Ci si chiede se la recentissima sentenza della Consulta, che dichiara “l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della legge della Regione Veneto 16 marzo 2015, n. 4 (Modifiche di leggi regionali e disposizioni in materia di governo del territorio e di aree naturali protette regionali), limitatamente alle parole: «, purché la determinazione sia avvenuta all’atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio» imponga ad un Comune l’obbligo di richiedere l’integrazione del contributo versato afferente il costo di costruzione a suo tempo determinato sulla base delle tabelle regionali di volta in volta aggiornate ai sensi dell’art. 83, primo comma della L.R. n. 61 del 1985 però dopo l’entrata in vigore del T.U. di cui al d.PR. 6 giugno 2001 n.380 

Obbligo che apparentemente lascerebbe senza possibilità di scelta il destinatario della richiesta integrativa avanzata dal Comune soprattutto in applicazione dei principi esposti nella sentenza del Consiglio di Stato, riunito in Adunanza Plenaria del 30 agosto 2018 n. 12, che sembrano escludere nel caso di specie la possibilità per il privato di contestare la pretesa creditoria richiamandosi al principio del legittimo affidamento.

La decisione dell’Adunanza Plenaria, che sembra mortificare il principio del legittimo affidamento, che nel nostro ordinamento ha avuto ormai pieno riconoscimento soprattutto sulla spinta della giurisprudenza sovranazionale e dei principi Comunitari, in realtà non esclude che si possa contestare con successo l’eventuale richiesta di integrazione del contributo afferente il costo di costruzione che un Ufficio tecnico di un comune Veneto, per lo più preoccupato di non causare un danno erariale, avanzi ora per allineare il contributo a suo tempo versato con l’importo minimo previsto dall’art. 16 comma 9 del d.PR. n.380 del 2001.

Infatti nell’eventuale richiesta di versamento dell’integrazione del contributo ad avviso di chi scrive si potrebbe comunque ravvisare un contrasto con il principio non scritto, ma ormai ritenuto immanente in tutto il nostro Ordinamento (Penale, Civile, Amministrativo e Tributario) in quanto ricompreso nelle clausole generali di correttezza e buona fede, secondo cui “nemo venire contra factum proprium”, che neppure il Consiglio di Stato nella decisione innanzi indicata ha escluso ma anzi conferma.

“d) la tutela dell’affidamento e il principio della buona fede, che in via generale devono essere osservati anche dalla pubblica amministrazione dell’attuazione del rapporto obbligatorio, possono trovare applicazione ad una fattispecie come quella in esame nella quale, ordinariamente, la predeterminazione e l’oggettività dei parametri da applicare al contributo di costruzione, di cui all’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, rendono vincolato il conteggio da parte della pubblica amministrazione, consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità da parte dell’interessato con l’ordinaria diligenza, solo nella eccezionale ipotesi in cui tali conoscibilità e verificabilità non siano possibili con l’ordinaria diligenza richiesta al debitore, secondo buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), nell’ottica di una leale collaborazione volta all’attuazione del rapporto obbligatorio e al soddisfacimento dell’interesse creditorio vantato dal Comune.” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria del 30 agosto 2018 n. 12).

Il Supremo Giudice Amministrativo è giunto a tale conclusione, ammettendo che trovi applicazione solo in via eccezionale il principio del legittimo affidamento, sul diverso presupposto collegato alla fattispecie siciliana esaminata secondo cui “Un simile ragionamento, tuttavia, tralascia di considerare che l’applicazione delle tabelle parametriche da parte dell’amministrazione comunale, per quanto complessa, costituisce comunque una operazione contabile che, essendo al privato ben note dette tabelle, questi può verificare nella sua esattezza, anzitutto con l’ausilio del progettista che l’assiste nella presentazione della propria istanza, con un ordinario sforzo di diligenza, richiedibile secondo il canone della buona fede al debitore già solo, e anzitutto, nel suo stesso interesse, per evitare che gli venga richiesto meno o più del dovuto” (.(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, cit.).

Nel Veneto l’errore originario in cui sono incorsi i Comuni nel determinare il contributo afferente il costo di costruzione non è configurabile come un mero errore contabile di applicazione di tabelle ben note, ma è diverso e articolato, tanto da non poter essere stato inizialmente facilmente verificabile dal privato usando la normale diligenza. 

Infatti è accaduto che, a differenza del caso siciliano che ha portato alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria, gran parte dei Comuni veneti anche dopo l’entrata in vigore del d.PR. n.380 del 2001 hanno continuato ad applicare le tabelle più favorevoli previste dallart.83, comma 1 della L.R. n. 61 del 1985 a ciò indirizzati dalla non felice formulazione dell’art. 13 della legge 1° agosto 2003, n. 16 .

Tale norma, come osservato dalla Consulta, “prospettando l’entrata in vigore di una «legge regionale di riordino della disciplina edilizia», ha disposto per l’applicazione, in via immediata e sino all’adozione di tale nuova legge, sia del t.u. edilizia, sia delle previsioni della l. reg. n. 61 del 1985 «che regolano la materia in maniera differente dal testo unico e non siano in contrasto con i principi fondamentali desumibili dal testo unico medesimo” 

Il parametro minimo del 5%, introdotto dall’art.16 comma 9 del d.PR. n.380 del 2001, non è stato considerato un principio fondamentale presente nel Testo Unico dell’Edilizia e pertanto si sono continuate ad applicare le tabelle più favorevoli via via aggiornate allegate alla L.R. n.61 del 1985.

Non si è trattato di un errore di calcolo facilmente rilevabile, ma di una errata interpretazione normativa che ha dato origine a numerosi ricorsi, che hanno indotto la regione Veneto a promulgare la norma dichiarata ora incostituzionale.

Sul punto non convince l’affermazione del Giudice amministrativo Veneto contenuta nella sentenza (189/2011), secondo cui si sarebbe in presenza di un errore di calcolo, in quanto l’errata determinazione del costo di costruzione è dipesa dall’aver attribuito prevalenza ad una norma regionale, non considerando il parametro minimo del 5%, introdotto dall’art.16 comma 9 del d.PR. n.380 del 2001, un principio fondamentale della legge statale.

In questa situazione si ritiene che difficilmente possa essere ignorato il legittimo affidamento riposto dai privati sull’originaria determinazione del costo di costruzione. 

Affinché un affidamento riposto da un privato su un provvedimento amministrativo si possa ritenere legittimo è richiesta dalla giurisprudenza la compresenza di tre elementi:

  1. Che sia un provvedimento favorevole per il destinatario;
  2. Che il destinatario sia in buona fede;
  3. Che sia trascorso un arco di tempo sufficiente per radicare l’affidamento.

Pur nella diversità di ogni singola fattispecie, che si potrà presentare, ritengo che sia operazione ardua nei casi di specie rappresentare la mancanza anche di uno solo degli elementi richiesti.

Il primo requisito non potrà essere messo in discussione, essendo dato dalla determinazione del contributo afferente al costo di costruzione in modo più favorevole del dovuto.

Il secondo, ovvero la buona fede del destinatario del provvedimento favorevole, risulterebbe avvalorato da una prassi generalizzata allora seguita da tutti i comuni veneti, che anche dopo l’entrata in vigore del d.PR. n.380 del 2001 hanno continuato ad applicare le tabelle più favorevoli previste dallart.83, comma 1 della L.R. n. 61 del 1985 a ciò indirizzati dalla non felice formulazione dell’art. 13 della legge 1° agosto 2003, n. 16. .

Di conseguenza in alcun modo il destinatario del provvedimento originario, quando è stato determinato il contributo, poteva anche solo ipotizzare di dover pagare un importo maggiore.

Buona fede che, al fine di evitare ingiuste richieste di integrazioni da parte dei comuni con conseguente proliferare dei contenziosi, aveva a suo tempo indotto la regione Veneto ad assumere la norma dichiarata ora incostituzionale.

Ed infine anche il terzo elemento, relativo al tempo trascorso, salvo rari casi risulterà facilmente accertabile.

Per concludere sono dell’avviso che una eventuale attuale richiesta di integrazione del contributo afferente al costo di costruzione a suo tempo determinato nella misura più favorevole in applicazione di una prassi allora seguita dalla maggior parte dei comuni veneti, si presterebbe ad essere censurata per violazione del principio generale del legittimo affidamento, su cui la decisione della Corte Costituzionale del 26 febbraio 2020 n. 64 nulla dice.

Guido Sartorato

Sentenza

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