Come di prassi è questo che pensa chi abbandona un certo ruolo. E così vale anche per me.

Il nuovo direttivo dell’associazione ha inviato a noi associati le sue prime decisioni.

Apprezzo lo slancio e la vitalità del nuovo organo, ma da bravo apreledelugista alcune di queste decisioni non mi trovano d’accordo e, – anche perché non si pensasse che io le appoggi dal di fuori – vorrei manifestare la mia personale opinione che è tendenzialmente contraria.

Come prima cosa sono state date molte deleghe formali e istituzionali ai singoli componenti del direttivo.

Ora, è ovvio che si cerchi di spartirsi il lavoro. Lo si è sempre fatto. Ma una cosa è dividersi informalmente le cose (salvo poi portare tutto in collegio), altra è affidarle formalmente a poche persone (specie in assenza di previsioni statutarie in tal senso).

Siamo amministrativisti. Ben sappiamo, perciò, che ogni volta che un collegio affida deleghe a comitati ristretti o addirittura a singole persone viene, per proporzione inversa, a svuotarsi la collegialità delle decisioni del collegio stesso. Nei fatti, c’è il rischio che il delegato prenda da solo le decisioni, sostituendosi al collegio.

Tanto più l’iniziativa mi perplime perché alcuni temi molto delicati (o addirittura divisivi) come le specializzazioni, i convegni e i patrocini sono stati affidati a uno o a due soli consiglieri.

Vi è anche un’altra cosa che mi lascia dubbioso: la creazione di una sorta di stanza virtuale, nel nostro sito, destinata a ospitare sentenze del T.A.R., eventualmente accompagnate da una nota anonima (critica o adesiva).

In tutta franchezza, mi auguro che quella stanza resti vuota.

Nella migliore delle ipotesi, essa rischia di essere un luogo di pettegolezzi. Il Veneto è troppo piccolo perché non si conoscano le cause e quindi le parti e quindi gli avvocati. Perché mettere queste cose “in mostra”? Questo tanto più è discutibile se la pubblicazione avvenisse ad opera o su segnalazione di un terzo alla causa: di cosa si “impiccerebbe” costui?

Se, viceversa, l’impulso alla pubblicazione venisse da uno dei difensori in causa, allora la cosa potrebbe sembrare una sorta di appello informale (se la pubblicazione fosse sollecitata dal soccombente) o una promozione professionale (dell’avvocato vittorioso).

In ogni caso, l’Associazione, pubblicando quella sentenza, finirebbe, implicitamente, per prendere posizione sulla controversia a vantaggio di una delle parti o a svantaggio delle altre e quindi a vantaggio di alcuni suoi associati e a svantaggio di altri.

La cosa, infine, sarebbe ancora più marcata se alla sentenza fosse allegata la “nota”, critica o adesiva, e questo anche perché, essendo la nota anonima, essa verrebbe imputata all’Associazione nel suo complesso, come avviene con gli articoli non firmati dei giornali che vengono imputati, anche giuridicamente, al loro direttore.

Oltre al fatto che le cose anonime non mi piacciono troppo in sé. Se voglio dire una cosa, la firmo. altrimenti taccio.

Francesco Volpe

image_pdfStampa in PDF