Molti pensano che la disciplina civilistica sulla cessione dei crediti possa applicarsi tout court anche ai rapporti obbligatori che coinvolgono una Pubblica Amministrazione.

In realtà non è così.

La disciplina concernente la cessione dei crediti nei confronti di una P.A. ha natura derogatoria e speciale rispetto alla comune disciplina codicistica della cessione del credito tra privati prevista dagli artt. 1260 e ss. c.c. (Cass. civ., sez. I, 24.09.2007, n. 19571).

  1. Consenso della Pubblica Amministrazione

La prima importante differenza che si riscontra rispetto alla libera cedibilità del credito di cui all’art. 1260 c.c. ed alla sua opponibilità al debitore ceduto se è stata da quest’ultimo accettata od a lui notificata, ex art. 1264 c.c., è che la cessione dei crediti vantati nei confronti di un ente pubblico è subordinata alla preventiva adesione della Pubblica Amministrazione.

Detto in altre parole, affinché la cessione sia opponibile alla Pubblica Amministrazione è necessario che l’ente esprima il proprio consenso espresso.

Sul punto si ricorda che l’art. 9, Allegato E della L. n. 2248/1865 (“Legge sul contezioso amministrativo”), recita: “Sul prezzo dei contratti in corso non potrà avere effetto alcun sequestro, né convenirsi cessione, se non vi aderisca l’amministrazione interessata”.

Per completezza ricordo che alcuni Giudici ritengono applicabile questa norma soltanto alle cessioni di credito relative a contratti di appalto/servizi/forniture.

Sul punto si ricorda che l’art. 70 del R.D. 2240/1923 (“Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato”) prevede che: “Per le somme dovute dallo Stato per somministrazioni, forniture ed appalti, devono essere osservate le disposizioni dell’art. 9, allegato E, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, e degli articoli 351 e 355, allegato F, della legge medesima”.

Coerentemente il (pre)vigente art. 117 del D. Lgs n. 163/2006 statuisce che le cessioni di crediti derivanti da contratti di appalto/concessione/concorso di progettazione sono efficaci e opponibili alle stazioni appaltanti qualora queste non le rifiutino con comunicazione da notificarsi al cedente e al cessionario entro quarantacinque giorni dalla notifica della cessione.

Da ciò sembra ricavarsi che il consenso della P.A. sia necessario solo per le cessioni derivanti da questi particolari contratti di durata: “il divieto di cessione senza l'”adesione” della p.a. si applica, in definitiva, solo ai rapporti di durata come l’appalto e la somministrazione (o fornitura), solo rispetto ai quali il legislatore ha ravvisato, in deroga al principio generale della cedibilità dei crediti anche senza il consenso del debitore (art. 1260 C.c.), l’esigenza di garantire con questo mezzo la regolare esecuzione, evitando che, durante la medesima, possano venir meno le risorse finanziarie al soggetto obbligato e così possa essere compromessa l’ulteriore, regolare prosecuzione del rapporto (cfr. Cass. 18 novembre 1994 n. 9789); e non pure a un contratto, non di durata ma ad esecuzione istantanea, come quello di cui si discute, che è un’ordinaria compravendita. La cessione di credito di cui si controverte, pertanto, non richiede il requisito dell'”adesione” della p.a. (atto equipollente al “riconoscimento” di cui all’art. 339 della legge sui lavori pubblici, costruito dalla giurisprudenza come un requisito estrinseco alla cessione, come un’autorizzazione che rende la cessione, già perfetta tra le parti, efficace nei confronti della p.a.; e dunque come un atto negoziale, una manifestazione di volontà, frutto di un apprezzamento discrezionale, come tale di competenza degli organi deliberanti dell’Ente); ma soggiace, in tutto e per tutto (salvo che per la forma prevista dall’art. 69 3 comma del R.D. n. 2440 del 1923, che nella specie non è in contestazione), all’ordinaria disciplina codicistica” (Cass. civ., sez. II, 28.01.2002, n. 981).

Anche il vigente art. 106, c. 13 del D. Lgs. 50/2016 contiene una normativa similare[1].

 

  1. La forma del contratto di cessione del credito

Un secondo elemento che caratterizza la disciplina speciale della cessione del credito verso la P.A. è rappresentato dalla peculiare forma richiesta per l’atto di cessione.

A tal riguardo l’art. 69, c. 1 e 3 del R.D. n. 2440/1923 prevede che le cessioni di credito della P.A. debbano essere notificate all’ente e debbano risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata da un notaio: “Le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno, i pignoramenti, i sequestri e le opposizioni relative a somme dovute dallo Stato, nei casi in cui sono ammesse dalle leggi, debbono essere notificate all’amministrazione centrale ovvero all’ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento … Le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno e gli atti di revoca, rinuncia o modificazione di vincoli devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata, autenticata da notai”.

Il mancato rispetto delle modalità previste dall’art. 69 comporta l’inefficacia e l’inopponibilità della cessione al debitore ceduto, quindi alla Pubblica Amministrazione.

Ciò significa che:

– la notifica della cessione deve avvenire nelle forme previste ex lege, ovvero nelle forme degli atti processuali (Cass. civ., sez. trib., 06.03.2013, n. 5493; contra Cass. civ., sez. II, 18.10.2005, n. 20144 che considera la notifica della cessione un atto a forma libera);

– è necessaria una scrittura privata autentica da un notaio o un atto pubblico (Cass. civ., sez. III, 24.01.2002, n. 844; Id., Cass. civ., sez. II, 24.01.2002, n. 844[2]).

Secondo la giurisprudenza, inoltre, questa inefficacia può essere rilevata solo dal debitore ceduto (Cass. civ., sez. III, 13.07.20104, n. 12901).

Se difettano questi presupposti la cessione del credito è inefficace dei confronti dell’ente pubblico: “La giurisprudenza maggioritaria, in linea con l’indirizzo della Suprema Corte di Cassazione, è dell’avviso che la cessione dei crediti vantati verso la Pubblica Amministrazione si perfeziona con la notifica all’Ente della sola dichiarazione unilaterale di cessione, ma, perché sia opponibile al debitore, deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata e deve essere accettata (Cass. Sez. I civile 16.9.2002 n. 13481, Tar Campania, Sez, I 4 giugno 2003 n. 7201; in senso contrario vedi Tar Lazio Sez. III 15.1.2001 n. 170). La previsione della scrittura privata o dell’atto pubblico è contenuta negli artt. 69, terzo comma, r.d. n. 2240 del 18 novembre 1923, mentre la previsione della necessaria accettazione da parte dell’ente – ai fini della sua opponibilità all’ente medesimo in deroga alla generale previsione dell’art. 1264 c.c. – è contenuta nell’art. 70, terzo comma, stesso decreto. La Cassazione ritiene che la disciplina della cessione dei crediti verso lo Stato sia riferibile alla P.A. nel suo complesso e quindi anche agli enti locali (Cass. Sez. I 11 dicembre 1996 n. 11041). Nella fattispecie in esame vi è prova dell’avvenuta cessione dal cedente al cessionario per atto pubblico, ritualmente notificato. Non vi è prova dell’avvenuta accettazione da parte dell’ente debitore ceduto, per cui il ricorso va respinto” (T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 17.03.2006, n. 295).

  • CESSIONE DEL CREDITO E FALLIMENTO

Il peculiare istituto della cessione dei crediti vantati nei confronti di una P.A. deve necessariamente essere coordinato anche con la normativa fallimentare, laddove il cedente si trovi in stato di fallimento.

L’art. 45 del R.D. n. 267/1942 (“Legge fallimentare”) prevede che: “Le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento, sono senza effetto rispetto ai creditori”.

Questa disposizione, a sua volta, deve essere letta in combinato disposto con l’art. 2914, n. 2 c.c. (“Non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione, sebbene anteriori al pignoramento  … 2) le cessioni di crediti che siano state notificate al debitore ceduto o accettate dal medesimo successivamente al pignoramento”).

Da ciò si deduce che, affinché una cessione di credito del cedente-fallito possa essere validamente e legittimamente opposta dal cessionario al debitore ceduto, quest’ultimo deve aver ricevuto la notifica della cessione ed averla accettata ai sensi dell’art. 1264 c.c. – se trattasi di privati – o ai sensi dell’art. 9 della L. n. 2248/1865 e degli artt. art. 69, c. 1 e 3 e 70 del R.D. n. 2440/1923 – se il debito concerne un ente pubblico – anteriormente alla sentenza di fallimento.

Sul punto la giurisprudenza è granitica nell’affermare che: “L’art. 1264 c.c., comma 1, prevede che la cessione del credito è efficace nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata. Il comma 2, aggiunge che tuttavia il debitore non è liberato se paga al cedente pur essendo a conoscenza dell’avvenuta cessione. Il che però non autorizza a ritenere – come invece ha fatto la Corte d’appello – che sia sufficiente tale conoscenza ad imporre al debitore di eseguire il pagamento sempre e comunque al cessionario. L’art. 1264 c.c., va infatti coordinato con le norme che regolano l’opponibilità della cessione ai creditori del cedente, in particolare con la previsione della inopponibilità a questi della cessione che sia stata notificata al debitore in data successiva alla dichiarazione di fallimento del cedente medesimo o al pignoramento del credito, ai sensi dell’art. 2914 c.c., n. 2 e L. Fall., art. 45. In tal caso la cessione non è efficace neppure per il debitore ceduto: diversamente il curatore non sarebbe, paradossalmente, legittimato a pretendere da lui il pagamento, che, pure, gli spetta a preferenza del cessionario; nè potrebbe giustificarsi una legittimazione di quest’ultimo, il cui diritto comunque è destinato a cedere di fronte a quello del curatore. Questa Corte, del resto, ha già avuto occasione di affermare che il debitore ceduto ha facoltà di opporre al cessionario la nullità (Cass. 2001/1996) o l’inefficacia (Cass. 6863/2013, in motivaz.) della cessione. Ha dunque errato la Corte d’appello a considerare irrilevante l’accertamento della data della notifica della cessione alla società creditrice – che la ricorrente pretende essere posteriore alla dichiarazione del fallimento di quest’ultima – dal quale potrebbe scaturire, per quanto detto, l’inopponibilità della cessione stessa al fallimento e la conseguente regolarità del pagamento eseguito dalla debitrice a mani del curatore. 5. – Il ricorso va in conclusione accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà al seguente principio di diritto: ove la cessione del credito non sia stata, alla data della dichiarazione del fallimento del cedente, notificata al debitore ceduto o accettata dal medesimo, questi, ancorché sia a conoscenza dell’avvenuta cessione, è tenuto ad eseguire il pagamento al curatore del fallimento e non al cessionario” (Cass. civ., sez. I, 11.09.2014, n. 19199; Id., 07.05.2014, n. 9831; Id., 14.03.2006, n. 5516).

Mutatis mutandis, lo stesso vale applicando le norme statali di cui supra relative alla cessione del credito vantato nei confronti della P.A., anziché quelle codicistiche relative ai rapporti privatistici.

  1. La giurisdizione

Se la cessione dei crediti concerne la restituzione degli oneri di urbanizzazione, ritengo sussistente la giurisdizione amministrativa esclusiva, ex art. 133, c. 1, lett. f), c.p.a..

Sul punto si ricorda che: “la controversia in esame attiene alla spettanza ed alla determinazione delle somme dovute per oneri di urbanizzazione e, per l’effetto: 1) investe posizioni di diritto soggettivo, la cui cognizione è riservata alla giurisdizione esclusiva del G.A. ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a.; 2) ha ad oggetto l’accertamento (qui: l’accertamento negativo) di un rapporto obbligatorio pecuniario, ancorché di diritto pubblico (cfr., ex plurimis, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 11 ottobre 2016, n. 2531; T.A.R. Umbria, Sez. I, 15 maggio 2015, n. 211)” (T.A.R. Veneto, sez. I, 17.05.2017, n. 488; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 15.01.2015, n. 29[3]) ed ancora: “Sul punto, inoltre, la giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di precisare che “le controversie sulla debenza o meno del contributo per il rilascio di una concessione edilizia e sul suo ammontare, devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 16 l. 28 gennaio 1977 n. 10, riguardando diritti soggettivi, non sottostanno ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori e possono essere attivate nei normali termini di prescrizione” (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 6 dicembre 1999 n. 2056; id. 15 febbraio 2001, n. 790). La giurisdizione esclusiva è stata confermata anche in seguito all’introduzione del c.p.a. che all’art. 133 lett. f) devolve al Giudice Amministrativo “le controversie aventi ad oggetto gli atti ed i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica ed edilizia”. La qualificazione delle situazioni giuridiche coinvolte in termini di diritto soggettivo, derivano dalla circostanza secondo cui, in caso di contestazione circa la quantificazione o la debenza degli oneri connessi al permesso di costruire, ci si limita a censurare la misura del contributo imposto, non l’esercizio del potere al rilascio del titolo edilizio” (Consiglio di Stato, sez. IV, 29.10.2015, n. 4950)”.

Matteo Acquasaliente

 

[1] Ivi si legge: “Ai fini dell’opponibilità alle stazioni appaltanti, le cessioni di crediti devono essere stipulate mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e devono essere notificate alle amministrazioni debitrici. Fatto salvo il rispetto degli obblighi di tracciabilità, le cessioni di crediti da corrispettivo di appalto, concessione, concorso di progettazione, sono efficaci e opponibili alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni pubbliche qualora queste non le rifiutino con comunicazione da notificarsi al cedente e al cessionario entro quarantacinque giorni dalla notifica della cessione. Le amministrazioni pubbliche, nel contratto stipulato o in atto separato contestuale, possono preventivamente accettare la cessione da parte dell’esecutore di tutti o di parte dei crediti che devono venire a maturazione. In ogni caso l’amministrazione cui è stata notificata la cessione può opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente in base al contratto relativo a lavori, servizi, forniture, progettazione, con questo stipulato”.

[2] Ivi si legge che: “Orbene, a norma dell’art. 69, comma terzo, del R.D. n. 2440 del 1923, la notificazione alla pubblica amministrazione della cessione di un credito del privato nei confronti della stessa, in tanto è produttiva di effetti in quanto la cessione medesima sia stata fatta per atto pubblico o per scrittura privata autenticata. In proposito, si rileva che la disciplina dettata dal citato articolo 20 legge 15-1968 si applica solo all’autenticazione delle firme apposte su istanze rivolte alla pubblica amministrazione (in quanto tale norma concerne gli atti intesi ad ottenere il rilascio di un provvedimento amministrativo) e non può essere estesa agli atti di natura negoziale tra soggetti diversi dalla p.a.. Nella specie la scrittura privata in questione non ha certo natura di istanza, bensì contrattuale e perciò, in tema di autenticazione delle sottoscrizioni, rientra, ai sensi dell’articolo 2703 c.c., nella competenza del notaio e non in quella del segretario comunale o di altro funzionario delegato dal sindaco in virtù dell’articolo 20 della legge citata. In tal caso, infatti, l’identificazione delle parti compiuta dal notaio è diretta alla “certezza” dell’identità personale desunta da vari elementi e non è fondata su un mero controllo dei documenti di identità”.

[3] Ivi si legge che: ““alla luce della consolidata giurisprudenza formatasi in materia, le controversie in tema di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo […] (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 9 febbraio 2001 n. 584, e Sez. IV, 19 luglio 2004 n. 5197); tali controversie introducono un giudizio su un rapporto, sicché le questioni concernenti l’esistenza e l’entità del debito, involgendo posizioni di diritto soggettivo, sono sottratte agli ordinari termini decadenziali del giudizio impugnatorio, pur in presenza di atti amministrativi da definire pertanto come paritetici, presentandosi come un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio, attivabile nell’ordinario termine di prescrizione (cfr. C.G.A. n. 462 e n. 466 del 27 maggio 2008)” (così, da ultimo, Cons. St., V, 14 ottobre 2014 n. 5072). Si tratta, quindi, di giudizio avente ad oggetto un diritto soggettivo che appartiene alla giurisdizione di questo giudice ai sensi dell’art. 133, lett. f), cod. proc. amm.”.

image_pdfStampa in PDF