Il “regolamento edilizio” è stato per lungo tempo il modo principe per disciplinare nei Comuni l’attività edilizia: e ciò fin dalla metà dell’ottocento, quando la fondamentale legge (“Per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia”) 20 marzo 1865, n.2248, allegato F, ne stabilì l’obbligo di adozione.

Tutte le leggi comunali e provinciali dipoi susseguitesi ne hanno, quindi, confermato la previsione: finchè la Legge Urbanistica ( la n. 1150 del 1942), nel disciplinare –per l’epoca in modo organico e completo- la materia di quello che oggi è chiamato l’assetto del territorio, in relazione anche alle introdotte generali norme sulla pianificazione, non ne fissò una nuova  e definita regolamentazione.

L’art. 33 della L.U. stabilì, invero, che tutti i Comuni dovessero con regolamento edilizio dettare norme “principalmente” (e cioè, non necessariamente “solo”) in relazione a 14 tematiche (cui altre venivano aggiunte per i Comuni provvisti di piano regolatore), “in armonia con le disposizioni contenute nella presente legge” (e cioè urbanistica ed edilizia) “e nel testo unico delle leggi sanitarie”, definite “materie”.

L’approvazione dei regolamenti era, ovviamente, di competenza statale: e tale rimase fino a che, nel trasferire alle Regioni a statuto ordinario le funzioni amministrative statali in oggetto –tra l’altro- di urbanistica, il D.P.R. 15 gennaio 1972, n.8, non estese esplicitamente tale previsione anche alla “approvazione dei regolamenti edilizi comunali” (art. 1, comma 2, lett. h).

Anche il Veneto si trovò, quindi, titolare del potere relativo e lo esercitò con le due successive leggi regionali contenenti “Norme per l’assetto e l’uso del territorio”: dapprima con la L.R. 2/5/1980, n.40, e, successivamente, con la L.R. 27 giugno 1985, n.61, che abrogò la prima.

La scelta  (art.10 di entrambe le leggi) fu quella di inserire il regolamento edilizio tra gli elaborati del piano regolatore generale, mantenendo “i contenuti dell’art. 33 della L. 17 agosto 1942, n.1150”.

Tale articolo, da ultimo ricordato, è stato però, abrogato dal D.P.R. n.380 del 2001 (art.136): e proprio questo, il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, ha dettato una nuova disciplina, più contenuta ma più completa, pur nella sua genericità, del regolamento edilizio.

Stabilito, invero, con l’art. 2, 4° comma, che “i Comuni, nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all’art.3 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267 (il Testo unico degli enti locali), disciplinano l’attività edilizia”, l’art. 4, 1° comma, ha statuito –senza più nominatim indicarne espressamente le singole fattispecie-, che i regolamenti edilizi comunali contengano “la disciplina delle modalità” (il quomodo, quindi) “costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi”. E, “nel caso in cui il Comune intenda istituire la commissione edlizia” –divenuta, dunque, facoltativa, mentre obbligatoria era la sua istituzione ex art. 33 L.U.-, “il regolamento indica gli interventi sottoposti al preventivo parere di tale organo consultivo”.

In Veneto, con l’entrata in vigore della oramai molteplici (troppe) volte modificata legge regionale 23 aprile 2004, n.11, contenente “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” (art. 49) è stato abrogato l’art. 10 della L.R. n.61 del 1985: sicchè il Regolamento edilizio comunale non rientra più negli elaborati del P.R.G. e, quindi, è svincolato dalle complesse procedure per la formazione dello stesso.

Ha continuato però ad esistere autonomamente e ad operare ed il contenuto dello stesso è stato anzi via via implementato nel tempo dal legislatore, anche recentissimamente. Così, ad esempio, da ultimo, con l’art. 1, 5° comma, della L.R. Veneto 25 luglio 2019, n.29, che, sostituendo l’art. 79 bis della vetusta e sbrindellata L.R.  27 giugno 1985, n.61 (relativo a “misure preventive e protettive da predisporre negli edifici per l’accesso, il transito e l’esecuzione dei lavori di manutenzione sulle coperture in condizioni di sicurezza”), ha stabilito che i Comuni adeguino i propri regolamenti edilizi alle disposizioni in tale norma contenuta e alle istruzioni tecniche all’uopo approvande dalla Giunta regionale.

 

I Comuni italiani sono, però, quasi ottomila (di cui più di cinquecento veneti) e la varietà di previsioni e addirittura di definizioni dei loro regolamenti edilizi è estremamente significativa: con tutte le difficoltà che ciò comporta soprattutto per gli operatori ed i professionisti che operano in più realtà territoriali.

Sicchè, “al fine di semplificare e migliorare le norme e gli adempimenti”, il D.L. n. 133 del 2014, convertito nella L. 164/2014, ha introdotto nell’art.1 del T.U. dell’edilizia del 2001 il comma 1 sexies: che ha previsto la conclusione  – tra Governo, Regioni ed autonomie locali, “in attuazione del principio di leale collaborazione”-, in sede di Conferenza Unificata, di accordi o intese per l’adozione di uno schema di regolamento edilizio-tipo indicante “i requisiti prestazionali degli edifici, con particolare riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico”. Tali accordi costituiscono livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza ed i diritti civili e sociali che –ex art. 117, secondo comma, lettere e) e m) della Costituzione- “devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

Di qui l’Intesa, in Conferenza Unificata, del 20 ottobre 2016 -raggiunta, come si legge nel preambolo della stessa, “considerata l’opportunità che la disciplina contenuta nei regolamenti edilizi sia guidata da principi generali, fondata su un insieme di definizioni uniformi e che sia altresì sviluppata secondo la specificità e le caratteristiche dei territori e nel rispetto della piena autonomia locale”- con cui (art.1) sono stati approvati “lo schema di regolamento edilizio tipo (allegato 1) e i relativi allegati recanti le definizioni uniformi (allegato A) e la raccolta delle disposizioni sovraordinate in materia edilizia (allegato B)”.

Il regolamento edilizio, così come indicato nello schema  (Allegato 1 all’Intesa: pagg. 48 e seguenti della G.U. 16/11/2016, n.268), si articola (“in particolare”:?) in due Parti.

La prima parte, “al fine di evitare inutili duplicazioni di disposizioni statali e regionali”, si deve limitare a richiamare, con apposita formula di rinvio, e senza riprodurla (operando dunque questa “direttamente senza la necessità di un atto di recepimento”), la disciplina generale dell’attività edilizia operante in modo uniforme su tutto il territorio nazionale e regionale, così come individuata in sette “materie” nominatim indicate nello schema. Si tratta delle definizioni uniformi: dei parametri urbanistici ed edilizi e degli interventi edilizi e delle destinazioni d’uso; del procedimento per il rilascio e la presentazione dei titoli abilitativi edilizi e delle modalità di controllo degli stessi; della modulistica unificata edilizia; dei requisiti generali delle opere edilizie attinenti ai limiti inderogabili di densità, altezza, distanza fra i fabbricati e dai confini, ai rispetti, alle servitù militari, agli accessi stradali, alle zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante ed ai siti contaminati; della disciplina –infine- relativa agli immobili soggetti a vincoli e tutela di ordine paesaggistico ambientale, storico culturale e territoriale e delle discipline settoriali aventi incidenza sull’attività edilizia.

Di queste, le definizioni uniformi (“il quadro”) dei parametri urbanistici ed edilizi sono contenute nell’Allegato A, mentre, sempre con riferimento alle stesse, nell’Allegato B lo è l’indicazione delle disposizioni incidenti sul territorio e sull’attività edilizia.

L’Allegato A contiene, dunque, il “Quadro delle definizioni uniformi”, composto da 42 “voci”, di cui vengono indicati l’acronimo e la “descrizione” del significato delle stesse.

L’Allegato B contiene, invece, la “Ricognizione delle disposizioni, incidenti sugli usi e le trasformazioni del territorio e sull’attività edilizia”, ed indica, materia per materia (per la quasi totalità delle stesse), Leggi ed atti aventi forza di legge (compresa, stranamente, una legge regionale sulla prevenzione dell’inquinamento luminoso, che non si dice, peraltro, nemmeno da che Regione approvata), Decreti Ministeriali, Regolamenti, delibere, ordinanze, Atti della Conferenza Unificata e financo circolari relativi agli stessi.

Ebbene, ai sensi dell’art. 2 dell’Intesa, obbligo delle Regioni a statuto ordinario era di provvedere al “recepimento dello Schema di regolamento edilizio tipo e delle definizioni uniformi nonché all’integrazione e modificazione, in conformità alla normativa regionale vigente, della raccolta delle disposizioni sovraordinate in materia edilizia”: potendo, nel rispetto della struttura generale dello schema, “specificare e/o semplificare l’indice”. Compito delle Regioni era altresì quello di individuare, “alla luce della normativa regionale vigente, le definizioni aventi incidenza sulle previsioni dimensionali contenute negli  strumenti urbanistici”.

Tutte le Regioni ordinarie (salvo, per ora, l’Umbria: che, peraltro, da tempo aveva stabilito un “regolamento edilizio ed urbanistico comunale tipo”, dando “indirizzi ai Comuni per la redazione dei rispettivi regolamenti”, ai sensi dell’art. 14 della L.R. n.31 del 1997) hanno oramai provveduto al recepimento dello Schema.

Il Veneto, in particolare, lo ha fatto –“al fine di dare certezza alle amministrazioni, ai tecnici ed agli operatori economici”- con la Deliberazione della Giunta Regionale n.1896 del 22 novembre 2017: e nella Relazione alla stessa l’Assessore ricorda che, peraltro, la Regione già aveva “tenuto conto delle definizioni del regolamento edilizio tipo nella fase di stesura definitiva e di approvazione della legge regionale 6 giugno 2017, n.14, “avente  ad oggetto “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo…”, “anche al fine di semplificare il rapporto con le amministrazioni da parte di cittadini, imprese e tecnici, nonché di favorire gli interventi di riqualificazione, rigenerazione e riuso temporaneo degli immobili previsti dall’applicazione di tale legge regionale”.

Sono stati, così, recepiti integralmente il regolamento tipo, il suo Allegato A e l’Allegato B, integrando in quest’ultimo la ricognizione delle disposizioni incidenti sugli usi e le trasformazioni del territorio e sull’attività edilizia “in conformità alla normativa regionale” in senso lato (leggi regionali, circolari, regolamenti, linee guida ed indicazioni operative).

Il termine fissato per l’adeguamento, da parte dei Comuni, dei propri regolamenti edilizi a quello tipo approvato dalla Regione, dapprima fissato in 180 giorni “dalla data” della D.G.R. n.1896, pubblicata nel BUR n.116 del 1/12/2017, è stato poi “rideterminato” (forse non piaceva o non si poteva parlare di proroga, visto che il termine già era scaduto) al 31 dicembre 2019, dall’art. 7 della L.R. 4 aprile 2019, n.14 (“Veneto 2050”).

Decorso inutilmente tale termine, come precisa l’art. 2, 3° comma, dell’Intesa, “le definizioni uniformi e le disposizioni sovraordinate in materia edilizia trovano diretta applicazione, prevalendo sulle disposizioni comunali con esse incompatibili”.

Il regolamento edilizio, come precisa la D.G.R. 1896, “è adottato dai Comuni ai sensi dell’art. 2, comma 4, del D.P.R. n.380/2001” ed  i Comuni stessi –ai sensi dell’art. 48 ter, comma 4, della L.R. n. 11/2004, introdotto nella stessa dall’art. 19 della L.R. 20/4/2018, n.15,  contenente “Disposizioni per l’attuazione dell’Intesa concernente l’adozione del Regolamento Edilizio Tipo”- “con apposita variante” devono altresì adeguare “gli strumenti urbanistici comunali alle nuove definizioni uniformi aventi incidenza urbanistica”: e ciò “nei tempi e con le procedure” previsti dall’art.14 della L.R. 14/2017 sul contenimento del consumo di suolo.

Orbene, nel preambolo dell’Intesa si precisa che se la disciplina contenuta nei regolamenti edilizi deve essere guidata da principii generali e fondata su un insieme di definizioni uniformi, la stessa deve, però, essere “altresì sviluppata secondo le specificità e le caratteristiche dei territori e nel rispetto della piena autonomia locale”: e (precisa l’art. 2) l’atto di recepimento,  “con le eventuali specificazioni ed integrazioni regionali”, deve pure fissare, nello stabilire tempi, procedure e metodi da seguire per l’adeguamento comunale, anche “norme transitorie volte a limitare i possibili effetti sui procedimenti in itinere”.

In ogni caso, “il recepimento delle definizioni uniformi non comporta la modifica delle previsioni dimensionali degli strumenti urbanistici vigenti”.

I Comuni, specifica l’Allegato 1 dell’Intesa, devono osservare gli 8 principii generali indicati nel comma 9 (semplificazione, ordinato sviluppo edilizio, sostenibilità ambientale ed energetica, superamento delle barriere architettoniche, sicurezza pubblica, recupero e riqualificazione, incentivazione dello sviluppo sostenibile, partecipazione del pubblico ai processi decisionali) e “le disposizioni regolamentari di competenza comunale devono essere ordinate “secondo l’indice generale fissato nello schema di regolamento edilizio tipo, “per semplificarne la consultazione e garantirne l’uniformità di impianto”: ma “eventuali tematiche ed elementi non espressamente indicati nell’indice possono essere inseriti nelle parti che presentano la maggiore analogia”.

E le amministrazioni comunali, “nella propria autonomia”, possono pure “individuare requisiti tecnici integrativi e complementari” (non disciplinati dalla normativa uniforme sovraordinata) “anche attraverso ulteriori specificazioni e dettagli”, espressi pure “attraverso norme prestazionali che fissano risultati da perseguirsi nelle trasformazioni edilizie”.

La deliberazione di recepimento regionale (che ha fatto proprio, integrando l’Allegato B con la disciplina regionale, quanto disposto dall’Intesa: con l’unica strana e piccola modifica , nel quadro delle definizioni uniformi , di quanto indicato alla voce 15 delle  stesse, in relazione alla superficie accessoria, laddove l’Intesa ha previsto che “la superficie accessoria può ricomprendere per esempio:…”, mentre la Regione ha stabilito che la superficie accessoria ricomprende” –cioè, deve ricomprendere- le stesse previsioni dall’Intesa indicate come esempi) ha quindi dato “mandato ai Comuni, nell’ambito della propria autonomia, al fine di assicurare  l’invarianza (c.d. invarianza urbanistica) delle previsioni dimensionali degli strumenti urbanistici comunali, di adottare specifici provvedimenti che individuino le modalità di trasposizione dei parametri edificatori previsti negli strumenti urbanistici vigenti conseguenti l’applicazione delle nuove definizioni unificate” (punto 7).

Non mancano, dunque, frequenti richiami, non privi di contenuto, all’autonomia locale: non facile, però, da esercitarsi in concreto.

Di qui la Delibera della Giunta Regionale Veneto n.669 del 15 maggio 2018, contenente “Linee guida e suggerimenti operativi rivolti ai Comuni per l’adeguamento al Regolamento Edilizio Tipo”.

Come pare emergere dalla stessa rubrica della D.G.R., non si tratta (o non dovrebbe trattarsi) di un diktat, tanto è vero che subito –già nelle “note per la trasparenza”- si precisa che le linee guida e i suggerimenti operativi riguardano solo “alcuni” contenuti tipici del regolamento edilizio e vanno considerati come “utile sussidio operativo che i Comuni potranno utilizzare per l’adeguamento del proprio regolamento edilizio”. Ed il concetto è stato ribadito nella Relazione dell’Assessore, che ha nuovamente precisato che le linee guida “contengono una proposta di contenuti del regolamento edilizio comunale, ovviamente adeguato al RET, che i Comuni potranno utilizzare per l’adeguamento del proprio regolamento edilizio, in misura totale o parziale, od eventualmente modificare ed integrare.

Tali sussidi operativi potranno quindi essere considerati da parte dei Comuni quale bozza di regolamento edilizio dalla quale si riterranno liberi di attingere i contenuti ritenuti più opportuni, facendo naturalmente salvi gli elementi cogenti dell’Intesa, ovvero lo schema (indice) , le << Definizioni Uniformi>> e l’elenco delle disposizioni nazionali e regionali incidenti in materia”.

In tal modo, si è inteso coniugare il processo di semplificazione in atto con il “rispetto per l’autonomia degli enti locali”: ciò, anche al fine di favorire gli interventi di riqualificazione, rigenerazione e riuso temporaneo degli immobili, previsti dall’applicazione della legge regionale n.14 del 2017.

Così, se nell’Allegato B della D.G.R. 669/2018 viene riportato il Quadro delle definizioni uniformi di cui all’Allegato A dell’Intesa (aggiungendo solo la precisazione –con un SI’ o con un NO- della loro “incidenza sulle previsioni dimensionali”), l’Allegato A, nella parte seconda, relativa alle “disposizioni regolamentari comunali in materia edilizia”, articolo per articolo riporta (sia pur con qualche lapsus calami: come, ma non solo, quando, ad esempio, le 30 definizioni uniformi aventi incidenza sulle previsioni dimensionali vengono ripetutamente indicate in 28, o come quando all’art.II.II.1 si fa riferimento ad un fantomatico precedente articolo 25 e, all’art. III.VI.7, ad un altrettanto misterioso articolo 80), con un “contenuto” per  ogni singolo articolo, ad una “esemplificazione” con un “modello” di testo dell’articolato regolamentare.

In pratica, in 115 pagine del BUR del 25 maggio 2018, viene proposta, sotto la dizione  di “esemplificazione”, una possibile versione completa in 102 articoli (con la sola strana mancanza o dimenticanza di esemplificazioni relativamente alla produzione di energia da fonti rinnovabili, alle telecomunicazioni, ai muri di cinta, alla progettazione ed ai requisiti di sicurezza per i luoghi urbani ed all’abrogazione di precedenti norme: v. pagine 74, 91, 92 e 113 BUR) dell’adottando regolamento edilizio che, in tutto o in parte, i Comuni possono far proprio.

Va notato, peraltro, che in molti dei “commenti” che affiancano le “esemplificazioni” viene precisato che “appare opportuno il coordinamento” –ovvio!- “con le Norme Tecniche Operative” (e ciò viene detto 17 volte) e, come si ripete 29 volte, “il rimando al Prontuario per la qualità architettonica e la mitigazione ambientale” che, con le N.T.O., concorre a comporre il Piano degli interventi, ex art. 17, 5° comma, della L.R. 11/2004.

Ma non mancano riferimenti alle Commissioni locali per il paesaggio (di cui l’art. 148 del Codice Urbani dice che le Regioni “promuovono” l’istituzione e che l’art. 45 nonies della L.R. 11/2004 afferma, invece, “possono” essere previste: ma che la D.G.R. 2037/2015, cui si fa rinvio nel commento per affermarne la facoltatività, indica invece come obbligatorie –“le Regioni istituiscono”-: … un po’ di confusione normativa non manca!) la cui “eventuale istituzione e disciplina potrà essere oggetto di un apposito ed autonomo regolamento comunale”. E lo stesso si dice per quanto attiene alla Commissione edilizia ed alla Commissione territorio.

Si raccomanda, “qualora presenti”, il riferimento allo specifico Piano per la sosta/parcheggi ed al c.d. Piano antenne, al Regolamento di fognatura , a quelli di polizia urbana e di gestione dei rifiuti urbani ed il coordinamento: con il Regolamento canone occupazione  spazi ed aree pubbliche (C.O.S.A.P.); con l’eventuale Regolamento per l’arredo urbano, che “per parti di particolare complessità, può essere integrato quale allegato” del regolamento edilizio; con il Regolamento di Polizia Municipale.

Si consiglia poi “un’eventuale rimando ad uno specifico Piano colore ed al P.I.C.I.L. (Piano d’intervento per il contenimento dell’inquinamento luminoso) nonché, “se presente”, al Piano insegne e si rinvia ad un apposito Regolamento del Verde, “eventualmente da porre in allegato” (nell’Intesa, a pag. 52 della G.U., si prevedeva, con più convinzione: “ove possibile in forma di allegato allo stesso regolamento edilizio”).

Si ritiene altresì “opportuno” vengano riportate “le prescrizioni riferentesi alla L.R. 24/1985”, sulla tutela ed edificabilità delle zone agricole: anche se la stessa è stata abrogata dalla L.R. 11/2004.

E qua e là si va dicendo che andrebbero aggiunte specificazioni che si ritenessero localmente necessarie o, se “si tratta di specificare norme in vigore, personalizzabili”(?) per affrontare particolarità locali.

Ora, con questo non sempre chiaro quadro normativo (ed è ovviamente un eufemismo), i Comuni che già non l’abbiano fatto, sono chiamati tempestivamente a provvedere a quanto loro imposto: e di carne al fuoco ve ne è davvero molta, anche in considerazione del fatto che in occasione dell’adeguamento dei regolamenti edilizi non si potrà non tener conto –e contrasti tra le definizioni emergeranno senz’altro- di quanto previsto dal “Glossario Unico”  (che contiene l’elenco delle principali opere edilizie, con l’individuazione della categoria di intervento a cui le stesse appartengono e del conseguente regime giuridico a cui sono sottoposte) previsto dall’art.1, comma 2, del D. Lgs. 25 novembre 2016, n.222 (il cui art. 5 consente agli enti locali di prevedere pure, al riguardo, “livelli ulteriori di semplificazione”).

Fortunatamente per i Comuni, per ora è stato, peraltro, con D.M. 2 marzo 2018, approvato solo il Glossario “contenente l’elenco non esaustivo” (e qui le cose si complicano e si intravedono possibili interventi giurisprudenziali) “delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera”.

Le amministrazioni pigre o affaticate o non volenterose o che –più probabilmente- non hanno i necessari mezzi, umani e finanziari, per fare di più, potranno limitarsi a far proprie le esemplificazioni contenute nelle linee guida.

Le altre potranno approfittare delle ampie possibilità loro offerte per dare un contenuto ai loro regolamenti edilizi –pur nell’ambito dei principii generali fissati dall’Intesa e recepiti dalla Regione- che si adatti il più possibile alle specificità locali: confidando che non si esageri con inventività e  creatività…!

Tutti, in ogni caso, dovranno decidere se adottare gli altri regolamenti suggeriti, se inserire nei R.E.C. le varie disposizioni (sopra esemplificate) dei piani e dei regolamenti nelle linee guida regionali indicati (trasformando, però, così, il regolamento edilizio in una enciclopedia) o se limitarsi ad operare dei rimandi, magari –per praticità operativa- stampando una sorta di “codice” in cui ogni Comune, unitamente al Regolamento edilizio, pubblichi assieme i vari regolamenti comunali di cui necessiti la conoscenza, in una alle Norme Tecniche Operative del P.I..

 

Adelante, dunque, cum juicio: tenendo conto del fatto che, ai sensi dell’art. 3 dell’Intesa, con cadenza “almeno” annuale, dovrà essere realizzata attività di monitoraggio sull’attuazione del regolamento tipo e potranno, dunque, con tempestività, essere corretti eventuali errori o inadempienze.

Solo dopo che tutti i Comuni avranno provveduto a quanto di loro dovere potremo allora porci la domanda: “Fu vera (e bene esercitata) autonomia?”.

Ai posteri l’ardua sentenza.

Marino Breganze de Capnist

* Relazione tenuta al convegno su “Principi e deroghe della nuova  urbanistica veneta dal contenimento del consumo di suolo alla L.R. 14/2019 “Veneto 2050” svoltosi a Castelfranco Veneto il 29 novembre 2019 a cura dell’Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti

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