Porto i saluti dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti e ringrazio gli organizzatori, per avermi riservato l’intervento programmato nell’ambito del seminario odierno, che apre alla interessantissima comparazione – sempre arricchente – dell’istruttoria nel processo sia con riferimento all’ordinamento processual-tributario tedesco, sia con riguardo ad altri riti italiani, diversi da quello tributario.

Il codice del processo amministrativo disegna l’apparato istruttorio negli articoli da 63 a 69, secondo il principio dispositivo, come ritengono la dottrina (Benvenuti, Perfetti, Villata) e la giurisprudenza (Cons. St., sez. IV, 18 giugno 2009, n. 4004; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 26 maggio 2011, n. 260); per il vero, in ragione di quanto disposto dall’art. 64, comma III, c.p.a., è previsto il potere del giudice di disporre l’acquisizione di informazioni e documenti, utili al fine del decidere, che siano nella disponibilità dell’amministrazione (di qualsiasi amministrazione, non solo della parte evocata in giudizio come resistente). Metodo dispositivo, quindi, con potere acquisitivo del giudice, il quale però non può disporre acquisizioni istruttorie alle quali è tenuta la parte, sempre che essa non si trovi nell’impossibilità di provare il fatto dedotto.

Dal punto di vista dei mezzi di prova, l’art. 63 c.p.a. contempla la richiesta – anche d’ufficio – di chiarimenti o documenti, l’ordine d’esibizione ex art. 210 e seguenti c.p.c., l’ispezione ai sensi dell’art. 118 c.p.c.- Il giudice può ammettere la prova testimoniale, ma solo su istanza di parte, e l’assunzione della prova deve necessariamente avvenire in forma scritta, secondo il codice del processo civile. Il giudice, inoltre, può ordinare la verificazione o, se indispensabile, la consulenza tecnica.

L’art. 63, ultimo comma, c.p.a., quale norma di chiusura, dispone che il giudice possa assumere tutti i mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile ad eccezione dell’interrogatorio formale e del giuramento. A titolo d’esempio, non v’è oramai più dubbio alcuno circa l’ammissibilità dell’accertamento tecnico preventivo nel sistema di giustizia amministrativa, ai sensi dell’art. 696 c.p.c. ed in forza del rinvio dell’art. 63, ultimo comma, c.p.a., sì che ben può essere anteposta l’azione di accertamento tecnico preventivo rispetto all’azione per il risarcimento del danno (Cons. St., sez. IV, 27 ottobre 2011, n. 5769; TAR Veneto, sez. I, 12 maggio 2020, n. 444; TAR Veneto, sez. II, 28 febbraio 2020, n. 202).

Si ritrae un sistema istruttorio, che mutua dal codice del processo civile (del resto in coerenza con il rinvio esterno disposto dall’art. 39 c.p.a.), così come mutua il principio di non contestazione (art. 64, comma II, c.p.a., sulla medesima lunghezza d’onda dell’art. 115 c.p.c.), i fatti notori, l’interrogatorio libero e la confessione spontanea.

Una nota meritano la verificazione e la consulenza tecnica; tra i due istituti, invero, non appare predicabile alcuna differenza ontologica, posto che finalità comuni sono l’accertamento dei fatti o l’acquisizione di valutazioni, che richiedano particolari competenze tecniche.

Rimane una differenza d’ordine soggettivo, posto che la verificazione è affidata ad un organismo pubblico. L’art. 19, comma II, c.p.a. afferma il principio dell’estraneità dell’organismo pubblico, cui è affidata la verificazione, rispetto alle parti in giudizio. Certo, la terzietà è stata una conquista del codice del processo amministrativo del 2010, ma sarebbe forse giunto il momento di prevedere unicamente la consulenza tecnica, che offre maggiore garanzia di terzietà. Vero è che il verificatore oggi può essere ricusato, ma non compare dinnanzi al giudice per il conferimento dell’incarico, né presta giuramento e non si estende in suo capo il regime delle responsabilità proprie del consulente tecnico; non è neppure chiaro se la verificazione debba avvenire nel contraddittorio delle parti. Insomma, poche luci e molte ombre sulla verificazione, che, però, il codice del processo amministrativo elegge a mezzo di prova principe, la consulenza tecnica potendo essere disposta in alternativa, meglio, in subordine e solo “se indispensabile” (art. 63, comma IV, c.p.a.).

Stona, quindi, il retaggio della verificazione, anche se l’apparato istruttorio disposto dal codice del processo amministrativo appare completo ed idoneo ad attrezzare il giudizio con i supporti probatori necessari. Del resto, dotare il processo amministrativo di appropriati mezzi istruttori era esigenza sentita in generale e, a maggior ragione, in relazione alla risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione degli interessi legittimi, nonché alla molteplicità delle materie oggi riservate alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo.

Ciò di cui, probabilmente, si sente bisogno nel giudizio amministrativo è un più ampio contraddittorio, una prima udienza, un primo contatto con il giudice, per discutere proprio (ma non solo) delle istanze istruttorie. Attualmente avviene che a tali fini si tenda a forzare – in modo non ortodosso – l’udienza cautelare, che ha però altra funzione.

Dopo la sentenza c.d. breve, o semplificata che dir si voglia – nata dall’idea del foro specialistico veneto e dal coraggio della curia, premiati dalla positivizzazione dell’istituto processuale nell’art. 60 c.p.a. – curia e foro stanno cercando di coltivare una sorta di secondo “rito veneto”.

Esso prevede, nel pieno rispetto del codice, un’udienza in camera di consiglio non già volta alla discussione dell’incidente cautelare, ma una sorta di filtro, indispensabile per indirizzare il processo verso l’istruttoria o verso la fissazione della pubblica udienza di discussione o verso la fissazione di una successiva camera di consiglio, nella quale la causa può essere definita con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 71-bis c.p.a. o verso un rinvio, qualora vi siano spazi di composizione della controversia oppure ove si tratti di verificare l’adempimento dell’amministrazione ad un proprio obbligo (si pensi, ad esempio, ai riti speciali in materia di silenzio o di accesso agli atti amministrativi).

Infine, occasioni di confronto come questa offrono la possibilità di riflettere se abbiano ancora un senso non solo le differenze dell’istruttoria nel processo amministrativo e tributario, ma, in radice, la separazione delle giurisdizioni e se non si possa invece pensare ad unificare le giurisdizioni amministrativa, tributaria, contabile e sulle acque pubbliche (Domenichelli).

Alessandro Veronese

 

*Intervento svolto nel corso del convegno telematico del 7 luglio 2020 intitolato “Il fine del processo tributario tra profili dispositivi ed inquisitori; confronto con il processo tributario tedesco e con altri processi nazionali” organizzato dall’Associazione Italiana dei Professori e degli Studiosi di Diritto Tributario e dall’Associazione Nazionale Tributaristi Italiani.

 

image_pdfStampa in PDF