1.- La predittività della decisione giurisdizionale può essere valutata secondo due prospettive.

La prima attiene alla prevedibilità in sé del contenuto della sentenza. È un tema a tal punto collegato con quello della certezza del diritto da porre in dubbio che si usino parole nuove per indicare concetti antichi.

I cambiamenti del linguaggio, tuttavia, non derivano quasi mai dal caso.

Se si parla di predittività, in luogo di certezza, è proprio per verificare se la macchina, con la sua velocità di calcolo e con la sua apparente asetticità, sia in grado di sostituirsi all’interprete biologico.

Da qui, la seconda prospettiva. Positivamente superate le incertezze della prima, questa ipotizza di affidare, almeno in parte, la stessa definizione della controversia ad un elaboratore, introducendo il tema della c.d. decisione robotica.

A prescindere dalla realistica praticabilità della cosa, questo scenario sembra, a prima vista, estraniante. Probabilmente lo è.

Tuttavia, non si può escludere aprioristicamente un tale risultato che della prima

prospettiva sarebbe una conseguenza applicativa.

 

2.- In un certo senso, anzi, esistono già alcune forme di decisione robotica, circoscritte a casi particolari.

Esse vanno rinvenute proprio nel giudizio amministrativo, dopo l’avvento del processo telematico.

Ivi, la spedizione degli atti di parte, e tra questi anche dell’atto d’impulso alla lite, avviene con l’invio di un file che racchiude il materiale destinato al deposito.

Detto file è eseguibile e, una volta installato sul server istituzionale, riempie da sé i campi di quella vasta base di dati in cui è contenuto l’intero contenzioso amministrativo italiano.

Sostituendosi all’attività delle segreterie, il file assegna un numero di ruolo e annota l’identità delle parti, l’oggetto della domanda nonché gli atti e i documenti

depositati.

Come si intuisce, per il suo corretto funzionamento, il file deve rispettare rigide specifiche tecniche.

Secondo la disciplina del p.a.t., quindi, il file, se non conforme, viene respinto con una comunicazione di c.d. mancato deposito, la quale – questo è il punto – è generata dall’elaboratore, senza alcun diretto concorso umano.

Detta comunicazione impedisce al deposito di spiegare i suoi effetti e, se si tratta del ricorso, preclude al giudice l’esame della lite.

In ragione di questi riflessi, a me sembra che la comunicazione di mancato deposito sia equivalente ad una sentenza di rigetto in rito della domanda, specie quando sopravvenga alla scadenza del termine, precludendo la reiterazione dell’incombente.

Si obietterà che in questo caso il deposito non si sarebbe perfezionato, impedendo l’instaurazione stessa del processo.

Prima del processo telematico, tuttavia, la segreteria non avrebbe potuto rifiutare un deposito, per quanto irrituale, e sarebbe stato compito del giudice verificare la ricevibilità dell’atto. Ciò implicava, appunto, l’esistenza della lite.

Poiché, tuttavia, il regime generale di validità degli atti processuali è rimasto inalterato, non vi è dunque motivo per sostenere l’inesistenza del deposito difforme dalle specifiche tecniche né per escludere il compimento della vocatio iudicis.

 

3.- Il fatto che la comunicazione di mancato deposito non sia imputabile al giudice

cagiona problemi di non facile soluzione. Sembra, infatti, che con la disciplina, neppure regolamentare, del p.a.t. siano stati introdotti requisiti di ricevibilità del ricorso non indicati dalla legge. Più grave questione attiene ai rimedi, ancora non previsti, contro la comunicazione. Perché non si può escludere il cattivo funzionamento del server.

Non tocca qui indagare su questi temi. Ho richiamato il caso solo per dimostrare che un’embrionale decisione robotica già esiste. E quel che oggi è

limitato alla verifica di semplici elementi formali, potrebbe assumere domani dimensioni più vaste, di verifica sostanziale circa alcuni aspetti della domanda.

Alla luce di questa ipotesi, si possono esaminare le due richiamate prospettive.

Partirò dalla prima, relativa alla prevedibilità in sé della sentenza amministrativa. Avendo, però, a mente i riflessi sulla seconda, inerente all’affidabilità della decisione ad un sistema automatizzato. Sempre ammesso che i mezzi tecnici lo consentano.

 

4.- È dunque calcolabile la sentenza amministrativa?

Gli studi sulla predittività, finora, si sono riferiti ai massimi problemi del giudicare.

Essi hanno cercato di chiarire se il giudice operi in un sistema giuspositivistico come oracolo della legge o se, piuttosto, la sua azione sia aperta a valori extratestuali.

Non di rado, tuttavia, questi tentativi muovono da precostituite impostazioni filosofiche o sociologiche e da come il singolo studioso ama rappresentare la realtà giuridica.

Per detti motivi, questi appassionanti esercizi corrono il rischio di non offrire un’effettiva soluzione al problema della predittività.

Ne rendono, anzi, troppe e tutte sostenibili, una volta accettato lo specifico postulato ideologico da cui procedono.

 

5.- Altri pionieri si sono sforzati di standardizzare i vari criteri d’interpretazione con la creazione di modelli logici per ipotizzare di consegnare poi questi ultimi ad un algoritmo adeguatamente conformato.

Anche il buon esito di tale tentativo è, però, incerto.

Tutti comprendiamo la complessità di un modello capace d’integrare i canoni dell’interpretazione analogica, sistematica, o teleologica.

Con riguardo a quest’ultima, in particolare, non basterebbe indicare il bene giuridico tutelato. Bisognerebbe prestabilire anche quanto si vuole tutelare quel bene rispetto agli interessi concorrenti e ugualmente protetti.

A mo’ di come procede l’analisi economica del diritto, bisognerebbe, cioè, fissare un’unità di misura del bene giuridico, sulla cui base indirizzare il funzionamento del modello. Il che comporterebbe una riscrittura, o almeno una precisazione, del diritto sostanziale.

Anche fermandosi, però, all’interpretazione letterale, non sarebbe indiscusso neppure lo stesso significato proprio delle parole. Il diritto ha una sua terminologia tecnica, ma la legge si esprime con il linguaggio comune. L’ampiezza di certi lemmi e il numero delle accezioni riportate nei vocabolari dimostrano, però, quanto sia arbitrario marcare una rigida equivalenza tra una parola e un significato.

Tutti questi problemi si riflettono anche sul processo amministrativo, il quale, sul punto, non rivela una propria fisiologia.

 

6. – Neppure l’inclinazione culturale del giudice amministrativo verso un’interpretazione aperta sembra aggravare i dubbi sulla predittività della sentenza.

Semplificando, il rilievo si traduce nella vocazione pretoria di Palazzo Spada, alla luce del quale sarebbe difficile calcolare in quale direzione l’interpretazione si orienti.

La tesi pecca di enfasi perché il carattere pretorio della giurisprudenza amministrativa va probabilmente ridimensionato.

Se guardiamo alla sistematica del diritto sostanziale, la stagione dell’elaborazione dei grandi princìpi è finita da tempo e non si attendono significative novità.

Quanto alle discipline di settore, il loro contenuto è a tal punto di dettaglio da rendere esigua la possibilità di creare nuovo diritto, salvo che la sentenza non intenda modificare il diritto vigente. Ragionando in questi termini, dovremmo, però, parlare di giurisprudenza demolitrice e non di iudex faber; né sarebbe sbagliato interrogarsi sulla liceità di un tale agire. In effetti, i più cospicui esempi di applicazione pretoria hanno tratto origine non già da vere e proprie lacune della legge, ma dai problemi di diritto intertemporale che l’affannoso avvicendarsi delle leggi di riforma suscita. Sembrerebbe, dunque, che sia il troppo diritto a favorire oggi questa attitudine del giudice e non il contrario.

Più marcate attitudini creative sono state mantenute sul piano del diritto processuale.

Anche qui, tuttavia, le opportunità di produrre nuovo diritto, assai frequenti quando il processo era regolato da una pluralità non armonizzata di fonti, sono state ridotte dal codice di rito.

A me pare, così, che una contestazione della predittività, sostenuta dalla vocazione pretoria del Consiglio di Stato, sarebbe oggi meno attuale.

 

7. – D’altra parte, forse non è neppure vero che la predittività sia necessariamente antitetica ad una inclinazione pretoria del giudice.

Credo che molto dipenda da come si costruisce il modello logico e dalle informazioni con cui lo si riempie.

Né, forse, va postulativamente escluso che il procedimento decisionale di un elaboratore possa avvicinare quello creativo di una decisione umana.

Senza volermi avventurare in competenze altrui, ne sembrano precursori i motori per il gioco degli scacchi, in cui ogni mossa è, a modo suo, frutto di creatività, sia pure in un ambiente relativamente ristretto, perché composto da sessantaquattro caselle e trentadue pezzi, ciascuno dei quali agisce in modo inalterabile.

Nel decidere tra le varie opzioni, detti programmi, in qualche modo, sono in grado di apprendere le strategie dell’avversario, di valutarne, per così dire, il carattere e anche di creare trappole psicologiche.

Siamo dunque certi che, raggiunta una sufficiente potenza di calcolo e con le opportune informazioni, non si possa costruire un algoritmo idoneo se non proprio a prevedere, almeno ad impostare l’interpretazione creativa del giudice?

Di recente, sono stati avviati alcuni esperimenti per predire, con modelli logici, il contenuto di una sentenza applicando i canoni dell’interpretazione evolutiva. Vale a dire una forma di esegesi molto vicina a quella pretoria, se non ne è una vera e propria specie.

Anche se le ricorrenze sono troppo limitate per raggiungere carattere di scientificità, detti esperimenti sembrano aver dato alcuni riscontri positivi.

 

8. – Se mai, le perplessità sulla riferibilità del metodo predittivo alla sentenza amministrativa derivano da altri profili, collegati all’agire degli enti pubblici.

In primo luogo, ben di più di quanto valga per gli altri soggetti, la loro azione è esposta all’incidenza di una pluralità di fonti del diritto.

Quella regionale, ad esempio, è una disciplina solo di diritto pubblico e così vale per gran parte delle fonti di secondo grado, che riguardano principalmente controversie di diritto amministrativo.

Altrettanto si può dire per la normativa sovranazionale, sia pure con significative eccezioni.

Non è facile, tuttavia, immaginare un modello capace di normalizzare il conflitto tra le molteplici fonti, perché il rigido criterio della gerarchia offre oggi minor affidamento. Esso è stato gravemente incrinato dal criterio della competenza e, in tempi più recenti, dall’emersione della c.d. soft law.

Prima ancora in via di fatto che in virtù di una loro qualificazione formale, anche le linee-guida regolano le fattispecie di diritto amministrativo. A causa dell’ elasticità del modo con cui s’inseriscono nella produzione giuridica, tali parafonti sono un effettivo ostacolo ai fini della predittività.

Il tutto anche a non voler considerare la diversa tecnica di drafting. Perché la soft law non si avvale di un articolato, ma usa uno stile narrativo, al cui interno, per di più, è facile rinvenire affermazioni opposte. Cosicché solo un interprete realmente intelligente sembra capace di selezionare le parti di testo utili scartando quelle inutili, spesso inserite con finalità cautelative o per discutibile vezzo retorico.

 

9. – Se, d’altra parte, si riuscisse davvero a consegnare ad un sistema automatico la stessa decisione del caso, anche l’algoritmo in sé concorrerebbe alla moltiplicazione delle fonti.

Una volta automatizzato il processo decisionale, la macchina, a identità d’impulso, restituirebbe sempre la medesima risposta.

In questo modo, però, la fattispecie risulterebbe normata in ragione di come l’algoritmo è stato concepito. Con tutto quel che la cosa implica quanto alla conoscibilità preventiva della norma (perché espressa in codice) e alla sua legittimazione tecnocratica e non rappresentativa.

 

10. – Vi sono altre peculiarità dell’azione amministrativa da tener presenti.

Ha rilievo il sindacato sui sintomi dell’eccesso di potere, il quale, sebbene condotto ab externo e in modo formale, non manca di suscitare dubbi quanto alla predittività della decisione.

La stessa ricognizione del sintomo, invero, è difficilmente riconducibile a schemi calcolabili, perché la sufficienza della motivazione provvedimentale risponde a criteri di quantità, dipendenti da variabili contingenti.

Un vincolo d’interesse culturale richiede, infatti, una motivazione più larga di quella bastevole alla valutazione di una prova orale di concorso.

Nessuna norma stabilisce che, in alcuni casi, la medesima quantità di motivazione è sufficiente mentre in altri non lo è. A stabilirlo è, piuttosto, la giurisprudenza, non senza significative discordanze. Ancora una volta, si dovrebbe individuare una sorta di unità di misura della motivazione, intesa come circostanziata alle singole materie del contendere.

 

11. – Quanto alla struttura del processo, la predittività ha maggiori probabilità di successo se riferita ad un giudizio in cui l’istruttoria sia limitata. Tale sistema d’analisi, quindi, è più facilmente riferibile alle pronunce della Corte costituzionale, della Cassazione e della C. Edu, che non a quelle di un giudice di merito.

Da qui discende un ulteriore ostacolo alla calcolabilità della sentenza amministrativa, che, pur quando proviene dal Consiglio di Stato, è pronunciata da un giudice che ha sempre il pieno dominio del fatto.

Da questo punto di vista, perciò, la predittività della sentenza amministrativa è sempre complessa, riguardando non solo la valutazione giuridica, ma anche la definizione storica e probatoria del caso.

 

12. – Secondo altri aspetti, però, l’azione delle pubbliche amministrazioni può favorire un’analisi predittiva.

Nell’ipotesi dei c.d. concetti giuridici indeterminati, trova, infatti, applicazione la discrezionalità tecnica, che, a dispetto dell’art. 63 del codice, è sottratta ad uno scrutinio diretto.

Nel diritto amministrativo, dette valutazioni si riflettono sul presupposto del provvedimento, ma valutazioni simili ricorrono anche in altri settori del diritto. Così, nel civile o nel penale, quando si valuti l’imperizia ai fini della colpa.

Che tali valutazioni, ove compiute dall’amministrazione, siano sottratte al sindacato del giudice è un fattore di semplificazione, perché esclude dalla calcolabilità un elemento che, altrove, è oggetto d’indagine diretta ed opinabile.

Più in generale, ai fini della predittività, l’esistenza del presupposto provvedimentale si risolve sempre in uno 0 o in un 1. Sia quando esso è descritto dalla legge con la figura dell’accertamento tecnico (stante la sua misurabilità), sia quando esso si risolve in un concetto indeterminato (perché s’identifica con l’esistenza stessa di una positiva valutazione tecnico-discrezionale).

 

13. -Dal raffronto con le fattispecie privatistiche, si raggiungono conclusioni analoghe quando si consideri ciò che più somiglia all’esercizio del merito amministrativo. Vale a dire la diligenza del buon padre di famiglia.

La sentenza del giudice civile non può esimersi dal valutarla, se essa attiene all’oggetto della lite.

Diversamente, davanti alla discrezionalità pura (il cui risultato è, per definizione, conforme a buona amministrazione) il giudice si arresta.

 

14. – Ulteriori profili di semplificazione si ricavano paragonando il provvedimento al negozio di diritto civile.

In particolare, nell’azione degli enti pubblici l’elemento psicologico dell’agente non ha rilievo, bastando la rispondenza del provvedimento alla funzione.

Per questi motivi le complicate indagini sulla volontà e sui suoi vizi o il principio falsa demonstratio non nocet non ricorrono nel diritto amministrativo e questo vale,

forse, anche per quanto stabilito dall’art. 1362 c.c., talvolta invocato ai fini dell’interpretazione del provvedimento.

Anche sotto questo profilo, dunque, l’indagine predittiva sembra facilitata.

 

15.- Mi sono peritato d’individuare alcune peculiarità del metodo predittivo, quanto ai rapporti di diritto amministrativo.

Resta sullo sfondo l’impressione di una sua latente concretezza.

Del resto, la stessa certezza del diritto è più un mito che una realtà tangibile, senza

che questo legittimi a ritenere inutile lo sforzo di raggiungerla.

Sembra, dunque, ancora troppo presto perché un algoritmo possa scrivere un liber scriptus in quo totum continetur o perché si possa sostituire i due piatti dell’iconica bilancia della Giustizia con una sofisticata pesa elettronica.

Probabilmente, neppure lo desideriamo.

Spero, tuttavia, che le mie indicazioni siano di qualche utilità empirica per chi voglia intraprendere questo viaggio, lungo e forse senza meta.

Francesco Volpe

 

* Intervento tenutosi a Padova il 24 ottobre 2018 al Convegno su “Certezza del diritto, prevedibilità della decisione e giustizia predittiva. Verso una nuova calcolabilità del futuro giuridico?

 

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