La Seconda Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale di Venezia ha espresso un nuovo orientamento interpretativo della L.R. 14 del 2009 con la sentenza n. 513 del 15 maggio 2018, secondo la quale la percentuale di ampliamento del fabbricato esistente, consentita dalla legge regionale del “piano casa”, non sarebbe cumulabile con la volumetria residua della sua area di pertinenza prevista dallo strumento urbanistico.

Secondo tale decisione, infatti, “la legge regionale del piano casa consente l’ampliamento, riferito a proporzioni dell’immobile esistente, solo se non è possibile realizzare l’ampliamento utilizzando le ordinarie previsioni del piano regolatore”.

Tale assunto, sempre secondo la sentenza, sarebbe deducibile dagli articoli 2 e 3 della stessa legge regionale n. 14 del 2009, che definirebbe le percentuali di ampliamento soltanto in base alla consistenza dell’edificio esistente e non alle previsioni di piano, per cui le predette percentuali di ampliamento dovrebbero essere considerate in deroga per la sola percentuale di volume o di superficie che eccede quella consentita dallo strumento urbanistico.

Conseguentemente, la deroga prevista dall’art. 2 della legge sarebbe ammessa soltanto se l’ampliamento consentito dalla legge regionale eccedesse la volumetria prevista dallo strumento urbanistico e soltanto per la quota di ampliamento eccedente, perché, a giudizio della medesima sentenza, sarebbe stata volontà del legislatore regionale non consentire deroghe alla pianificazione locale superiori a quelle necessarie alla realizzazione dell’ampliamento dei fabbricati esistenti.

La decisione ritiene di reperire una conferma di tale orientamento interpretativo nell’art. 3-bis della legge regionale che, per la realizzazione degli ampliamenti di prime case in zona agricola, consente che la percentuale di incremento volumetrico sia calcolata sulla volumetria massima ammessa di mc. 800 prevista dall’art. 44, comma 5, della L.R. 11/2004, anziché con riferimento al volume esistente.

Da tale disposizione viene dedotta la conferma della regola per cui l’ampliamento di costruzioni esistenti al di fuori della zona agricola andrebbe calcolata non sulla volumetria massima assentibile ma soltanto sulla volumetria esistente.

Tale interpretazione viene, inoltre, ritenuta coerente con la disciplina della recente legge regionale n. 14 del 2017 sul contenimento del consumo di suolo, il cui articolo 3 impone la limitazione ed il controllo dell’uso del suolo.

L’attività ermeneutica che la Sezione ha compiuto con la citata sentenza n. 513 del 2018 è approdata a conclusioni che sembrano meritare un approfondimento della riflessione sul testo letterale della legge e ancor più sulla volontà del legislatore regionale come espressa, in particolare, nelle circolari contenenti le note esplicative delle leggi che hanno ripetutamente regolato e regolano la materia del “piano casa”.

Infatti, va anzitutto osservato che proprio l’art. 2 della legge assume come unico parametro di riferimento per la determinazione degli incrementi di volume e di superficie la consistenza dei fabbricati esistenti, senza attribuire alcuna rilevanza alle previsioni stereometriche degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi, dei quali prevede la deroga senza limitazioni o particolari prescrizioni.

L’assenza di ogni riferimento limitativo agli indici di fabbricabilità degli strumenti urbanistici lascia intendere che il legislatore regionale li ha ritenuti indifferenti ai fini del calcolo degli incrementi consentiti.

Che questa fosse la volontà del legislatore regionale emerge con chiarezza e senza alcun possibile dubbio dalle circolari illustrative della legge originaria e delle sue successive modifiche, sicuramente utilizzabili ai fini dell’interpretazione del suo contenuto, come insegna l’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile.

La circolare regionale n. 4 del 29 settembre 2009, contenente le note esplicative dell’originaria L.R. 8 luglio 2009, n. 14, commentando i commi 1 e 2 del fondamentale art. 2, spiega:

“L’art. 2, comma 1, disciplina l’ipotesi di ampliamento degli edifici esistenti nei limiti del 20% del volume per gli edifici destinati ad uso residenziale, e del 20% della superficie coperta per gli edifici ad uso diverso. La percentuale va applicata esclusivamente alla consistenza degli edifici esistenti, prescindendo quindi dagli eventuali ampliamenti realizzabili in via ordinaria sulla base degli strumenti urbanistici vigenti”.

La circolare regionale n. 1 dell’8 novembre 2011, contenente le note esplicative della L.R. n. 13 del 2011, che ha apportato le prime modifiche alla legge originaria, approfondendo il commento dei commi 1 e 2, del medesimo art. 2 della L.R. 14/2009 conferma ancora più chiaramente:

Gli interventi del piano casa non consumano la potenzialità edificatoria prevista dagli strumenti urbanistici vigenti; pertanto rimane ferma la possibilità di ampliamenti ulteriori, rispetto a quelli della legge regionale n. 14/2009, eventualmente consentiti in base a tali strumenti”.

Come già accennato, la sentenza ritiene di rivenire la conferma della propria tesi nell’art. 3-bis della stessa legge regionale n. 14 del 2009 e nell’art. 3 della più recente legge regionale n. 14 del 2017, contenente le disposizioni sul contenimento del consumo di suolo.

Nessuno dei due argomenti, tuttavia, sembra dare sostegno alla tesi interpretativa proposta.

Secondo l’argomentazione esposta nella decisione, dalla circostanza che l’art. 3-bis consente l’ampliamento della prima casa in zona agricola calcolato non sul volume esistente ma su quello massimo di mc. 800 previsto dall’art. 44, comma 5, della L.R. 11/2004, si dovrebbe trarre la conclusione che l’ampliamento delle abitazioni esistenti in zona diversa da quella agricola va calcolato non sulla volumetria massima assentibile ma sulla volumetria esistente.

In realtà, l’argomento addotto non prova nulla proprio perché è la stessa legge regionale che impone di calcolare sul solo volume esistente l’incremento volumetrico delle abitazioni edificate al di fuori della zona agricola.

Inoltre, la norma in materia di ampliamenti delle abitazioni in zona agricola non potrebbe certo costituire un parametro di valutazione estensibile ai casi di ampliamento delle costruzioni ad uso di verso da quello residenziale.

Evidentemente, la norma dell’art. 3-bis contiene una disposizione eccezionale valida esclusivamente in zona agricola e con riferimento unicamente all’incremento delle prime case di abitazione: la sua natura eccezionale ne impedisce l’assunzione quale elemento interpretativo o paradigma di legittimità della disciplina diversa ed esterna all’ambito agricolo.

Il principio che vorrebbe dedurre da esso la sentenza è, tuttavia, contraddetto dalla volontà ancora una volta espressa dal legislatore regionale nelle circolari illustrative della legge.

La circolare n. 4 del 2009, a proposito del comma 6 dell’art. 9 spiega che “per la prima casa di abitazione, qualora la volumetria esistente sia inferiore a quella massima realizzabile ai sensi della L.R. 11/2004, l’ampliamento va determinato su quest’ultima. Per gli altri edifici residenziali che non siano prime case di abitazione, la misura dell’ampliamento va determinata sulla volumetria legittimamente esistente; analogamente per gli edifici non residenziali”.

In maniera ancor più significativa, la circolare n. 1 del 2011, illustrando i contenuti dell’art. 2, chiarisce che l’ampliamento della prima di abitazione, secondo la previsione dell’art. 9, comma 6, “è calcolato non sul volume esistente bensì sul volume massimo assentibile ai sensi della normativa vigente. L’ampliamento può essere realizzato anche qualora la prima casa di abitazione ubicata in zona agricola abbia una volumetria esistente superiore al predetto limite, nel qual caso la percentuale di ampliamento va calcolata sul volume esistente”.

Tale passo della circolare consente una conclusione diametralmente opposta a quella della sentenza: in zona agricola la percentuale di ampliamento delle costruzioni costituenti o non costituenti prima casa va calcolata sul volume esistente senza tenere conto del limite quantitativo massimo previsto dalla legge urbanistica che, per un verso, può essere superato e, per altro verso, non limita o condiziona l’applicazione della disciplina di ampliamento.

Proprio in zona agricola, dunque, il legislatore regionale prevede che l’incremento volumetrico del piano casa si sommi a quello consentito dallo strumento urbanistico e lo integri anche nel caso in cui la costruzione esistente abbia già un volume addirittura superiore a quello massimo permesso dallo strumento urbanistico medesimo.

La Regione conferma, dunque, il principio generale per cui l’unico parametro di riferimento per la determinazione dell’incremento del volume o della superficie delle normali costruzioni all’esterno o all’interno della zona agricola, siano destinate ad abitazione o ad altri usi, è costituito esclusivamente dalla consistenza dei fabbricati, mentre le previsioni stereometriche degli strumenti urbanistici sono irrilevanti.

Nessun argomento a favore della tesi interpretativa sostenuta nella sentenza può essere tratto, inoltre, dalla recente legge sul contenimento del consumo di suolo, poiché il suo articolo 12, comma 1, lett. g) ne esclude espressamente l’applicazione al regime del “piano casa” contenuto nella L.R. 14/2009.

L’interpretazione qui sottoposta a revisione critica appare, peraltro, in evidente contrasto con i principi di uguaglianza e di buona amministrazione presidiati dagli art. 3 e 97 della Costituzione.

La sua applicazione concreta, infatti, sarebbe destinata a determinare una inammissibile disparità di trattamento tra le costruzioni che avessero totalmente esaurito l’indice di fabbricabilità e quelle che potessero ancora giovarsene, non avendolo completamente consumato.

Le prime potrebbero essere ampliate nelle percentuali massime previste dalla legge regionale, mentre le seconde, come deciso con la sentenza n. 513/2018, dovrebbero subire una decurtazione della percentuale di ampliamento corrispondente alla potenzialità di edificabilità ancora consentita dallo strumento urbanistico.

Gli effetti contrastanti con il principio costituzionale di uguaglianza emergono in maniera chiara dal confronto di due casi/esempi relativi ad altrettanti lotti di terreno di uguale potenzialità edificatoria massima pari a mc. 1.000 ma edificati l’uno con un fabbricato di mc. 1000 e l’altro con un fabbricato di mc. 800.

Applicando il criterio suggerito dalla sentenza, il fabbricato di mc. 1.000, potrebbe essere ampliato, in applicazione dell’art. 2, commi 1, 5 e 5 bis della legge regionale, di ulteriori mc. 450; viceversa, il fabbricato di mc. 800, in applicazione delle medesime disposizioni potrebbe essere ampliato soltanto di mc. 160, perché dall’entità teorica di mc. 360 dovrebbe dedursi il volume di mc. 200 ancora consentito dalla disciplina di zona dello strumento urbanistico.

La differenza di ben 290 mc. tra due fabbricati con uguale potenzialità edificatoria risulta ingiustificata e irragionevole.

In applicazione del medesimo principio, inoltre, nel caso in cui il manufatto oggetto d’intervento avesse già un volume superiore a quello previsto dallo strumento urbanistico in vigore, il volume in ampliamento previsto teoricamente dalla legge regionale dovrebbe essere ridotto in misura pari all’entità del volume che supera quello previsto dalla disciplina di zona.

Così operando, tuttavia, verrebbe completamente sovvertito il criterio di calcolo dell’incremento regolato dalla legge regionale 14/2009, che indica quale base di riferimento il volume o la superficie “degli edifici esistenti”.

L’unico modo per eliminare la manifesta disparità di trattamento è di ritenere, come sostenuto dalla Regione, che gli ampliamenti previsti dalla legge del “piano casa” si aggiungono a quelli non consumati previsti dallo strumento urbanistico e non ne sono, quindi, condizionati.

In alternativa, si dovrebbe ritenere che la disciplina di ampliamento prevista dal “piano casa” sia applicabile ai soli edifici che non hanno esaurito l’indice di fabbricabilità assegnato all’area di pertinenza, ma tale interpretazione non sembra affatto deducibile dal contenuto della legge regionale n. 14 del 2009 né sembra in alcun modo coincidere con la volontà espressa dal legislatore regionale.

Va, quindi, condiviso il precedente orientamento espresso dalla medesima Sezione del TAR in diversa composizione, a proposito dell’ampiezza della deroga prevista dall’art. 2, comma 1, della legge regionale, secondo cui va “ritenuto che l’ampia locuzione usata dal legislatore include tutti i contenuti territoriali, urbanistici ed edilizi degli atti di pianificazione di ogni livello, con la sola esclusione, in quanto estranei al campo applicativo della L.r. n. 14/2009, dei contenuti ambientali e paesaggistici” (Tar Veneto, 13 giugno 2013, n. 835).

Stefano Baciga

 

*Sentenza 513_2018

 

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