Di Feliciano Benvenuti si è detto e ricordato, sulle sue opere si è riflettuto molto e non è certo il sottoscritto in grado di aggiungere elementi significativi.

Si tratta di una delle voci più autorevoli della dottrina amministrativistica italiana, acuto osservatore della società, ineguagliabile ingegnere della struttura amministrativa, autorevole Rettore di università, ascoltato amministratore e consigliere delle più importanti società pubbliche, bancarie e finanziarie d’Italia.

Un uomo fedele agli ideali del suo Paese, per il quale ha patito la prigionia in Germania, e soprattutto della sua città – Venezia – della quale è divenuto idealmente l’ultimo significativo Doge.

Una voce della scienza giuridica ancorata alle tradizioni ma proiettata, con visioni ed intuizioni anticipatrici, nel futuro, assumendo il ruolo garbato del fustigatore dell’inerzia della P.A., dell’inutilità delle sovrastrutture e dei centralismi.

La solidità poliedrica della sua cultura, la valutazione del passato e del presente quali apporti alla costruzione del futuro hanno rappresentato lo stimolo per tenacemente proporre un nuovo rapporto con le istituzioni pubbliche e, quindi, una diversa struttura amministrativa nella quale collocare e suffragare le aspirazioni e gli obblighi del nuovo cittadino, artefice e responsabile della emergente e incanalabile democrazia partecipativa.

Ne è espressione l’opera “Il Nuovo cittadino” che ha per sottotitolo “Tra libertà garantita e libertà attiva”. Si avvertono un anelito ed una spes che spingono ad un ordinamento rinnovato in cui i due menzionati aspetti di un’unica libertà confluiscono in capo al nuovo cittadino, svincolato dalle consuetudini, partecipe consapevole della nuova società che ruota attorno a lui e di cui esprime la forza centripeta nei confronti dello Stato accentratore che si racchiude su se stesso.

Una visione dinamica che partendo dall’istituto della funzione e del procedimento contrassegna tutte le nuove concezioni dell’architettura amministrativistica del terzo millennio. Viene, cioè, rafforzata e giustificata la necessità del passaggio dalla libertà “assicurata” ad una nuova ipotesi di libertà orientata che si compendia nell’esercizio da parte del cittadino del potere di impulso, di sostituzione e di controllo dell’attività dello Stato. Emerge una incondizionata fiducia nel cittadino, singolo e comune, espressione della polis.

Ideale fascinoso che si completa con l’opera “Disegno della Amministrazione Italiana” che costituisce il suo testamento di giurista eccelso ma inappagato. Inappagato perché il mondo della politica, che ha cercato di plasmare con le sue intuizioni e di cui è stato per molti aspetti, come era nel suo costume un occulto consigliere, è rimasto ripiegato e freddo a fronte dei suoi orientamenti ed insegnamenti, espressione di una voce libera, non certo coercibile o strumentalizzabile.

Ecco la consapevole “presunzione” di questo “gigante del Diritto”, che si è allora dedicato appieno all’Università, al Rettorato, inteso quale strumento e cattedra di vita e di conoscenza, tale da imporre la forza delle idee e della saggezza ad una realtà pragmatica, propensa a chiudersi in interni riti, invidiosa ancorché rispettosa dell’umano sapere.

Duttilità dell’uomo che se connota gli aspetti didattici e scientifici, è espressione peculiare della sua formazione professionale e del suo essere avvocato.

Ora Feliciano Benvenuti, se è stato un incomparabile professore universitario è stato, del pari, un eccelso avvocato. Alla solidità culturale, che gli consentiva di spaziare in tutti i campi dello scibile, dalla storia, alla sociologia, alla filosofia, addirittura di dedicarsi agli hobby più inconsueti (cultore degli arazzi e delle stampe), si è accompagnata una intuizione straordinaria che gli permetteva di cogliere gli elementi salienti del processo, anticipando le perplessità, rafforzando le certezze.

Certo i momenti, le realtà ed il palcoscenico in cui, comunque, da protagonista allora si poneva erano ben diversi da quelli attuali, nei quali la frammentazione del quadro normativo, la esasperazione delle competenze impongono un’emergenza specialistica, ostile ad una conoscenza generale.

Anche in questo scenario è, comunque, emersa la sua capacità di tracciare una via univoca, di comparare gli istituti, di analizzare i massimi sistemi, di spingersi all’interpretazione delle norme, ricondotte dall’astrattezza alla concretezza, dall’incongruenza alla logicità, pur nel loro confuso dipanarsi.

D’altro canto le “singolarità” il Professore le affidava nello sviluppo della causa o del processo ai suoi collaboratori nei quali, dopo attento esame, riponeva la propria fiducia. Anche in questo era proiettato nel futuro: il suo insegnamento nasceva sul campo. La capacità o meno di risolvere i problemi dettati dalle pratiche di volta in volta affidate costituiva il viatico per proseguire nel suo studio, per intraprendere l’attività professionale, a prescindere dal target personale, familiare o sociale.

Il suo studio, imperniato sul suo nome e sulla sua persona, non aveva bisogno di adesioni esterne. E questo è stato, forse, il suo limite professionale perché non ha mai ipotizzato una articolazione complessa, radicata oltre la sua figura. Il punto di riferimento era lui e lui soltanto.

Mi sembra ancora di sentire la sua voce con quell’eloquio distaccato, scorrevole, spesso pausato, sovente ironico, facendo apparire come spunto improvvisato il frutto, invece, di una meditata riflessione e di una profonda elaborazione concettuale, che sorreggevano il suo dire, anche quello apparentemente banale.

Mi sembra ancora di vederlo intento sulle carte, con il suo sigaro tra le dita. Lo vedo ancora spegnermi la luce della stanza, a tarda sera, per indurmi a smettere, quasi dispiaciuto e responsabile di una dedizione così prolungata.

Sapeva farsi amare dai suoi collaboratori, li incoraggiava nel cammino della professione, li gratificava con elogi. Letti gli elaborati, apprezzava i loro sforzi, li invitava a non rassegnarsi, né mai a debordare, sul piano etico, dalle linee tracciate da un foro, quello veneto, di altissimo valore, di grande prestigio, di obiettivo equilibrio e serietà.

Allora (come ora) era deprecata la frettolosità argomentativa di molte sentenze.

Con queste doti umane e professionali è divenuto, quarant’anni fa, il primo Presidente dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti.

Pur in quei tempi, ormai remoti, ha compreso che le tutele della categoria, degli ideali professionali, a fronte delle spinte contrapposte della società, potevano trovare un baluardo ed uno stimolo efficace nell’aggregazione delle forze e degli intenti, superando i singolarismi: anche in questo è stato un vero precursore.

Ha esaltato, con il suo rigore intellettuale, con il suo spessore culturale intere generazioni di discenti ed avvocati; ha segnato un’epoca in cui gli ideali, il merito, l’impegno erano degni di considerazione e non sbiadivano soffocati dal cinismo e dalla mediocrità. D’altro canto parliamo di un momento “diverso e sacrale”, caratterizzato dalla presenza di un Giannini – Sandulli – Nigro – Lessona – Predieri, senza dimenticare Guicciardi e con lui l’intera facoltà giuridica di Padova: un vero cerchio magico culturale.

Con queste modeste ed elementari considerazioni mi rivolgo umilmente e riconoscente al mio Maestro, di cui ho cercato di custodire gli insegnamenti, di perpetrarne la memoria anche nelle aule giudiziarie di essere rigoroso con me stesso, come lo era lui, di raccogliere il suo testimone alla guida dell’Associazione Veneta, consapevole che se il ricordo si attenua, rimane il seme gettato non casualmente nella buona terra, pronto a rifiorire (come meglio ha precisato di recente in una prolusione elogiativa Enrico Gaz).

Per merito di questi grandi Maestri, pur nell’asprezza del momento, indossare la toga ci onora ancora e ci fa capire, come Lui ha scritto, che “L’avvocato è (sempre) qualcuno”.

Franco Zambelli 

*Intervento svolto nel corso del XXX Convegno annuale dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti in ricordo del prof. Feliciano Benvenuti organizzato in collaborazione con l’Unione Nazionale Avvocati Amministrativisti – 3 luglio 2020.

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