1. L’impatto del diritto dell’Unione europea sul diritto interno nella materia dell’urbanistica: fondamenti normativi e politiche sovrannazionali

È indubbio che l’urbanistica, così come intesa tradizionalmente secondo l’imprinting della legge fondamentale del 1942[1], non rientri né fra le competenze tassativamente riservate alle Istituzioni europee né fra quelle condivise tra loro e gli Stati membri, secondo le pertinenti disposizioni dei Trattati (TUE e TFUE)[2]. Porre la questione in questi termini sarebbe tuttavia improprio e sviante, perché darebbe per scontato ciò che scontato non è, vale a dire che sia possibile e utile un raffronto fra la classificazione delle competenze a livello europeo e la classificazione delle “materie” nel diritto interno italiano.

Nonostante il tentativo degli Stati membri, affidato alle modifiche normative introdotte dal Trattato di Lisbona del 2007, di formalizzare in elenchi dal sapore invero piuttosto burocratico le aree sottratte all’esclusiva sovranità statale, il loro perimetro resta inevitabilmente vago e rimesso ad un’attività interpretativa che è influenzata dagli obiettivi generali e dai princìpi sui quali si regge la struttura degli atti fondativi. Sopravvive infatti nel diritto dell’Unione, anche dopo l’ultima riforma, quella vis espansiva[3] che ha sempre caratterizzato l’ordinamento comunitario e che concorre a renderlo un ordinamento giuridico di nuovo genere[4], per usare l’icastica espressione utilizzata dalla Corte di giustizia fin dai primordi, integrato negli ordinamenti nazionali non a guisa di incastro ma piuttosto di tessuto di filo intrecciato e flessibile, in continua evoluzione.

D’altra parte, le regole e le politiche sovrannazionali, in quanto rivolte ai cittadini europei anzitutto entro il loro habitat, il territorio dell’Unione, non potevano omettere di prendere in considerazione, perlomeno indirettamente, l’interazione fra gli obiettivi perseguiti e il territorio.

Così è accaduto fin dai primi anni dell’esperienza comunitaria, soprattutto nel quadro delle politiche di coesione, della politica agricola comune e della politica dei trasporti.

La promozione della coesione economica e sociale era ritenuta indispensabile per porre rimedio ai ritardi di sviluppo delle regioni meno favorite, e con l’Atto Unico Europeo era divenuta non più solo un generico obiettivo ma anche una delle politiche codificate dal Trattato CEE[5]. Il Protocollo 28 ribadisce che “la promozione della coesione economica, sociale e territoriale è di vitale importanza per il pieno sviluppo e il durevole successo dell’UE”, tanto che l’obiettivo della coesione tra gli Stati prevale su eventuali cooperazioni rafforzate tra gli stessi.

La politica agricola comune[6], quale fondamento delle azioni positive volte ad accompagnare verso il mercato un settore economico strategico ma disomogeneo e non in grado di reggere ad una liberalizzazione immediata, andava a sua volta ad incidere direttamente sulla utilizzazione del territorio agricolo, con misure di vario genere, anche di natura finanziaria.

Anche la politica dei trasporti, già presente nel Trattato di Roma e in seguito implementata col rilevante supporto finanziario della BEI[7], non poteva che avere una forte incidenza sulla infrastrutturazione del territorio[8].

È dopo la metà degli anni Ottanta, con l’inserimento a pieno titolo delle politiche ambientali fra le competenze concorrenti della Comunità[9] ad opera dell’Atto Unico Europeo, che l’azione comunitaria diviene più marcata e sistematica. Da quel momento, infatti, si delinea una più ampia base giuridica, idonea a dare maggiore incisività ed estensione alle iniziative sovrannazionali, orientate a rendere sostenibile lo sviluppo economico[10] in coerenza con valori ormai emersi e condivisi dall’opinione pubblica a livello internazionale e incardinati anche nel diritto internazionale convenzionale[11].

È in quel periodo che l’obiettivo di accrescere la “coesione economica e sociale” viene espressamente esteso anche alla coesione territoriale[12]. L’interesse per gli aspetti territoriali della coesione ha acquistato un peso ancora maggiore con il Trattato di Lisbona[13], col riconoscimento di un percorso già avviato con l’art. 16 TCE (ora art 14 TFUE) che trova oggi puntuale riscontro anche in vari regolamenti dell’Unione[14].

Si è andata così definendo con chiarezza la strategia che un’efficace politica regionale deve adottare: non limitarsi al settore economico e/o lavorativo ma intervenire con strumenti di crescita inclusiva sui problemi del territorio nel suo complesso. Non a caso la Commissione ha inserito la “crescita inclusiva” tra le tre priorità della strategia Europa 2020[15], al fine di promuovere un migliore rapporto tra le comunità umane e lo spazio in cui sono inserite.

Questo processo evolutivo, coerente con l’assorbimento del mercato unico nel più ampio contesto dello “spazio” europeo di libertà, sicurezza e giustizia, è stato ancorato sul piano dei valori ai princìpi dapprima enucleati dalla Corte di giustizia e infine codificati nella Carta di Nizza[16], che animano e indirizzano le azioni a livello dell’Unione[17]. La solidarietà economica e sociale, quale corollario del più ampio concetto di coesione, ha assunto un ruolo primario nelle politiche dell’Unione, divenendo criterio attuativo e ispiratore delle azioni e politiche UE.[18] Tale codificazione, per quanto frutto di un compromesso politico che ha voluto esplicitamente escludere ogni indiretta espansione, per tale via, delle competenze sovrannazionali e un indiretto rafforzamento dei poteri di intervento riconosciuti alle Istituzioni comuni, concorre a orientare le azioni e le misure da adottare, in modo da conformarle e dare effettività ai diritti fondamentali messi in gioco[19].

Oggi le politiche europee per lo sviluppo regionale e l’integrazione territoriale hanno assunto una particolare incisività, soprattutto per l’importanza assunta dal FESR-Fondo europeo di sviluppo regionale anche nella promozione e diffusione di nuovi modelli di sviluppo urbano sostenibile. L’obiettivo è perseguito sia attraverso politiche trasversali ed integrate, sia nel quadro specifico della coesione territoriale. È in corso il terzo Programma UrbAct, che per il periodo 2014-2020 destina 1,5 miliardi di euro all’Italia per azioni integrate per lo sviluppo urbano sostenibile, per sviluppare in un contesto unitario tanto le strategie di sviluppo “fisico” della città quanto le strategie di sviluppo economico e di integrazione sociale, incentivando nuovi modelli partecipativi di pianificazione dello sviluppo urbano[20].

Si è venuto così a formare un contesto normativo sovrannazionale che ha progressivamente ristretto e condizionato l’area tradizionalmente propria della legislazione italiana, statale e regionale, dedicata all’urbanistica e, nella sua declinazione più recente, al governo dell’uso del territorio. L’effetto è stato ora diretto, ora indiretto: la stessa legislazione statale sull’ambiente, sostanzialmente di attuazione delle iniziative europee oltre che di accordi internazionali, presenta sempre maggiori interferenze con la legislazione propriamente urbanistica, sia in termini di obiettivi che di limitazioni; analogamente è accaduto per la legislazione statale sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici, rafforzata ed estesa anch’essa su influenza di fonti internazionali, in modo particolare dalla Convenzione europea sul paesaggio[21] cui sovente si fa appello anche in termini generali per valorizzare la sua ampia concezione dei beni protetti.

2. Segue: la definizione di una Strategia europea per la protezione del suolo

Nella prospettiva fin qui delineata non stupisce che la Comunità europea, già a partire dal 1972 con la Carta europea del suolo[22] e soprattutto dal 2000 in avanti, abbia focalizzato l’attenzione direttamente sul tema del suolo[23], inteso come risorsa scarsa e non rinnovabile, caratterizzata da velocità di degrado e processi di formazione e rigenerazione estremamente lenti[24]: risorsa peraltro essenziale per la vita e salute delle persone, per l’equilibrio dell’ecosistema naturale e anche per la produzione agricola, indispensabile allo stesso tempo per le sue funzioni sociali ed economiche ma anche per rendere sostenibile lo sviluppo[25].

Constatato che le conseguenze negative di un eccessivo uso del suolo per costruirvi edifici ed infrastrutture sono ormai maggiori, anche dal punto di vista strettamente economico, alle utilità date dalla sua urbanizzazione, la Commissione ha adottato nel 2006 una “Strategia generale per la protezione del suolo” caratterizzata dai princìpi guida della prevenzione, conservazione, recupero e ripristino della funzionalità del suolo, articolata in interventi ai diversi livelli di governance secondo il principio di sussidiarietà, inteso sia in senso verticale che orizzontale, dato che il suolo è visto come un esempio evidente della necessità di pensare in termini globali e di agire poi a livello locale[26]..

Questa strategia ha trovato attuazione nel 2011 con altre iniziative della Commissione[27] che, entro un più ampio contesto volto a ottimizzare l’uso delle risorse in un’economia di tipo circolare[28], hanno fissato l’obiettivo di arrivare entro il 2050 a “quota zero” nell’occupazione di nuovo suolo ed hanno sollecitato orientamenti a buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo.

Gli aspetti sui quali maggiormente si è incentrata la riflessione e l’azione sollecitatoria della Commissione sono quello dei rischi derivanti dalla sempre maggiore impermeabilizzazione del suolo[29] per effetto della sua urbanizzazione, dovuta soprattutto alla dispersione dell’edificazione al di fuori delle città nel territorio aperto, con perdita delle sue funzioni essenziali rispetto all’ecosistema naturale, e quello dei brownfields[30], gli agglomerati vetero-industriali abbandonati nel territorio dopo l’esaurimento della loro utilità economica senza attivare processi di rinaturalizzazione del suolo, con spreco di aree e degrado ambientale.

Meno nota, ma parimenti rilevante in questa sede, è l’attenzione rivolta dalla Commissione al miglioramento della costruzione e dell’uso degli edifici, con ripercussioni stimate in misura particolarmente importante sul consumo finale di energia (-42%), sulle emissioni di gas serra (-35%), sui materiali estratti (-50%) e sul consumo di acqua (-30%)[31]. La strategia indicata è nel senso di promuovere l’efficienza energetica e l’uso di energie rinnovabili negli edifici e integrarle con una maggiore efficienza delle risorse, prendendo in considerazione una gamma più ampia di impatti ambientali durante il ciclo di vita degli edifici e delle infrastrutture e anche i costi legati all’intero ciclo di vita degli edifici, inclusi quelli derivanti dai costi complessivi del trattamento dei rifiuti e dalle demolizioni, dalla costruzione e poi dalla gestione.

Per un utilizzo efficace delle risorse a livello di edifici, ma anche per la mobilità, è ritenuto indispensabile migliorare innanzitutto la pianificazione delle infrastrutture. Si prevedono perciò politiche specifiche per incentivare le PMI – che rappresentano la maggioranza delle imprese edili – a formarsi e a investire in pratiche e metodi di costruzione efficienti dal punto di vista delle risorse, così da tendere entro il 2020 ad azzerare il consumo di energia da parte dei nuovi edifici e a ridurlo per quelli esistenti, puntando al riciclo del 70% dei rifiuti di costruzione e demolizione[32].

È da notare che queste iniziative della Commissione sono state poste in essere mediante Comunicazioni, ossia atti non vincolanti volti a rendere pubblico il punto di vista dell’Istituzione e l’intenzione di assumere iniziative e adottare misure in quella direzione: pur non disponendo di una base giuridica specifica loro propria, esse cercano avallo in specifiche direttive di settore, come la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia[33] e la direttiva 2008/98/CE sui rifiuti, adottata sulla base dell’articolo 175, par. 1, TCE.

Nella relazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni del 13 febbraio 2012 relativa all’attuazione della strategia tematica per la protezione del suolo e attività in corso[34], la Commissione dà atto che la sua proposta di direttiva quadro per la protezione del suolo, risalente al 2006, che affrontava anche il tema della dimensione transfrontaliera della degradazione del suolo, era stata adottata dal Parlamento europeo in prima lettura nel novembre 2007 con una maggioranza di circa due terzi, ma era stata poi bloccata da una minoranza di Stati nel Consiglio Ambiente di marzo 2010, per ragioni legate alla sussidiarietà, ai costi eccessivi e al carico amministrativo[35]; lascia però intendere di ritenere legittima e voler proseguire nella propria strategia, utilizzando poteri derivanti da altre politiche settoriali.

3. L’adeguamento della legislazione interna statale e regionale alla prospettiva ed alla Strategia europea; il disegno di legge statale e la legge n. 14 del 2017 della Regione Veneto

Mentre si andava consolidando ed estendendo l’impatto del diritto europeo sul diritto interno anche nel settore dell’urbanistica, quest’ultima nozione era oggetto di un processo di ripensamento, iniziato con la sua ampia definizione accolta dall’articolo 80 del d.P.R. n. 611/1977 e confluito con la riforma costituzionale del 2001 nella nuova locuzione di “governo del territorio” usata dall’articolo 117 Cost.  Vi è dunque un processo di convergenza in atto fra la prospettiva europea e quella interna, che appare tuttavia frenato e talora distorto dalla necessità di mantenere dei confini tra la competenza esclusiva statale e quella condivisa fra Stato e regioni ordinarie.

In effetti, ad oltre un decennio dalla Comunicazione della Commissione relativa alla “Strategia per limitare l’impermeabilizzazione del suolo”, l’Italia non ha ancora concretizzato nessuna iniziativa legislativa a livello statale per darle concreta attuazione. È rimasta isolata la disposizione dell’articolo 6 della legge 10 gennaio 2013 n. 10 sullo sviluppo degli spazi verdi urbani e dei green belts periurbani, pur avendo essa dato un primo indirizzo ai Comuni verso il risparmio di suolo e la salvaguardia delle aree comunali non edificate, anche mediante misure di vantaggio volte a favorire il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti residenziali e produttivi esistenti[36].

Solo il 12 maggio 2016 la Camera dei Deputati ha approvato (Atto C 2039) un disegno di legge volto a valorizzare le aree agricole, garantendo il contenimento del consumo del suolo[37]. Nel corso della seconda lettura al Senato, le Commissioni riunite Agricoltura e Ambiente, dopo numerose audizioni di esperti, generalmente critiche sull’impianto e sull’efficacia reale dell’intervento normativo statale, e dopo ampia discussione, hanno sensibilmente modificato il testo trasmesso alla Camera, da sottoporre al voto dell’Assemblea. È dunque prevedibile che, se l’Aula condividerà le modifiche elaborate dalle Commissioni, il disegno di legge dovrà essere ritrasmesso alla Camera, e le imminenti elezioni politiche lasciano scarse speranze di un esito positivo del procedimento nella legislatura che va a concludersi.

Frattanto, pur in assenza di legislazione statale, alcune Regioni hanno assunto autonome iniziative legislative, per dare diretta attuazione alla Strategia e agli orientamenti europei[38].

Così ha fatto da ultimo la Regione del Veneto, che con la legge n. 14 del 6 giugno 2017[39] ha condiviso, ma declinato e arricchito in modo originale, i lineamenti essenziali del disegno di legge all’esame del Parlamento.

È da notare anzitutto che la legge veneta assume a fondamento la volontà di attuare i valori costituzionali di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema sanciti dagli articoli 9 e 117 della Costituzione e il principio dello sviluppo sostenibile recepito all’articolo 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ma si fonda anche sull’articolo 8 dello Statuto regionale[40], che fa proprio il principio di responsabilità nei confronti delle generazioni future, per assicurare la conservazione e il risanamento dell’ambiente anche attraverso un governo del territorio volto a tutelare le risorse naturali quali beni comuni. Con questi riferimenti normativi espressi la Regione mostra di voler interpretare in modo particolarmente ampio la propria competenza “concorrente” in materia di governo del territorio, ponendola in stretta connessione, con ruolo quasi strumentale, con la salvaguardia dell’ambiente e con i valori statutari regionali, legittimati dallo Stato con l’approvazione dello Statuto.

L’impulso politico all’iniziativa legislativa è venuto dalla constatazione – documentata anche dagli studi aggiornati dell’ISPRA – dell’eccezionale consumo di suolo regionale nel periodo più recente, ben superiore alla media nazionale e ancor più a quella europea. Si è inteso perciò avviare una rivisitazione radicale della legislazione regionale in materia urbanistica, e ripensare il modello fin qui perseguito, dando inizio ad un nuovo percorso[41] che, pur essendo stato in qualche misura già prefigurato dalla legge urbanistica regionale n. 11 del 2004, non aveva fin qui trovato le condizioni per incidere effettivamente sulla pianificazione

4. Segue: Il contenimento del consumo di suolo e la rigenerazione urbana nella legge veneta n. 14 del 2017

La nuova legge veneta si regge sui princìpi solennemente enunciati all’articolo 1, anzitutto la piena consapevolezza che il suolo è bene comune, risorsa limitata e non rinnovabile, di importanza fondamentale per la qualità della vita delle generazioni attuali e future[42]; si avvale poi di nuove nozioni giuridiche, che vengono definite all’articolo 2 e che risultano funzionali alla nuova disciplina.

Due sono le direzioni nelle quali si muove la riforma veneta. La prima – in sviluppo coerente degli indirizzi del disegno di legge statale approvato dalla Camera –- punta all’obiettivo di orientare la programmazione e la pianificazione locale alla graduale riduzione del consumo di suolo, mediante atti di indirizzo regionali che fissino la quantità massima di suolo consumabile nel periodo di riferimento, con effetti vincolanti per la pianificazione comunale, da aggiornare entro un termine prefissato. La seconda, complementare alla prima ma con elementi innovativi rispetto al disegno di legge statale, cerca di riorientare il mercato e l’attività edilizia verso la città e le aree già urbanizzate, offrendo una serie di strumenti giuridici e di incentivi per favorire la riqualificazione edilizia ed urbana ed anche la rigenerazione – medianti appositi programmi a lungo termine – di ampie parti delle grandi città in condizioni di degrado o comunque non più vitali[43]. Flessibilità e adeguamento delle regole alle specificità locali sono considerati fattori essenziali di propulsione dell’iniziativa privata, unitamente alla previsione di possibili incentivi mediante crediti edilizi, premialità in termini volumetrici o di superficie realizzabile e riduzione dei contributi di costruzione[44].

Un altro aspetto di particolare interesse è dato dalla previsione – accanto alla rivisitazione degli strumenti tradizionali propri della pianificazione urbanistica e in linea con le metodologie seguite dalle Istituzioni europee – di politiche pubbliche, da attivare ai vari livelli di governo del territorio, incentrate sulla promozione della qualità dell’edificazione, intesa nel senso più ampio: architettonica, edilizia, ambientale, energetica, di sicurezza[45]. Non meno significativa è l’attenzione riservata all’armonico inserimento del singolo intervento nel contesto urbano e alla garanzia di mantenimento nel tempo della qualità e dei livelli di vivibilità, fruibilità, sicurezza e decoro.

Nel quadro di queste politiche sono previste anche misure specifiche e concrete, dalla diffusione delle buone pratiche alla valorizzazione della qualità dei piani e progetti, anche mediante pubblico riconoscimento e autorizzazione all’uso dello stemma e logo della Regione, fino all’istituzione di un apposito Fondo per promuovere e cofinanziare gli interventi di rigenerazione urbana e di demolizione[46].

Una disposizione del tutto innovativa nel panorama legislativo italiano è quella – all’articolo 8 della legge n. 14/2017 – che consente e promuove il riuso temporaneo del patrimonio immobiliare dismesso o inutilizzato, situato in aree non agricole, per tutti gli usi, ad esclusione soltanto di quello ricettivo, sulla base di una convenzione tra privati e Comune, approvata dal consiglio comunale, che dia le garanzie minime di tutela della salute e sicurezza delle persone e di rispetto dell’ordine pubblico[47]. Si cerca in questo modo di affrontare concretamente il problema rappresentato dalla grande quantità di edifici inutilizzati e generalmente degradati presenti nel territorio regionale: prevalentemente edifici sorti e utilizzati nel passato come produttivi ma poi abbandonati a seguito della crisi economica ed immobiliare e del cambiamento del mercato,  ma anche edifici pubblici ormai inadeguati alla loro funzione originaria, appartenenti sia agli enti territoriali che allo Stato. Particolare impatto hanno avuto nel Veneto le dismissioni di edifici ed aree militari da parte del Ministero della Difesa, che sono molto numerosi nel Nordest del Paese, in ragione della strategia della Difesa orientata per lungo tempo al presidio del fronte nordorientale, che hanno perso la loro ragion d’essere a seguito del radicale cambiamento strategico, che ha portato fra l’altro alla riduzione e alla specializzazione delle forze armate e alla soppressione della leva militare obbligatoria.

L’articolo 8 della legge veneta n. 14 del 2017, superando la tradizionale barriera della zonizzazione e della prefissione di rigide destinazioni d’uso, modificabili soltanto mediante approvazione di varianti al piano regolatore generale, consente – in via temporanea – sperimentazioni di usi diversi da quelli originari e ancora cristallizzati nella pianificazione urbanistica, così da incentivare sia la conservazione dei beni sia la disponibilità di spazi agibili e gratuiti o a costi contenuti per tutte le iniziative – culturali e artistiche, musicali, sociali, ludiche, sportive, artigianali, di forme innovative di servizi – nelle quali va esprimendosi la creatività soprattutto dei giovani e germinano nuove esperienze di lavoro e di impresa. Ogni decisione di natura propriamente urbanistica viene così differita nel tempo, pragmaticamente, in attesa di disporre di maggiori elementi per valutare se ed in quale direzione riorientare i contenuti della pianificazione.

Altro aspetto innovativo della riforma veneta è rappresentato dall’obiettivo di incentivare le demolizioni di manufatti degradati e non più recuperabili a condizioni economicamente sostenibili. Si rende necessario, per muovere in questa direzione, superare la barriera, ormai essenzialmente psicologica, che la demolizione di per sé distrugga valore, e prendere atto che invece essa può, all’opposto, creare valore, sia in termini economici diretti – con la cessazione di costi e oneri anche fiscali e la restituzione al mercato di aree libere più facilmente commerciabili – sia nella prospettiva di una riorganizzazione complessiva dell’assetto urbano e del rapporto fra spazi privati e città pubblica.

L’adozione di misure appropriate per incentivare la rinaturalizzazione di parti del suolo urbano senza riedificazione in situ, eventualmente col “trasferimento” di volumetria virtuale in altre parti appropriate della città o con la sua cessione sul mercato in forma di crediti edilizi, rappresenta un apprezzabile tentativo di reagire ad una crisi strutturale del mercato edilizio e dell’assetto economico complessivo, e allo stesso tempo di ripensare le politiche sociali e urbane intorno a nuovi bisogni e nuovi valori collettivi, connessi ad una nuova idea di città ed alla sua centralità nella nuova economia della conoscenza.

5. Segue: le riforme della Toscana, della Lombardia e dell’Abruzzo

La legge del Veneto fa seguito a tre precedenti iniziative legislative regionali, che pure avevano inteso dare attuazione alla Strategia europea nonostante l’inerzia del Parlamento.

La Regione Toscana aveva rivisitato la propria legislazione urbanistica con la legge n. 65 del 2014, nella quale già si coglie un nuovo modo di intendere l’urbanistica, ancorata alla nozione di patrimonio territoriale come “bene comune” e come “bene comune identitario della comunità toscana”[48].

Si intrecciano anche qui il livello urbanistico e quello tradizionalmente indicato come ambientale, dando spazio alla protezione del suolo e del territorio prima che al suo uso e/o sfruttamento. L’esauribilità della risorsa porta ad esigere un’espressa motivazione per ammettere la costruzione (o ricostruzione) al di fuori del perimetro urbano. Spicca anche l’accento posto sull’esigenza che la pianificazione avvenga a livello sovracomunale, indicativa di una forte attenzione per l’interesse pubblico generale o territoriale[49], che supera la sfera locale e viene assunto a obiettivo e riferimento generale per un governo del territorio multilivello.

Anche qui, dunque, come nel Veneto, va sfumando la distinzione fra urbanistica e ambiente, che il diritto dell’Unione non conosce e che a livello statale è marcata più sotto il profilo delle distinte competenze – statale e regionali – che per la sua sostanza. Diviene centrale e condivisa la volontà di assicurare una maggiore tutela dell’ambiente, come valore e obiettivo prevalente, anche quando si utilizzino gli strumenti tradizionali della regolazione delle trasformazioni infrastrutturali ed edilizie del territorio, con uso di suolo inedificato.

Sulla stessa linea – ma con minore ampiezza ed incisività – si è mossa anche la Regione Lombardia, che ha modificato la propria disciplina urbanistica generale con legge regionale n. 31 del 2014[50], nel tentativo di ridurre il consumo di suolo almeno per le aree censite come rurali. Questa impostazione implica tuttavia che le aree non censite come tali e non ancora edificate rimangano esposte al rischio di possibili interventi di urbanizzazione[51].

Anche la Regione Abruzzo aveva adottato nell’aprile 2014 la legge regionale 24/2014, intitolata legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo di suolo, ponendo una particolare enfasi sulla valorizzazione della funzione agricola delle aree inedificate. L’art. 3 della legge attribuiva al Consiglio regionale il potere di determinare, con provvedimento adottato ogni dieci anni previa consultazione del Consiglio delle Autonomie Locali, l’estensione massima di superficie agricola consumabile sul territorio regionale.

Similmente a quanto previsto dalla legge veneta, accanto alle misure limitative delle superfici agricole utilizzabili per l’espansione edilizia si stabilivano misure volte ad incentivare il recupero ed il riuso del patrimonio esistente.

6. Tuttavia, la legge regionale abruzzese è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 45 e 55 del 2015, in quanto adottata dal Consiglio regionale in regime di A seguito della dichiarazione di incostituzionalità, nel novembre 2016 la nuova Giunta regionale ha dato impulso ad un nuovo progetto di legge, che è stato definitivamente approvato dal Consiglio regionale nell’agosto 2017 (l.r. 1° agosto 2017, n. 40). La nuova legge abruzzese non prevede più forme di contingentamento del consumo di suolo, limitandosi a introdurre incentivi al recupero ed al riutilizzo del patrimonio esistente, “al fine di uno sviluppo sostenibile e di contenere il consumo di suolo”. Considerazioni conclusive

Il diritto dell’Unione ha un evidente impatto sistemico sul diritto interno italiano, non solo nei contenuti ma anche sul riparto delle competenze legislative, che comunque, ai sensi dell’articolo 117 Cost., devono adeguarsi alle fonti sovraordinate. Diviene, in altri termini, sempre meno netta la distinzione fra competenza esclusiva statale in materia ambientale e competenze concorrenti fra Stato e Regioni ordinarie in materia di urbanistica e governo del territorio, dal momento che le politiche e scelte apparentemente territoriali in realtà sono anch’esse strumentali alla tutela dell’ambiente, di cui il suolo è parte integrante e inscindibile, e ne sono perciò condizionate. La dimostrazione più evidente è data dalle direttive europee sulla VIA e sulla VAS, che nel diritto interno sono state recepite dando vita a procedimenti distinti ed autonomi da quelli tradizionalmente urbanistici e pianificatori, ma che nella realtà condizionano e orientano le trasformazioni urbanistico-edilizie del territorio poiché ne valutano preventivamente l’impatto sistemico in modo per così dire tridimensionale.

Non per questo appaiono giustificate le preoccupazioni che per questa via siano alterati gli equilibri istituzionali nel rapporto Stato-Regioni, con un’interferenza regionale nella materia del diritto dell’ambiente o con una compressione da parte dello Stato delle prerogative regionali attraverso una indebita estensione della materia ambientale, fino a svuotare la competenza regionale in materia di governo del territorio.

La giurisprudenza della Corte costituzionale offre già anticorpi adeguati ad evitare una lettura in termini conflittuali di un’azione congiunta Stato-Regioni che appare invece essenziale per dare effettività a valori sovrannazionali oltre che costituzionali. La Corte costituzionale in sede di interpretazione dell’articolo 9 Cost. ha ben chiarito che “costituisce compito dell’intero apparato della Repubblica nelle sue diverse articolazioni”, inclusi quindi gli enti locali, “la tutela dei beni culturali, del paesaggio e dell’ambiente” ben possono perciò i Comuni, in sede di pianificazione urbanistica locale, “imporre limiti e vincoli più rigorosi o aggiuntivi, anche con riguardo a beni vincolati, a tutela di interessi culturali ed ambientali”[52].

Le autonomie locali possono dunque rafforzare la tutela assicurata a livello centrale[53], che si atteggia a soglia minima di garanzia[54]. Nella stessa direzione porta l’espressa attribuzione di competenza alle Regioni per la valorizzazione dei beni culturali e ambientali.

In realtà, la prospettiva deve ancora allargarsi, per identificare e attuare un modello di sviluppo sostenibile: “la principale sfida futura per le politiche urbane è quella di essere in grado di dare risposte convergenti, garantendo un pari livello di efficienza alle questioni ambientali, sociali ed economiche che nascono nelle nostre città”[55] . C’è molto da fare su questa via, se è vero che soltanto il 30% delle regioni dispone di nuovi piani paesaggistici, permanendo forti resistenze all’approvazione; se non tutti i piani territoriali vigenti sono orientati alla limitazione del consumo di suolo e se in circa la metà dei comuni i piani regolatori vigenti “sono redatti nel rispetto del principio di zonizzazione senza alcuna attenzione all’equilibrio tra territorio urbanizzato e aree naturalistiche”; se “è sempre più comune il ricorso a varianti di piano per favorire nuovi insediamenti residenziali, commerciali o lato sensu produttivi”[56].

Resta da chiedersi se il disegno di legge in discussione in Parlamento costituisca un adeguato framework culturale e strategico, prima ancora che normativo, ad una nuova stagione di buon governo del territorio, comprensivo del suolo bene comune e dell’ambiente complessivo di cui esso fa parte, nella quale operino in sintonia tutti i protagonisti istituzionali e siano orientate con chiarezza le scelte proprie dell’iniziativa privata e degli operatori economici. Ogni valutazione definitiva in proposito sconta la fase di work in progress dei lavori parlamentari, tuttavia il testo licenziato dalla Camera non appare adeguato a costituire una pietra miliare sulla via dell’adeguamento del diritto italiano ai nuovi scenari aperti dalla Strategia europea per un’economia circolare conforme ad un nuovo modello di sviluppo sostenibile, un modello che guarda alla responsabilità collettiva verso le nuove generazioni e alla comune responsabilità di custodire e trasmettere quei valori che si rispecchiano nel territorio.

Valori e alto senso di responsabilità verso la comunità e verso le nuove generazioni: parole alte, che sono diventate vissuto e testimonianza in Luigi Manzi, cui è dedicato questo scritto con affetto e ammirazione.

Bruno Barel

 

[1] Ci riferiamo naturalmente alla legge fondamentale n. 1150 del 1942. Si è osservato che “la nascita dell’urbanistica come materia giuridicamente rilevante è così da riconnettere all’evolversi dello sviluppo economico e sociale in genere, e la finalità generale non è quella di una regolazione delle attività economiche sul territorio ma più esattamente – da un lato – di una disciplina degli usi del territorio e delle sue risorse al fine di preservarli da iniziative economiche incompatibili con gli obiettivi della conservazione e della tutela e – dall’altro – di apporre limiti al potere incondizionato della proprietà privata conformandola alle finalità sociali”: così P. Urbani, Urbanistica (Dir. Amm.), 1992.

[2] Cfr. Commissione Europea, Cities of tomorrow – Challenges, visions, ways forward, 2011, disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docgener/studies/pdf/citiesoftomorrow/citiesoftomorrow_final.pdf.

[3] V.M. Sbrescia, Le competenze dell’Unione europea nel Trattato di Lisbona, Napoli, 2008, 276.

[4] Per recenti riflessioni sul punto, si rinvia a D. Tamm, The History of the Court of Justice of the European Union Since its Origin, in The Court of Justice and the Construction of Europe: Analyses and Perspectives on Sixty Years of Case-law – La Cour de Justice et la Construction de l’Europe: Analyses et Perspectives de Soixante Ans de Jurisprudence, 2013, 9-35; T. Moorhead, European Union Law as International Law, in European Journal of Legal Studies, Vol. 5, Issue 1 (Spring/Summer 2012), 126-143; J. Klabbers, Sui Generis? The European Union as an International Organization, in A Companion to European Union Law and International Law (a cura di D. Patterson e A. Södersten), 2016.

[5] Cfr. il commento all’articolo 174 TFUE in Commentario Breve ai Trattati dell’Unione Europea (a cura di F. Pocar e C. Baruffi), 2° ed., CEDAM, 2014, 1070.

[6] Cfr. Commissione Europea, The History of the Common Agricultural Policy”, disponibile all’indirizzo: https://ec.europa.eu/agriculture/cap-overview/history_en; Commissione Europea,  The Common Agricultural Policy – A story to be continued, disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/agriculture/50-years-of-cap/files/history/history_book_lr_en.pdf.

[7] Cfr. il commento all’articolo 175 TFUE in Commentario Breve cit., 1075.

[8] Commissione Europea, Evaluation of the Common Transport Policy (CTP) of the EU from 2000 to 2008 and analysis of the evolution and structure of the European transport sector in the context of the long-term development of the CTP”, 2009, 4 ss., disponibile all’indirizzo: https://ec.europa.eu/transport/sites/transport/files/themes/strategies/studies/doc/future_of_transport/20090908_common_transport_policy_final_report.pdf; v. anche https://ec.europa.eu/transport/themes/infrastructure/tentguidelines/transport-policy_en.

[9] Vedi inter alia E. Orlando, The Evolution of EU Policy and Law in the Environmental Field: Achievements and Current Challenges, in Transworld, Working Paper 21, 2013, disponibile all’indirizzo http://www.transworld-fp7.eu/wp-content/uploads/2013/04/TW_WP_21.pdf.

[10] La strategia elaborata nel Consiglio europeo di Lisbona del 23/24 marzo 2000 intendeva far diventare l’Unione Europea “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale” (par 5). Tali ambiziosi obiettivi, integrati con la strategia di Göteborg del 2001, hanno poi avuto un riconoscimento con la proposta della Commissione di avviare un partenariato per la crescita e l’occupazione. Si era anche cercato un maggiore coordinamento con altre istituzioni finanziarie, tra cui la BEI e il FEI: v. il commento all’articolo 177 TFUE, in Commentario Breve cit., 1082.

[11] Vedi Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, scaricabile dal sito:

https://sustainabledevelopment.un.org/post2015/transformingourworld; Commissione Europea, Next steps for a sustainable European future – European action for sustainability, 2016, scaricabile dall’indirizzo: http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-16-3886_en.htm; Comunicazione della Commissione europea, Sviluppo sostenibile in Europa per un mondo migliore: strategia dell’UE per lo sviluppo sostenibile, COM (2001) 264 del 15.5.2001.

[12] L’art. 174 TFUE innova la disposizione già contenuta all’articolo 158 TCE, accostando alla promozione della coesione economica e sociale anche la promozione della coesione territoriale, al fine di promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione”. Il concetto di coesione territoriale va oltre la nozione di coesione economica e sociale, in quanto ne integra e potenzia il significato: cfr. D. Gallo, I servizi di interesse economico generale. Stato, mercato e welfare nel diritto dell’Unione europea, 2011, 746.

[13] V. artt. 174 e 175 TFUE. La seconda disposizione sottolinea come la stessa attività normativa dell’Unione debba tenere conto della coesione come obiettivo generale delle politiche europee: cfr. il commento all’articolo 174 TFUE, in Commentario Breve cit., 1072.

14 Ci si riferisce in particolare, da ultimo, al reg. 1301/2013 relativo all’attività del FESR per il periodo 2014-2020, il quale ribadisce il ruolo del FESR in vista del raggiungimento degli obiettivi della politica di coesione, cioè gli investimenti a favore della crescita e dell’occupazione e la cooperazione territoriale europea. Oltre a disposizioni generali su FESR, FSE e FC, il regolamento detta disposizioni comuni anche al FEASR e al FEAMP, riconducendoli ad un quadro strategico comune.

[15] Cfr. il commento all’articolo 174 TFUE, in Commentario Breve cit., 1071. Ci si riferisce al documento COM(10)2020 del 3.03.2010.

[16] Il Trattato di Nizza intervenne sulle disposizioni sulla coesione modificando l’art 159, par.3, TCE e prevedendo la procedura di codecisione per l’adozione di azioni al di fuori dei Fondi; aggiunse inoltre all’art. 161 TCE un terzo paragrafo sulle modalità di decisione del Consiglio per l’adozione di atti concernenti Fondi a finalità strutturale: cfr. Commentario Breve cit., 1073.

[17] Nella prassi la coesione opera diversamente, imponendosi agli Stati membri, nelle proprie politiche nazionali, essenzialmente il rispetto delle regole del libero mercato sulla circolazione dei fattori produttivi e la concorrenza: cfr. il commento all’articolo 175 TFUE, in Commentario Breve cit., 1074.

[18] Ibidem.

[19] Sulla base dell’articolo 352 TFUE fu creato il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), primo esempio di strumento ad ampio raggio volto a correggere i principali squilibri regionali. Cfr. il commento all’articolo 174 TFUE, in Commentario Breve cit., 1072.

[20] Cfr. Regolamento (UE) n. 1299/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante disposizioni specifiche per il sostegno del Fondo Europeo di sviluppo regionale all’obiettivo di cooperazione territoriale europea.

[21] Cfr. European Landscape Convention, ETS n. 176, disponibile al sito: https://www.coe.int/en/web/conventions/full-list/-/conventions/treaty/176; vedi anche M. Dejeant, Environmental Policy and the Law, 2004, 34 (2), 79-83.

[22] La Carta europea del suolo è il primo documento dell’Unione europea a sottolineare l’importanza del suolo. Pur trattandosi di un documento di soft law, esso evidenzia al punto n. 2 che “il suolo è una risorsa limitata che si distrugge facilmente” e al punto n. 3 che “qualsiasi politica di pianificazione territoriale deve essere concepita in funzione delle proprietà dei suoli e dei bisogni della società di oggi e di domani”. L’influenza di tali princìpi emerge con forza nella successiva attività della Commissione europea in materia.

[23] V. Commissione europea, Suolo e gestione del territorio, in https://ec.europa.eu/environment/efe/themes/land-use-and-soil_it; Land Use and Forestry Proposal for 2021-2030, in https://ec.europa.eu/clima/policies/forests/lulucf_en. L’articolo 191 TFUE cita “l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali” come obiettivo delle politiche ambientali e l’articolo 11 TFUE dispone che “Le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”.

[24] Cfr. Commissione Europea, Cities of tomorrow cit., 26.

[25] Cfr. Commissione Europea, Soil as a Key Resource for the EU, disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/environment/soil/pdf/factsheet_2010_en.pdf.

[26] Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 22 settembre 2009, Strategia tematica per la protezione del suolo [SEC(2006)620] [SEC(2006)1165], COM/2006/0231, 6.

[27] Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 13 febbraio 2012, Attuazione della strategia tematica per la protezione del suolo e attività in corso, COM (2012) 46 finale.

[28] V. i comunicati stampa della Commissione: L’anello mancante: la Commissione adotta un nuovo e ambizioso pacchetto di misure sull’economia circolare per rafforzare la competitività, creare posti di lavoro e generare una crescita sostenibile, all’indirizzo: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-6203_it.htm ed Economia circolare: La Commissione, mantenendo i suoi impegni, offre orientamenti sul recupero di energia dai rifiuti e lavora con la BEI per stimolare gli investimenti, http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-104_it.htm.

[29] Commissione Europea, Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo, disponibile all’indirizzo:

http://ec.europa.eu/environment/soil/pdf/guidelines/pub/soil_it.pdf, 2012.

[30] Commissione Europea, Remediated Sites and Brownfields. Success Stories in Europe, 2015, disponibile all’indirizzo: https://ec.europa.eu/jrc/en/publication/remediated-sites-and-brownfields-success-stories-europe; Commissione Europea,

Brownfield Regeneration, scaricabile dal sito:

http://ec.europa.eu/environment/integration/research/newsalert/pdf/39si_en.pdf, 2013.

[31]Commissione Europea, Raccomandazione (UE) 2016/1318 della Commissione, del 29 luglio 2016, recante orientamenti per la promozione degli edifici a energia quasi zero e delle migliori pratiche per assicurare che, entro il 2020, tutti gli edifici di nuova costruzione siano a energia quasi zero, C/2016/4392, 46-57.

[32] Relazione della Commissione Europea al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni sull’attuazione del piano d’azione per l’economia circolare, COM(2017) 33, 2017, 11, disponibile all’indirizzo: https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2017/IT/COM-2017-33-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF.

[33] Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell’edilizia, 13-35. In essa è stata rifusa la direttiva 2002/91/CE del 16 dicembre 2002, adottata sulla base giuridica rappresentata dall’articolo 194, par. 2, TFUE.

[34] Cfr. Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 13 febbraio 2012, Attuazione della strategia tematica per la protezione del suolo e attività in corso, COM (2012) 46 finale, disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2012/IT/1-2012-46-IT-F1-1.Pdf.

[35] Ibidem, 6.

[36] Secondo L. De Lucia, Il contenimento del consumo di suolo nell’ordinamento italiano, in Contenere il consumo del suolo. Saperi ed esperienze a confronto (a cura di F. Cartei e L. De Lucia), Editoriale Scientifica, 2014, 94, con l’art. 6 l.r. n. 10/2013 il principio del contenimento dell’uso del suolo sarebbe stato consacrato nell’ambito del governo del territorio; diversamente E. Boscolo, Oltre il territorio: il suolo quale matrice ambientale e bene comune, in Urbanistica e appalti n. 2/2014, 140.

[37] Disegno di legge S.3601, di iniziativa del Ministro dell’Ambiente Catania e altri, Valorizzazione delle aree agricole e contenimento del consumo del suolo; vedi anche E. Boscolo, op. cit., 139.

[38] Vedi P. Pileri, Compensazione ecologica preventiva. Principi strumenti e casi, Carocci, 2007, 68; inter alia, la Regione Lombardia ha di recente modificato la propria disciplina generale con l. r. n. 31/2014, “Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato”; la Regione Toscana ha adottato la l. r. n. 65/2014 riformando complessivamente il proprio sistema di governo del territorio; la Regione Abruzzo ha adottato inizialmente la l. r. n. 24/2014 e, dopo la dichiarazione di incostituzionalità di quest’ultima, la legge n. 40/2017; Cartei nota che un “ulteriore problema sul piano interno è quello rappresentato dalla proliferazione dei livelli politici di governo. L’aver suddiviso senza un vero e proprio criterio tra programmazione ed attuazione sulle competenze in tema di governo del territorio ha finito per lasciare quest’ultimo concetto non perimetrabile in una puntuale definizione legislativa, bensì definibile soltanto ex post attraverso i criteri forniti in via pretoria dal Consiglio di Stato”. Sul punto, G. Cartei, Il consumo di suolo. Atti del Convegno del 3 dicembre 2015, in Giustamm n. 1/2016, all’indirizzo: https://www.giustamm.it/ga/id/2016/1/5155/d.

[39] Legge regionale 6 giugno 2017 “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”, pubblicata sul BUR Veneto n. 56 del 9 giugno 2017.

[40] Il tenore letterale della disposizione è particolarmente significativo: “Art. 8 – Patrimonio culturale e ambientale. 1. Il Veneto, nel rispetto del principio di responsabilità nei confronti delle generazioni future, opera per assicurare la conservazione e il risanamento dell’ambiente, attraverso un governo del territorio volto a tutelare l’aria, la terra, l’acqua, la flora e la fauna quali beni e risorse comuni. 2. La disponibilità e l’accesso all’acqua potabile, nonché all’acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi, costituiscono diritti universali. La Regione garantisce a ciascun individuo il diritto al minimo vitale giornaliero d’acqua quale diritto alla vita. 3. La Regione, consapevole dell’inestimabile valore del patrimonio storico, artistico, culturale e linguistico del Veneto e di Venezia, si impegna ad assicurarne la tutela e la valorizzazione ed a diffonderne la conoscenza nel mondo. 4. La Regione tutela e valorizza gli aspetti tipici e caratteristici dell’ambiente e delle produzioni venete. 5. La Regione tutela il paesaggio e riconosce l’importanza delle attività rurali e forestali ai fini del miglioramento della qualità della vita, della tutela della biodiversità, della sicurezza alimentare e della salvaguardia del territorio. 6. La Regione riconosce e garantisce il diritto dei cittadini a essere informati sulle condizioni e qualità dell’ambiente, sui rischi per la salute e su ogni altra situazione di criticità che si manifesti sul suo territorio”.

[41] L. Viel, Commento all’articolo 1 l.r. n. 14/2017 in Contenimento del consumo di suolo e rigenerazione urbana, Commentario alla legge della Regione Veneto 6 giugno 2017, n. 14 (a cura di B. Barel), Corriere del Veneto, 2017, 68 ss.

[42] Art. 1 l.r. Veneto n. 14/2017: “Il suolo, risorsa limitata e non rinnovabile, è bene comune di fondamentale importanza per la qualità della vita delle generazioni attuali e future, per la salvaguardia della salute, per l’equilibrio ambientale e per la tutela degli ecosistemi naturali, nonché per la produzione agricola finalizzata non solo all’alimentazione ma anche ad una insostituibile funzione di salvaguardia del territorio”.

[43] L. Viel, Commento all’articolo 1 l.r. n. 14/2017, in Contenimento del consumo di suolo e rigenerazione urbana cit., 70 ss.

[44] M. Panzarino, G. Vidali, Commento all’articolo 5 l.r. n. 14/2017, in Contenimento del consumo di suolo e rigenerazione urbana cit., 104 ss.

[45] Cfr. L. Viel, A. Za, Commento all’articolo 3 l.r. n. 14/2017, in Contenimento del consumo di suolo e rigenerazione urbana cit., 91 ss.

[46] Così l’art. 10, l.r. n. 14/2017. Sul punto, v. P. Petralia, Commento all’articolo 10 l.r. 14/2017, in Contenimento del consumo di suolo e rigenerazione urbana cit., 147 ss.

[47] Cfr. art. 8 l.r. n. 4/2017. Sul punto, B. Barel, Commento all’art. 8 l.r. n. 14/2017 in Contenimento del consumo di suolo e rigenerazione urbana cit., 133 ss.

[48] Art 1, co. 1, l.r. Toscana n. 65/2014. Sul punto, cfr. G. Cartei, Il consumo di suolo cit.

[49] P. Urbani, A proposito della riduzione del consumo di suolo, in Rivista giur. edil. n..3/2016, 231. Più precisamente, “si vincola l’attività discrezionale dei comuni prevedendo che le scelte di piano debbano dar conto di una serie di invarianti ambientali o naturalistiche che costituiscono il presupposto conoscitivo che condiziona le scelte di trasformazione”, quindi si mira a “ridurre la discrezionalità amministrativa di piano (discrezionalità politica) a favore della discrezionalità tecnica”; G. Cartei, Il consumo di suolo cit.

[50] La legge citata è stata ulteriormente emendata dalla legge regionale n. 15 del 26 maggio 2017 “Legge di semplificazione 2017” e dalla legge regionale n. 16 del 26 maggio 2017 “Modifiche all’articolo 5 della legge regionale 28 novembre 2014, n. 31”.

[51] G. Cartei, Il consumo di suolo cit.

[52] Vedi Corte Costituzionale, sentenza n. 378 del 2000, punto 4 in diritto, e Corte Costituzionale, sentenza n. 478 del 2002, punto 5 in diritto; L. Portaluri, L’ambiente e i piani urbanistici, in Diritto dell’ambiente (a cura di G. Rossi), Torino, 2015, 255: “la disposizione [i.e. l’art. 1 della l. n. 1187/1968] completò da un punto di vista sostanziale la previsione che nel ‘67 aveva riguardato il procedimento: al riconoscimento del potere di apportare d’ufficio al p.r.g. le modifiche indispensabili per la tutela dell’ambiente, seguì un anno dopo il potenziamento del contenuto del p.r.g. il quale deve ora indicare pure i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico”. Ci si riferisce all’art. 3, unico comma, l. n. 765/1967, il quale ha modificato l’art. 10, comma 2, lettera c), l. n. 1150/1942 prevedendo il potere del Ministero dei lavori pubblici (poi Regione) di modificare il P.R.G. per “la tutela dei complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici”. Vedi S. Moro, I vincoli urbanistici per la tutela dei c.d. interessi differenziati e dell’equilibrio ecologico: spunti di riflessione propedeutici ad uno studio sulla relazione fra il potere di governo degli interessi collegati all’uso del territorio e il diritto di proprietà, in AmbienteDiritto, 2015, disponibile all’indirizzo: http://www.ambientediritto.it/home/dottrina/i-vincoli-urbanistici-la-tutela-dei-cd-interessi-differenziati-e dell%E2%80%99equilibrio-ecologico.

[53] Ciò può avvenire tanto nell’esercizio della discrezionalità amministrativa quanto a livello legislativo: v. l. r. Emilia Romagna n. 20/2000, art. 6, co 1, lett a); l. r. Toscana n. 65/2014, art 5 co 1, 2); l. r. Umbria n. 1/2015.

[54] P. Urbani, A proposito della riduzione del consumo di suolo, cit., 232; S. Moro, I vincoli urbanistici per la tutela dei c.d. interessi differenziati e dell’equilibrio ecologico, cit, dove si legge: “La previsione di un vincolo urbanistico funzionale a tutelare mediante un’autonoma valutazione i cd interessi differenziati è il risultato non di un apprezzamento atomistico delle caratteristiche intrinseche di una determinata area, ma di una valutazione (complessiva e globale e, quindi, discrezionale) dell’assetto territoriale”. Vedi anche Cons. Stato, sez. V, 24 aprile 2013, n. 2265: “non si realizza alcuna duplicazione rispetto alla sfera di azione della legislazione statale di settore in quanto il pregio del bene, pur se non sufficiente al fine di giustificare l’adozione di un provvedimento impositivo di vincolo culturale o paesaggistico in base alla considerazione atomistica delle caratteristiche del bene, viene valutato come elemento di particolare valore urbanistico e può, quindi, costituire oggetto di salvaguardia in sede di scelta pianificatoria. E tanto in coerenza con una nozione ampia della materia urbanistica, che valorizza la funzione di governo del territorio attraverso la disciplina, nella loro globalità di tutti i possibili insediamenti e delle altre utilizzazioni del territorio”.

[55] Dichiarazione di Toledo, 22 giugno 2010, par. A2.

[56] P. Urbani, A proposito della riduzione del consumo di suolo cit., 239.dd

 

* Il presente intervento riprende l’analogo contributo pubblicato in “La professione del giurista – Scritti in onore di Luigi Manzi” – Editoriale scientifica, Napoli, 2018

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