Alcune riflessioni, a prima lettura, sull’art. 3, d.l. 8 marzo 2020, n. 11, che incide sullo svolgimento dei processi amministrativi, nel periodo di emergenza per l’epidemia da c.d. “COVID-19”.

Sono, in primo luogo, da tenere presenti due date: quella del 22 marzo e quella del 31 maggio.

La prima ha rilievo sotto due profili: le udienze fissate fino a quel giorno, siano esse di merito o di camera di consiglio, vengono rinviate.

Ciò comporta, in realtà, lo svolgimento di due operazioni. La prima attiene alla sorte dell’udienza già fissata; la seconda attiene alla fissazione della nuova udienza.

Sotto il primo profilo, ritengo che il mancato svolgimento dell’udienza operi ex lege: non è cioè necessario un formale atto del giudice che la sopprima: essa non si terrà, per così dire, automaticamente.

A diverse conclusioni si deve giungere, invece, per il secondo incombente, il quale richiede l’intervento di chi dispone del calendario delle udienze e, quindi, del presidente del collegio decidente.

È previsto, a tal fine, il rinvio a data successiva al 22 marzo (comma 1, secondo periodo). Tuttavia, poiché non risulta derogato l’art. 71, comma 5, c.p.a., ritengo che debba essere comunque rispettato, per queste differite udienze di merito, il termine dilatorio di sessanta giorni dalla comunicazione del decreto di fissazione (che viene così ad essere rideterminato), con la conseguenza che dette udienze non dovrebbero poter essere fissate prima del 21 maggio 2020.

Mancando del tutto la possibilità di celebrare udienze fino al 22 marzo 2020, si pone il problema delle domande cautelari per cui sia stata o debba essere fissata udienza prima di quella stessa data.

Segnalo che il relativo  regime transitorio (che mi accingo ad esporre) riguarderà soprattutto i processi ex artt. 119 e 120 c.p.a. Stanti i termini dell’art. 55, comma 5 c.p.a., il regime di conversione potrà applicarsi alle controversie a termini non dimezzati solo per il caso in cui il ricorso introduttivo sia stato depositato prima del decreto legge in commento, giacché, diversamente, l’udienza cautelare verrebbe comunque fissata dopo il giorno 22 marzo 2020 in ragione di quanto dirò.

Con tale premessa, il comma 1 dell’art. 3 stabilisce, a tal fine, che le domande cautelari vengono definite con il rito dell’art. 56, su richiesta anche di una sola delle parti e aggiunge che la relativa trattazione collegiale è differita a data successiva al 22 marzo.

Tale ultima precisazione è preziosa.

In primo luogo, perché essa chiarisce che le nuove udienze collegiali camerali per cui debbono essere fissate dopo il 12 marzo (ed eventualmente essere rinviate dopo tale data, se già fissate), indipendentemente da quando le relative domande siano state depositate.

In secondo luogo, soprattutto, essa è preziosa perché il riferimento ad una successiva trattazione collegiale chiarisce che il richiamo all’art. 56 non si limita al solo rito, ma anche alle competenze decisorie. In altre parole, non si viene a introdurre un procedimento cautelare nuovo (in cui il collegio – e non il presidente – definirebbe la domanda cautelare in via provvisoria e senza udienza), ma è il presidente del collegio o un giudice delegato a dovere affrontare monocraticamente la questione, essendo stata operata una sorta di conversione dell’ordinaria domanda cautelare collegiale in una domanda cautelare monocratica.

La conversione della domanda cautelare, secondo il rito dell’art. 56, non avviene tuttavia ope legis.

Ciò significa che, richiesta una sospensiva ordinaria e collegiale, essa, per effetto del d.l. non diventa automaticamente una istanza di provvedimento cautelare monocratico.

Perché ciò avvenga, occorre la richiesta di una delle parti. Sottolineo: può trattarsi di una qualsiasi delle parti; il potere di iniziativa, sulla conversione della domanda cautelare, spetta anche alla parte resistente o alla parte controinteressata, che abbiano interesse ad una prima pronuncia interinale.

Meglio sarebbe stato, tuttavia, se l’art. 3 avesse previsto l’obbligo di notificazione per tale istanza, che, allo stato, sembra essere ritualmente introdotta con il suo semplice deposito.

La data del 22 marzo ha, inoltre, un secondo rilievo: essa segna il termine finale di un nuovo periodo di sospensione dei termini giudiziari (comma 1, primo periodo, in virtù del richiamo all’art. 54, commi 2 e 3), con regime equiparato a quello dell’ordinaria sospensione feriale. Pertanto, debbono ritenersi sospesi i termini per la notificazione e il deposito dei ricorsi (principali e incidentali, di primo grado e in appello), per l’eccezione sulla competenza dei T.A.R., nonché quelli sull’appello improprio relativo ai motivi e alle eccezioni assorbite o non decise, nonché quelli per il deposito di memorie e documenti.

Quanto a questi ultimi incombenti (i depositi), va segnalato che tale sospensione straordinaria, non essendo stata “programmata”, finisce per riflettersi sulle udienze posteriori al 22 marzo 2020 che siano state già fissate, con riguardo alle quali, i relativi decreti, avevano tenuto conto della necessità di rispettare i termini di deposito propri del periodo “ordinario”. Ciò significa che tale sospensione straordinaria comporta l’“avvicinamento” dei depositi alle udienze già programmate e verosimilmente in modo tale da far sì che i depositi si “avvicinino” all’udienza oltre i termini a ritroso previsti dall’art. 73, comma 1, c.p.a. Ritengo che, ove ciò si verifichi, l’udienza di trattazione debba essere anch’essa differita, pena l’appellabilità della sentenza con impugnazione rescindente ai sensi dell’art. 105 c.p.a. per mancato rispetto del diritto di difesa.

Consideriamo a questo punto il secondo termine, del 31 maggio 2020.

In sua virtù viene a crearsi un regime intermedio compreso, appunto tra il 12 marzo e tale ultima data.

In detto periodo, potranno applicarsi le misure dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 3 introdotto dal decreto legge in commento.

Alcune di dette misure sono affidate ai presidenti di sezione del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi. Esse non sono doverose, ma discrezionali e attengono, essenzialmente, all’accesso ai locali e agli uffici.

È rilevante, tuttavia, il potere di rinviare le udienze oltre il 31 maggio 2020, tranne quelle cautelari e in materia elettorale. Si tratta, dunque, essenzialmente del riconoscimento di un potere di rinvio delle udienze di trattazione delle cause nel merito.

Tale potere, in sé, spetta sempre, ordinariamente, ai presidenti dei collegi decidenti e si obietterà, perciò, che non occorreva che il decreto legge lo prevedesse. Tuttavia, la norma ha un qualche significato di innovazione normativa.

In primo luogo, tale potere di rinviare non è riconosciuto al presidente del collegio giudicante, ma al presidente del tribunale amministrativo o della sezione del giudice di appello. Questi, pertanto, potranno disporre il rinvio anche delle controversie fissate ad una udienza da loro non presieduta (ad esempio, nel caso dei tribunali amministrativi, perché affidata ad una sezione diversa da quella presieduta dal presidente del T.A.R.).

In secondo luogo, tale rinvio deve ritenersi semi-ordinario. Solo se la controversia sia stata formalmente dichiarata urgente con decreto non impugnabile (perché una sua ritardata decisione potrebbe produrre grave pregiudizio alle parti), non si potrà dar luogo a rinvio.

In terzo luogo, ed è la questione forse più rilevante ai fini delle successive possibilità di recupero, la nuova udienza potrà essere fissata anche in deroga ai tetti sul carico di lavoro dei magistrati.

I commi 7 e 8 precisano che, ove le misure prese dai presidenti ai sensi dei commi 2 e 3, determinino decadenze dalle facoltà processuali (comma 7) o estinzione dei diritti attinenti alla fattispecie sostanziale (comma 8, che, se interpretato letteralmente, dovrebbe riferirsi solo ai casi di giurisdizione esclusiva), sono previste rispettivamente la rimessione in termini e la sospensione dei termini di decadenza o di prescrizione.

È difficile comprendere in concreto quali facoltà processuali o quali estinzioni di diritti sostanziali possano verificarsi, vigendo il sistema del processo telematico che, di per sé, non richiede comunque l’accesso effettivo agli uffici giudiziari, destinato ad essere limitato dalle misure dell’art. 3, comma 2. Si può forse ipotizzare che le norme si possano riferire al caso in cui debba essere, eccezionalmente, autorizzato il deposito di documentazione cartacea (art. 9, comma 8, d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40).

In ogni caso, quanto previsto dai commi 7 e 8 integra una sorta di  “valvola di sicurezza”. Come tale essa dovrà essere utilizzata, per il caso di situazione impreviste o imprevedibili.

Vi è, infine, da comprendere che cosa succederà per le udienze fissate o che saranno fissate tra il 22 marzo 2020 e il 31 maggio 2020, siano esse pubblicheo  camerali.

Salve le ipotesi di rinvio, di cui ho già dette, la loro trattazione viene di fatto soppressa: la controversia verrà decisa “sulla base degli atti” e cioè in assenza di una udienza vera e propria.

Il tutto salvo che una delle parti non chieda la discussione effettiva, con istanza, questa volta notificata alle parti costituite e da depositarsi fino a due giorni liberi prima della data indicata per la formale “udienza” di trattazione.

Premesso che il termine per notificare e depositare l’istanza deve ritenersi ridotto ad un giorno per le controversie soggette a rito accelerato,  i presidenti (non del collegio giudicante, ma) degli uffici giudiziari potranno autorizzare lo svolgimento dell’udienza con formalità telematiche  da ritenersi libere (e non necessariamente attraverso software o dotazioni istituzionali), purché siano tali da consentire l’identificazione dei partecipanti e l’effettività sostanziale del contraddittorio.

Poiché il comma 6 aggiunge che “fino al 31 maggio 2020 le udienze pubbliche sono celebrate a porte chiuse”, non si deve escludere il potere del presidente di consentire lo svolgimento di una udienza con la presenza effettiva dei difensori nelle aule giudiziarie.

Resta un’ultima indicazione, secondo il comma 10, è sospeso l’“obbligo” di inviare le copie cartacee di cortesia e viene, inutilmente, ribadito che esse possano essere inviate anche a mezzo del servizio postale.

Francesco Volpe

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