Sommario: Premessa – 1. Fatto e svolgimento del giudizio: la conferma delle sanzioni antitrust da parte del Consiglio di Stato – 2. Sindacato forte (o, quantomeno, “rafforzato”) del giudice amministrativo – 3. Effetti del giudicato amministrativo sulle sanzioni antitrust nel giudizio civile – Considerazioni finali.

Premessa
In un recente articolo di giornale, apparso il 19 luglio 2019 su La Cronaca del Veneto, il Presidente della Giunta regionale del Veneto, dott. Luca Zaia, si dice pronto ad intraprendere un’azione giudiziaria al fine di ottenere da due note case farmaceutiche (Novartis Ag e F. Hoffmann – La Roche Ltd.) “la restituzione di quanto speso ingiustamente in più”.
Di tale avviso sarebbe anche l’Amministrazione regionale del Friuli Venezia-Giulia, la quale – secondo quanto riportato nell’articolo intitolato “Cartello sul Lucentis, la Regione pronta a fare causa ai big dei farmaci”, apparso su Il Piccolo del 1° agosto 2019 – avrebbe già quantificato l’ammontare di questa “restituzione” (circa 7,5 milioni di euro) e starebbe ora valutando la possibilità di esercitare un’azione risarcitoria congiunta con alcune Regioni contro le due multinazionali.
La sirena d’allarme, che spinge oggi i governatori a chiamare a raccolta le rispettive Avvocature contro due big dell’industria galenica, è scattata il 15 luglio 2019, con la pubblicazione della sentenza n. 4990 della Sesta Sezione del Consiglio di Stato.
Con la citata decisione, i giudici di Palazzo Spada hanno “confermato” le sanzioni applicate nel 2014 dall’Autorità Garante della Concorrenza del Mercato (in breve, AGCM o Autorità antitrust) nei confronti delle società Novartis Ag (di seguito: “Novartis”) e F. Hoffmann – La Roche Ltd. (di seguito: “La Roche”), tra le quali è stata accertata l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza volta ad ottenere una differenziazione artificiosa dei farmaci Avastin e Lucentis.
Nel commento che segue, si cercherà di approfondire – dopo una breve sintesi dei fatti – le questioni più rilevanti affrontate dal Consiglio di Stato nella predetta sentenza, soprattutto con riguardo al rapporto tra sindacato giurisdizionale e potere amministrativo, per finire con un’analisi delle implicazioni della decisione sull’azione di risarcimento per illecito “concorrenziale” che le Regioni intendono esercitare avanti il giudice ordinario.

1. Fatto e svolgimento del giudizio: la conferma delle sanzioni antitrust da parte del Consiglio di Stato
Nel 1989, i ricercatori della società biotecnologica Genetech, soggetta al controllo del gruppo La Roche, scoprirono una proteina (denominata VEGF) prodotta dall’organismo umano responsabile – tra l’altro – della formazione di vasi sanguigni anomali che contribuiscono alla crescita delle cellule tumorali in alcune patologie oncologiche.
Conseguentemente, l’attività degli scienziati si incentrò sui possibili metodi di inibizione della VEGF: nel 1993, quindi, venne messo a punto il metodo per ottenere il bevacizumab, un anticorpo in grado di contrastare l’azione della suddetta proteina, che diverrà poi il principio attivo dell’Avastin.
Successivamente, la sperimentazione rivelò che il bevacizumab aveva degli effetti positivi anche nella cura di altre patologie, in particolare della degenerazione maculare senile (AMD). Tuttavia, i ricercatori della Genetech ritennero l’uso dell’anti-VEGF non prudente in campo oftalmico (per le possibili controindicazioni in termini di efficacia e sicurezza) e decisero di sviluppare un anti-VEGF specifico per tale ambito.
Venne così individuato il ranibizumab, divenuto successivamente il principio attivo del Lucentis.
Completata la sperimentazione, l’Avastin e il Lucentis vennero affidati in licenza – rispettivamente – alla Roche e al gruppo Novartis, affinché provvedessero alla rispettiva registrazione e alla successiva commercializzazione nei mercati mondiali.
Con riguardo all’Italia, il primo apparve nel 2005, quando l’Agenzia italiana del Farmaco (AIFA) recepì l’Autorizzazione europea all’Immissione in Commercio (AIC) concessa dalla European Medicines Agency (EMA) per la cura di tumori metastatici colorettali; il secondo, invece, ottenne l’AIC per il trattamento dell’AMD solo nel 2007.
In quel lasso di tempo che separò – non solo in Italia, ma anche a livello mondiale – il lancio sul mercato dei due prodotti, la somministrazione dell’Avastin rivelò fin da subito ottimi risultati anche in ambito oftalmico, così come già rilevato anche dai ricercatori della Genetech.
Fu in quel momento che l’Avastin cominciò ad essere impiegato off-label, al di fuori – cioè – delle patologie per cui era stato originariamente autorizzato, e continuò ad essere prescritto nell’ambito delle terapie contro l’AMD anche dopo l’entrata in commercio del nuovo (e certamente più costoso) Lucentis.
Non solo.
Gli effetti positivi dell’uso off-label dell’Avastin lo portarono ad essere inserito nella c.d. Lista 648 (i.e. l’elenco dei farmaci rimborsabili dal SSN ai sensi dell’art. 1, comma 4, della legge 23 dicembre 1996, n. 648) proprio con riferimento alle malattie oftalmiche.
Tuttavia, la permanenza dell’Avastin nella Lista 648 ebbe vita breve: a ciò, infatti, ostava l’autorizzazione alla commercializzazione del Lucentis, al quale si aggiunsero poi altri farmaci debitamente immessi nel mercato farmaceutico italiano per la cura di alcune gravi e frequenti patologie oftalmiche (il Macugen per l’AMD e l’Ozudex per la trombosi della vena retinica).
Invero, giacché la rimborsabilità dell’uso off-label di un farmaco era (1) subordinata all’assenza di una valida alternativa terapeutica precipuamente autorizzata per la cura delle patologie per cui si ricorreva a tale uso, l’AIFA eliminò l’Avastin dalla Lista 648 nel 2012.
Con provvedimento n. 24823 del 27 febbraio 2014, l’AGCM, a conclusione di una lunga istruttoria avviata a seguito di numerose denunce (tra cui, peraltro, quella della Società Oftalmologica Italiana), ha accertato che La Roche e Novartis avevano posto in essere almeno dal 2011 una concertazione continuata fatta di scambio di messaggi ed incontri diretti al fine di ottenere una “differenziazione artificiosa” dell’Avastin e del Lucentis.
Più precisamente, “manipolando la percezione dei rischi dell’uso in ambito oftalmico dell’Avastin”, le due società avrebbero incanalato la domanda dei soggetti responsabili delle scelte terapeutiche verso il più costoso Lucentis, “nonostante le imprese fossero consapevoli della scarsità e discutibilità dei dati sugli eventi avversi derivanti dall’uso off-label di Avastin”.

Secondo l’Autorità antitrust, ciò ha comportato “rilevanti difficoltà nell’organizzazione dei servizi sanitari da parte delle Regioni, a fronte della necessità di riprogrammare le risorse finanziarie da destinare all’acquisto del farmaco più costoso con una limitazione nell’accesso alle cure per pazienti affetti da gravi patologie”.
Su queste basi, sono state irrogate una sanzione di € 90.539.369 a carico di Hoffmann-La Roche e La Roche s.p.a. ed una pari ad € 92.028.750 in capo a Novartis AG e Novartis Farma s.p.a.2.
Dopo il rigetto del ricorso promosso innanzi il TAR Lazio contro il provvedimento dell’AGCM, le quattro società sanzionate hanno quindi adito i giudici di Palazzo Spada, i quali hanno concluso per la conferma della sentenza di prime cure e, conseguentemente, del citato provvedimento.
I motivi alla base della decisione del Consiglio di Stato si articolano in una puntuale ed approfondita indagine dei fatti sottesi alla vicenda che si è sopra riassunta, nonché del complesso quadro normativo (di matrice nazione ed europea) in tema di farmacovigilanza, sulla scorta della quale il coordinamento tra le società appellanti è stato ritenuto dannoso per il buon funzionamento del gioco della concorrenza ai sensi dell’art. 101 TFUE.
Non potendo prescindere dai limiti fisiologici di questa sede, che non rendono possibile una attenta ricostruzione della sentenza qui richiamata, si è deciso di circoscrivere il presente  approfondimento all’analisi del tipo di sindacato esercitato dal Consiglio di Stato, il quale – lo si anticipa fin d’ora – risulta del tutto estraneo alla “logica cassatoria” che si ritiene tradizionalmente connaturata al giudizio amministrativo.

2. Sindacato forte (o, quantomeno, “rafforzato”) del giudice amministrativo
In riferimento alla sentenza impugnata (Tar Lazio, sent. n. 12168/2914), le società appellanti avevano formulato un primo ordine di censure, con le quali si dolevano della “debolezza” del sindacato svolto dal giudice di primo grado: quest’ultimo, infatti, avrebbe supinamente aderito all’accertamento effettuato dall’AGCM, “senza fornire la garanzia di un effettivo controllo giurisdizionale”.
L’analisi del suesposto motivo di gravame da parte del Consiglio di Stato è preceduta da un’ampia premessa sui “rapporti tra diritto e tecnica”, la quale riprende i toni del dibattito sull’annosa distinzione tra “sindacato debole” e “sindacato forte” del giudice amministrativo sugli atti della Pubblica Amministrazione caratterizzati da un pregnante contenuto tecnico.
La dogmatica sulla “forza” dell’accertamento giurisdizionale sugli atti amministrativi, seppur ormai superata dalla giurisprudenza (pag. 23), conserva il pregio di fare luce sui rapporti tra Autorità giurisdizionale e Pubblica Amministrazione nelle dinamiche processuali e testimonia l’eterogeneità degli interessi di sistema sottesi ai diversi orientamenti.
Infatti, dal tradizionale arretramento del giudice dinnanzi alla discrezionalità amministrativa come garanzia dell’equilibrio tra i poteri dello Stato, ci si è trovati a fare i conti – grazie, tra l’altro, alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – con il concetto di full jurisdiction.
In buona sostanza, il principio dell’effettività della tutela impone al giudice “un sindacato sulla decisione pubblica [che] possa effettivamente ed efficacemente influire su di essa «both on the facts and the law». La giurisdizione «piena» è dunque il potere del giudice di riformare in qualsiasi punto, in fatto come in diritto, la decisione impugnata resa dall’autorità amministrativa”.
Un simile approdo, se calato nel contesto delle sanzioni antitrust, la cui natura “penale” è indubbia, assume un significato ancora più incisivo e veicola una generale “riconsiderazione” degli orientamenti sui limiti al c.d. sindacato forte: il cambiamento di paradigma del giudizio amministrativo, da gravame cassatorio a gravame appellatorio, viene ad essere sentito come necessario al fine di garantire al cittadino sanzionato la pienezza della tutela giurisdizionale.
Alla luce di quanto sinora esposto si spiega quindi la norma di cui all’art. 7, co. 1, del d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, laddove (nel secondo periodo), in tema di azione per il risarcimento del danno conseguente all’accertamento definitivo sulle sanzioni antitrust, si legge: “Il sindacato del giudice del ricorso comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima”.
Tuttavia, il quadro complessivo così come sopra tratteggiato non deve trarre in inganno: come puntualizza poi il Collegio (pag. 30), questa nuova “e più intensa” modalità di sindacato non deve essere intesa come un sovvertimento dei già precari equilibri tra effettività della tutela ed estraneità del giudice rispetto alla discrezionalità amministrativa, quale sfera riservata all’Amministrazione.

I giudici di Palazzo Spada, infatti, spiegano che l’accertamento particolarmente tecnico del giudice sulle sanzioni amministrative non deroga ai principi alla base del riparto di giurisdizione (così come recentemente “ridisegnati” dalla Consulta con la sent. 6/2018 sulla c.d. giurisdizione dinamica), giacché il potere sanzionatorio è “ontologicamente diverso dalla discrezionalità amministrativa”, la cui espressione tipica è la ponderazione di interessi.
Permettere all’Autorità giurisdizionale di addentrarsi nel merito dei fatti dedotti da colui che impugni una sanzione amministrativa, come quella adottata dall’AGCM, infatti, lungi dal configurare un “eccesso di potere giudiziario” nei termini intesi dal Giudice delle Leggi, poiché ciò che gli viene concesso è – non di contemperare interessi diversi ma – di sussumere la fattispecie concreta entro quella normativa, in maniera non dissimile da quanto avviene nel giudizio penale.
Peraltro, chi scrive non può esimersi dall’evidenziare come gli effetti di tale modalità di intendere l’accertamento del giudice sulle sanzioni antitrust siano apprezzabili da angolature diverse: ammettere il giudice amministrativo ad una full jurisdiction sulle sanzioni antitrust costituisce sì la risposta al bisogno di effettività della tutela per il singolo individuo, ma può prestarsi ad essere anche una valida soluzione ad alcune questioni di natura più sistematica.
Invero, il sindacato (se non forte) “rafforzato” potrebbe prestarsi ad essere un valido strumento di ultima istanza all’ammanco di accountabiliy alla base dell’azione amministrativa delle Autorità indipendenti, la cui legittimità costituzionale (rispetto al principio di democraticità espresso – in particolare – dall’art. 95 Cost.) non è stata certo posta fuori discussione dalla loro proliferazione negli ultimi decenni.
Nonostante sia proprio l’assenza di controlli o vincoli sull’azione delle c.d. Authorities a costituirne la loro ragion d’essere, appare in ogni caso fondamentale evitare che queste si trasformino in apparati del tutto svincolati dal resto del circuito statale, sia sotto il profilo della responsabilità politica, sia sotto quello della giustiziabilità dei loro atti.

3. Effetti del giudicato amministrativo sulle sanzioni antitrust nel giudizio civile
Una volta divenuto definitivo l’accertamento giudiziale sul provvedimento sanzionatorio dell’AGCM, quindi, v’è da chiedersi quali siano le sue implicazioni sull’eventuale giudizio civile che colui che affermi di aver subìto un danno dall’illecito concorrenziale sanzionato voglia instaurare al fine di ottenerne il ristoro.
Orbene, deve anzitutto richiamarsi la disposizione di cui al (primo periodo del) primo comma dell’art. 7, d.lgs. n. 3/2017, ove si legge che “[a]i fini dell’azione per il risarcimento del danno si ritiene definitivamente accertata, nei confronti dell’autore, la violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione dell’autorità garante della concorrenza e del mercato di cui all’articolo 10 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, non più soggetta ad impugnazione davanti al giudice del ricorso, o da una sentenza del giudice del ricorso passata in giudicato”.
Alla luce dell’appena citata disposizione, dunque, il sindacato “rafforzato” di cui sopra è tale da confermare o negare del tutto l’antinomia tra i fatti rilevati e sanzionati dall’AGCM ed il “diritto della concorrenza”: da ciò consegue che, essendo posta fuori discussione (rectius contraddittorio) la sussistenza dell’an della pretesa risarcitoria, il thema decidendum (e probadum) nel giudizio civile sul risarcimento del danno concorrenziale risulterà di certo ridotto rispetto alla normalità dei casi.
I corollari di una simile impostazione non sono del tutto irrilevanti.
Come già osservato in dottrina3, il citato art. 7, d.lgs. n. 3/2017, impone di approfondire la questione circa l’obbligo di adeguamento incombente sul giudice civile, dinnanzi al quale si instaura una controversia in cui il danneggiato può avvantaggiarsi del “giudicato inter alios”, mentre al danneggiante non residuano ampi margini di difesa di fronte al provvedimento sanzionatorio “confermato” dal giudice amministrativo.
A ben vedere, parimenti compresso deve dirsi il ruolo dello stesso giudice civile rispetto alle statuizioni dei collegi amministrativi, al punto da mettere in crisi non solo il dogma processualcivilistico del libero convincimento/apprezzamento del giudice, ma anche – e forse soprattutto – il principio di indipendenza (esterna) della magistratura di cui all’art. 101, co. 2, Cost.
A prescindere dalla veste da dare ad un simile effetto vincolante sul giudice civile, oscillante tra la “prova particolarmente privilegiata” e la posizione del giudicato esterno, non si può tacere sulla peculiarità della situazione in esame: pur non trattandosi di un caso isolato (si pensi agli effetti extrapenali della sentenza di condanna ai sensi dell’art. 651 c.p.p.), la disciplina di cui all’art. 7, d.lgs. n. 3/2017 è idonea – ancorché in astratto – a creare un pericoloso paradosso.
Malgrado nei fatti sia difficilmente ipotizzabile che un’impresa attinta dalle sanzioni antitrust, come quelle di cui al caso in esame, non ricorra contro il provvedimento di irrogazione delle stesse, non è radicalmente da escludere che la definitività degli accertamenti circa la violazione del diritto della concorrenza non sia veicolato dalla decisione del giudice (amministrativo), ma sia piuttosto il risultato dell’omessa impugnazione del provvedimento nei termini ex lege previsti.
Seppur configurabile come caso di scuola, dunque, una fattispecie in cui l’accertamento giudiziale sia condizionato (in virtù di una disposizione legislativa) da un atto dell’Amministrazione, quanto al fatto costitutivo del diritto al risarcimento ex art. 2043 c.c., non può che far riflettere: infatti, se già il principio dell’autonomia dei giudizi (civile, penale ed amministrativo) viene a vacillare di fronte alla disciplina di cui al richiamato d.lgs. n. 3/2017, v’è legittimamente da interrogarsi come andrebbe inquadrato il caso in cui il procedimento/provvedimento amministrativo vincolasse,
poi, il giudice civile.
Ciononostante, s’impongono alcune considerazioni di segno opposto: l’effetto vincolante dell’accertamento sulle sanzioni antitrust si presta ad essere un valido strumento di protezione degli equilibri del mercato giuridico-economico.
Invero, da una prospettiva macroscopica, che guardi – cioè – alla tutela della concorrenza come un interesse tutt’altro che irrilevante per uno Stato-membro dell’Unione Europea, la cristallizzazione dell’istruttoria svolta dall’AGCM e la sua conseguente “intangibilità” in sede giurisdizionale costituisce una vittoria sul piano del public enforcement della normativa (comunitaria e nazionale) sul libero mercato, creando uno schieramento compatto dei pubblici poteri contro le relative infrazioni o abusi.
Sul punto, preme richiamare una recentissima pronuncia di legittimità (Cass. Civ., sez. I, 22 maggio 2019, n. 13846), in cui i giudici di Piazza Cavour, dopo aver affermato che beneficiari della normativa in tema di concorrenza non sono solo gli imprenditori ma tutti i partecipanti al mercato, affermano: “tale rilievo si coniuga con una duplice considerazione: per un verso, nel sistema della L. n. 287 del 1990, come del resto nella disciplina comunitaria, private e public enforcement, e cioè tutela civilistica e tutela pubblicistica, sono tra loro complementari; per altro verso, il
principio di effettività e di unitarietà dell’ordinamento non consente di ritenere irrilevante il provvedimento amministrativo nel giudizio civile, considerato anche che le due tutele sono previste nell’ambito dello stesso testo normativo e nell’ambito di un’unitaria finalità: tanto più in considerazione dell'”evidente asimmetria informativa tra l’impresa partecipe dell’intesa anticoncorrenziale ed il singolo consumatore, che si trova, salvo casi eccezionali da considerare di scuola, nell’impossibilità di fornire la prova tanto dell’intesa anticoncorrenziale quanto del conseguente danno patito e del relativo nesso di causalità” (Cass. 28 maggio 2014, n. 11904 cit.)”.

Ad ogni modo, v’è da rilevare che il danneggiato, nonostante possa ritenersi dispensato dall’onere di provare il fatto costitutivo della propria pretesa (e dell’elemento soggettivo connaturato all’illecito concorrenziale accertato dall’AGCM (4) non può comunque sottrarsi all’obbligo di dimostrare non solo il nesso causale tra l’infrazione sanzionata e il danno asseritamente patito, ma anche – e soprattutto – la quantificazione di quest’ultimo (5).
In sintesi, l’effetto vincolante del giudicato amministrativo sulle sanzioni antitrust rappresenta una sorta di monstrum del contesto normativo e processuale nazionale, nella sua autentica accezione di vox media: se da un lato spaventa, dall’altro non deve essere temuto.
Come sopra dimostrato, infatti, i “paradossi” creati dal paradigma della prova privilegiata sotto il profilo – soprattutto – dell’indipendenza esterna dei giudici vanno letti in stretta correlazione alla natura di Schutzgesetz (6) della normativa sulla concorrenza, dalla quale discende la scelta politico-giuridica di alleviare il danneggiato/consumatore dalla (ordinaria) prova stringente del danno subìto.

Considerazioni finali
Nei paragrafi che precedono si è cercato di mettere in luce la rilevanza delle statuizioni del Consiglio di Stato nella sentenza qui esaminata, in un’ottica di bilanciamento tra (condivisibili) interessi sottesi e (ambivalenti) risvolti pratici.
In particolare, si è messo in luce come la full jurisdiction, alla stregua della quale si realizza un “continuum tra procedimento amministrativo e procedimento giurisdizionale in cui il giudice è chiamato a sostituire la sua valutazione a quella, contestata, dell’amministrazione” (7), pur mettendo astrattamente in crisi l’equilibrio tra poteri dello Stato, permette di rivitalizzare il principio di democraticità e di rinsaldare l’attività delle Autorità Amministrative Indipendenti all’assetto costituzionale.

Quanto alle implicazioni esterne delle predette statuizioni del Collegio, il timore per l’alto livello di vincolatività che caratterizza la decisione definitiva del giudice amministrativo sulla successiva azione civile di risarcimento, tale da porre in difficoltà il principio di autonomia dei giudizi, deve coniugarsi con la finalità di protezione oggettiva (rispetto al libero mercato nel suo complesso) e soggettiva (rispetto alle imprese ed ai consumatori) che la disciplina della concorrenza si prefigge.
In ogni caso, pare evidente che il giudizio civile sulla richiesta di risarcimento del danno derivato da illecito concorrenziale (accertato e sanzionato dall’Autorità antitrust) costituisce un rito che, quantomeno dal punto di vista del thema decidendum (e probandum), appare del tutto atipico.
Invero, non v’è chi non veda come l’azione risarcitoria, una volta che gran parte degli elementi di cui all’art. 2043 c.c. risultano provati con la mera allegazione della sentenza amministrativa, si riduce perlopiù ad un giudizio di quantificazione del danno: rispetto al quantum, infatti, il contraddittorio delle parti torna ad essere pieno e decisivo, anche in ragione della sua non facile determinazione.
Non a caso, è stato convocato (8) un tavolo di lavoro delle Regioni interessate, coordinate dall’Avvocatura Generale dello Stato, al fine di stabilire la quantificazione del danno da richiedere nell’ambito della class (Region) action contro Novartis e La Roche.
Sul punto, peraltro, chi scrive non può che concludere rilevando un’ulteriore peculiarità: il caso di specie, ove le Amministrazioni regionali agiscono per recuperare le spese che i rispettivi servizi sanitari hanno dovuto sostenere a causa dell’artificiosa differenziazione dei farmaci Avastin e Lucentis, potrebbe essere oggetto di un altro giudizio, vale a dire quello contabile.
Conseguentemente, pare opportuno altresì interrogarsi circa le eventuali “interferenze” tra la causa civile di risarcimento per illecito concorrenziale e l’azione della Procura della Corte dei Conti per il danno erariale in cui di fatto si sostanzia la predetta differenziazione artificiosa, anche alla luce della (recente (9)) mancata estensione – auspicata, invece, da parte della dottrina (10) – della disciplina di cui al d.lgs. n. 3/2017 sulla prova e la definitività dell’accertamento della violazione del diritto antitrust al giudizio contabile.

Antonio Strabello

Sentenza Consiglio di Stato n. 4990_2019

 

1 Con determinazione n. 622 del 23.6.2014, l’AIFA ha successivamente disposto il ritorno dell’Avastin nella lista 648. Decisivo in tal senso è stato il c.d. Decreto Lorenzin (D.L. n. 36/2014), il quale ha inserito il comma 4-bis nell’art. 1 della l. n. 648/1996 che, nella sua formulazione definitiva a seguito della conversione con modificazioni ad opera della l. n. 79/2014, così dispone: “Anche se sussista altra alternativa terapeutica nell’ambito dei medicinali autorizzati, previa valutazione dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), sono inseriti nell’elenco di cui al comma 4, con conseguente erogazione a carico del Servizio sanitario nazionale, i medicinali che possono essere utilizzati per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, purché tale indicazione sia nota e conforme a ricerche condotte nell’ambito della comunità medico-scientifica nazionale e internazionale, secondo parametri di economicità e appropriatezza. In tal caso l’AIFA attiva idonei strumenti di monitoraggio a tutela della sicurezza dei pazienti e assume tempestivamente le necessarie determinazioni”.

2 La Roche s.p.a. e Novartis Farma s.p.a.sono le due società controllate rispettivamente dalla Hoffmann-La Roche e dalla Novartis AG per il mercato farmaceutico italiano.

3 M. Negri, L’efficacia delle decisioni amministrative nel processo civile, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2018,2, 476.

4 Sul punto, pare interessante la statuizione della Sesta Sezione del Consiglio di Stato che, a pag. 64 della sentenza in esame, afferma “In definitiva, la mole di riscontri e la congruenza narrativa
dell’ipotesi accusatoria non lascia spazio ad alcun tentativo di ricostruzione alternativa, poiché il riscontrato parallelismo di condotte non può essere frutto di un adattamento spontanei Automatico alle dinamiche del mercato”. Quasi come un giudice penale, tenuto a concludere per la condanna dell’imputato solamente qualora l’addebito risulti provato “oltre ogni ragionevole dubbio”, il Collegio ha confermato la sentenza impugnata – e, dunque, il provvedimento sanzionatorio – proprio sulla scorta dell’impossibilità di ritenere la differenziazione dei farmaci del tutto avulsa dall’intenzionalità delle due imprese appellanti.
5 Sul punto, si veda E. Camilleri, Il risarcimento per violazioni del diritto della concorrenza: ambito di applicazione e valutazione del danno, in Nuove Leggi civ. commentate, 2018, 1, 143.
6 Cfr. C. Scognamiglio, Danno antitrust, scopo della norma violata e funzioni della responsabilità civile, in Questione Giustizia 1/2018, consultabile all’indirizzo http://questionegiustizia.it/rivista/pdf/QG_2018-1_20.pdf.
7 F. Goisis, La full jurisdiction sulle sanzioni amministrative: continuità della funzione sanzionatoria v. separazione dei poteri, in Diritto Amministrativo, fasc. 1, 1° marzo 2018, pag. 1.

8 La data, però, non è stata ancora resa nota.
9 Ci si riferisce alle modifiche (c.d. correttivo) apportate al Codice di Giustizia Contabile con d.lgs. 7 ottobre 2019, n. 114.
10 D. Riso, Il danno da lesione della concorrenza: tratti privatistici, pubblicistici e profili di responsabilità erariale, in Lex Italia, 13 maggio 2019.

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