Il procedimento di bonifica dei siti inquinati, disciplinato dall’art. 242 del d.lg. n. 152/2006[1], ha carattere complesso e si articola in più fasi progressive[2] nelle quali la documentazione progettuale prodotta dal soggetto procedente viene valutata, approvata o rigettata dagli Enti all’esito di Conferenze dei Servizi.

In massima sintesi, il procedimento si svolge secondo le seguenti modalità. Qualora si verifichi un evento che può causare una contaminazione (o in caso di rinvenimento di una contaminazione storica ancora in grado produrre un aggravamento), devono essere svolte le opportune indagini per verificare il superamento delle CSC (Concentrazioni Soglia di Contaminazione) nelle matrici ambientali suolo/sottosuolo ed acque di falda, adottate le idonee misure di prevenzione e di emergenza e trasmessa agli Enti una formale comunicazione. In caso di superamento di almeno uno dei valori tabellari di CSC, il responsabile redige il Piano della Caratterizzazione, contenente una proposta di indagine che deve essere approvata dalla Regione[3] in sede di Conferenza dei Servizi (comma 3). All’esito delle indagini deve essere redatta l’Analisi di Rischio sito-specifica attraverso la quale si determinano i valori CSR (Concentrazioni Soglia di Rischio) e si comprende se il sito debba essere qualificato come contaminato; anche l’Analisi di Rischio è valutata ed approvata dalla Regione mediante la convocazione di una Conferenza di Servizi. Se il sito risulta non contaminato, perché i valori di CSR non sono superati, «la conferenza dei servizi, con l’approvazione del documento dell’analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il procedimento» (comma 5). Nel caso in cui invece l’inquinamento si riveli effettivamente sussistere (perché i valori di CSR sono superati), nei sei mesi successivi all’approvazione dell’Analisi di Rischio il responsabile è tenuto a presentare un Progetto Operativo di Bonifica, che verrà approvato dalla Regione, «acquisito il parere del comune e della provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile» (comma 7). Una volta che il progetto di risanamento approvato sarà stato realizzato, il procedimento si chiuderà con l’emanazione della certificazione provinciale di ultimata bonifica.

La giustizia amministrativa ha definito le Conferenze dei Servizi come quel «un modulo operativo che non costituisce un ufficio speciale della Pubblica Amministrazione, autonomo rispetto ai soggetti che vi partecipano» e che «non assurge alla dignità di organo ad hoc, né acquista soggettiva autonoma, essendo solo uno strumento procedimentale di coordinamento di Amministrazioni che restano diverse tra loro e mantengono la rispettiva autonomia giuridica» (sentenza TAR Toscana, sez. II, 31 agosto 2010, n. 5145). Come riconosciuto anche in dottrina[4], le Conferenze dei Servizi previste nel procedimento di bonifica disciplinato dall’art. 242 del c.d. TUA, hanno natura decisoria. Invero, il provvedimento regionale di approvazione del Piano della Caratterizzazione «costituisce assenso per tutte le opere connesse alla caratterizzazione, sostituendosi ad ogni altra autorizzazione, concessione, concerto, intesa, nulla osta da parte della pubblica amministrazione» (comma 3), l’Analisi di Rischio è approvata dalla Conferenza dei Servizi «convocata dalla regione, a seguito dell’istruttoria svolta in contraddittorio con il soggetto responsabile» (comma 4) e il Progetto di Bonifica è approvato dalla Regione con provvedimento che «sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente» (comma 7). Tuttavia, data la – non rara – complessità documentale dei procedimenti di bonifica, negli anni la prassi – soprattutto Ministeriale (per i procedimenti di bonifica che interessano i Siti di Interesse Nazionale[5]) – si è caratterizzata anche per l’indizione di Conferenze dei Servizi istruttorie, finalizzate alla valutazione della documentazione elaborata dal soggetto procedente e preliminari alle decisorie.

Premessa la natura istruttoria e decisoria delle Conferenze, anche nell’ambito del procedimento di bonifica, così come in altri settori, si è da tempo posto il problema dell’individuazione del provvedimento effettivamente lesivo degli interessi del soggetto procedente, contro il quale può essere presentato ricorso amministrativo; ciò, soprattutto in relazione alla necessità di rapportare la disciplina generale prevista dalla l. n. 241/1990 con quella speciale di cui al d.lg. n. 152/2006.

Come noto, l’art. 14-ter comma 9 della l. n. 241/1990, come modificato con l. n. 15/2005, disponeva che «il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato […]», laddove per “determinazione conclusiva” si intendeva il verbale di Conferenza. Nel periodo di vigenza di questa disposizione, la giurisprudenza amministrativa era divisa sul tema dell’individuazione del provvedimento effettivamente lesivo e, quindi, impugnabile. Ad avviso del Consiglio di Stato, era più persuasiva la tesi secondo la quale solo al provvedimento finale potesse «essere riconosciuta una valenza effettivamente determinativa della fattispecie (con conseguente sorgere dell’onere di immediata impugnativa), mentre alla determinazione conclusiva deve essere riconosciuto un carattere meramente endoprocedimentale» (Cons. Stato, sez. VI, 03.12.2009, n. 7570; nello stesso senso T.A.R. Firenze, sez. II, 14.03.2007, n. 383). Per i giudici di Palazzo Spada, l’istituto della Conferenza di Servizi presentava quindi «una struttura dicotomica, articolata in una fase che si conclude con la determinazione della Conferenza, di valenza endoprocedimentale, e in una successiva fase che si conclude con l’adozione del provvedimento finale, di valenza esoprocedimentale effettivamente determinativa della fattispecie» (ex multis, si veda la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 31 gennaio 2011, n. 712). Diversamente, secondo altra parte della giurisprudenza, «il provvedimento conclusivo, quando non ribalti le decisioni prese in sede di conferenza di servizi, è atto meramente confermativo e consequenziale delle determinazioni assunte in sede di conferenza; pertanto è autonomamente impugnabile il verbale conclusivo della conferenza di servizi» (T.A.R. Brescia, sez. I, 09.10.2009, sent. n. 1738; nello stesso senso T.A.R. Veneto, sez. II, 27.07.2007, n. 2607). Nonostante il contrasto interpretativo, nei procedimenti di bonifica ministeriali, dalla seconda metà del 2006 il riferimento al “provvedimento finale” portò la direzione generale competente, che fino a quel momento aveva emanato meri verbali di Conferenza istruttorie e decisorie, ad emanare – anche – decreti direttoriali «di adozione, ex articolo 14 ter della legge 14 agosto 1990 n. 241, delle determinazioni conclusive della Conferenza di servizi». Nonostante si trattasse di decreti che non ribaltavano in alcun modo le decisioni assunte dalla Conferenza di Servizi, prevalse la tesi interpretativa del Consiglio di Stato ed i soggetti procedenti lesi nei propri interessi iniziarono a radicare giudizi al TAR impugnando l’atto prescrittivo delle decisioni assunte dalla Conferenza.

Il comma 9 dell’art. 14-ter venne successivamente abrogato dalla l. n. 78/2010, che introdusse il comma 6-bis dell’art. 14-ter, ai sensi del quale «la determinazione motivata di conclusione della conferenza, adottata dall’amministrazione procedente all’esito della stessa, sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle amministrazioni e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati» (come si dirà, disposizione analoga all’art. 14-ter comma 6-bis, è oggi contenuta nell’art. 14-quater comma 1, come modificato dal recente d.lg. n. 127/2016). In altre parole, la determinazione motivata di conclusione della conferenza, ovverosia il verbale della stessa, sostituiva in termini di efficacia esoprocedimentale il “provvedimento finale” precedentemente previsto. A seguito di questa modifica vi fu il dubbio che anche nell’ambito dei procedimenti di bonifica non fosse più necessario un provvedimento finale e che, dunque, l’atto amministrativo direttamente lesivo ed impugnabile fosse il verbale di Conferenza dei Servizi. Questo orientamento venne però respinto dalla giurisprudenza di merito, ad avviso della quale «il sistema [del d.lg. n. 152/2006] è chiaro nel senso che per intervenire su un sito contaminato è comunque necessario un provvedimento» (T.A.R. Brescia, sez. I, 21.11.2013, n. 1012). Occorreva, in altri termini, coordinare la disciplina speciale di cui al d. lg. n. 152/2006 con quella generale di cui agli artt. 14 e ss. della l. n. 241/1990. In questa prospettiva, se in relazione all’originaria formulazione dell’art. 14-ter comma 9 non sorgevano difficoltà di coordinamento, dato che il “provvedimento finale” era pacificamente identificabile con il provvedimento che recepiva le valutazioni della Conferenza sul progetto di bonifica presentato (ovvero del Piano della Caratterizzazione o dell’Analisi di Rischio), anche dopo l’abrogazione dell’art. 14-ter comma 9 la specialità del procedimento di bonifica rendeva comunque necessaria l’adozione di un provvedimento finale. Questo continuava pertanto a costituire l’atto lesivo impugnabile «in tutti i casi come il presente, in cui una disciplina speciale continui a prevederlo. Ragionando altrimenti, si finirebbe oltretutto per introdurre nel sistema degli artt. 242 e ss. d. lgs. 152/2006 una disarmonia» (T.A.R. Brescia, ult. cit.).

Ribadito il carattere speciale del procedimento di bonifica disciplinato dall’art. 242 d.lg. 152/2006 e confermata la lesività del solo provvedimento finale, negli ultimi anni la prassi ministeriale portò gli operatori del settore a ragionare sulle cc.dd. Conferenze di Servizi istruttorie atipiche. Si trattava infatti si verbali di conferenza emanati nell’ambito delle bonifiche dei SIN e privi di decreto direttoriale (che accompagnava il successivo verbale decisorio), ma contenenti – nonostante l’espressa natura istruttoria – determinazioni deliberative a carattere immediatamente prescrittivo. In altre parole, anziché contenere  mere valutazioni istruttorie ed endoprocedimentali della documentazione presentata dal soggetto procedente, questi verbali si concludevano con prescrizioni ed ordini (solitamente relativi all’attivazione di interventi di Messa in Sicurezza d’Emergenza), da ottemperare in tempi brevi, astrattamente lesivi degli interessi del privato. Pur consapevoli che a detta della giurisprudenza vi è una mera facoltà (e non un onere) di impugnare direttamente un verbale qualora nello stesso «siano contenuti ordini e prescrizioni immediatamente efficaci perché così autoqualificatisi nella stessa conferenza di servizi» (T.A.R. Veneto, sez. III, 25.02.2014, n. 255; nello stesso senso Cons. Stato, sez. II, 29.12.2011, n. 4974), e sapendo altresì che solitamente le determinazioni “istruttorie” sarebbero state fatte proprie da una Conferenza decisoria (e da un successivo decreto direttoriale), molti operatori decisero – prudenzialmente – di radicare giudizi avverso meri verbali istruttori. Ciò, anche in considerazione delle ristrette tempistiche concesse nei predetti verbali istruttori per ottemperare alle prescrizioni impartite, nonché dell’incerto, ed in ogni caso non immediato, seguito del verbale decisorio e del relativo decreto direttoriale.

In chiusura, occorre svolgere un breve cenno al recente d.lg. n. 127/2016, che ha introdotto due nuovi schemi procedimentali per le Conferenze dei Servizi, applicati oggi anche dal Ministero dell’Ambiente alla disciplina delle bonifiche ambientali: la conferenza semplificata (art. 14 bis) e quella simultanea (art. 14-ter). La Conferenza semplificata (o asincrona) non prevede lo svolgimento di una vera e propria riunione tra i soggetti coinvolti, ma uno scambio di pareri e comunicazioni telematiche tra le amministrazioni interessate e tra queste ed il soggetto titolare del procedimento. Una volta raccolti tutti i pareri, l’Autorità competente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, nella forma del decreto direttoriale. Qualora, invece, non sia possibile adottare né una determinazione positiva né una determinazione negativa, l’Autorità procedente potrà indire una conferenza di servizi simultanea (che nella volontà del legislatore del 2016 dovrebbe avere carattere residuale), nella quale comporre i diversi profili di una determinazione complessa o attraverso la quale riscontrare una richiesta motivata di una delle altre amministrazioni o del privato interessato. É certamente ancora troppo presto per poter trarre delle conclusioni ponderate sulla nuova riforma. Se però la conferenza asincrona ha il pregio di restringere i tempi procedimentali garantendo effettività e certezza, dall’altro rischia di esporre il soggetto procedente al dubbio di limitare il contraddittorio con le amministrazioni competenti (anche rispetto a prescrizioni o pareri illegittimi o non allineati alla realtà dei fatti), per non rischiare di perdere la semplificazione collegata all’asincronia e convertire così il procedimento in simultaneo.

Alessandro Kiniger

 

[1] In precedenza la disciplina procedimentale era contenuta nell’art. 17 del d.lg. 22/97 e nell’art. 10 del DM 471/99.

[2] Rispetto alle quali la giurisprudenza di merito ha ritenuto che «ben si giustifica l’emanazione di decreti che non chiudano l’intero procedimento di bonifica del sito, ma siano relativi a singole fasi sub procedimentali» (Cons. Stato, sez. VI, 06.12.2013, n. 5857).

[3] O dall’Ente locale dalla stessa individuato. In Veneto, in forza di quanto previsto dalla l. r. 3/2000, l’autorità individuata dalla Regione è il Comune territorialmente competente.

[4] F. Giampietro, Bonifica dei siti contaminati: la disciplina speciale delle conferenze si servizi decisorie prima e dopo il t.u. ambiente, nota di commento a T.A.R. Firenze, sez. II, 12.10.2006, n. 4274, in Riv. Giur. Edilizia, 2007, 3, p. 1113 ss.

[5] Si tratta di aree particolarmente contaminate del territorio nazionale, per le quali, l’art. 252 comma 4 del d.lg. 152/2006, prevede che “La procedura di bonifica di cui all’articolo 242 dei siti di interesse nazionale è attribuita alla competenza del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministero delle attività produttive”.

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