Voglio innanzitutto ringraziare l’amico Stefano Bigolaro per avermi chiesto di partecipare alla tavola rotonda del convegno di oggi, perché trovo il tema di grande interesse e di stimolo, in quanto volto ad aprire nuove frontiere della tutela cautelare (che ormai è la fase più importante del giudizio amministrativo) mediante l’incremento del dialogo fra giudice amministrativo e amministrazione, e l’affermazione di una sorta di “circolarità” fra processo e procedimento amministrativo di cui si comincia a leggere sempre più frequentemente nelle decisioni giurisdizionali.

So che il tema del convegno di oggi è stato fortemente voluto dal Presidente Filippi, e ciò dimostra la sua propensione ad interpretare il ruolo di Presidente del Tar Veneto in maniera dinamica, in  un’ottica di ricerca di nuovi percorsi di amministrazione della giustizia che siano tesi sia a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale che ad accompagnare le amministrazioni pubbliche nel raggiungimento dell’obiettivo del miglior perseguimento dell’azione amministrativa.

Questa propensione mi fa veramente molto piacere perché il Tar Veneto è già stato in passato un laboratorio di vera innovazione, tecnologica e processuale, in particolare sotto le presidenze Rosini e Trotta, con entrambi i quali ho avuto il privilegio di lavorare come funzionario di segreteria.

In particolare il Presidente Rosini (alla fine degli anni ’80) colse l’importanza di adeguare il sistema della giustizia amministrativa alle nuove tecnologie, e così il Tar Veneto fu il primo in Italia ad essere informatizzato.

Per darvi un’idea di come si lavorasse all’epoca, prima dell’avvento del sistema informatico nei Tar, e di quanto importante sia stata questa innovazione – e lo dico per i più giovani, che sono nati e cresciuti con l’informatica – basti pensare, restando al tema della tutela cautelare, che a fine anni ’80 – primi anni ‘90 i ruoli delle udienze cautelari presentavano sempre almeno una cinquantina di sospensive da trattare (ma a volte anche più di 100, altri tempi!!), e che le ordinanze venivano dattiloscritte. Con l’ovvia conseguenza di doverle riscrivere nuovamente per ogni refuso, errore o ripensamento del Collegio.

L’introduzione del sistema informatico nel Tar Veneto consentì quindi, anche con numeri molto elevati di ordinanze cautelari, di stamparle, firmarle e pubblicarle con la tempestività che la natura di tali provvedimenti impone.

Una ulteriore idea del Presidente Rosini finalizzata alla semplificazione delle decisioni cautelari e alla rapidità della loro pubblicazione fu quella di predisporre ed inserire nel sistema informatico un elenco di motivazioni “standard” di “sospensive” contrassegnate dalle lettere dell’alfabeto da A a W, per consentire così alla segreteria di assemblare rapidamente il testo dell’ordinanza (quella che allora veniva definita “la camicia”) consegnato al magistrato relatore per la camera di consiglio, con la motivazione, che lo stesso magistrato relatore riportava in calce dopo la discussione in camera di consiglio scrivendo la lettera dell’alfabeto corrispondente alla decisione assunta.

Durante la Presidenza Trotta, poi, (alla fine degli anni ’90), venne introdotto il rito pretorio c.d. veneziano, poi recepito dal legislatore, di cui parlerà diffusamente l’avv. Chiara Cacciavillani nel suo intervento e sul quale dunque non mi soffermo.

Per avvicinarsi al tema del mio intervento – “casi ricorrenti di pronunce cautelari che “pregiudicano” il merito” – vi voglio leggere una motivazione “standard” di ordinanza cautelare di rigetto  del Tar Veneto alla fine degli anni ’80 – in vigenza dunque della legge n.1034 del 1971 – che dà il senso di quale fosse il mondo dei provvedimenti cautelari, per confrontarlo poi con quello di adesso, e comprenderne l’evoluzione.

La motivazione “Q”, una delle frequenti motivazioni di rigetto, così recitava: “ che la sospensione del provvedimento impugnato non spiegherebbe alcun effetto favorevole alla parte ricorrente trattandosi di interesse pretensivo realizzabile solo all’esito del giudizio di merito

Ho ricordato una delle classiche motivazioni di ordinanza cautelare di 30 anni fa per dare evidenza di quale sia stata l’evoluzione degli strumenti di tutela cautelare, che vorrei tratteggiare in massima sintesi, per arrivare poi al vero e proprio tema dell’intervento:

1 – l’articolo 21, comma 7, della legge 1034 del 1971 prevedeva solo la sospensione dei provvedimenti impugnati e quindi, in sostanza, consentiva la tutela cautelare solo per chi facesse valere in giudizio interessi legittimi oppositivi (era evidente la povertà dello strumento cautelare, coincidente con la sola sospensiva, avente mero effetto conservativo e anticipatorio rispetto alla sentenza di accoglimento del ricorso).

Quando veniva richiesta la tutela cautelare di interessi legittimi pretensivi, infatti, si leggevano ordinanze con la motivazione “Q”.

C’è da dire che in realtà, in vigenza della legge 1034 del 1971 la giurisprudenza amministrativa – sulla spinta anche della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia che evidenziavano la necessità di garantire una piena ed effettiva tutela interinale nell’ottica del rispetto del canone costituzionale e comunitario di effettività della tutela giurisdizionale (artt.24, 113 e 111 cost. e 6 e 13 CEDU)  ha cominciato ad introdurre in via pretoria dei provvedimenti atipici ed elastici di tutela cautelare.

Ne era un tipico esempio la motivazione “G” del Tar Veneto, relativa all’ammissione con riserva a procedure concorsuali, agli esami di maturità o agli esami di riparazione (che così recitava: “che il ricorso non appare allo stato privo di fondamento e che l’impugnato provvedimento di esclusione potrebbe produrre un danno grave e irreparabile ove non si disponesse l’ammissione con riserva della parte ricorrente alla procedura concorsuale di cui si tratta PQM accoglie la suindicata domanda di sospensione e per l’effetto ordine che la parte ricorrente venga ammessa con riserva alla procedura concorsuale di cui si tratta” (poi c’erano le varianti “G1” ammissione con riserva all’esame di maturità e “G2” ammissione con riserva agli esami di riparazione)”

2 – sotto la spinta dei giudici amministrativi, l’articolo 3 della legge 205 del 2000 ha riformulato l’articolo 21, comma 7, della legge 1034 del 1971 prevedendo la possibilità per il g.a. di adottare, sussistendone i presupposti, “le misure cautelari, compresa l’ingiunzione a pagare una somma, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso”.

Nel 2000 il legislatore ha codificato dunque il principio di elasticità ed atipicità della tutela cautelare, con la finalità di assicurare un’efficace tutela cautelare degli interessi a connotazione pretensiva.

3 – interviene quindi la legge n.104 del 2010 – il codice del processo amministrativo – che consacra definitivamente la atipicità delle misure cautelari (, disponendo al comma 1 dell’articolo 55 che “se il ricorrente, allegando di subire un pregiudizio grave ed irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione sul ricorso, chiede l’emanazione di misure cautelari, compresa l’ingiunzione a pagare una somma in via provvisoria, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso, il collegio si pronuncia con ordinanza emessa in camera di consiglio”).

 

E veniamo propriamente al tema del mio intervento.

Devo confessare candidamente che ho avuto qualche difficoltà nel cogliere il senso del titolo che mi è stato assegnato: “casi ricorrenti di pronunce cautelari che “pregiudicano” il merito”, e in particolare del significato da attribuire al verbo “pregiudicare”, che presenta più accezioni che si attagliano al processo amministrativo.

Sono andato quindi a leggere i significati di “pregiudicare” dell’enciclopedia Treccani, e ho visto che pregiudicare, con significato etimologico “raro”, può significare “giudicare anticipatamente, esprimere un giudizio prima di avere acquisito piena conoscenza dei fatti e degli elementi necessari”.

E’ un significato che si attaglia al titolo del mio intervento e al processo amministrativo, perché i provvedimenti cautelari sono giudizi anticipati e a cognizione sommaria e non piena (l’articolo 55 cpa parla di “sommario esame”), ma ovviamente non è quello che ritengo di attribuirvi e che aveva in mente chi tale titolo ha pensato, perché in tale accezione le misure cautelari pregiudicano sempre il merito, e quindi vi sarebbe ben poco da aggiungere a tale riguardo e il mio intervento sarebbe finito qui.

La seconda definizione – precisa la Treccani: “più comune, nel linguaggio giuridico” – è quella di “decisione, formula, espressione che, contenendo più o meno implicitamente un giudizio di fatto, può compromettere quello del giudice competente”, e ovviamente è quella confacente in questo caso.

Le pronunce cautelari che “pregiudicano” il merito sono dunque, a mio avviso, quelle che compromettono la decisione di merito del ricorso, nel senso che la rendono inutilmente data, con conseguente definizione del giudizio con una pronuncia di rito, sia essa di rinuncia, di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse o di cessazione della materia del contendere.

Vi anticipo che i casi più frequenti – e anche più interessanti perché pongono profili problematici di compatibilità con il carattere interinale della tutela cautelare –  sono correlati all’ampliamento della gamma dei provvedimenti cautelari e al riconoscimento, prima dottrinale e giurisprudenziale e quindi normativo, della loro atipicità.

Si tratta in particolare delle ordinanze sospensivo-propulsive (denominate anche di remand) che, unitamente alla sospensione del provvedimento impugnato, ordinano all’amministrazione di esercitare nuovamente una determinata potestà, onde pervenire all’adozione di un atto emendato dai vizi riscontrati dal Giudice amministrativo in sede cautelare.

Ci sono peraltro casi – anch’essi frequenti – in cui la compromissione della decisione del ricorso nel merito deriva non già dalla particolare tipologia di misura cautelare concessa, ma dal fatto che dopo la sospensione del provvedimento impugnato viene a mutare la situazione di fatto o di diritto, tale da rendere la sentenza inutiliter data.

Non è propriamente la fattispecie oggetto del mio intervento ma vorrei comunque illustrare rapidamente  un paio di casi.

Un primo esempio:

– viene rilasciato un permesso di costruire per la ristrutturazione edilizia di un immobile, che viene impugnato dal vicino;

– la domanda cautelare viene accolta, con sospensione dell’efficacia del permesso di costruire e quindi la ristrutturazione non viene effettuata;

– nelle more della fissazione del ricorso nel merito muta la situazione di fatto (ad esempio l’immobile viene raso al suolo da un terremoto, o viene espropriato) o di diritto (ad esempio l’immobile viene vincolato dalla Soprintendenza o al fondo viene attribuita una diversa destinazione urbanistica attraverso una nuova pianificazione).

In tal caso la sentenza di merito sarà inutiliter data, perché la mutata situazione di fatto o di diritto successivamente all’adozione del provvedimento cautelare avrà compromesso la res litigiosa, e il giudizio si concluderà con una pronuncia di rito.

Un secondo esempio:

–  il secondo graduato in una procedura di evidenza pubblica impugna il provvedimento di aggiudicazione di una gara d’appalto, ottenendo la sospensione del provvedimento;

– la Stazione appaltante ottempera e affida l’appalto all’Impresa ricorrente, che lo esegue;

– nel merito il Tar respinge il ricorso.

In tal caso il giudizio amministrativo si concluderà con una sentenza di merito, che sarà tuttavia inutiliter data perché la stazione appaltante, ottemperando alla sospensiva, non ha tenuto una condotta illecita, sebbene produttiva di danno, con assenza quindi dei presupposti per la risarcibilità ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile.

Come già detto, nei casi innanzi descritti la compromissione del merito non deriva dal particolare tipo di misura cautelare adottata (non c’è dunque una pronuncia cautelare che per la sua natura pregiudica il merito), ma dal mutamento della realtà, di fatto e di diritto, nell’arco temporale intercorrente fra la sospensione del provvedimento impugnato e la decisione del ricorso con sentenza. Sono casistiche quindi che non pongono particolari problemi di compatibilità con le caratteristiche e la natura del giudizio cautelare.

La compromissione del merito da parte delle ordinanze sospensivo-propulsive, basate sulla tecnica del remand, dipende invece proprio dalla tipologia di misura cautelare e ha posto rilevanti problemi di compatibilità con la natura “interinale” del giudizio cautelare e con i suoi limiti.

Se infatti le misure cautelari, per loro natura, hanno carattere interinale, ovvero provvisorio, temporaneo, rispetto al merito della controversia – tant’è che sono destinate a perdere efficacia ex tunc nel caso in cui il giudice della cognizione rigetti il ricorso e ad essere assorbite laddove la sentenza di merito lo accolga –  di  primo acchito viene da osservare che un provvedimento cautelare non potrebbe mai avere una consistenza tale da “pregiudicare” il merito.

Vi leggo quanto ha scritto il prof. Aldo Travi – che ha spesso trattato nei suoi scritti del giudizio cautelare – nella rivista di diritto processuale amministrativo nel 1997, perché esprime molto bene le perplessità della dottrina di allora sull’introduzione di misure cautelari atipiche: “Lo scopo della tutela cautelare è quello di determinare un assetto interinale, tale da evitare che l’interesse di una parte possa essere gravemente o irreparabilmente compromesso dalla natura del giudizio. L’interinalità di questo assetto comporta la necessità che esso sia provvisorio e reversibile: esorbita da qualsiasi logica di una tutela cautelare la produzione di effetti giuridici definitivi, perché altrimenti verrebbe superata la necessità del giudizio di merito. L’ordinanza cautelare che comporti effetti giuridici definitivi usurpa uno spazio riservato alla sentenza”.

Le considerazioni di Travi risalgono a un momento temporale precedente la legge 205 del 2000 e la codificazione normativa dell’atipicità delle misure cautelari, ma erano assolutamente attuali perché, come già accennato, all’epoca la giurisprudenza amministrativa aveva già introdotto provvedimenti cautelari atipici rispetto alla mera sospensione del provvedimento impugnato, funzionali a garantire la tutela degli interessi legittimi pretensivi.

La posizione innanzi richiamata è stata superata – anche se lo stesso articolo 55 del codice del processo amministrativo riafferma espressamente il carattere interinale della tutela cautelare – in ragione della consacrazione normativa dell’atipicità delle misure cautelari.

E’ opportuno ricordare, peraltro, che l’atipicità delle misure cautelari viene ritenuta una declinazione del principio di effettività della tutela, come richiamato all’articolo 1 del codice del processo amministrativo, a tenore del quale “la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”).

Anche se il dibattito del necessario contemperamento fra due principi cardine della giustizia amministrativa –  l’effettività della tutela giurisdizionale da un  lato e la strumentalità della tutela cautelare rispetto al merito della controversia dall’altro – rimane ancora aperto ed animato, si può affermare che “la cognizione piena di merito è stata sacrificata sull’altare dell’effettività e della prontezza”.

Tornando al tema, si è già detto che le misure cautelari c.d. sospensivo-propulsive, basate sul remand, sono quelle che più frequentemente pregiudicano, rendendola inutile, la decisione di merito del ricorso.

Ciò in quanto il provvedimento adottato dall’Amministrazione intimata in esecuzione dell’ordinanza propulsiva, costituendo una riedizione del potere amministrativo caratterizzata dalla rimessione in gioco dell’assetto di interessi definiti con l’atto gravato, può dare luogo alla cessazione della materia del contendere (ove il nuovo atto abbia contenuto satisfattivo della pretesa azionata dal ricorrente) o alla improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse (nel caso in cui il nuovo atto sia sfavorevole al ricorrente e l’interesse di quest’ultimo si trasferisca dall’atto originariamente impugnato a quello adottato in esecuzione dell’ordinanza cautelare, che verrà impugnato con motivi aggiunti).

Facciamo un paio di esempi.

Il primo (deciso con sentenza del Tar Calabria, sez.II, 10 luglio 2015 n.1228):

– viene impugnato un provvedimento di mancata ammissione alla classe successiva (una bocciatura);

– la domanda cautelare, in ragione della insufficiente motivazione rispetto a taluni profili, viene accolta con un’ordinanza che dispone la rinnovazione dello scrutinio finale con l’obbligo di motivare con riferimento ai profili ritenuti carenti;

– il consiglio di classe in sede di rinnovazione del giudizio scolastico, in esecuzione dell’ordinanza di remand, ritiene sussistenti i presupposti per ammettere l’alunno alla frequenza della classe successiva;

– giunti dopo un anno alla fase di merito, con sentenza il TAR si pronuncia dichiarando la cessazione della materia del contendere.

Il secondo (deciso con sentenza del Tar Liguria, sez.I, 17 giugno 2019 n.543)

– viene impugnato un provvedimento di diniego di trasferimento di una dipendente ad altra sede, motivato con la carenza di personale nella sede attuale;

– la domanda cautelare viene accolta con un’ordinanza propulsiva di riesame della domanda di trasferimento in ragione di una carenza di istruttoria;

– viene rinnovata l’istruttoria e, in esecuzione del provvedimento cautelare di remand, viene disposto il trasferimento della dipendente;

– Il Tar decide con sentenza dichiarando la cessazione della materia del contendere.

La casistica è molto ampia, ma è sempre modulata secondo lo schema innanzi descritto: l’adozione da parte dell’amministrazione resistente di un nuovo provvedimento in esecuzione dell’ordinanza cautelare sospensivo-propulsiva di riesame e nell’esercizio di una rinnovata attività amministrativa comporta la cessazione della materia del contendere o il sopravvenuto difetto di interesse. L’effetto dell’ordinanza cautelare (e della successiva attività amministrativa) è dunque in tali casi, quello di pregiudicare, di compromettere, di rendere non utile, la decisione di merito del ricorso, che viene quindi definito con una pronuncia di rito.

Deve essere doverosamente evidenziato tuttavia che non rientrano nell’ambito dei provvedimenti cautelari che pregiudicano il merito, ad esempio, le ordinanze cautelari che dispongono l’ammissione con riserva a procedure concorsuali selettive o a gare di appalto, perché in tal caso non vi è una vera e propria riedizione del potere amministrativo ma esclusivamente l’adozione di un atto di mera esecuzione del provvedimento cautelare (tant’è che nell’atto amministrativo di ammissione al concorso o alla gara di appalto viene usualmente dato conto in maniera espressa della riserva), che mantiene integro il potere di decisione del giudizio nel merito e che viene travolto, insieme all’ordinanza cautelare che ne ha costituito il presupposto, nell’ipotesi di rigetto del ricorso.

Bisogna quindi necessariamente stabilire – al fine di definire quali siano gli effetti dell’ordinanza cautelare e della successiva attività amministrativa sul merito del giudizio – se il comportamento dell’Amministrazione a seguito della decisione cautelare dia luogo ad una vicenda procedimentale autonoma da quella originaria, riconducibile come tale ad una scelta “discrezionale” (sia pure ricollegabile nei presupposti all’esito della misura cautelare) o costituisca invece una mera esecuzione di quanto imposto dal Giudice.

A tal fine deve ritenersi discriminante, come correttamente osservato dal TAR Veneto in una recente decisione, “l’accertamento della permanenza in capo all’Amministrazione di un margine di scelta nell’ottemperare al dictum dell’ordinanza stessa, ossia l’esistenza o meno di profili sostanziali della vicenda che possano essere considerati non coperti dal “giudicato cautelare” (sez.I, 15 maggio 2018 n.529).

In tale ottica, appare evidente che nella gran parte dei casi in cui sia disposto il “riesame” la sfera di “autonomia” dell’Amministrazione resta intatta, nel senso che quest’ultima è meramente tenuta a “rivalutare la situazione alla luce dei motivi di ricorso” e, dunque, gode di libertà  di determinazione nell’assunzione del nuovo atto. Come affermato dalla giurisprudenza ormai consolidata, infatti, “il remand è una tecnica di tutela cautelare che si caratterizza proprio per rimettere in gioco l’assetto di interessi definiti con l’atto gravato, restituendo quindi all’Amministrazione l’intero potere decisionale iniziale, senza tuttavia pregiudicarne il risultato finale” (così, oltre alla decisione del Tar Veneto innanzi richiamata, Tar Emilia Romagna, sez. Parma, 28 novembre 2018 n.323; Tar Calabria, Catanzaro, sez.II, 13 luglio 2017 n.1112; Tar Sicilia, Palermo, sez.II, 31 maggio 2017 n.1464; Tar Lazio, Roma, sez.I bis, 20 gennaio 2017 n.1067).

Mi avvio alla conclusione con una considerazione: come è stato messo in evidenza in diverse pronunce sia dei giudici di primo grado che del Consiglio di Stato le ordinanze propulsive sono quelle che maggiormente incidono sulla dinamica del processo amministrativo e sul rapporto fra questo e il procedimento amministrativo.

In particolare il Consiglio di Stato (sez.IV, n.4239/2006) ha osservato che tramite le ordinanze di remand “si realizza una piena integrazione fra processo e procedimento, imponendosi all’amministrazione di riprendere l’esame sul presupposto dell’attenta valutazione dei dati o elementi emersi dal ricorso, nel corso del giudizio o nella fase istruttoria giudiziale”, mentre il Tar Campania (sez.VII, n.4339/2014) ha sottolineato che “l’evoluzione normativa, con le nuove tecniche di sindacato” dà luogo a una sorta di “circolarità fra procedimento amministrativo e processo amministrativo”.

Ancora, il Consiglio di Stato già nel 2003 rappresentava la necessità di un “dialogo cautelare fra giudice e p.a. finalizzato alla correzione della determinazione in relazione ai vizi dedotti in giudizio” (così Cons. Stato 25 febbraio 2003 n.1054, ma anche sez.V, n.833 del 2007), che è proprio ciò che viene ipotizzato ed auspicato nel presente convegno.

 

Personalmente, come avvocato di un ente pubblico, sono sempre stato uno strenuo fautore della  importanza del contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo come momento necessario al fine di orientare le scelte dell’amministrazione indirizzandola verso decisioni legittime e correggendo eventuali errori di prospettiva presenti al momento di avvio del procedimento.

Dopo quasi trent’anni dall’approvazione della legge sul procedimento amministrativo la imprescindibilità ed utilità del contraddittorio con il cittadino dovrebbe ormai essere una piena consapevolezza di ogni funzionario pubblico, ma vi assicuro che non è così.

E perché questa consapevolezza venga finalmente acquisita l’apporto degli avvocati pubblici – che sono avvezzi alla dialettica processuale e per i quali quindi l’interlocuzione col privato non è vista come un tabù – è essenziale, sia nella fase di consulenza agli uffici dell’amministrazione che in quella patologica del giudizio, per raccogliere le indicazioni del Giudice e riportarle nella sede amministrativa.

Ben vengano, quindi, nuove forme di dialogo anche con il giudice amministrativo con modalità diverse da quelle tradizionali di discussione dell’udienza cautelare o del merito, che possano costituire una sorta di prosecuzione del contraddittorio procedimentale in sede giudiziale con il Giudice quasi in funzione di mediatore, per condurre a soluzioni “condivise” che possano meglio garantire un’azione amministrativa legittima.

Sono quindi veramente contento di intravedere che il TAR Veneto si sta apprestando a vivere una nuova stagione di sperimentazione ed innovazione, con la collaborazione di tutti gli operatori del sistema della giustizia amministrativa.

L’organizzazione di questo convegno ne è la prova tangibile.

Antonio Iannotta

* Relazione tenutasi al convegno su “Dal processo al procedimento: ruolo e prospettive della tutela cautelare e del rito camerale nel rapporto tra giudice amministrativo e amministrazione” svoltosi a Venezia il 2 dicembre 2019, presso Cà Vendramin Calergi.

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