Con la presente breve nota non si intende entrare nel merito della corretta interpretazione da seguire, o meglio che si sarebbe dovuto seguire, per determinare l’estensione della deroga all’altezza massima raggiungibile ai sensi dell’art. 9, comma 8 bis, della L.R. n. 14/2009 rispetto alle previsioni recate dagli strumenti urbanistici vigenti e dall’art. 8 del D.M. N. 1444/1968, ma soffermarsi su uno specifico principio pronunciato dal Giudice Amministrativo di per se estraneo al giudizio ma ben più significativo.

Nell controversia esaminata dal Supremo Giudice Amministrativo si discuteva se l’edificio da prendere in considerazione per determinare il 40% dell’ampiezza della deroga prevista dal citato art. 9 fosse quello circostante o quello su cui si intendeva intervenire.

Nella sentenza in commento il Consiglio di Stato, dopo aver precisato che la percentuale del 40% va riferita all’altezza dall’edificio su cui si intende intervenire, è andato oltre, precisando anche che “in tal contesto la norma regionale si pone quale ulteriore (e ragionevole previsione) di limite massimo ulteriore per l’edificio realizzando, rispetto al preesistente”.

Avendo in precedenza la Corte Costituzionale ritenuto inammissibile l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 9 sollevata dallo stesso Consiglio di Stato, il Giudice amministrativo, dovendo comunque applicare la norma per decidere la controversia, ha trasformato la sua natura derogatoria in un limite massimo sempre applicabile.

Secondo la decisione in commento l’altezza massima raggiungibile da un fabbricato in applicazione degli art. 2 e 3 della L.R. n. 14/2019 avrebbe dovuto essere sempre e soltanto l’altezza dell’edificio preesistente maggiorata del 40% in applicazione del citato art. 9, comma 8 bis, della L.R. n. 14/2009..

E ciò a prescindere dall’altezza degli edifici circostanti, che potrebbero essere anche più alti o dal Piano di Interventi, che potrebbe prevedere per quella determinata zona un’altezza maggiore.

Dello stesso avviso si è dimostrato anche di recente il TAR Veneto in più di un’occasione.

In conclusione, l’altezza massima degli edifici in progetto avrebbe dovuto essere calcolata nella misura massima del 40% dell’altezza degli edifici da ampliare(TAR Veneto, sez. II, 14 dicembre 2020, L. n. 1234).

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Non si condivide l’interpretazione offerta dal giudice amministrativo, che trasforma una disposizione derogatoria, che avrebbe potuto consentire di poter raggiungere una maggiore altezza rispetto a quella prevista dagli strumenti urbanistici e/o dall’art. 8 del D.M. 1444/1968, in una norma generale, che sottrae gli interventi previsti dal c.d. “Piano Casa” dalla possibilità di avvalersi dei parametri ordinari sull’altezza.

Si riporta per comodità il testo dell’art. 9, comma 8 bis della L.R. n. 14/2009.

Al fine di consentire il riordino e la rigenerazione del tessuto edilizio urbano già consolidato ed in coerenza con l’obiettivo prioritario di ridurre o annullare il consumo di suolo, anche mediante la creazione di nuovi spazi liberi, in attuazione dell’articolo 2 bis del DPR n. 380/2001 gli ampliamenti e le ricostruzioni di edifici esistenti situati nelle zone territoriali omogenee di tipo B e C, realizzati ai sensi della presente legge, sono consentiti anche in deroga alle disposizioni in materia di altezze previste dal decreto ministeriale n. 1444 del 1968 e successive modificazioni, sino ad un massimo del 40 per cento dell’altezza dell’edificio esistente)”.

Come risulta agevole ricavare dalla lettura della disposizione regionale, gli interventi di ampliamento e ricostruzione potevano essere autorizzati “anche” in deroga all’altezza prevista dal D.M. 1444/1968 nel limite del 40% e quindi e soprattutto anche nel rispetto all’altezza prevista dalla norma statale.

Tali interventi dovrebbero essere sempre ed a maggior ragione autorizzati se conformi al D.M. n. 1444/14968 e comunque all’altezza prevista dal Piano degli interventi, non avvalendosi della disposizione derogatoria sull’altezza contenuta nell’art. 8 del D.M. n. 1444/1968.

La natura derogatoria della norma regionale trova conferma nella sua stessa formulazione, “…in attuazione all’art. 2 bis del DPR n. 380/2001 …”, e di conseguenza il suo campo di applicazione dovrebbe essere limitato ai soli interventi che prevedono la deroga all’altezza ordinaria prevista dal D.M. n. 1444/1968.

Per le stesse ragioni tale previsione non dovrebbe trovare applicazione nel caso in cui l’intervento proposto rispetti l’altezza massima prevista dal D.M. 1444/1968 o addirittura l’altezza prevista dal Piano degli Interventi.

Non vi è alcuna norma né principio logico che precluda agli interventi previsti dal c.d. “Piano Casa” di conformarsi all’altezza massima consentita in via ordinaria e generale dal D.M. n. 1444/1968 e/o dal Piano degli Interventi.

Invece, attraverso l’interpretazione proposta, il Giudice Amministrativo ha attribuito un valore generale ad una norma derogatoria, così da introdurre una limitazione generale non prevista dalla legge regionale.

L’incertezza interpretativa della norma in esame avrebbe dovuto riguardare l’ammissibilità della deroga e la sua quantificazione, ma non certo la possibilità di conformare l’intervento ai parametri ordinari dell’altezza previsti dalla disciplina urbanistica in vigore.

Un intervento di riqualificazione e/o rigenerazione urbana se conforme all’altezza massima autorizzabile ai sensi dell’art. 8 del D.M. 1444/1968, dovrebbe essere autorizzato a prescindere dall’altezza della preesistenza su cui si vorrebbe intervenire, rilevante solo nel caso si intenda utilizzare la deroga del citato art. 9, comma 8 bis, della L.R. n. 14/2009.

In tal modo non solo verrebbe perseguito l’obbiettivo dichiarato dalla stessa legge regionale di riduzione del consumo del suolo e creazione di nuovi spazi liberi, ma anche di ottenere una altezza omogenea tra fabbricati circostanti, che il più volte citato art. 8 del D.M. 1444/1968 tende ad assicurare.

Per contro l’interpretazione offerta dal TAR Veneto e dal Consiglio di Stato aumenta la disomogeneità delle altezze dei fabbricati esistenti, consentendo agli edifici più alti di sopraelevarsi maggiormente rispetto agli edifici circostanti più bassi, così accentuando la disomogeneità già presente.

Sul punto è auspicabile un ripensamento del Giudice Amministrativo o quanto meno un intervento chiarificatore della Regione Veneto, per evitare il proliferare di azioni giudiziarie anche di natura risarcitoria promuovibili negli anni dai terzi confinanti o anche dagli stessi titolari del permesso a costruire nei confronti della PA, avendo posto legittimo affidamento sul titolo edilizio successivamente annullato.

Guido Sartorato

Sentenza 2712_2021

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