Saluto, a nome dell’Associazione veneta degli avvocati amministrativisti, i numerosi presenti.

E’ solo la seconda edizione di un convegno che ha avuto inizio lo scorso anno, ma che speriamo divenga una tradizione.

Un convegno che nasce da un’idea elaborata insieme al presidente Maurizio Nicolosi, che colgo l’occasione per salutare.

E che nella sua prima edizione ha fornito un contributo critico importante nei confronti del rito superspeciale degli appalti. Non so bene se abbiamo avuto un ruolo, ma quel rito non c’è più (con il suo errore di fondo di costringere all’impugnazione delle ammissioni quando ancora non c’è nessun interesse a impugnarle).

Ricordo che questo convegno vuole essere un’occasione di confronto tra il Foro e la Curia, e che dunque trova la sua collocazione naturale qui a Venezia, presso la sede del Tar.

Venezia che, per la sua unicità, è un luogo irrinunciabile. Un luogo che di per sé ci impone rispetto e ci fa sentire la responsabilità di quanto diciamo.

Tutto ciò, poi, in una situazione che, per le gravi difficoltà che ben conosciamo, aggiunge un significato particolare a questa occasione.

 

Il tema di questo convegno nasce da una riflessione con la presidente Maddalena Filippi, che sentitamente ringrazio.

Ed è un tema solo apparentemente tecnico, dal momento che incide sul modo di operare del giudice amministrativo, e davanti al giudice amministrativo.

L’idea è resa bene dal titolo: “dal processo al procedimento”. Un’inversione rispetto al solito. L’ordine consueto delle cose è che prima vi sia il procedimento. Se poi l’esito sarà considerato illegittimo si giungerà al processo, che è la sede per verificare la legittimità degli atti ed eventualmente annullarli.

Dal processo al procedimento significa invece domandarsi in che modo la vicenda oggetto di causa possa tornare alla fase procedimentale, quali “input” possano giungere all’attività amministrativa dal processo mentre è ancora in corso, e dunque prima della sentenza.

 

Sappiamo che nel corso degli anni è cambiato il nostro ruolo come avvocati amministrativisti. Da difensori in giudizio, sempre più siamo diventati “ingegneri procedimentali”, cioè professionisti tecnicamente in grado di utilizzare le possibilità consentite dal procedimento, la cui disciplina si è progressivamente rafforzata.

Sono ruoli ben diversi, naturalmente: ma forse anche il ruolo del giudice amministrativo può cambiare.

Da decisore, può diventare un soggetto che può decidere ma anche fare dell’altro, monitorando l’attività dell’amministrazione nel corso del contenzioso e facilitando scelte amministrative legittime che possano non solo far venir meno il contenzioso senza la necessità di una decisione, ma anche raggiungere un risultato migliore e più completo di quello che si otterrebbe con una decisione, perché la situazione viene definita in modo condiviso.

Insomma, dipende dalle situazioni: ma un giudice può essere un buon giudice anche se non decide. Anzi, può essere più utile in certe situazioni che la sua attività non porti a una decisione, ma conduca a un risultato. Che il giudice cioè faciliti il raggiungimento di un risultato amministrativo, pur senza sostituirsi all’amministrazione. Tutti noi conosciamo, ad esempio, quelle frequenti situazioni di incertezza e di “blocco”, con i funzionari e gli amministratori che temono le responsabilità del provvedere, ma sarebbero lieti di avere un segno anche implicito di avallo da parte di un giudice. Anche ad evitare la possibile responsabilità risarcitoria dell’amministrazione – che è una prospettiva fondamentale nell’evoluzione della giustizia amministrativa – e, conseguentemente, il rischio del proprio coinvolgimento in un danno erariale.

 

Queste attività di “facilitazione” al superamento del contenzioso e insieme di monitoraggio dei comportamenti amministrativi, in quali fasi possono svolgersi nel corso del processo amministrativo?

Naturalmente in sede cautelare, ove possono essere assunte misure atipiche.

Ma la tutela cautelare ha i suoi presupposti (il pregiudizio grave e irreparabile), che potrebbero mancare.

Il modo più efficiente per svolgere queste attività sembra quello di collegarle comunque alle udienze camerali, anche perché le camere di consiglio possono essere fissate più facilmente, per ragioni tecniche legate alla gestione dei ruoli, ai carichi di lavoro e ai termini per le produzioni difensive.

Ma come si arriva ad una camera di consiglio se non tramite l’istanza cautelare?

 

Lo strumento può essere, in molte ipotesi, quello dell’istanza di prelievo che, ai sensi dell’articolo 71 bis del codice del processo amministrativo, consente al giudice che la accolga di definire il giudizio in camera di consiglio con sentenza in forma semplificata.

Uno strumento in realtà finora poco utilizzato e poco valorizzato, ma certamente assai interessante.

Ma può esserci un’istanza di prelievo implicita, o desumibile da un qualche assenso delle parti sull’ipotesi di andare in camera di consiglio? Può esserci un 71 bis d’ufficio? Forse le formule sacramentali non servono, se vi è l’assenso delle parti. Mentre più delicata è la possibilità che si prescinda del tutto da tale assenso.

 

Quello che però sicuramente è necessario perché le udienze “facilitatorie” siano utili e non tradiscano il loro significato, è che siano condotte conoscendo bene le vicende e le ragioni fatte valere.

Serve in realtà la stessa conoscenza della causa che serve per decidere, con in più quella elasticità e quella disponibilità nel corso dell’udienza che sono necessarie per capire la situazione e adattarsi ad essa.

Quindi è fondamentale lo studio e l’impegno del giudice, e il suo effettivo ascolto e intervento in udienza, perché queste udienze devono essere caratterizzate dall’interlocuzione e dall’interazione.

Come gli avvocati, così anche i giudici non sono tutti uguali.

E noi auspichiamo che la competenza, la motivazione e la passione dei migliori possano contribuire al miglioramento di tutti.

Stefano Bigolaro

* Saluto introduttivo tenutosi al convegno su “Dal processo al procedimento: ruolo e prospettive della tutela cautelare e del rito camerale nel rapporto tra giudice amministrativo e amministrazione” svoltosi a Venezia il 2 dicembre 2019, presso Cà Vendramin Calergi.

 

 

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