1) P.A. e criterio del prezzo più basso nell’affidamento degli incarichi

Il problema delle condizioni economiche nell’affidamento degli incarichi legali da parte della P.A. è oggetto ormai da qualche anno di grande attenzione e di forti critiche da parte degli avvocati, e più in generale dei professionisti, che offrono prestazioni al mercato pubblico.

La riforma della disciplina dei compensi professionali nel senso della liberalizzazione e della connessa abolizione dei minimi tariffari ha infatti determinato evidenti squilibri nel sistema degli affidamenti di incarichi pubblici, trasformando il mercato in questo settore in una vera e propria “giungla” completamente deregolamentata, in cui gli enti ente pubblici hanno spesso considerato il criterio del massimo ribasso quale opzione idonea (il più delle volte, l’unica) in base alla quale scegliere il professionista destinato ad operare per l’ente.

L’abolizione delle tariffe e dei minimi in esse previsti era stata concepita, nelle intenzioni del legislatore, come un mezzo per “aprire” il mercato – sia pubblico che privato – ai giovani professionisti, offrendo loro la possibilità di formulare offerte più competitive.

In realtà, alla prova dei fatti, la riforma non ha affatto perseguito l’obbiettivo sperato, ed ha invece lasciato il sistema degli affidamenti degli incarichi professionali pubblici completamente sguarnito di qualsiasi “paletto” volto ad assicurare tutela all’ente pubblico che richiede la prestazione.

La riforma ha infatti scambiato i minimi tariffari per un odioso privilegio di casta, mentre invece è indubbio che essi costituiscano garanzia di un minimum di qualità a tutela del soggetto (pubblico o privato) nell’interesse del quale viene svolta la prestazione professionale.

Peraltro, allo stato, negli affidamenti di incarichi pubblici (legali e non), le criticità che riguardano i profili economici della prestazione professionale si intersecano con ulteriori problemi, legati alla ormai quasi totale necessità di affidamento mediante procedure competitive, al venir meno del rapporto fiduciario tra P.A. e professionista, dell’ancora incompiuto percorso normativo sulle specializzazioni.

In questo quadro confuso, quello che conta è che la prestazione professionale deve costare poco; come essa venga svolta, a garanzia del cliente e più in generale del sistema economico, è un problema che rimane sullo sfondo (auspicando che non si debba ricorrere all’assicurazione professionale obbligatoria: un professionista inadeguato può fare danni ingenti…).

Il problema si avverte in maniera ancor più immediata ed evidente se visto dal lato dell’avvocato amministrativista (o più in generale dal professionista che si occupa di un settore specifico, che un domani potrà fregiarsi del titolo di avvocato “specializzato”), che oggi vede svilita la professionalità costruita con il proprio lavoro quotidiano e l’esperienza maturata sul campo.

Se ciò è grave in termini generali, lo è ancor di più quando è un ente pubblico a ricercare un professionista.

Se un privato vuole scegliere il suo avvocato di fiducia in base (solo) a quanto costa, è libero di farlo, in quanto rischia la propria sfera giuridica e il proprio patrimonio, ed è “padrone di se stesso”.

Ma un ente pubblico ha un dovere di diligenza nella scelta del professionista, che va al di là del mero rapporto economico, e che passa necessariamente dalla adeguatezza della prestazione professionale, che assicura la vera tutela dell’interesse pubblico (tutela meno percepita, sicuramente meno diretta ed immediata, ma che è il vero punto centrale dell’opera intellettuale resa all’ente). Il Sindaco o il Dirigente comunale che affidano un incarico non lo fanno nel loro interesse, ma nell’interesse dei loro cittadini, e non rischiano soldi propri (salvi risvolti erariali…). E’ assolutamente inaccettabile che nella prassi l’aspetto della qualità della prestazione professionale venga sempre più sistematicamente ignorato.

 

2) L’equo compenso

Alle criticità evidenziate il legislatore ha cercato di porre rimedio, dietro forti spinte delle categorie professionali, con l’estensione ai rapporti tra professionisti e P.A. della disciplina del c.d. “equo compenso”, inizialmente pensata solo per gli avvocati e solo per i rapporti tra questi ultimi e clienti “forti”, come assicurazioni, banche o grandi imprese, e successivamente estesa dapprima ai rapporti con la P.A. (cliente “forte” per definizione), e successivamente a tutti i professionisti.

L’art. 19 quaterdecies, comma 3 del D.L. 148/2017, convertito dalla L. 172/2017, ha infatti disposto che “la pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

La disciplina dell’equo compenso, per gli avvocati, è stata introdotta con l’aggiunta dell’art. 13-bis alla Legge professionale forense (L. 247/2012), norma che dispone, al comma 2: “Ai fini del presente articolo, si considera equo il compenso (…) quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e conforme ai parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell’articolo 13, comma 6″, ovvero ai parametri forensi; il riferimento ai parametri forensi è stato introdotto poco dopo, con L. n. 205/2017 (legge di bilancio 2018).

 

3) L’ordinanza TAR Campania 1541/2018: si applica la disciplina sull’equo compenso

Con ordinanza cautelare n. 1541 del 25.10.2018, il TAR Campania ha applicato la disciplina suindicata, sospendendo l’efficacia di un avviso pubblico indetto da un comune napoletano per l’iscrizione ad un elenco di avvocati, da cui attingere per il conferimento di incarichi di assistenza tributaria (consultabile qui).

Il Comune aveva pubblicato un avviso, infatti, prevedendo, con riferimento agli incarichi per controversie di valore fino a 500 euro, il compenso pari a …. 0 (zero), ovvero la gratuità dell’incarico.

Il TAR, esaminando in sede cautelare un ricorso collettivo proposto da numerosi avvocati che verosimilmente avranno “gridato allo scandalo”, ha riconosciuto il fumus dell’impugnativa, così motivando: “avuto particolare riguardo alla fissazione di compensi non in linea con le tariffe professionali e comunque in contrasto con il principio di equo compenso, applicabile anche alle amministrazioni pubbliche, in particolar modo per il contenzioso di valore fino ad €500,00, per cui l’onorario è pari a zero; ritenuto che, in ogni caso, le esigenze di riequilibrio finanziario debbano armonizzarsi con altri principi fondamentali dell’azione amministrativa, tra cui quelli di ragionevolezza e di proporzionalità nonché, nella fattispecie, quello di equo compenso per le prestazioni professionali”.

Il TAR ha inoltre riconosciuto immediatamente lesive le previsioni del bando per i professionisti interessati “imponendo loro l’assunzione di un impegno ad accettare condizioni economiche inadeguate nel senso in precedenza indicato“, declinando alla fattispecie i canoni sull’interesse all’impugnazione recentemente ribaditi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 4/2018 (condizioni eccessivamente onerose), ed ha accolto la domanda cautelare con un remand all’Amministrazione per la revisione delle condizioni dell’avviso, assegnando un breve termine per l’esecuzione.

 

4) Alcune riflessioni

La vicenda esaminata dal TAR Campania è esemplificativa dell’approccio della P.A. all’affidamento dei servizi legali, soprattutto in caso di iscrizione in elenchi da cui attingere, con compenso predeterminato all’origine.

La previsione di un compenso pari a zero, sicuramente non “equo” nel senso imposto dalla normativa sopra descritta, ha reso agevole l’accoglimento delle censure degli avvocati insorti contro l’avviso.

La lettura integrale dell’avviso oggetto di giudizio fa poi emergere aspetti di maggiore iniquità.

E’ ragionevole ritenere che su tributi di importo inferiore a 500 euro il compenso all’avvocato, anche se non proprio pari a zero, non possa che essere molto basso: il contenzioso sarà verosimilmente bagatellare e a carattere seriale.

E’ però meno ragionevole (e forse ancora più iniquo) che l’avviso indicasse per qualsiasi tributo di valore superiore a 5.000 euro (senza limiti massimi di valore, e quindi in astratto, anche per un tributo di un milione di euro) un compenso forfettario “fisso”, per il professionista risultato affidatario, limitato a soli 500 euro.

L’accoglimento della domanda cautelare da parte del TAR, con effetti di “riequilibrio” delle condizioni dell’avviso, è ovviamente condivisibile.

Nei servizi pubblici esiste, come tradizionale strumento di garanzia in materia, l’istituto dell’anomalia dell’offerta con conseguente esclusione dalla procedura, istituto volto a tutelare la P.A. dai pregiudizi connessi ad una non adeguata remuneratività della prestazione dedotta in contratto.

Tuttavia, sembra obbiettivamente difficile riferire i principi in tema di anomalia ai casi di affidamento di incarichi professionali mediante procedura comparativa, sia per l’impossibilità di definire a priori i “costi fissi” dell’esecuzione della prestazione d’opera intellettuale, sia per l’insindacabilità delle scelte organizzative del professionista (se il professionista riesce a lavorare a costo zero, perché gli si dovrebbe precludere a priori di lavorare per la P.A. per un compenso molto basso?).

Il conferimento di singoli incarichi a titolo gratuito non sembra più consentito dalla disciplina vigente.

Tuttavia, viene da chiedersi, sarebbe stata la stessa cosa se l’Amministrazione Comunale avesse deciso di affidare integralmente l’intero contenzioso in un settore (tributario, amministrativo, civile) ad un unico professionista scelto con gara, stabilendo un compenso pari a zero per gli incarichi minori, da considerare come un rischio calcolato in sede di esecuzione dell’incarico “complessivo”?

Probabilmente in questo caso la natura omnicomprensiva dell’incarico non avrebbe fatto considerare iniqua la disciplina dei compensi.

Non è poi chiaro (almeno, non a chi scrive) quale compenso oggi possa definirsi “equo”.

La normativa sull’equo compenso opera un espresso riferimento alla necessaria “conformità” ai parametri forensi. I parametri, tuttavia, come noto, non individuano dei compensi inderogabili minimi, ma dei parametri medi con applicazione di percentuali in aumento o diminuzione. Non è chiaro quando un compenso possa essere considerato conforme ai parametri, e quindi “equo”, e quando invece tale condizione non si verifichi, determinando l’illegittimità dell’avviso.

La “conformità” a dei dati numerici non definiti è difficile da stabilire, con la conseguenza che l’incertezza permane.

Probabilmente, l’attuale sistema soffre ancora della lacuna della mancata presenza di minimi inderogabili, esistenti nel vecchio sistema tariffario, intesi quali soglie minime sotto le quali non si poteva scendere (oggi si direbbe a pena di iniquità del compenso), la cui reintroduzione potrebbe essere la soluzione delle presenti incertezze applicative.

Nel dibattito è di recente intervenuta anche l’ANAC, che, con documento offerto in consultazione agli operatori nel Luglio 2018 (consultabile qui), ha fornito rispetto alla problematica dell’equo compenso alcune indicazioni, seppur non ancora “cristallizzate”, tra cui:

– l’invito alle stazioni appaltanti a definire l’importo a base di gara “in coerenza” con i parametri (senza ovviamente specificare in quali casi si realizzi o meno tale coerenza);

– l’impossibilità per le stazioni appaltante di richiedere al professionista prestazioni ulteriori rispetto a quelle a base di gara, che non sono state considerate ai fini della determinazioni dell’importo a base di gara (prassi odiosa e frequentissima nell’esecuzione di incarichi pubblici);

– la rilevanza, ai fini dell’equità del compenso, della presenza nel contratto di clausole vessatorie, idonee a determinare “un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista”, e quindi a rendere non equo il compenso previsto per la prestazione.

A mio avviso l’attuale riferimento ai parametri forensi quale misura dell’equità del compenso su incarichi della P.A. non è del tutto condivisibile e non risolve le criticità presenti nell’affidamento degli incarichi professionali pubblici.

Il previgente sistema tariffario e l’inderogabilità dei minimi costituivano un meccanismo di tutela del cliente e di certezza nel rapporto cliente / avvocato, che oggi non si verifica e contribuisce ad alimentare criticità. Era un sistema con dei limiti, perfettibile, ma certamente migliore di quello in cui si trova ad operare attualmente l’avvocato che intenda avere rapporti con gli enti pubblici.

E’ poi un dato non contestabile che l’attuale sistema di conferimento degli incarichi pubblici (singoli o continuativi, stragiudiziali o giudiziali) si configura chiuso ed assolutamente non concorrenziale, in quanto l’imparzialità e trasparenza rimangono solo “sulla carta”, a vantaggio della fiduciarietà dell’incarico e del mantenimento delle posizioni dominanti in capo a professionisti più esperti e maggiormente qualificati, anche quando la P.A. ricorra alla gara.

Ciò è aggravato dal sempre più frequente riferimento, nei bandi, al requisito del numero di incarichi pregressi quale unico criterio ulteriore rispetto all’offerta economica, con la conseguenza che un giovane professionista che si affacci sul mercato, anche se perfettamente idoneo sul piano tecnico, non è e non sarà mai in condizione di aggiudicarsi l’incarico oggetto di gara.

In questo quadro, un’effettiva concorrenza potrebbe essere cercata attraverso l’introduzione di un “compenso minimo inderogabile”, quale valore destinato ad affiancare i parametri oggi vigenti per le singole attività legali indicate nel decreto ministeriale, senza sostituirsi ad essi, al di sotto del quale il compenso indicato dalla P.A. andrà considerato iniquo e non inseribile negli avvisi a pena di illegittimità (ad esempio, un incarico per una costituzione al TAR in un giudizio di valore indeterminabile non potrà essere conferito per un compenso inferiore ad un importo “X”).

Ciò tutelerebbe da un lato l’interesse pubblico alla qualità della prestazione, consentendo dall’altro ai professionisti (anche giovani) la possibilità di ribassi competitivi con serie prospettive di aggiudicazione, a vantaggio del mercato.

Dovrebbe però trattarsi di veri e propri “minimi”, proprio al fine di consentire un serio e serrato confronto tra professionisti anche sul piano economico e quell’apertura del mercato non realizzata attraverso l’abolizione delle tariffe professionali.

Oggi infatti, l’interesse curriculare dei giovani avvocati nel sistema degli incarichi professionali non trova tutela, a differenza di quanto avviene in generale per i servizi pubblici, in cui per giurisprudenza pacifica un utile modesto per l’impresa (anche tendente a zero, purché venga assicurato un pareggio tra costi e ricavi) viene giudicato congruo considerando, oltre alla scarsa remunerazione del servizio, anche le ricadute extraeconomiche dell’aggiudicazione, in termini di pubblicità o esperienza curriculare acquisita.

Alberto Salmaso  

 

Ordinanza TAR Campania 25.10.2018 equo compenso

Avviso pubblico Comune di Marano di Napoli

Linee guida ANAC in consultazione

 

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