Abstract. Le opere realizzate a titolo di contributo straordinario ed il regime IVA. Dalla disciplina IVA relativa alla cessione delle opere di urbanizzazione alla regolamentazione fiscale del trasferimento delle opere realizzate quale soddisfacimento del contributo straordinario.

 

Accade che l’attività stragiudiziale occupi oramai molte energie dell’avvocato amministrativista, sempre più teknites del procedimento e, come tale, destinato ad imbattersi nei problemi interpretativi più vari, non sempre e non solo di matrice prettamente amministrativistica.

Uno di essi è rappresentato dal regime impositivo applicabile alla cessione delle opere realizzate, nell’ambito di una convenzione urbanistica, non già quali opere di urbanizzazione, ma a (diverso) titolo di contributo straordinario, di cui all’art. 16, comma IV, lett. d-ter), D.P.R. n. 380/2001. In particolare, merita analizzare se la cessione della proprietà delle opere, realizzate a quest’ultimo titolo, sia soggetta all’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, come d’ordinario accadrebbe, ove i lavori vengano svolti da un’impresa, che cede infine l’opera all’Amministrazione.

Allo stato – a quanto consta – la questione appare inesplorata dalla giurisprudenza e, dunque, muoverà necessariamente – a monte – dalla considerazione del regime impositivo applicabile nel caso di cessione delle opere di urbanizzazione, di cui al pari art. 16 TU Edilizia, realizzate a scomputo degli oneri.

Per quanto concerne l’assolvimento degli oneri urbanistici la giurisprudenza ha affermato l’irrilevanza, agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, della cessione delle opere realizzate dal privato a scomputo dei predetti oneri.

Sotto la prospettiva del diritto positivo, l’art. 51 della Legge 27 luglio 2000, n. 342, sancisce la non rilevanza agli effetti dell’imposta dell’operazione di cessione “ai comuni di aree e opere di urbanizzazione, da parte dell’impresa titolare della concessione ad edificare, a scomputo della quota di urbanizzazione”.

Conformemente, la prassi tributaria ha registrato costanti conferme nella successiva interpretazione di tale precetto, sin dalla Circolare del Ministero delle Finanze n. 207/E del 16 novembre 2000[1].

A fronte di ciò, tuttavia, non è dato dedurre una soluzione – in via certa ed immediata – al quesito d’esordio, pur intravvedendosi in detti approdi ermeneutici – mediatamente – elementi sussumibili ai fini di una possibile applicazione analogica. Non si tratta, infatti, nella specie di cessione di opere di urbanizzazione, ma di opere realizzate a copertura del contributo straordinario, istituto solo recentemente introdotto nell’ordinamento dall’art. 17, comma 1, lett. g), numero 3), del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, in L. 11 novembre 2014, n. 164.

Prezioso risulta in tal senso l’esame della struttura giuridica delle convenzioni di urbanizzazione, così come svolto in ripetute occasioni da parte della sezione tributaria della Corte di Cassazione[2] e dalla giurisprudenza amministrativa[3].

Premessa necessaria, sottesa a tale analisi, è la qualificazione giuridica delle convenzioni di urbanizzazione. Queste debbono essere qualificate quali contratti con oggetto pubblico, con cui: i) da un lato, l’Amministrazione – in principalità –  realizza determinate finalità di propria istituzionale inerenza e – solo in senso strumentale a queste – origina a proprio favore diritti ed obbligazioni a contenuto patrimoniale; ii) dall’altro, si precisano gli obblighi che il privato assume.

Le convenzioni urbanistiche, inscritte nell’alveo dell’art. 11 della L. n. 241/1990, si configurano quali accordi procedimentali dal contenuto vincolante, al fine dell’ottenimento di autorizzazioni urbanistico-edilizie. Su tale traccia interpretativa, la giurisprudenza[4] si è spinta oltre, qualificando siffatte convenzioni quali negozi conclusi in condizioni di disparità, codificanti obblighi di legge, e definendo i relativi discendenti obblighi per la parte privata quali atti dovuti, prestazioni patrimoniali imposte, aventi natura di obbligazioni propter rem[5]: quella particolarissima tipologia di obbligo di contenuto patrimoniale, che segue la titolarità del bene, anziché il soggetto originario contraente. Tra questi figurano in primis gli oneri urbanistici.

La sommatoria di queste considerazioni porta alla conclusione, secondo cui non è ravvisabile un rapporto strettamente sinallagmatico tra i soggetti stipulanti convenzioni urbanistiche, con ciò intendendosi – in altre parole – quel legame di reciprocità negli obblighi, che generalmente astringe reciprocamente l’un l’altra le parti contrattuali, le quali si siano determinate nel libero esercizio della propria volontà. La natura di rapporto – quanto meno in parte – impositivo discendente dalle convenzioni urbanistiche esclude il sinallagma, ossia la reciprocità su un piano di formale parità tra i contraenti.

Riguardo invece al presupposto in presenza del quale sorge l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, si può registrare la piana giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea[6], secondo cui una prestazione resa quale corrispettivo di altra può costituire base imponibile solo nell’ipotesi in cui la prima sia diretta conseguenza della seconda e che quest’ultima sia suscettibile di valutazione economica. Ebbene, secondo tale giurisprudenza, qualora si riscontri l’assenza di un sinallagma, le prestazioni considerate non possono costituire base imponibile ai fini dell’imposta in considerazione.

Confrontando quanto detto in ordine alle convenzioni urbanistiche e circa la rilevanza o irrilevanza di una prestazione ai fini dell’imposta, risulta sostenibile come le somme corrisposte alla Pubblica Amministrazione quali oneri urbanistici non possano costituire base imponibile ai fini IVA.

Tale considerazione non muta in ipotesi di cessione di beni a scomputo di tali oneri. Infatti, proprio come non si tratta di un ordinario contratto a prestazioni corrispettive tra privati, anche qualora gli oneri urbanistici vengano scomputati tramite cessione di beni non si può trattare di una permuta, contratto nel quale la controprestazione viene individuata, anziché in una dazione di somma di denaro, nella cessione di un bene o nella prestazione di un servizio: e ciò proprio in ragione dell’assenza del sinallagma a legare le due prestazioni. L’assetto di interessi regolato da una convenzione urbanistica, che preveda l’assolvimento degli oneri urbanistici, in parte o completamente, tramite cessione di beni configura piuttosto una datio in solutum, ovvero un mezzo di estinzione dell’obbligazione diverso dal pagamento, che si perfeziona a seguito dell’avvenuta consegna tramite l’accettazione da parte del creditore. L’Amministrazione, dunque, creditrice ex lege degli oneri urbanistici, accetta preventivamente, tramite la specificazione di tali obblighi discendenti dalle norme urbanistico-edilizie vigenti l’assolvimento di tutti o parte degli obblighi in capo alla parte privata tramite una prestazione in luogo dell’adempimento degli stessi. Incidendo tale datio in solutum solo sul momento estintivo dell’obbligazione, ciò comporta pacificamente la non assoggettabilità, per irrilevanza, della cessione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto[7].

Esposto quanto sopra circa il regime impositivo, cui sono assoggettati gli atti di cessione di immobili realizzati per assolvere gli oneri urbanistici, attesa l’assenza di lettera espressa di legge, nonché – allo stato – di pronunce giurisdizionali note circa la questione d’interesse, occorre capire se ed in quale misura le considerazioni sopra svolte si possano ritenere analogicamente applicabili anche alla fattispecie d’interesse, ovvero alla cessione all’Amministrazione di opere realizzate a titolo di contributo straordinario, ai sensi dell’art. 16, comma IV, lett. d-ter), D.P.R. n. 380/2001, TU dell’Edilizia.

Tale operazione coinvolge il confronto con i presupposti e la ratio applicativi di quanto già illustrato, dal momento che – allo stato – non esiste una norma affine all’art. 51, Legge 27 luglio 2000, n. 342.

Ebbene, passando in rassegna i primi, appare evidente che, per quanto concerne la cornice di regolamento d’interessi, in cui si stabilisce la consistenza del contributo straordinario, essa è la medesima: la convenzione urbanistica.

Il contributo straordinario, inoltre, sorge e viene individuato sia nell’an, sia nel quantum (per lo meno nel minimum) in guisa esattamente identica agli oneri urbanistici in seno alla convenzione ed, ancor prima, ex lege; invero, siffatto contributo è anzitutto un obbligo – rectius, atto dovuto, frutto di rapporto impositivo – che il privato deve assumere a favore dell’Amministrazione, con concreta specificazione proprio in sede di convenzione. Si riscontra dunque anche in questa ipotesi l’assenza di sinallagma propriamente inteso.

Esaurita la considerazione dei presupposti applicativi, la ratio di cui all’art. 51, Legge 27 luglio 2000, n. 342, risulta di comune denominatore anche nell’ipotesi in esame. Lo dimostra recente giurisprudenza della Corte di Cassazione[8], in interpretazione estensiva della disposizione citata, a conferma dell’ermeneutica lata della norma.

Infine, in senso ulteriormente favorevole all’interpretazione rassegnata, si consideri che il contributo straordinario è disciplinato nello stesso corpus di disposizioni di legge, in cui albergano gli oneri di urbanizzazione, dove è stato inserito tramite l’addizione della lettera d-ter) al comma IV dell’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001. Tale rilievo, ex se significativo, può costituire ulteriore dato interpretativo a favore dell’assimilazione al medesimo regime fiscale, da un lato, delle cessioni di opere realizzate a titolo di contributo straordinario, dall’altro, della cessione di opere di urbanizzazione propriamente intese.

Pare sostenibile, in conclusione, che la cessione delle opere realizzate a titolo di contributo straordinario (di cui all’art. 16, comma IV, lett. d-ter), D.P.R. n. 380/2001, TU dell’Edilizia) non costituisca base imponibile ai fini IVA, di talché gli atti pubblici di cessione della proprietà delle opere (o di diritti reali sulle stesse) non sono soggetti all’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto.

 

Simone Pavan                                                                                                                                            Alessandro Veronese

[1] Cfr., anche, Risoluzione Agenzia delle Entrate 22 aprile 2005, n. 50/E.

[2] Cfr. Cassazione civile, sez. trib., 31 maggio 2016, n. 11344; nonché Cass. civ., sez. trib., 9 luglio 2014, n. 15660.

[3] Ex multis, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 12 gennaio 2016, n. 554.

[4] Cfr. Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1999, n. 1366; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 13 novembre 2008, n. 1218.

[5] T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 21 aprile 2017, n. 941.

[6] Cfr. Corte di Giustizia, 13 luglio 2001, causa C-380/99, resa in senso confermativo rispetto a quanto già sancito nella sentenza della medesima Corte, 2 giugno 1994, nella causa C-33/93.

[7] Cfr. Cass. civ., sez. trib., 31 maggio 2016, n. 11344; Cass. civ., sez. trib., 9 luglio 2014, n. 15660.

[8] Cass. civ., sez. trib., 9 luglio 2014, n. 15660, cit.-

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