso da profili valutativi tecnico – specialistici assai intensi, o da aspetti di discrezionalità anche mista (pensiamo alle valutazioni di compatibilità ambientale su determinati progetti di derivazione d’acqua) sì che il Tribunale superiore, non diversamente del resto dal Tar – Consiglio di Stato, finisce il più delle volte col limitarsi a disporre che la p. a. inadempiente provveda entro 30 giorni, lasciando impregiudicato l’esito della valutazione che la p. a., o il commissario “ad acta”, dovranno compiere.

Paradigmatica la sentenza del Tsap n. 62 del 2019: “le sentenze su ottemperanza e silenzio vanno redatte in forma semplificata (articoli 114, comma 3, e 117, comma 2, del c.p.a.)“.

Le Sezioni unite della Cassazione civile, con le sentenze n. 10148 del 2012 e 9534 del 2013 hanno poi aperto la strada all’azione di condanna avanti al Tsap al risarcimento del danno ingiusto nelle materie devolute alla giurisdizione del Tribunale superiore, essenzialmente in conseguenza dell’esercizio illegittimo dell’attività amministrativa, e ciò per due ragioni: perché nessuna norma del testo unico del 1933 esclude un tale strumento di tutela, e in virtù del rinvio dinamico dell’art. 208 del t. u. che legittima la domanda di condanna risarcitoria ai sensi dell’art. 30 del c.p.a.   .

Azione di condanna che però, nella “pratica d’aula”, mi sembra assai rara, prevalendo, come detto, la tradizionale tutela annullatoria (4).

Ancora, non di rado il Tribunale superiore applica l’art. 64, comma 4, del c.p.a., cui fa da “pendant” l’art. 116, comma 2, del c.p.a., sulla possibilità per il giudice di desumere argomenti di prova dal contegno processuale delle parti, quindi sia dalla mancata costituzione e sia dalla inesecuzione di un ordine istruttorio.

Un “innesto” volto ad ammodernare l’andamento del processo delle acque in unico grado coerentemente col principio costituzionale della ragionevole durata riguarda l’applicazione dei principi di chiarezza e sinteticità nella redazione del ricorso e degli altri atti difensivi.

Per i giudizi di cognizione diretta innanzi al Tsap manca – e non potrebbe essere diversamente, in assenza di una legittimazione conferita da una norma primaria, a differenza di quanto stabilito, per i giudizi davanti al giudice amministrativo, dall’art. 13 ter dell’Allegato 2 al c.p.a., e realizzato con decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 22 dicembre 2016 – un decreto dell’organo giudiziario di vertice sui criteri di redazione e i limiti dimensionali da applicare agli atti processuali di parte, anche se va ricordato che nel 2015 era stato sottoscritto un protocollo di intesa tra il Presidente della Corte di cassazione e il Presidente del Consiglio nazionale forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile (raccomandazioni che però a rigore non appaiono estensibili al giudizio in unico grado dinanzi al Tsap).

Tsap che, con la sentenza n. 77 del 2019, nel riconoscere al WWF ricorrente una legittimazione processuale estesa a censure non soltanto di rilevanza ambientale diretta ma anche di ordine meramente formale e procedimentale, poiché rivolte comunque all’annullamento di atti lesivi di un interesse ambientale, ha ritenuto, sia pure in un quadro di non diretta applicabilità del citato art. 13 ter al processo acquifero, che “sinteticità e chiarezza” restino doveri cui attenersi nella redazione degli atti processuali, dalla cui inosservanza potrebbero derivare sanzioni di diversa natura (quantunque non comminabili nello specifico caso deciso).

Sempre in tema di “trasferimento e immissione” di istituti dal processo amministrativo a quello di cognizione diretta avanti al Tsap, in ordine alla applicazione, in questi giudizi, dell’art. 73, comma 3, del c.p.a. per il quale, ove il giudice ritenga di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, la indica in udienza alle parti, segnalo che con la sentenza n. 183 del 2017 il Tribunale superiore ha deciso di respingere la richiesta della parte ricorrente, “avvisata” in udienza ex art. 73, comma 3, di un termine per depositare una memoria a difesa.

In primo luogo, si legge nella sentenza, il terzo comma dell’art. 73 non contempla in modo espresso un termine per controdedurre. E poi, anche a voler applicare l’art. 101, comma 2, del c.p.c., la possibilità, ivi prevista, di concedere un termine per controdedurre va esclusa qualora – come nella vicenda decisa dal Tsap – il giudice ritenga di porre a fondamento della propria decisione una questione di rito o di puro diritto, dovendo ammettersi tale possibilità solo se la questione individuata dal giudice è di fatto o di fatto e di diritto insieme (Cass. civ., I, n. 2984 del 2016).

A livello di esperienza processuale personale concreta, su singole fasi dei contenziosi segnalo tre aspetti che mi sembrano sul piano pratico peculiari e interessanti: il procedimento e provvedimento cautelare, l’istruttoria e ruolo e funzione del componente tecnico.

Nei giudizi al Tsap ex art. 143 del t. u. la fase cautelare, non infrequente nella pratica, è affidata al giudice monocratico delegato. Per l’art. 195 del t. u., “il ricorso non ha effetto sospensivo; la esecuzione dell’atto o del provvedimento può tuttavia essere sospesa per gravi ragioni con ordinanza motivata del giudice delegato, ad istanza del ricorrente”. L’istanza di sospensiva al giudice delegato deve essere notificata agli interessati ed alla amministrazione, “i quali, nel termine di giorni cinque da tale notifica, possono presentare istanza o memorie al giudice delegato. Prima che sia spirato tale termine, non potrà pronunciarsi sulla domanda di sospensione.”

La disposizione, che fa tornare alla mente il quasi coevo e altrettanto scarno art. 39 del t. u. n. 1054 del 1924 sul Consiglio di Stato sulla sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato “per gravi ragioni”, trova oggi un completamento nell’art. 56 del cod. proc. amm. sulle misure cautelari presidenziali adottabili anche “inaudita altera parte” in caso di “estrema gravità e urgenza”, disposizione nella pratica giudiziaria di assai rara applicazione, almeno a quanto mi consta, preferendosi ove possibile e per lo più l’assegnazione diretta del ricorso al giudice delegato il quale provvede nella prima udienza istruttoria in calendario, a contraddittorio completo.

La misura cautelare, sebbene consentita a tutela di interessi sia pretensivi e sia oppositivi, nella prassi è richiesta a tutela principalmente di questi ultimi (5).

L’accoglimento della istanza cautelare dovrebbe implicare, simmetricamente a quanto previsto dall’art. 55 del c.p.a., perlomeno una fissazione in tempi solleciti – se non l’individuazione diretta della data – dell’udienza (di precisazione delle conclusioni e dell’udienza) collegiale di discussione. E ciò sin dal 2000, se è vero che l’art. 3 della l. n. 205 del 2000, abrogato nel 2010 con l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, stabiliva che l’ordinanza del Tar di accoglimento della richiesta cautelare comportava “priorità” nella fissazione del merito.

La differente composizione dell’organo giudicante nella fase cautelare (giudice monocratico delegato, con una impostazione semplificata e moderna che trova riscontro solo in parte nel processo amministrativo ordinario, in cui prevale anche attualmente il giudizio collegiale) e nel merito (collegio con sette votanti !) impedisce, evidentemente, la definizione del giudizio con sentenza semplificata all’esito dell’udienza cautelare ai sensi dell’art. 60 del c.p.a. come “innestato” nel processo acquifero.

Prima che la sentenza semplificata amministrativa venisse legittimata con la legge n. 205 del 2000, dinanzi al Tar del Veneto trovava applicazione il “rito abbreviato veneziano” in base al quale, nella camera di consiglio fissata per la sospensiva, i ricorsi di agevole definizione e pronti per essere decisi, su accordo delle parti e previa rinuncia ai termini potevano essere definiti nel merito alla prima udienza pubblica, cui erano rinviati, dunque anche a una distanza di pochi giorni.

Non vedrei ostacoli a che il giudice del Tsap delegato all’istruzione e al cautelare, chiamato a decidere sulla istanza di sospensiva, in casi particolari, ove possa giungersi a una rapida definizione della lite perché ad esempio non complessa o risolvibile in rito, inviti le parti a precisare immediatamente le conclusioni e rimetta la causa alla prima udienza collegiale utile, ferma la rinuncia ai termini da parte dei difensori e l’assegnazione a questi ultimi di termini abbreviati a difesa.

In tema di soluzioni pretorie rivolte ad ampliare la tutela cautelare (che, come è intuibile, nel 1933 e dintorni non aveva minimamente il rilievo notevole che ha oggi), perlomeno dal 2006 – v. ord. coll. Tsap n. 10; v. anche l’ord. n. 4/2007; di recente, v. ord. n. 176/2017 – è consentito, come non di rado avviene, il reclamo o la richiesta di revoca o modifica, dinanzi al collegio, ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c., avverso l’ordinanza monocratica del giudice delegato.

Il giudice singolo delegato all’istruzione probatoria, cui spettano funzioni di ammissione e assunzione di mezzi di prova, può disporre anche verificazioni tecniche, ai sensi dell’art. 196 del testo unico, incaricando uno o più funzionari tecnici dello Stato.

La disposizione riecheggia l’art. 44 del t. u. n. 1054 del 1924.

Dal 2010, il cod. proc. amm. ammette la verificazione e la consulenza tecnica d’ufficio (ctu: cfr. articoli 66, 67, 19 e 20).

Dinanzi al Tar – Consiglio di Stato, la decisione istruttoria è tuttora tendenzialmente collegiale (v. artt. 63 e seguenti del c.p.a.). La decisione sulla consulenza tecnica e la verificazione è sempre adottata dal collegio (art. 65).

Dinanzi al Tsap, attraverso il rinvio dinamico disposto dall’art. 208 del t. u. (in questo caso all’art. 63, quarto comma, del c.p.a.), la consulenza tecnica è ammissibile solo se indispensabile.

Ora, la materia devoluta al sistema giurisdizionale delle acque è caratterizzata da “elevata specializzazione e spiccato tecnicismo”, come si legge in talune sentenze.

Gli aspetti tecnici delle controversie hanno spesso un rilievo preminente.

E non va dimenticato che, dopo avere ritenuto a lungo pressoché insindacabile quello che in sentenza veniva talora definito “merito tecnico valutativo”, oggi, perlomeno a partire dalla entrata in vigore del cod. proc. amm., similmente a quanto avviene nei processi amministrativi “ordinari”, e anche nella materia ambientale, il sindacato del Tsap, adìto in unico grado, sui poteri di valutazione tecnico specialistica delle p. a. , è almeno tendenzialmente intrinseco, quantunque non sostitutivo degli apprezzamenti tecnici opinabili – purché non inattendibili – compiuti dalle p. a. stesse, fermo il pieno accesso del giudice ai fatti di causa (v. da ultimo Cass. civ., sez. un., n. 10018/2019, p. 7.4., oltre che Tsap a partire, a quanto consta, dalla sent. n. 19 del 2012). Pensiamo ad esempio alla valutazione di equilibrio / compatibilità col bilancio idrico richiesta in sede di domanda di concessione per derivazione d’acqua a scopo idroelettrico o irriguo.

E’ in questo contesto che assume rilievo la figura dell’esperto tecnico.

Nelle controversie di cognizione diretta il rapporto tra diritto e tecnica ha un ruolo cruciale, al punto da avere indotto il legislatore a prevedere “uno speciale organo giurisdizionale nella particolare composizione richiesta” (con l’inserimento, cioè, del tecnico esperto – così, sent. Tsap n. 187/2018).

Tecnico che fino all’inizio del XXI secolo apparteneva al Genio civile.

Con la sentenza n. 353 del 2002 la Corte costituzionale, dopo avere giudicato rispondente a esigenze proprie della specialità della materia la scelta del legislatore di utilizzare, nel collegio giudicante, tecnici come componenti (6) ebbe a dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art. 138 del testo unico del 1933 nella parte in cui prevede(va) l’aggregazione al Trap del funzionario del Genio civile, e ciò per ragioni legate alla insufficiente indipendenza e terzietà del componente tecnico, ove il funzionario sia chiamato a esercitare funzioni giurisdizionali nella stessa materia affidata all’amministrazione di provenienza o co –dipendenza.

Attualmente, l’esperto è un iscritto all’albo degli ingegneri, un libero professionista che garantisce un contributo significativo di esperienza e preparazione specialistica, ad esempio, ma non solo, tutte le volte in cui si discuta di opere idrauliche interessate da concessioni di derivazione.

Peraltro, nelle diverse tipologie di cause di legittimità viene spesso in discorso una multidisciplinarietà tecnico scientifica che può riguardare ad esempio la botanica o altre discipline inerenti all’ambiente, sulle quali non è sicuro che l’ingegnere sia preparato in modo specifico.

A volte le amministrazioni costituite, enfatizzando il ruolo dell’esperto all’interno del collegio giudicante si spingono fino a dubitare della ammissibilità “di per sé” della istanza di ctu o di verificazione.

Per altro verso, a fronte delle scelte finali compiute dagli organi emananti, le domande di ctu, o di verificazione, avanzate dai privati ricorrenti, sono di fatto assai frequenti.

Non mi pare vi siano, oggi, ritrosie particolari del Tsap nel disporre indagini tecniche, affidandole a verificatori o consulenti, in base a quanto dispongono gli articoli 19, 66 e 67 del c.p.a. .

Osservo però che talvolta le sentenze risolvono questioni tecniche nodali indipendentemente dal ricorso a verificatori o a consulenti, motivando “sulla base della specifica competenza tecnica del collegio garantita dalla presenza dell’esperto”.

In proposito rinvio ad es. alla sentenza del Tsap n. 99/2019, su un diniego di variazione sostanziale di concessione di piccola derivazione legato all’aumento significativo della lunghezza del tratto aggiuntivo sotteso tra opera di presa e punto di restituzione dell’acqua, in un contesto di maggiore sofferenza e impoverimento del corso d’acqua interessato.

Va poi precisato che l’art. 167 del t. u. n. 1775 del 1933 consente un accertamento, o verificazione tecnica per dir così “interna”, affidata cioè all’esperto del collegio, il quale può accedere ai luoghi, descriverli e compiere ogni operazione indispensabile per appurare la verità.

La presenza dell’ingegnere nel collegio è utile?

Per quello che può valere un’opinione maturata dopo soli nove mesi di esercizio di funzioni giudiziarie al Tsap sì, lo è, tanto che da più parti ci si domanda se sia il caso di estendere la presenza del tecnico esperto – e di ridisegnare la competenza del Tsap, con la creazione “ex novo”, a quel punto, al di là di una semplice ri –denominazione, di un Tribunale specializzato per le controversie di carattere ambientale, o dicitura simile, riferita a tutte le controversie in materia di ambiente (ammesso che una perimetrazione precisa di tali controversie sia agevole).

 

3. Sulla tipologia del contenzioso molto è già stato detto (v. relazione avv. Lanna) sulla stratificazione degli strumenti di tutela in materia di acque e sulla impugnazione di misure del Piano di gestione acque (Tsap, sent. n. 185/2018), del PAI – Piano per l’Assetto Idrogeologico (sent. Tsap n. 7/2018) e del Piano di gestione del rischio alluvioni, con riguardo in particolare alle previsioni del livello di pericolosità relativo alle aree fluviali (sent. Tsap n. 151 del 2018).

E sono convinto che molto verrà detto dall’avv. Tudor sul contenzioso relativo a ordini di demolizione o dinieghi di sanatoria di manufatti, in quanto costruiti violando le distanze da corsi d’acqua o corpi idrici prescritte dalla legge (art. 96, lett. f), del t. u. n. 523 del 1904) o da regolamenti locali, a garanzia del libero deflusso delle acque e in funzione preventiva rispetto a rischi di esondazioni. Contenzioso quest’ultimo tutt’altro che raro, e stabilmente incardinato davanti al Tsap almeno da una quindicina d’anni, venendo in considerazione una incidenza diretta sulla materia delle acque, pur dopo che tali cause erano state lungamente appannaggio del complesso Tar – Consiglio di Stato.

Non intendo sovrappormi ad altri relatori.

Dico solo che il Tsap non è un giudice dell’ambiente inteso nella sua dimensione idrogeologica più piena. È giudice solo su talune “componenti ambiuentali”.

Se è vero che la giurisdizione di legittimità in unico grado del Tribunale superiore è circoscritta nel suo ambito, è vero anche che la stessa assume carattere “esclusivo e funzionale” con una varietà casistica significativa.

Uno dei “filoni” principali del contenzioso di cognizione diretta riguarda le procedure di concessioni di derivazione d’acqua a scopo (principalmente) idroelettrico (ma anche irriguo), riferito a grandi e piccole derivazioni, o le varianti sostanziali alle concessioni, anche in relazione ai rapporti, di non sempre agevole individuazione, con i provvedimenti, di cui all’art. 12 del d. lgs. n. 387 del 2003, che contiene principi fondamentali (C. cost., n. 364/2006) in materia di autorizzazione unica alla costruzione e all’esercizio di impianti idroelettrici (7).

Di norma ogni contenzioso sul punto coinvolge una pluralità di soggetti (in proposito si parla di sentenze “soggettivamente complesse”) e svariati interessi pubblici in conflitto: l’interesse alla protezione e conservazione dell’ambiente naturale, posto che ogni concessione di derivazione d’acqua rischia di deteriorare lo stato dei corpi idrici superficiali, da una parte, e l’esigenza di perseguire lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, dall’altra.

Si tratta di un contenzioso su scelte caratterizzate da un bilanciamento tra la libera iniziativa economica privata, legata all’obiettivo di massimizzare la diffusione delle Fer e in particolare la produzione idroelettrica (incentivata), da un lato, e la tutela dell’ambiente naturale e degli ecosistemi, correlata alla preservazione della qualità dei corsi d’acqua e alla esigenza di evitare alterazioni delle risorse idriche (in un contesto in cui, per effetto della liberalizzazione del settore elettrico, di cui al d. lgs. n. 264/1999, si è passati da fattispecie contraddistinte dal diritto di insistenza e da una situazione di favore accordato al gestore uscente una volta trascorso un periodo di norma lunghissimo del rapporto concessorio, ad assegnazioni di concessioni di grandi derivazioni mediante procedure di gara, anche se ancor oggi i concessionari uscenti proseguono di fatto nella gestione degli impianti).

Oppure vi sono controversie conseguenti a decisioni pubbliche di aumento dei valori del deflusso minimo vitale in alveo, specialmente nel periodo estivo e a garanzia di esigenze legate al (prioritario) consumo potabile, là dove viene in gioco il conflitto tra salute umana e utilizzo della risorsa a scopi agricoli…

Questi sono solo alcuni degli esempi di contenziosi portati all’attenzione del Tsap…

 

4. Concludo.

Ho cercato di illustrare il funzionamento e il contenzioso del Tsap in unico grado di merito.

La materia è alquanto settoriale e specialistica, di non sempre facile decifrazione.

La composizione mista del collegio giudicante garantisce una pluralità di saperi (e salutari scambi di vedute tra giudici ordinari di Cassazione e magistrati amministrativi del Consiglio di Stato).

Essa è arricchita dall’apprezzato ausilio del componente esperto.

Se mantenere così com’è il sistema giurisdizionale delle acque, o sopprimerlo, o altro ancora, è decisione che ovviamente spetta al legislatore.

In passato, le vicende su sopravvivenza o abolizione del Tsap hanno registrato un andamento altalenante.

Si è deciso in più occasioni di “salvare” la giurisdizione dei tribunali delle acque: con l’art. 5 della l. n. 1034/1971, con l’art. 34 del d. lgs. n. 80/1998, e da ultimo con l’art. 133, lettere b) ed f), del cod. proc. amm., sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di concessioni di beni pubblici, edilizia e urbanistica, “ferma restando”, appunto, la giurisdizione dei tribunali delle acque così come delineata nel t. u. del 1933 e dalle Sezioni unite.

Del decreto – legge n. 251 del 2002, non convertito però, sulla abolizione del sistema contenzioso delle acque, ho già detto all’inizio.

Vedremo quale sarà il percorso del d.d.l. Atto Senato 1075 di quest’anno sulla soppressione dei tribunali regionali e del Tsap.

Schiettezza comanda di non nascondere talune criticità oggettive del Tsap, quali:

-la carenza di informatizzazione / digitalizzazione, e

-(a parer mio) la composizione a sette del collegio “di cognizione diretta”, dato che possono aversi difficoltà di funzionamento specie in sede di riassunzione del processo in seguito alla cassazione della sentenza con rinvio dalle Sezioni unite al Tribunale superiore in diversa composizione, sussistendo obblighi di astensione. Né la previsione dei supplenti – su cui v. C. cost., n. 305 del 2002 – riesce in tutti i casi a risolvere tali difficoltà operative.

Inoltre, mi ha colpito un dato, emerso in un recente Seminario *: i nuovi ricorsi in primo grado innanzi a un Trap del Nord Italia sono circa 30 all’anno (al quale si aggiunge la statistica dei ricorsi proposti ogni anno al Tsap, circa 200 – 250, in gran parte in unico grado, pochissimi gli appelli), quando il carico di lavoro medio di un magistrato ordinario può superare i 1.000 affari. Il dato è (apparentemente) assai eloquente.

Nondimeno, fermi i numeri modesti, anche se non insignificanti, del contenzioso al Tsap, occorre tenere conto della rilevante complessità che caratterizza spesso le controversie decise in cognizione diretta, e delle positive peculiarità – penso alla presenza nel collegio dell’esperto tecnico – che contraddistinguono questo contenzioso, che di norma giunge alla udienza collegiale in tempi accettabili.

Il che, forse, concorre a fare giustizia dei rimproveri ricorrenti di inefficienza.

Marco Buricelli

 

(2) Trattare con un minimo di approfondimento la questione del criterio di riparto di giurisdizione specie fra Tsap in unico grado e giudice amministrativo “ordinario” sottrarrebbe troppo tempo. Basterà dire qui e ora che per Cass. SU è principio consolidato quello in virtù del quale, in base al principio desumibile dal R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 143, comma 1, lett. a) – che attribuisce alla cognizione diretta del Tribunale superiore delle acque pubbliche i ricorsi per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge avverso i provvedimenti presi dall’amministrazione “in materia di acque pubbliche” – devono ritenersi devoluti alla cognizione di tale Tribunale tutti i ricorsi avverso i provvedimenti che, per effetto della loro incidenza sulla realizzazione, sospensione o eliminazione di un’opera idraulica riguardante un’acqua pubblica, concorrono, in concreto, a disciplinare le modalità di utilizzazione di quell’acqua, onde in tale ambito vanno ricompresi anche i ricorsi avverso i provvedimenti che, pur costituendo esercizio di un potere non strettamente attinente alla materia delle acque e inerendo a interessi più generali e diversi ed eventualmente connessi rispetto agli interessi specifici relativi alla demanialità delle acque o ai rapporti concessori di beni del demanio idrico, riguardino comunque l’utilizzazione di detto demanio, così incidendo in maniera diretta ed immediata sul regime delle acque. Per converso, sono escluse dalla giurisdizione di detto Tribunale le controversie aventi ad oggetto atti solo strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime delle acque, le quali non richiedono le competenze giuridiche e tecniche, ritenute dal legislatore necessarie -attraverso la configurazione di uno speciale organo giurisdizionale, nella particolare composizione richiesta – per la soluzione dei problemi posti dalla gestione delle acque pubbliche. Tra queste, le controversie in cui rileva esclusivamente l’interesse al rispetto delle norme di legge nelle procedure amministrative volte all’affidamento di concessioni o di appalti di opere relative a tali acque (sul principio generale v. Cass. SU 33656/2018, ivi rif. ulteriori).

Non pare superfluo aggiungere che i motivi di impugnazione attinenti alle questioni di giurisdizione non esauriscono i casi dei ricorsi ammissibili dinanzi alle Sezioni unite civili avverso sentenze del Tsap. Tra i motivi di impugnazione contro le sentenze del Tsap rientra il vizio di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. , vale a dire l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio, l’anomalia motivazionale, la motivazione ridotta al di sotto del minimo costituzionale, la motivazione apparente, il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, la motivazione incomprensibile (ma non anche la semplice insufficienza motivazionale).

E vi è poi la violazione di norme di diritto, dovendo considerarsi superato l’art. 201 del t. u. n. 1775 del 1933, sulla impugnazione delle sentenze del Tsap in unico grado soltanto per motivi attinenti alla giurisdizione, atteso che l’art. 111 Cost. ultimo comma limita il ricorso in cassazione per i motivi attinenti alla giurisdizione alle sole decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.

(Un esempio recente di ricorso in cassazione per violazione di norme di diritto. La “tenda a lago” di Sirmione del Garda. Il titolare di un ristorante, vistosi accolto dal Tsap, con sent. n. 86/2018, il ricorso proposto dal confinante contro l’autorizzazione comunale a installare una veranda a pochissima distanza dal Lago di Garda, è ricorso in Cassazione deducendo in particolare la violazione dell’art. 360, n. 3, del c.p.c. , in relazione alla asseritamente errata interpretazione dell’art. 96/f) del t. u. n. 523 del 1904, che vieta in modo assoluto fabbriche a meno di 10 metri dalle acque pubbliche, sull’assunto della erronea equiparazione, da parte del Tsap, in relazione al vincolo di inedificabilità assoluta per inosservanza delle distanze minime, tra il regime del lago naturale regolato all’incile (corpo idrico fermo, sottolinea il ricorrente), e il corso d’acqua (che, appunto, scorre). Diversamente da quanto affermato dal Tribunale superiore nel 2018, per il ristoratore ricorrente il limite di distanza ex art. 96/f) si applica solo ai corsi d’acqua, per garantire libero deflusso e normale scorrimento, e non anche ai laghi).

La sentenze del Tsap non sono di facile reperimento. Si possono leggere – e talvolta sono massimate – nella banca dati Italgiure web, tra le banche dati del CED della Cassazione – sezione acque.

(3) Sul tema della natura e della composizione del Tsap rinvio anzitutto a Cass. civ. , sez. un., n. 9534 del 2013, e a una sentenza del Tar del Lazio, la n. 6992 del 2017, resa sulla questione della proroga del trattenimento in servizio di magistrati presso la Corte suprema di Cassazione ai sensi dell’art. 5 del d. l. n. 168 del 2016.

Sulla formazione composita del Tsap segnalo l’epiteto di “Giano bifronte” dato al Tribunale superiore per la diversa composizione, sempre mista ma a cinque per la decisione delle cause in grado di appello e a sette per la giurisdizione di unico grado di legittimità, pur avendo uno stesso presidente e una medesima sede (il Palazzo di giustizia a Roma) e organizzazione di cancelleria.

Per una tesi minoritaria (Giovanni Vacirca, 1991, che riprende i lavori dell’Assemblea costituente e valorizza il dato normativo in base al quale il Tsap è presieduto da un presidente di Cassazione il cui posto in organico è previsto nel ruolo della magistratura ordinaria), il Tribunale superiore anche quando giudica in unico grado andrebbe considerato sezione specializzata della giurisdizione ordinaria. Per approfondimenti rinvio alla voce Tribunali delle acque pubbliche dell’Enciclopedia giuridica.

Mi preme nondimeno riportare l’opinione espressa dal collega Hadrian Simonetti in un recente seminario * “riconoscere al Tribunale superiore natura di organo di giurisdizione ordinaria, per quanto specializzato, vorrebbe dire abbattere il muro che separa attualmente le giurisdizioni, ammettendo la circolazione di magistrati da un plesso all’altro e la possibilità che l’esercizio della giurisdizione possa conoscere momenti e luoghi di esercizio comune…si tratta di una strada che il memorandum tra le giurisdizioni, sottoscritto dai rispettivi vertici nel 2017, aveva indicato, con particolare riferimento alla composizione delle sezioni unite della Corte di cassazione come anche a quella dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, per la risoluzione delle questioni di giurisdizione o di particolare importanza ma che le associazioni interne alla magistratura ordinaria e alla stessa Cassazione hanno sin qui avversato, sostenendo che per istituire un Tribunale superiore dei conflitti deputato a dirimere le questioni inerenti alla giurisdizione occorre cambiare la Costituzione…”.

(4) Su risarcimento del danno e giurisdizione segnalo che Cass SU n. 12799/2017 ha dichiarato la giurisdizione del g. o. sulla domanda di risarcimento di danni sofferti dal privato il quale abbia fatto affidamento incolpevole sulla legittimità di una concessione di piccola derivazione d’acqua annullata in sede giudiziale dal Tsap.
Su risarcimento del danno e sentenza “sui criteri”, ex art. 35 del d. lgs. n. 80 del 1998 -v., ora, l’art. 34, comma 4, del c.p.a., cfr. sent. Tsap n. 11 del 2011.

(5) In sostanza, nella fase cautelare il giudice delegato compie un giudizio di verosimiglianza sulla fondatezza della pretesa e valuta la gravità e irreparabilità del danno comparandola con gli interessi pubblici, di frequente inerenti alla tutela dell’ambiente e in particolare alla salvaguardia dell’equilibrio idrico o alla conservazione della qualità del corso d’acqua, implicati. Per un esempio significativo di provvedimento cautelare di accoglimento parziale riferito a un decreto della Regione Lazio dell’estate del 2017 di azzeramento dei prelievi dal Lago di Bracciano, “sotto stress”, segnalo l’ord. n. 706 dell’11-14.8.2017 con la quale il giudice delegato ha accolto in parte l’istanza cautelare di Acea Ato 2 assentendo, in via temporanea, un prelievo sia pure limitato ad alcuni moduli d’acqua (100 l/s), avendo considerato preminente, in via provvisoria, l’esigenza di evitare rischi di natura socio sanitaria legati a carenze idriche, a tutela della comunità della città di Roma, rispetto a urgenze ambientali evidenziate dall’organo regionale emanante.

(6) Vale forse rammentare che la presenza dell’esperto nei tribunali delle acque non costituisce un “unicum” di “organo a formazione mista” nel nostro Ordinamento, che conosce invece svariate figure di “esperti” inseriti nei collegi giudicanti: nei tribunali minorili, nei tribunali di sorveglianza, nelle sezioni specializzate agrarie dei tribunali, oltre al militare c. d. “giudice d’arma” componente del collegio nei tribunali militari.

(7) Per dare un’idea delle dimensioni, l’energia idroelettrica è arrivata a costituire il 90 % di tutta l’energia prodotta sul territorio nazionale.

Attualmente proviene dall’idroelettrico circa il 15 – 20 % dell’energia e il 40 % delle energie rinnovabili (le c. d. Fer, notoriamente incentivate e che comprendono anche l’eolico e il fotovoltaico).

In Italia esistono più di 3.000 centrali idroelettriche. Si parla, al riguardo, di “idroelettrico, petrolio delle Alpi”.

Si tratta di concessioni di grande e piccola derivazione d’acqua a seconda della potenza prodotta – più o meno di 3.000 kW, in particolare a uso forza motrice per le grandi derivazioni, più di 200 kW per le medie derivazioni. Il mini idroelettrico non supera una potenza di 100 kW., ma il contenzioso sul mini idroelettrico appare ugualmente cospicuo.

Solo in Alto Adige sono circa un migliaio le centrali idroelettriche, gran parte delle quali medie e piccole.

Sono circa 300 gli impianti con potenza prodotta maggiore di 10 MW.

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Bibliografia essenziale:

  1. Simonetti, Passato e presente del Tsap. Relazione svolta al Seminario sul contenzioso in materia di acque pubbliche tra giudice ordinario e giudice amministrativo, organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Brescia –31 maggio 2019; in corso di pubblicazione sul Foro Amministrativo.
  2. Paire, Appunti sul rapporto tra Diritto e Tecnica. Il caso della giurisdizione sulle acque, in Il Diritto dell’Economia, n. 2/2018.
  3. Vacirca, Tribunali delle acque, Enc. Giur., 1991.
  4. Conte, Tribunali delle acque pubbliche, Enc. Diritto, 1992.
  5. Genovese e F. A. Genovese, Il processo di impugnazione delle decisioni del Tsap.
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