È stata ora pubblicata l’ordinanza della Corte di Giustizia U.E. (4° sez. 14/2/2018 – Causa C – 54/18) emessa sulla domanda di pronuncia pregiudiziale formulata dal TAR Piemonte con l’ord.za n. 88/2018 in ordine alla compatibilità con il diritto dell’Unione del co. 2 bis dell’art. 120 c.p.a..

La Corte, innanzitutto, ritiene di poter decidere con ordinanza motivata, in quanto la risposta alla questione pregiudiziale proposta “può essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza” ai sensi dell’art. 99 del regolamento di procedura, e ritiene ricevibile la domanda in quanto le questioni poste vertono chiaramente sull’interpretazione di varie disposizioni della direttiva del Consiglio sulle procedure di ricorso 89/665/CEE e succ. mod. e non richiedono alla Corte di sindacare la scelta discrezionale del legislatore italiano nel recepimento della direttiva.

Nel merito, infine, la Corte così conclude:

  • la direttiva e i suoi articoli 1 e 2, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretata nel senso che non osta ad una normativa nazionale come quella posta dal co. 2 bis dell’art. 120 c.p.a. – che prevede che i ricorsi contro le ammissioni o le esclusioni dalle gare di appalto debbano essere proposti entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione agli interessati – a condizione che i provvedimenti siano “accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti che garantisca agli interessati la conoscenza della violazione del diritto dell’Unione dagli stessi lamentata”;
  • la direttiva non osta ad una normativa nazionale come il co. 2 bis che preclude agli interessati che non abbiano impugnato i provvedimenti di ammissione o di esclusione nel termine di 30 giorni di eccepire l’illegittimità dei provvedimenti stessi nell’ambito di ricorsi diretti contro gli atti successivi, a condizione che gli interessati siano stati posti nella condizione di conoscere la legittimità dei provvedimenti stessi.

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Quanto al primo punto l’ordinanza, nella ricostruzione del contesto normativo e del procedimento principale nel quale è sorta la questione pregiudiziale, sembra aver inquadrato correttamente la questione sollevata dal giudice nazionale e la posta in gioco là dove espone, da un lato (cfr. p. 11), che il nuovo rito “superaccelerato” “risponde alla necessità di consentire la definizione della controversia prima della decisione di aggiudicazione, determinando in maniera esaustiva i soggetti ammessi a partecipare alle gare….”, e, dall’altro (cfr. p. 13), che l’obbligo di impugnare i provvedimenti di ammissione o di non esclusione di tutti gli offerenti costringe a promuovere l’azione giurisdizionale senza alcuna garanzia che tale iniziativa procurerà al ricorrente una concreta utilità perché ancora non può sapere chi sarà l’aggiudicatario e neppure se egli potrà trarre qualche vantaggio dal contestare l’aggiudicazione non essendo in posizione utile nella graduatoria finale.

La Corte, dunque, pur nella consapevolezza che la nuova disciplina costringe ad agire anche chi non abbia alcun “interesse concreto ed attuale”, sopportando inutilmente notevoli esborsi economici e altri danni (cfr. p. 14 e 15), tuttavia, poi, nella motivazione della decisione sembra più presa dal giustificare, con ampio richiamo della propria giurisprudenza, la brevità del termine di decadenza in funzione delle esigenze di effettività ovvero che il ricorso sia efficace e quanto più rapido possibile (cfr. p. 27-28).

L’ordinanza sembra così dimenticare la prima preoccupazione del giudice nazionale che, nel sollevare la questione, aveva soprattutto sottolineata la gravosità del ricorso imposto dal co. 2 bis ancorchè in assenza di una lesione concreta e attuale – questione che pure l’ordinanza della Corte aveva ben ricordato nelle premesse – per occuparsi invece della ragionevolezza di un breve termine di decadenza in funzione della celerità del pregiudizio, che non era proprio la questione centrale posta dal TAR Piemonte all’attenzione del giudice europeo.

È vero che la Corte riprende l’obiezione principale del giudice del rinvio (cfr. p. 34) che obietta sull’obbligo di impugnare senza che l’interessato sia (ancora) in grado di stabilire se abbia realmente interesse ad agire, ma la risposta appare piuttosto sbrigativa quando afferma (p. 36) che è sufficiente il “rischio” che l’ammissione di un altro concorrente possa cagionare un danno agli altri concorrenti per giustificare l’interesse di questi ultimi ad impugnare quel provvedimento.

Affermazione suffragata però da una propria giurisprudenza (una sentenza sola in verità: cfr. p. 37) che sembrava piuttosto aver configurato una “facoltà” di impugnazione dell’ammissione altrui (in quanto possibile oggetto di un ricorso autonomo) piuttosto che un “onere”, come imposto dalla legge nel caso.

Più scontata la motivazione dell’ordinanza là dove si sofferma sulla necessità che gli interessati siano posti in condizione di conoscere l’illegittimità lamentata (sub specie di violazione del diritto dell’Unione) attraverso una relazione dei motivi “pertinenti” che deve accompagnare la comunicazione dei provvedimenti di ammissione e di esclusione.  Ben venga la precisazione “garantista” della Corte, ma questa non era forse, ripetesi, la questione principale anche se il pericolo di dover presentare ricorsi “al buio” era anch’esso presente al giudice del rinvio.

Quanto, poi, alla seconda questione sottoposta dal giudice del rinvio (in ordine alla possibilità per l’aggiudicatario di far valere con ricorso incidentale l’illegittimità dell’ammissione del ricorrente) la Corte ripropone anche per essa, sostanzialmente, le stesse argomentazioni, motivando piuttosto sul tema dell’accesso alla documentazione di gara che consente di aver piena conoscenza della illegittimità dei provvedimenti di ammissione degli altri concorrenti, in modo che solo dalla conoscenza o conoscibilità effettiva della illegittimità di quei provvedimenti può essere fatto decorrere il termine di decadenza per impugnarli (cfr. p. 44-45-46-47); mentre molto meno interessata (e interessante) è l’ordinanza sulla questione dei rapporti fra ricorso contro i provvedimenti di ammissione e di esclusione e possibilità di far valere la loro illegittimità nei ricorsi contro i provvedimenti successivi di aggiudicazione o con ricorso incidentale dell’aggiudicatario medesimo.

Sul punto l’ordinanza si limita a richiamare la propria giurisprudenza, peraltro non esattamente nei termini in quanto relativa all’ovvio principio che “ogni ricorso contro una decisione dell’amministrazione aggiudicatrice debba essere proposto nel termine all’uopo previsto… cosicchè scaduto tale termine non sia più possibile impugnare detta decisione…” (cfr. p. 40).  Principio talmente ovvio che averlo richiamato appare argomento più elusivo che convincente.

Solo il successivo p. 41 sembra introdurre una motivazione pertinente, ancorchè opinabile, là dove ritiene che gli obiettivi della direttiva c.d. ricorsi (ovvero la effettività dei ricorsi e insieme la celerità degli appalti pubblici) potrebbero essere compromessi se fosse consentito far valere in qualsiasi momento del procedimento di gara le violazioni delle norme di aggiudicazione “obbligando l’amministrazione aggiudicatrice a ricominciare l’intero procedimento al fine di correggere tali infrazioni”.

In realtà la motivazione elude ancora una volta il tema dell’interesse concreto ed attuale al ricorso e della connessa disciplina del rapporto fra ricorso principale e ricorso incidentale che pure era stato sottoposto dal giudice del rinvio, ma quantomeno sembra voler rispettare senza remore la volontà del legislatore nazionale di tutelare le esigenze “oggettive” dell’amministrazione procedente di definire una volta per sempre la platea dei concorrenti, privilegiandole rispetto alle esigenze di tutela giurisdizionale dei concorrenti che nella fase di ammissione dei diversi partecipanti alla gara ancora non possono dirsi effettive.

Vittorio Domenichelli

Ordinanza

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