SOMMARIO: Introduzione; 1) Disposizioni attuative del testo unico dell’edilizia e di adeguamento allo stesso; 2) L’articolo 7 della L.R. 19/2021; 3) Integrazione e modifiche di altre leggi regionali; 4) Varianti urbanistiche semplificate e normativa di tutela dei beni culturali e paesaggistici.

 

Introduzione

Ormai –come noto- non v’è legge, statale o regionale, ove non compaia, come finalità prima –in una, sempre più sovente, magari a sproposito, con il lemma oggi molto di moda: “resilienza”-, la semplificazione (vera o asserita): in tutti i campi del diritto.

Così è, dunque, anche in materia di governo del territorio. E l’ultima conferma veneta è data dalla legge regionale 30 giugno 2021, n. 19, contenente “semplificazioni in materia urbanistica ed edilizia per il rilancio del settore delle costruzioni e la promozione della rigenerazione urbana e del contenimento del suolo”: tanto che la rubrica della legge si conclude con (l’auspicio?) “Veneto cantiere veloce”.

Tale finalità è precisata dall’articolo 1, in base al quale “la Regione del Veneto, al fine di agevolare la rigenerazione e l’efficientamento del patrimonio edilizio esistente nonché sostenere la ripresa economica e produttiva della Regione, in particolare del comparto edilizio, nel rispetto della normativa regionale sul contenimento del consumo del suolo, dell’autonomia degli enti locali ed avuto riguardo alla sostenibilità ambientale  degli interventi, con la presente legge detta misure per la semplificazione dei procedimenti amministrativi urbanistici ed edilizi ”.

Per raggiungere tali risultati, la legge regionale in parte dà attuazione (o dichiara di farlo) al testo unico dell’edilizia, il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in parte detta norme nuove, specialmente di integrazione o spiegazione di altre leggi regionali, anche recentissime.

 

1) Disposizioni attuative del testo unico dell’edilizia o di adeguamento allo stesso

A) L’articolo 23 del DPR 6 giugno 2001, n. 380, al comma 1, lettera c), stabilisce che “in alternativa al permesso di costruire, possono essere realizzati mediante segnalazione certificata di inizio attività… gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche”.

Non sono previsti interventi regionali attuativi di tale disposizione: limitandosi –ma è cosa diversa- l’articolo 23 ad affermare che le Regioni possono individuare con legge “altri” interventi soggetti a SCIA.

Ebbene, l’articolo 2 della L.R. n. 19 del 2021 detta, invece, “Disposizioni attuative dell’articolo 23 del testo unico dell’edilizia” e specifica che, “in attuazione” dello stesso, “si considerano (cioè: non “sono”, come richiede la norma statale) in diretta esecuzione” di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche, “gli interventi di nuova costruzione per i quali lo strumento urbanistico generale definisca tutti i seguenti parametri: a) volume o superficie coperta; b) altezza massima o numero dei piani; c) distanza minima dai confini; d) distanza minima dai fabbricati”.

Ma nulla vieta, a questo punto, che in futuro, altri interventi vengano dalla Regione “considerati” in diretta esecuzione.

B) Con l’articolo 5, la L.R. n. 19 ha introdotto nella legge regionale n. 11 del 2004 l’articolo 42 bis (“Disciplina del mutamento della destinazione d’uso”). Ciò, come si legge nella Relazione al progetto di legge, “al fine di coordinare la legislazione regionale alle vigenti disposizioni contenute all’articolo 23-ter del TUE sul mutamento d’uso urbanisticamente rilevante”.

Ma più che di coordinamento si tratta, per lo più, di ricopiatura. Invero, il primo comma dell’articolo 5 stabilisce che “ai sensi dell’articolo 23-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001”, “costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo degli immobili o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorchè non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purchè tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; b) turistico-ricettiva; c) produttiva e direzionale; d) commerciale; e) rurale”.

E giusta il secondo comma , “ai sensi dell’articolo 23-ter, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, la destinazione d’uso dell’immobile o dell’unità immobiliare è quella stabilita dalla documentazione di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis, del medesimo decreto”.

Dunque, più che di coordinamento, si deve parlare di inserzione totale, senza la benchè minima modifica, nella LR 19 di quanto già indicato dai primi 2 commi dell’articolo 23-ter del testo unico dell’edilizia: in base al terzo comma del quale era previsto che le Regioni “adeguano” la propria legislazione a tali principi.

Ciò che non viene ripreso di tale ultimo articolo  è che “il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito”.

Nuovo, a livello regionale, è invece quanto disposto dai commi 3 e 4 dell’articolo 5.

Negli stessi si premette innanzitutto che è “fatto salvo quanto previsto dall’articolo 10, comma 1, lettera c)”, del Codice dell’edilizia: e, dunque, che sono subordinati a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che, “limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio”.

Ribadito –ovviamente- quanto sopra, si precisa che il mutamento di destinazione d’uso da una all’altra delle categorie di cui al comma 1, realizzato nel rispetto della disciplina dello strumento urbanistico è consentito, previo versamento del contributo relativo al costo di costruzione e della quota degli oneri di urbanizzazione eventualmente dovuti rispetto all’uso precedente, nonché a condizione che sia garantito il rispetto degli standard previsti dallo strumento urbanistico, salvo, “se il Comune lo consenta” (e la disposizione appare, per vero, aperta a troppa discrezionalità), la monetizzazione degli stessi per tre fattispecie.

a) Se connesso ad opere edilizie, è soggetto al titolo edilizio richiesto per le opere.

b) Se realizzato senza opere edilizie, è soggetto alla SCIA “di cui all’articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001”. Va dunque ricordato che tale disposizione prevede espressamente la realizzabilità mediante segnalazione certificata di inizio attività delle varianti a permessi di costruire che –tra l’altro- “non alterano la sagoma dell’ edificio qualora sottoposto a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42” e “non configurano una variazione essenziale, a condizione che … siano attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso previsti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e delle altre normative di settore”.

Non solo. Più in generale, l’articolo 22 prevede, quasi con disposizione di chiusura, che la realizzazione di interventi subordinabili a SCIA che “riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica, paesaggistico-ambientale o dell’assetto idrogeologico”, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative e, “in particolare”, dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.

c) Se realizzato senza opere edilizie, ma all’interno della stessa unità immobiliare e per una superficie lorda di pavimento fino a 250 mq. (il perché di tale indicazione quantitativa non è chiarito), è invece soggetto alla CILA “ai sensi dell’articolo 6 bis” del Codice dell’edilizia: che, per gli interventi assoggettabili a comunicazione di inizio lavori asseverata, stabilisce –tra l’altro- che sempre siano “fatte salve” le prescrizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

C) L’articolo 6 aggiunge un comma finale all’articolo 93 (“Sanzioni amministrative per interventi in parziale difformità e per ristrutturazioni abusive”) dell’ormai vetusta ed in parte abrogata legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 (“Norme per l’assetto e l’uso del territorio”: che non si comprende perché non vengano ricomprese nella legge regionale 11 del 2014), contenente –come si legge nella Relazione- “disposizioni in merito alle modalità per l’eliminazione degli abusi relativi ad interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire di cui all’articolo 34 del TUE”.

In sostanza, è ora stabilito che, “nei casi previsti” da tale articolo, “l’interessato può chiedere di eliminare le opere abusive mediante la loro demolizione” nel contesto di un intervento di ristrutturazione edilizia o di nuova costruzione.

Ciò, però, “a condizione che l’intervento sia conforme agli strumenti urbanistici ed eseguito entro un termine fissato dal Comune”. E ciò appare, francamente troppo generico e indicante un eccesso di discrezionalità: sicuramente minore nell’art. 34 del testo unico dell’edilizia (a cui la nuova disposizione fa pur esplicito riferimento), che almeno parla di un “termine congruo”.

D) “Al fine di agevolare e rendere omogeneo nei Comuni il calcolo” –oggettivamente complesso- “del contributo di costruzione” “di cui” al TUE (articoli da 16 a 19), l’articolo 11 stabilisce, infine, che la Giunta regionale predisponga una apposita applicazione informatica, che si confida atta a semplificare le cose.

 

2) L’articolo 7 della LR 19/2021

Tutto quanto evidenziato nel punto 1 che precede, è collegato all’attuazione del TUE.

Lo è anche quanto disposto dall’art. 7: ma, per il suo rilievo, questo merita una trattazione autonoma.

Il comma 1 bis dell’articolo 9 bis del TU dell’edilizia, aggiunto dall’art. 10, comma 1, lettera d), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, così come convertito nella legge 11 settembre 2020, n. 120 (c.d. decreto semplificazioni) ha fissato il principio per cui “lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e del titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussiste un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia” .

E come si è ricordato nel paragrafo 1, lettera B, l’articolo 5, comma 2, della legge regionale n. 19 già una volta si era riferito a tale disposizione, precisando che la destinazione d’uso dell’immobile o dell’unità immobiliare è quella stabilita dalla documentazione di cui, appunto, all’articolo 9 bis, comma 1 bis, del Testo unico dell’edilizia.

Orbene, con l’articolo 7 della legge regionale n. 19 del 2021, in vigore dal 3 luglio 2021, il Veneto ha ora stabilito, (inserendo l’articolo 93 bis nella legge regionale 27 giugno 1985, n. 61) al primo comma, che “in attuazione dell’articolo 9-bis, comma 1 bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, lo stato legittimo di immobili in proprietà o in disponibilità di soggetti non autori di variazioni non essenziali risalenti ad epoca anteriore al 30 gennaio 1977, data di entrata in vigore della legge 10/1977, e dotati  di certificato di abitabilità/agibilità, coincide con l’assetto dell’immobile al quale si riferiscono i predetti certificati, fatta salva l’efficacia di eventuali interventi successivi attestati da validi titoli abilitativi”. E con il secondo comma ha stabilito che “lo stato legittimo di immobili realizzati in zone esterne ai centri abitati e alle zone di espansione previsti da eventuali piani regolatori in epoca anteriore al 1° settembre 1967 è attestato dall’assetto dell’edificio realizzato entro quella data e adeguatamente documentato, non assumendo efficacia l’eventuale titolo abilitativo rilasciato anche in attuazione di piani, regolamenti o provvedimenti di carattere generale comunque denominati, di epoca precedente”.

La legge regionale in oggetto, come poco sopra ricordato, è stata emanata, in relazione al suo articolo7, “in attuazione” dell’articolo 9 bis, comma 1 bis, del Codice dell’edilizia.

Ma che le cose stessero davvero così è stato subito posto in dubbio. E, difatti, con Deliberazione del Consiglio dei Ministri del 5 agosto 2021, è stata decisa l’impugnazione avanti la Corte Costituzionale della L.R. 19, in quanto dal Governo considerata “censurabile con riferimento alla disposizione contenuta nell’articolo 7 che…si pone in contrasto”–e non, dunque, “in attuazione”- “con la previsione di cui all’articolo 9 bis, comma 1 bis”,  del TUE, “norma che costituisce principio fondamentale nella materia  <<governo del territorio>> al cui rispetto le Regioni sono tenute ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione”.

Orbene, come noto, la Corte Costituzionale, in ordine a “semplificazioni”, già si era pronunciata quest’anno con riferimento a due leggi del 23 dicembre 2019 della Regione Veneto: la numero 50 e la numero 51.

Di quest’ultima –relativa al recupero dei sottotetti a fini abitativi- la Corte, con sentenza 31 marzo 2021, n. 54, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 3, laddove prevedeva genericamente come titolo abilitativo per il recupero dei sottotetti la “SCIA”: il che avrebbe potuto “facilmente indurre i destinatari del precetto a ritenere sufficiente la SCIA ordinaria” (di cui all’articolo 22 del TUE) “per tutti gli interventi in questione, compresi quelli soggetti a permesso di costruire o a SCIA alternativa” (di cui all’articolo 23 del TUE). E ciò avrebbe portato a “un esito contrastante con un principio fondamentale della materia <<governo del territorio>> stabilito dal T.U. edilizia”.

E quanto alla legge regionale n. 50 (“Disposizioni per la regolarizzazione delle opere edilizie eseguite in parziale difformità  prima dell’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10”, con cui venivano rese più semplici le regolarizzazioni di edifici con piccoli difformità), la Corte, con sentenza 21 aprile 2021, n. 77, ne ha dichiarato l’integrale incostituzionalità.

Ciò in quanto, consentendo “il mantenimento dell’immobile abusivo nella disponibilità del soggetto interessato senza alcun obbligo di ripristino dello status quo ante”, ma prevedendo, “in relazione allo stesso, che il titolo originario, stabilito dal legislatore statale, sia sostituito dal nuovo titolo, conseguente alla presentazione della SCIA”, il meccanismo di regolarizzazione degli abusi edilizi consentito dalla LR n. 50 introduceva “una nuova ipotesi di sanatoria”, con “un perimetro applicativo più ampio di quello stabilito dalle norme statali di principio”.

Ed in ogni caso la legge non rispettava il principio della doppia conformità di cui all’articolo 36 TU edilizia.

Ora, con la nuova impugnativa relativa all’articolo 7 della LR 19, il Governo ha evidenziato che l’articolo 9 bis, comma 1 bis, del DPR n. 380 del 2001 “ha inteso semplicemente chiarire che lo <<stato legittimo dell’immobile>> è quello corrispondente ai contenuti dei sottesi titoli abilitativi,

relativi non solo alla sua originaria edificazione, ma anche alle sue successive vicende trasformative”. Non altro: “perché, se altrimenti inteso, come fatto dalla Regione Veneto”, avrebbe surrettiziamente introdotto una sorta di sanatoria implicita per tutti i manufatti assistiti da (qualsivoglia) titolo abilitativo, seppure non riferito alla loro integrale consistenza e conformazione.

Pertanto –sostiene il Governo- l’articolo 7 della legge regionale, “definendo un diverso regime giuridico dello <<stato legittimo>> dell’immobile rispetto a quello delineato dal legislatore nazionale”, si porrebbe “in contrasto con la disciplina di principio costituente il parametro interposto di cui all’articolo 9 bis, comma 1 bis, del DPR n. 380/2001, con conseguente  violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione con riferimento alla materia <<governo del territorio>>” . Staremo a vedere, ma dati i precedenti…

 

3) Integrazioni e modifiche di altre leggi regionali

A) Modifiche alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 (Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio).

a) Con l’articolo 5 della legge regionale 25 luglio 2019, n. 29, era stato inserito nella LR n. 11/2004 l’articolo 14 bis, relativo alle “varianti urbanistiche semplificate al piano di assetto del territorio comunale”, “in deroga” alle disposizioni generali, di cui all’articolo 14, sul procedimento di formazione e varianti del PAT.

Ora, l’articolo 3 della LR n. 19/2021 ha sostituito l’art. 14 bis, anche se nella Relazione alla legge si afferma che con la stessa ci si limita a chiarire “le diverse fasi e tempistiche delle varianti semplificate” dalla disposizione disciplinate.

In realtà parte dell’articolo è uguale al precedente, ma parte  è nuova e comporta ulteriori semplificazioni: e solo delle principali di queste, dunque, si farà cenno.

Nel testo precedente la deroga poteva, tra l’altro (comma 1), riguardare “le modifiche alle norme tecniche di attuazione che non incidono sul dimensionamento o sulle tutele di cui all’art. 13, comma 1, lettera b), del PAT”. Orbene, tale disposizione stabiliva che il Piano di assetto del territorio “disciplina, attribuendo una specifica normativa di tutela, le invarianti di natura…paesaggistica, ambientale, storico-monumentale e architettonica, in conformità agli obiettivi ed indirizzi espressi nella pianificazione territoriale di livello superiore”. Ora, però, nella nuova versione, l’art. 14 bis si riferisce solo alle “modifiche alle norme tecniche”, senza più riferimento alcuno ai beni culturali e paesaggistici: anche se poi il nuovo secondo comma prevede, (come faceva il secondo comma del precedente articolo 14 bis), che le varianti semplificate, però, “non possono incidere sulle scelte strategiche, sulle condizioni di sostenibilità e sulle tutele di cui all’articolo 13, comma 1, lettera b), e non possono comportare modifiche al dimensionamento del piano”!

E, quanto all’adeguamento cartografico del PAT, esso è limitato –nelle varianti semplificate- al “mero recepimento di prescrizioni dei piani urbanistico-territoriali” e non più anche di “provvedimenti costitutivi o modificativi di vincoli aventi efficacia territoriale”.

Nuova è poi la possibilità di deroga al regime normale per “l’individuazione degli ambiti urbani di rigenerazione soggetti a programmi di rigenerazione urbana sostenibile” ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera a), della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14.

E quanto alla parte finale della procedura, mentre il 7° comma del “vecchio” articolo 14 bis stabiliva che “il consiglio comunale trasmette la variante, entro dieci giorni dalla sua approvazione, alla Provincia o alla Città metropolitana di Venezia, che  nei quindici giorni dal suo ricevimento, verifica il ricorrere dei presupposti” relativi all’adeguamento cartografico (oggi non più), il nuovo testo prevede una possibilità di partecipazione che prima non sussisteva (e che non pare di semplificazione) e stabilisce che “entro otto giorni dall’adozione, la variante semplificata è depositata e resa pubblica presso la sede del Comune per quindici giorni consecutivi, decorsi i quali chiunque può formulare osservazioni entro i successivi quindici giorni. Dell’avvenuto deposito è data notizia con le modalità di cui all’articolo 32 della legge 18 giugno 2009, n. 69…Il Comune può attuare ogni altra forma di pubblicità ritenuta opportuna. Nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni, il consiglio comunale decide sulle stesse…e contestualmente approva la variante semplificata”, che trasmette “ai soli fini conoscitivi”, all’ente competente all’approvazione del PAT e la deposita presso la sede del Comune per la libera consultazione.

b) Quanto sopra per le varianti semplificate al PAT.

Ma l’articolo 4 prevede anche la possibilità di Piani urbanistici attuativi in deroga al Piano degli interventi.

Ciò grazie all’aggiunta del comma 8 ter all’articolo 20 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, stabilente che “nei Comuni che hanno adeguato il proprio strumento urbanistico ai sensi dell’articolo 13, comma 10, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14”, i piani urbanistici attuativi possono prevedere varianti alle previsioni del piano degli interventi, purchè in coerenza ed attuazione con gli obiettivi e i criteri generali del PI. In tale caso, il piano urbanistico attuativo è adottato dal Consiglio comunale con le procedure “normali” previste dai commi 3,4,5, 6 e 8: ma non dai commi 4 bis (che stabilisce che i termini previsti dai commi 3 e 4 sono perentori) e 7 (in base al quale “per i programmi integrati può essere seguita la procedura dell’accordo di programma di cui all’articolo 7”).

B) Modifiche ad altre leggi regionali.

a) Con l’articolo 8 – per agevolare l’esecuzione di interventi relativi al c.d. Superbonus 110%, è stato inserito nella legge regionale 30 luglio 1996, n. 21 (“Nuove modalità di calcolo delle volumetrie edilizie, dei rapporti di copertura, delle altezze e delle distanze limitatamente ai casi di aumento degli spessori dei tamponamenti perimetrali e orizzontali, per il perseguimento di maggiori livelli di coibentazione termo acustica o di inerzia termica”) l’articolo 2 bis, relativo agli “interventi di isolamento termico nelle parti degli edifici esistenti a confine con spazi pubblici”.

Lo stesso prevede che “nel consentire l’eventuale occupazione” -che “non può superare lo spessore massimo di cm. 15”- “gratuita di suolo pubblico per la realizzazione di interventi di isolamento termico delle superfici opache verticali di cui all’articolo 119, comma 1, lettera a), del D.L. n. 34 del 2020”, convertito dalla legge  17 luglio 2020, n. 77, “l’autorità competente accerta non sia pregiudicata la rete di opere di urbanizzazione e, in particolare, siano assicurate la sicurezza della circolazione veicolare e pedonale nonché l’accessibilità e la percorribilità dello spazio pubblico”.

b) Altra semplificazione è prevista dall’articolo 10 che, modificando l’articolo 10 della legge regionale n. 14 del 2019 “Veneto 2050”, con l’introduzione del comma 2 bis consente di intervenire in via diretta con permesso di costruire o SCIA anche qualora l’intervento ricada in più ampi ambiti territoriali assoggettati a piano urbanistico attuativo dallo strumento urbanistico generale: e ciò se “in presenza delle principali opere di urbanizzazione e previa deliberazione del Consiglio comunale che si esprime in ordine alle possibilità di prescindere dal piano attuativo richiesto”.

c) La legge regionale 6 settembre 1991, n. 24, contenente “Norme in materia di opere concernenti linee e impianti elettrici sino a 150.000 volt ”, all’articolo 5 prevede un procedimento abbreviato per il rilascio delle autorizzazioni relative alle stesse. Si stabilisce, tra l’altro, che l’autorizzazione, “si intende rilasciata” qualora il dirigente dell’ufficio regionale del Genio civile ovvero il dirigente del dipartimento per i lavori pubblici, rispettivamente competenti ai sensi delle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 4, non si sia pronunciato entro sessanta giorni dal ricevimento della domanda o degli atti relativi.

Ciò, però, “purchè l’opera non ricada in zone soggette a vincolo ai sensi dell’art. 7 della legge 28 giugno 1939, n. 1497”.

Ebbene: il riferimento alla legge Bottai è dall’articolo 9 della legge n. 19 del 2021 ovviamente ora sostituito con quello “del Capo II, Parte Terza, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42” e la norma della LR n. 24/1991 è stata modificata nel senso che l’opera non deve essere soggetta a vincolo ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio o –viene aggiunto- nel caso in cui il richiedente abbia già ottenuto la relativa autorizzazione paesaggistica (e con ciò, precisa Relazione, anche se era ovvio, “si chiarisce un passaggio relativo all’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica”).

 

4) Varianti urbanistiche semplificate e normativa di tutela dei beni culturali e paesaggistici

Quando telefonicamente l’avvocato Primo Michielan mi chiese di tenere questa relazione, subito mi precisò che avrei dovuto trattare anche dell’ “intreccio” (che in realtà, però, non v’è, dovendosi semmai parlare di disintreccio) delle varianti urbanistiche semplificate con la normativa di tutela dei beni culturali e del paesaggio. Subito gli manifestai le mie perplessità. Ma di fronte al suo immediato “ti precetto”, non potei che fare come Giuseppe Garibaldi a Bezzecca, allorquando, rispondendo al generale La Marmora, che, per incarico del Re Vittorio Emanuele II, visti gli accordi di armistizio, gli intimava di interrompere l’azione militare nella Valle di Ledro e di non avanzare  verso Trento, il 9 agosto 1866 gli spedì un telegramma di risposta con la sola parola “obbedisco”.

Cosa difficile anche per me non fare, dato che l’avv. Michielan è il dominus dei convegni di Castefranco ed è sempre stato con me cortesissimo, invitandomi più volte a presiederli od a prendere la parola nelle sue varie edizioni.

Qualche cenno sul punto si impone.

Bisogna ovviamente distinguere la tutela dei beni culturali e paesaggistici disciplinati  dagli strumenti di pianificazione urbanistico-territoriali da quella prevista nel Codice dei beni culturali e del paesaggio.

a) Quanto alla prima, non v’è motivo di dubitare che le varianti semplificate agli strumenti di pianificazione, così come quelle normali, trattandosi per lo più di una modalità procedurale, se effettuate nel rispetto delle disposizioni statali e regionali, essendo consentita la deroga alla disciplina urbanistica dettata dalle leggi regionali (v. per tutte, Cassazione Penale, Sez. III, 11 maggio 2020, n. 14242), possono essere effettuate anche se nelle aree dalle stesse interessate vi siano beni culturali o paesaggistici, in ordine direttamente ai quali non si interviene.

Il problema, invero, non è del come, ma della necessità di dare in ogni caso esecuzione alle molteplici disposizioni di piani urbanistici e, in primis, del Piano Territoriale di coordinamento.

Invero, il PTRC Veneto, entrato in vigore il 2 agosto 2020, come stabilisce l’articolo 67 delle sue Norme Tecniche, “riconosce il patrimonio storico e culturale, anche non oggetto di tutela ai sensi del …Codice dei beni culturali e del paesaggio… quale elemento conformante il territorio ed il paesaggio, e quale componente identitaria delle comunità che vi insistono, promuovendone la conoscenza, la catalogazione, la salvaguardia e la valorizzazione in tutte le sue forme ” . Ed al riguardo, il Piano detta una quantità di disposizioni, anche molto dettagliate, su moltissime aree e beni di interesse culturale e paesaggistico, che vincola sotto il profilo urbanistico, dando precise statuizioni per l’adeguamento da parte degli enti locali, imponendo loro di provvedere alle necessarie varianti ai loro strumenti urbanistici (ma sul punto, si consenta il rinvio alla mia relazione al Convegno di Castelfranco dello scorso anno su “PTRC Veneto 2020 e valorizzazione del patrimonio culturale negli strumenti urbanistici degli enti locali”).

b) Diversa sarà la situazione –se e quando verrà approvato anche in Veneto il piano paesaggistico –laddove negli ambiti territoriali in cui, ai sensi della LR 19/2021, si provvederà con varianti semplificate, se negli stessi saranno ricompresi aree o beni vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Al momento, la legge n. 19, come poco sopra visto (e salvo qualche rinvio, ma solo indiretto, a disposizioni dello stesso: vedi supra sub 1 B) e 3 A e C)) si limita a menzionare il Codice solo all’articolo 9, ed esclusivamente con riferimento a norme in materia di opere concernenti linee e impianti elettrici sino a 150.000 volt.

Ma se il PTRC del 2020 non avesse sostituito il Piano territoriale di coordinamento con valenza paesaggistica del 1992 (e lo stesso è a dirsi per quando sarà approvato il nuovo piano paesaggistico), la situazione sarebbe stata (e sarà) ben diversa.

L’ultimo comma dell’art. 145 del Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, invero, stabilisce –dato che il piano paesaggistico è frutto di copianificazione Stato-Regione- che, laddove la Regione sia munita di piano paesaggistico, la stessa “disciplina il procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo”.

Anche per le varianti, dunque, pure se semplificate, dovrà esservi nel procedimento relativo, così come i piani che modificano, la partecipazione di un organo ministeriale: che, nel parere del capo dell’Ufficio legislativo del Ministero reso il 1 gennaio 2017, si individua nel Segretario Generale.

Ed in caso tali regole non venissero rispettate, l’adeguamento sarebbe illegittimo, il richiesto parere del Soprintendente sulle istanze di autorizzazione paesaggistica avrebbe natura vincolante e non solo obbligatoria (art. 146 Codice) e non potrebbero aversi le agevolazioni procedurali previste dal comma 4° dell’articolo 143 del Codice.

Questa, allo stato –ed in attesa dell’approvazione in un dies incertus an, incertus quando, incertus quomodo-, la situazione.

In altra occasione, conclusi il mio dire ricordando le parole con cui, nel 1490, Lorenzo il Magnifico terminò la sua celebre Canzona di Bacco: “di doman non c’è certezza”.

Ebbene, temo che adesso, più realisticamente, si dovrebbe affermare che financo dell’oggi non c’è certezza!

Marino Breganze de Capnist

* Relazione al Convegno di studio dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti sul tema “Le semplificazioni alla pianificazione urbanistica ex L.R. 30.06.2021 n. 19: Veneto cantiere veloce” (Castelfranco Veneto, 26 novembre 2021).

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